Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 29 luglio 2021 n. 21761
PRINCIPI DI DIRITTO
Sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento;
il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.;
la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis;
non produce nullità del trasferimento il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con i tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – G.R. ed R.I. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1362e 1376 c.c., nonché del D.L. n. 78 del 2010, art. 19,convertito nella L. 30 luglio 2010, n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. I ricorrenti censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui ha condiviso l’opzione ermeneutica fatta propria da diverse decisioni di merito, affermando che le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, ben possono “integrare le tipiche clausole di separazione e divorzio (figli, assegni, casa coniugale) con clausole che si prefiggono di trasferire tra i coniugi o in favore di figli diritti reali immobiliari o di costituire iura in re aliena su immobili ricorrendo esclusivamente alla tecnica obbligatoria, che consente l’applicazione dell’art. 2932 c.c. e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto”.
Osservano, per contro, gli istanti che siffatta opzione ermeneutica costituisce violazione del disposto dell’art. 1322 c.c., laddove consente – nell’ottica della massima espansione dell’ambito di applicazione dell’autonomia privata – la possibilità per le parti, e quindi anche per i coniugi in sede di determinazione dei cd. “accordi della crisi coniugale”, di concludere pattuizioni atipiche, meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. L’indirizzo interpretativo – per lo più seguito dai giudici di merito – collide, peraltro, ad avviso dei ricorrenti, anche con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è ripetutamente pronunciato in senso contrario.
Gli istanti ricordano, invero, come si sia più volte affermato – nella giurisprudenza di questa Corte – che l’accordo delle parti in sede di separazione e di divorzio ha natura certamente negoziale, e può dare vita a pattuizioni atipiche meritevoli di tutela, che ben possono avere ad oggetto – essendo soddisfatta, mediante l’inserimento nel ricorso sottoscritto da entrambe le parti, poi trasfuso nel verbale di udienza sottoscritto dalle medesime, il requisiti della forma scritta ex art. 1350 c.c. – anche trasferimenti di proprietà su immobili, o altri diritti reali.
1.2. La decisione impugnata non terrebbe, poi, in alcun conto la volontà, inequivocabilmente espressa dai coniugi e dai figli, di voler realizzare in via immediata – e non prevedendosi un mero obbligo di trasferimento – il passaggio del diritto di proprietà sull’immobile adibito a casa coniugale a favore dei figli, nonché il trasferimento del diritto di usufrutto dal G. alla R. , al fine di definire senza differimenti pregiudizievoli per tutti gli interessati – ogni questione relativa ai profili economici della crisi coniugale. Di tale chiara e legittima espressione della volontà delle parti la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto, in tal modo violando anche il disposto degli artt. 1362 e 1376 c.c..
1.3. L’impugnata pronuncia sarebbe, infine, incorsa – a parere degli esponenti – nella violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 19, convertito nella L. n. 1 del 2010, laddove prevede che il notaio deve effettuare la verifica catastale degli immobili da trasferire. L Corte territoriale avrebbe, per vero, erroneamente opinato che il legislatore abbia inteso demandare a detto professionista, e non anche ad altri operatori, “il compito della individuazione e della verifica catastale nella fase di stesura degli atti traslativi così concentrando, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale a presidio degli interessi pubblici coinvolti, senza che tale attività possa essere sostituita da quella di altri operatori, tra i quali il giudice” (pp. 3 e 4 della sentenza di appello)..
1.3.1. Osservano, per contro, i ricorrenti che anzitutto, nel caso concreto, il G. aveva dichiarato la conformità dello stato di fatto dell’immobile ad i dati catastali ed alle planimetrie allegate, e che l’intestazione catastale era conforme alle risultanze dei registri immobiliari. Le parti avevano, poi, prodotto perizia giurata dalla quale era possibile desumere ulteriormente siffatte conformità, oltre a tutta la documentazione necessaria per il trasferimento immobiliare, come le planimetrie degli immobili (appartamento e garage) e le dichiarazioni di conformità a legge degli impianti elettrico e termico, obbligandosi, inoltre, a curare a proprie spese esonerando il cancelliere da ogni responsabilità al riguardo – le formalità richieste per la trascrizione del trasferimento immobiliare. Per il che tutti gli adempimenti che la norma del D.L. n. 78 del 2010, art. 19, pone a carico del notaio, sarebbero stati effettuati dalle stesse parti.
1.3.2. Rilevano, altresì, gli esponenti che la decisione impugnata non terrebbe conto del fatto che la norma del D.L. n. 78 del 2010, art. 19, riguarda i soli casi nei quali le parti abbiano inteso effettuare il trasferimento di diritti reali con atto notarile, laddove detta disposizione non trova applicazione qualora le parti abbiano effettuato il trasferimento con scrittura privata – in relazione alla quale il notaio si limita ad autenticare la firma dei contraenti. Il che è, del resto, certamente consentito dall’art. 1350 c.c., che si limita a richiedere per i trasferimenti in questione la forma scritta ad substantiam, senza operare distinzione alcuna tra atto pubblico e scrittura privata.
1.3.3. Nè potrebbe opporsi a tali considerazioni il rilievo della impossibilità di trascrivere l’atto in tal modo concluso, non rientrando siffatto accordo nelle categorie di atti trascrivibili, ai sensi dell’art. 2657 c.c. Osservano, per vero, i ricorrenti che nella specie la parti, oltre ad avere sottoscritto l’accordo di divorzio contenuto nel ricorso, con firma autenticata dal difensore, avevano poi nuovamente sottoscritto il verbale di udienza del 28 novembre 2016, riportandosi alle condizioni dell’accordo, ed il verbale – costituente atto pubblico ex art. 2699 c.c. – era stato redatto dal cancelliere (pubblico ufficiale) che aveva, in tal modo, certificato l’identità dei presenti e la veridicità delle dichiarazioni rese. Sicché il verbale di udienza, debitamente autenticato, già costituirebbe titolo valido per la trascrizione. In ogni caso, osservano gli istanti, la sentenza di divorzio è direttamente trascrivibile, ai sensi dell’art. 2657 c.c..
- Su tali specifici profili – dedotti dai ricorrenti – l’ordinanza di rimessione n. 3089/2020 ha investito queste Sezioni Unite rilevando, anzitutto, che la soluzione adottata dalla sentenza di appello, nel senso dell’inderogabilità della verifica di conformità ipocatastale da parte del notaio, oltre ad essere contraria all’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità, chiaramente ed univocamente incline a ritenere ammissibili – nell’esercizio dell’autonomia privata ex art. 1322 c.c.– i trasferimenti immobiliari operati dalle parti in sede di divorzio e di separazione consensuale, non è pacificamente seguita neppure dai giudici di merito.
2.1. Rileva, al riguardo, l’ordinanza di rimessione che la disposizione di cui al comma 1 bis, aggiunto della L. n. 52 del 1985, art. 29,D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, convertito nella L. 30 luglio 2010, n. 122, ha, difatti, dato luogo a contrasti interpretativi fra i giudici di merito. Per intanto, va rilevato che la sanzione della nullità colpisce – come si evince dai primi due periodi del testo della norma – solo l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate e la dichiarazione resa dagli intestatari della conformità dello stato di fatto ai dati catastali ed alle planimetrie; dichiarazione che peraltro può essere sostituita – come è accaduto nel caso di specie – da un’attestazione rilasciata da un tecnico abilitato. Per converso, non è prevista a pena di nullità la previsione – contenuta nel terzo periodo – secondo cui il notaio deve individuare, prima della stipula dell’atto, gli intestatari catastali e verificare la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.
2.2. La nullità prevista – secondo l’ordinanza di rimessione riguarda, dunque, l’assenza dei requisiti ed ha “carattere oggettivo”, poiché è “rivolta a prevenire e sanzionare atti che non siano conformi allo stato di fatto dell’immobile, in relazione ad eventuali violazioni della disciplina urbanistica”. Il controllo sulla identità degli intestatari catastali e sulla loro conformità alle risultanze dei registri immobiliari – non espressamente sanzionato, in caso di omissione, con la nullità dell’atto – non esclude, pertanto, il permanere della nullità oggettiva dell’atto medesimo, nonostante l’intervento del notaio, qualora gli adempimenti richiesti dalla prima parte della norma non siano stati effettuati.
Di qui la necessità che l’atto traslativo – anche di diritti reali diversi dal diritto di proprietà, venendo in considerazione nella specie il diritto di usufrutto – contenuto nel verbale di separazione consensuale o nella sentenza che recepisce l’accordo divorzile, contengano i requisiti previsti dalla menzionata norma a pena di nullità, “ma la verifica che la norma rimette al notaio può essere svolta da un ausiliario del giudice dal momento che la validità dell’atto deriva esclusivamente dalla conformità alle prescrizioni normative” (p. 7 dell’ordinanza di rimessione).
2.3. Siffatta conclusione sarebbe, peraltro, confortata – a parere del collegio rimettente – dalla previsione, sebbene non direttamente applicabile ai conflitti familiari, della L. n. 162 del 2014, art. 5 (sulla cd. “negoziazione assistita”), che esclude la necessità del ricorso al notaio anche quando le parti, con l’accordo che compone la controversia, concludono uno dei contratti che vanno trascritti ai sensi dell’art. 2643 c.c., limitandosi la norma a prevedere che per procedere alla trascrizione “la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” (p. 8).
- Il ricorso è fondato.
3.1. La questione relativa alla possibilità per le parti di introdurre – negli accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto, ferme talune differenze tra i due atti, sulle quali si tornerà – clausole diverse da quelle facenti parte del contenuto necessario di tali accordi, ha ricevuto da parte della dottrina risposte diverse ed articolate.
3.1.1. Una parte degli autori si è attestata su posizioni di maggiore chiusura, affermando che gli accordi tra i coniugi in sede di divorzio congiunto o di separazione consensuale non potrebbero avere un contenuto diverso da quello necessario, che si riferisce nel dettato delle norme che disciplinano le due diverse fattispecie all’affidamento dei figli minori ed al loro mantenimento, all’esercizio della responsabilità genitoriale, all’assegnazione della casa coniugale, all’eventuale mantenimento del coniuge, e comunque alla disciplina di tutte quelle situazioni che avrebbero potuto costituire oggetto della statuizione del giudice.
Tale opzione interpretativa si fonda, per il divorzio, sul tenore letterale della disposizione di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 16, che fa riferimento – quale contenuto della domanda congiunta – alla compiuta indicazione delle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici”, nonché, per la separazione, sul disposto dell’art. 158 c.c., artt. 710 e 711 c.p.c., nei quali si fa riferimento all'”accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli”, ed ai “provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione”, che possono essere modificati in ogni tempo su istanza delle parti. Secondo i sostenitori di questa tesi, pertanto, non vi sarebbe spazio per i trasferimenti immobiliari nè in sede di separazione consensuale, nè in sede di divorzio. Solo il notaio potrebbe, invero, ricevere i negozi giuridici traslativi di diritti reali, quand’anche l’esigenza della loro stipulazione sia originata dalla crisi coniugale; sicché – seppure riportati nel verbale del giudizio – tali accordi traslativi non potrebbero comunque essere trascritti.
3.1.2. Altri autori – pur ritenendo in astratto valido l’accordo immediatamente traslativo di beni immobili in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto – ritengono comunque preferibile adottare la “procedura bifasica” (assunzione dell’obbligo di trasferire in sede giudiziale e redazione dell’atto notarile in esecuzione dell’obbligo assunto) in ragione dell’elevato rischio di errori invalidanti, connesso agli adempimenti e alle verifiche richiesti per gli atti immediatamente traslativi (indicazioni urbanistiche, attestazioni di prestazione energetica e certificazione catastale).
3.1.3. Altra dottrina – in un’ottica di maggiore apertura, dettata dalla necessità di tenere conto del contesto peculiare nel quale si sviluppano siffatti accordi traslativi, dettati dall’esigenza di porre fine quanto prima, e senza il rischio di successivi ripensamenti pregiudizievoli per la stabilità, già precaria, della situazione familiare – si spinge fino a valutare unitariamente e complessivamente tutte le condizioni della separazione (o del divorzio), ed arriva ad attribuire ad esse una comune connotazione di tipicità, cui fa conseguire una disciplina unitaria. In particolare, secondo tale tesi, occorrerebbe tenere conto del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la protratta convivenza genera, operando una ricostruzione che, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, faccia perno, invece, sull’individuazione di un vero e proprio contratto di definizione della crisi coniugale o, più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale contratto dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale.
E si tratterebbe di accordi tipici, in quanto ancorati alle previsioni – valorizzate in un significato diametralmente opposto a quello propugnato dal primo orientamento – dell’art. 711 c.p.c. e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, laddove si riferiscono, rispettivamente, alle “condizioni della separazione consensuale” e alle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici” delle parti.
A tali contratti è attribuito il nome di “contratti della crisi coniugale” o di “contratti post-matrimoniali”.
3.2. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affrontato la problematica dei trasferimenti di diritti reali immobiliari in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto in decisioni emesse, peraltro, con riferimento a contesti fattuali spesso differenti l’uno dall’altro, e non sempre affrontando tutti i complessi profili implicati dalle due fattispecie. Sicché è intuibile l’esigenza – avvertita dall’ordinanza di rimessione – di fare piena chiarezza sull’intera questione, attraverso una decisione che – muovendo dalla vicenda inerente un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario – fornisca, altresì, le coordinate interpretative per la risoluzione delle problematiche, del tutto simili, anche se non identiche, implicate dal contiguo – e non agevolmente disgiungibile sul piano dogmatico – istituto della separazione consensuale dei coniugi.
E ciò tenuto conto anche del fatto che talune affermazioni di principio sono state emesse proprio con riferimento a casi di separazione incardinati quando ancora la legge sul divorzio non era entrata in vigore, e sono state – dipoi – traslate a fattispecie di divorzio successive.
3.2.1. Nelle prime decisioni in materia, sebbene il problema non sia stato consapevolmente e funditus affrontato, avendo tali pronunce ad oggetto la costituzione a favore del coniuge, in sede di separazione, di un diritto reale di abitazione, o il trasferimento di beni, ma con riferimento specifico alla necessità di integrazione del contributo al mantenimento del medesimo (Cass., 12/06/1963, n. 1594; Cass., 27/10/1972, n. 3299), o al riconoscimento della proprietà esclusiva di alcuni beni al coniuge, ma in funzione divisoria (Cass., 11/11/1992, n. 12110), non si è mancato, tuttavia, di rilevare la validità della clausola, con la quale i coniugi, nel verbale di separazione consensuale, riconoscano la proprietà esclusiva di singoli beni mobili ed immobili in favore dell’uno o dell’altra.
3.2.2. Fondamentale è, per contro, una successiva pronuncia, nella quale questa Corte ha affermato che sono da ritenersi pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.
Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc”, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale. La pronuncia contiene poi l’affermazione di rilievo – ai fini della risoluzione della questione oggetto di esame in questa sede secondo cui la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato nei suoi aspetti formali dall’art. 711 c.p.c., il quale ne prevede la documentazione nel verbale di udienza – redatto da un ausiliario del giudice ai sensi dell’art. 126 c.p.c. – e ne subordina l’efficacia all’omologazione, attribuita alla competenza del tribunale (Cass., 15/05/1997, n. 4306).
3.2.3. In senso contrario si era, in precedenza, espressa una pronuncia – rimasta, peraltro, isolata – secondo la quale, qualora i coniugi abbiano convenuto, nell’accordo di separazione, una donazione, l’omologazione non vale a rivestire l’atto negoziale della forma dell’atto pubblico, richiesto dall’art. 782 c.c., che gli artt. 2699 e 2700 c.c., impongono sia “redatto” e “formato” dal pubblico ufficiale (Cass., 08/03/1995, n. 2700). La decisione non chiarisce, tuttavia, l’aspetto fondamentale della questione, concernente la ragione per la quale il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi, sebbene redatto dal cancelliere – che è, a sua volta, un pubblico ufficiale – con le modalità di cui all’art. 126 c.p.c., non rivesta la natura di un atto pubblico.
3.2.4. Le statuizioni contenute nella pronuncia n. 4306/1997 hanno trovato, peraltro, conferma in tutta la giurisprudenza successiva, essendosi affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria.
Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass., 25/10/2019, n. 27409).
In tale decisione, la Corte ha ribadito che il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisse a seguito dell’omologa, ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass., 15/04/2019, n. 10443).
Ma già in precedenza, nello stesso senso della pronuncia succitata e sempre con riferimento all’esperimento dell’azione revocatoria, la Corte aveva più volte conformemente statuito sui presupposti per l’utile esperimento di tale azione contro il trasferimento immobiliare concordato in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, in tal modo riconoscendone quanto meno implicitamente – la validità (in tal senso, cfr. Cass., 23/03/2004, n. 5741; Cass., 26/07/2005, n. 15603; Cass., 14/03/2006, n. 5473; Cass., 12/04/2006, n. 8516, con riferimento alla revocatoria fallimentare, Cass., 13/05/2008, n. 11914; Cass., 10/04/2013, n. 8678; Cass., 05/07/2018, n. 17612).
3.2.5. Altre decisioni di legittimità hanno recepito la distinzione tra “contenuto essenziale” e “contenuto eventuale”, elaborata dalla dottrina succitata, avendo statuito che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo “occasione” nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata.
Ne consegue che questi ultimi accordi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c., o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c. (Cass., 19/08/2015, n. 16909; Cass., 30/08/2019, n. 21839, che ha ammesso l’azione di simulazione nei confronti di un patto, contenuto nelle condizioni di separazione consensuale omologate, che prevedeva trasferimenti immobiliari tra le parti). Ma al di là dalla precisazione, concernente il diverso contenuto degli accordi della crisi coniugale, va rilevato come venga anche da tali decisioni sostanzialmente ribadita l’ammissibilità dei patti di trasferimento di diritti reali in sede di separazione consensuale e di accordo congiunto di divorzio.
3.2.6. Di particolare interesse – ai fini della risoluzione della questione in esame, ed a prescindere dalla peculiarità della vicenda – si palesa, altresì, una recente pronuncia nella quale si è ritenuto che la previsione di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497 – che attribuisce alle persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali e che abbiano acquistato immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la facoltà di optare per la liquidazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5 e quindi sulla base della rendita catastale – operi anche nel caso in cui il trasferimento (nella specie, cessione di quote di una casa di civile abitazione) avvenga in via transattiva davanti all’autorità giudiziaria.
Ed invero – si afferma – il verbale di conciliazione giudiziale presenta tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita, essendo il giudice, al pari di un notaio, un pubblico ufficiale ed assumendo detto verbale il valore di vero e proprio atto pubblico (Cass., 30/10/2020, n. 24087). In tale decisione la Corte perviene, pertanto, all’equiparazione, sotto i profili del contenuto e della forma, delle cessioni di immobili abitativi perfezionate con atto notarile e dei trasferimenti effettuati in sede di conciliazione giudiziale, proprio sulla scorta della giurisprudenza succitata in materia di trasferimenti concordati in sede di separazione consensuale e divorzio congiunto.
3.2.7. Ulteriori implicite conferme in tal senso provengono, peraltro, anche da una serie di decisioni in materia fiscale, concernenti l’applicazione del disposto della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 19, che, nel testo risultante dalle pronunce di illegittimità costituzionale nn. 176 del 1992 e 154 del 1999, stabilisce l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” per tutti i provvedimenti giudiziali resi nelle cause di divorzio o di separazione dei coniugi. Si è, invero, affermato che le agevolazioni di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19, operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge.
Tale agevolazione si estende ad ogni tipo di “tassazione”, indipendentemente dalla natura di imposta o di tassa in senso proprio del tributo concretamente in discussione (Cass., 22/05/2002, n. 7493; Cass., 28/10/2003, n. 16171; Cass. 03/02/2016, n. 2111). E l’esenzione è stata riconosciuta anche agli atti stipulati a seguito dell’assunzione del solo obbligo di trasferimento in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, in favore di alcuno dei coniugi o dei figli, senza che sia posto in essere dalle parti un accordo traslativo definitivo (Cass., 28/06/2013, n. 16348; Cass., 30/05/2005, n. 11458).
3.2.8. Del tutto incontroversa, nella giurisprudenza di questa Corte, è peraltro l’ammissibilità – sul piano generale, anche a prescindere dalla materia fiscale – della sola assunzione dell’obbligo di trasferire la proprietà di un bene, o altro diritto reale, con gli accordi di separazione o di divorzio. Sotto tale profilo, può anzi affermarsi che qualsiasi clausola che sia in grado di soddisfare gli interessi delle parti a regolare consensualmente – in quel particolare e delicato contesto costituito dalla crisi coniugale – gli aspetti economici della vicenda in atto, sia essa di mero accertamento della proprietà di un bene immobile, ovvero di cessione definitiva del bene stesso, o ancora di assunzione dell’obbligo di trasferirlo, è stata ritenuta egualmente ammissibile e valida dalla giurisprudenza di legittimità.
3.2.8.1. In tal senso, si è statuito, infatti, che è di per sé valida la clausola dell’accordo di separazione che contenga l'”impegno” di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, trattandosi di pattuizione che dà vita ad un “contratto atipico”, distinto dalle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c. e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322 c.c. (Cass. 17/06/2004, n. 11342).
3.2.8.2. Nella medesima prospettiva si pone l’affermazione secondo cui l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole ben può essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta.
Si è precisato, pertanto, che la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice, chiamato a pronunciarsi nel giudizio di divorzio, dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento (Cass., 02/02/2005, n. 2088).
L’obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti) può essere, per vero, legittimamente adempiuto dai genitori – nella crisi coniugale – mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio, attribuisca direttamente – o impegni il promittente ad attribuire – la proprietà di beni mobili o immobili ai figli, senza che tale accordo (formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli artt. 155,158,711 c.c. e della L. n. 898 del 1970, artt. 4 e 6 e sostanzialmente costituente applicazione della “regula iuris” di cui all’art. 1322 c.c., attesa la indiscutibile meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti) integri gli estremi della liberalità donativa, ma assolvendo esso, di converso, ad una funzione solutorio-compensativa dell’obbligo di mantenimento.
L’accordo in parola, comporta l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori abbiano loro attribuito, o si siano impegnati ad attribuire; di talché, in questa seconda ipotesi, il correlativo obbligo, è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (Cass., 21/02/2006, n. 3747; Cass., 23/09/2013, n. 21736, secondo cui tale pattuizione non è affetta da nullità, non essendo in contrasto con norme imperative, nè con diritti indisponibili).
3.2.8.3. È indifferente, in definitiva, nella giurisprudenza di questa Corte, la modalità con la quale il regolamento di interessi avvenga, purché esso sia idoneo a garantire un soddisfacente assetto dei rapporti tra le parti – per un futuro nel quale la convivenza coniugale si avvia verso un esito di separazione o di scioglimento – in tempi ragionevoli che consentano di chiudere la crisi al più presto, quanto meno sul piano economico. Ed in tale prospettiva – come in seguito si dirà – lo strumento più adeguato si palesa proprio il trasferimento immobiliare definitivo, escluso invece – nel caso di specie – dalla sentenza impugnata.
3.2.9. Una ulteriore chiara indicazione in senso favorevole all’ammissibilità degli accordi traslativi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto proviene, infine, da una pronuncia in materia di “negoziazione assistita”, secondo la quale, ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 6, convertito dalla L. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui del medesimo D.L. n. 132, art. 5, comma 3.
Ne consegue che, per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione, contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3, succitato (Cass., 21/01/2020, n. 1202). La pronuncia costituisce, non soltanto una conferma dell’ammissibilità di siffatti accordi nella sistemazione dei rapporti economici nella crisi coniugale, ma anche della non esclusività della funzione certificatoria in capo al notaio, essendo a quest’ultimo equiparabile qualunque pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
3.3. In senso contrario rispetto alle coordinate interpretative tracciate dalla giurisprudenza di legittimità, si è – per contro espressa la maggior parte delle pronunce rese dai giudici di merito, prevalentemente orientati a negale le possibilità di intese immediatamente traslative all’interno del verbale di separazione consensuale o di divorzio congiunto.
3.3.1. Riprendendo la distinzione – come si è visto, operata dalla dottrina e della giurisprudenza di legittimità – tra contenuto necessario e contenuto eventuale degli accordi di separazione, la maggior parte delle decisioni ha ritenuto, invero, che quest’ultimo non possa ricomprendere negoziazioni prive dei requisiti formali e sostanziali necessari per la loro validità, come gli atti traslativi definitivi, ciò rientrando in un dovere funzionale volto al rispetto dei principi generali dell’ordinamento, segnatamente in materia di trascrizione di tali atti e di certezza e regolarità dei trasferimenti immobiliari.
Le parti, in tale prospettiva, ben potrebbero integrare le clausole costituenti il contenuto necessario delle pattuizioni di separazione e di divorzio, ma dovrebbero ricorrere “alla tecnica obbligatoria”, e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto” Tale soluzione, si afferma, sarebbe ora confermata dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis, con il quale la legge avrebbe demandato al notaio, e non ad altri operatori, il compito della individuazione e della verifica catastale, nella fase di stesura degli atti traslativi, in tal modo mostrando di voler concentrare, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale sugli atti di trasferimento immobiliare, a tutela degli interessi ad essi sottesi. Nè il giudice potrebbe, nemmeno in sede di volontaria giurisdizione, svolgere alcun potere certificativo e attributivo della pubblica fede alle dichiarazioni negoziali delle parti (ex plurimis, Trib. Milano, 06/12/2009, in Fam. dir., 2011, 937; Trib. Milano, 21/05/2013, in Fam. Dir., 2014, 600 e ss.; Trib. Firenze, 29/09/1989, in Riv. not., 1992, 595; Trib. Firenze, 07/02/1992, in Dir. fam e pers., 1992, 731).
Per il che, il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi non costituirebbe nè atto pubblico, nè scrittura privata autenticata, bensì una semplice scrittura privata, la cui efficacia nei confronti del terzi è sottoposta alla necessaria ripetizione del contratto nella forma dell’atto pubblico notarile, ai fini della trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c. (Trib. Napoli, 16/04/1997, in Fam. Dir., 1997, 420). In tale orientamento si iscrivono altresì le decisioni – emesse nel caso di specie – dal Tribunale di Pesaro n. 933/2016 e dalla Corte d’appello di Ancona n. 583/2017.
3.3.2. Sebbene la giurisprudenza di merito, e le prassi ed i protocolli – uno di essi menzionato dai ricorrenti, relativo al Tribunale di Pesaro – si siano espressi in massima parte in senso contrario all’ammissibilità dei trasferimenti immobiliari ad effetti reali in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto, non mancano, tuttavia, diverse decisioni di segno contrario, conformi alla giurisprudenza di legittimità succitata.
Si è affermato, infatti, in tal senso, che la clausola di un accordo traslativo della proprietà di un bene immobile, in quanto inserita nel verbale d’udienza, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.. Il verbale di separazione consensuale, contenente clausole relative al trasferimento di immobili tra i coniugi, costituisce invero un vero e proprio contratto atipico, con cui le parti intendono attuare un regolamento dei loro rapporti in occasione della separazione, ed è un atto pubblico costituente valido titolo per la trascrizione (Trib. Salerno, 04/07/2006, in Fam e dir., 2007, 63; Trib. Pistoia, 01/02/1996, in Riv. not., 1997, 1421; App. Genova, 27/05/1997, in Dir. fam. e pers., 1998, 572; App. Milano, 12/01/2010, in Fam. dir., 2011, 589).
3.4. Tale essendo il quadro dottrinale e giurisprudenziale di riferimento, ritengono queste Sezioni Unite che l’orientamento secondo il quale in sede di divorzio congiunto e di separazione consensuale siano ammissibili accordi tra le parti, che non si limitino all’assunzione di un mero obbligo preliminare, ma attuino in via diretta ed immediata il trasferimento della proprietà di beni o di altro diritto reale sugli stessi, meriti di essere condiviso e confermato, con le precisazioni che si passa ad esporre.
3.4.1. La vicenda in ordine alla quale è stata operata la rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte attiene ad un caso in cui le parti, con un accordo del 6 luglio 2016, avevano chiesto consensualmente al Tribunale di Pesaro la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario da essi celebrato, prevedendo, tra le altre condizioni dell’accordo, il trasferimento definitivo a favore dei figli della coppia, maggiorenni economicamente non autosufficienti, della quota del 50% della nuda proprietà spettante al padre sull’immobile adibito a casa coniugale, nonché il trasferimento, da parte del marito alla moglie, dell’usufrutto sulla propria quota dell’immobile. La fattispecie concreta concerne, pertanto, non la separazione consensuale tra i coniugi, bensì il divorzio congiuntamente richiesto dai medesimi, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16.
E tuttavia, come dianzi detto, i due istituti – pur presentando innegabili diversità sul piano della disciplina – si presentano strettamente connessi l’uno all’altro sul piano dogmatico. Ed invero, ad accomunare le due fattispecie è certamente la connotazione presente in entrambe – dell’essere finalizzate ad ottenere mediante il consenso dei coniugi, piuttosto che con la pronuncia costitutiva del giudice, le divisate modificazioni dello status coniugale, con le conseguenti ricadute sull’affidamento ed il mantenimento della prole, ove esistente, e sui profili economici concernenti i rapporti tra i coniugi stessi.
3.4.2. E tuttavia, è innegabile la sussistenza di diverse differenza tra i due istituti sul piano della rispettiva disciplina giuridica.
3.4.2.1. Una prima differenza tra il giudizio di separazione consensuale e quello di divorzio su domanda congiunta è ravvisabile, invero, nel fatto che, in quest’ultima fattispecie, il procedimento non termina con l’omologazione da parte del Tribunale, bensì con una sentenza emessa all’esito dell’audizione dei coniugi, e con la quale il collegio giudicante è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti di legge – in particolare se la comunione tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita – ed a verificare “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli”. La mancata corrispondenza a tale interesse comporterà l’apertura della procedura contenziosa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, comma 8 (art. 4, comma 16).
3.4.2.2. Ed è questa una seconda differenza di regime giuridico con la separazione consensuale, nella quale – qualora l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento ed al mantenimento dei figli sia contrario agli interessi di questi ultimi, il Tribunale – nel caso in cui le modifiche proposte non siano state idoneamente eseguite – “può rifiutare allo stato l’omologazione” (art. 158 c.c., comma 2).
3.4.3. La dottrina che si è occupata del procedimento di divorzio congiunto è pervenuta a conclusioni non del tutto univoche, anche se tra gli autori più recenti è dato registrare una maggiore uniformità di vedute.
3.4.3.1. Secondo una prima opinione, il procedimento disciplinato dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, condotto in Camera di consiglio e senza istruttoria, assume connotazioni particolari, ma è pur sempre un procedimento contenzioso e la decisione ha la forma e la sostanza della sentenza. Il tribunale non si limita ad omologare il consenso dei coniugi, perché la presentazione della domanda congiunta costituisce il presupposto per la trattazione della causa secondo un rito “abbreviato”, ma devono pur sempre essere accertate le condizioni per pronunciare il divorzio, proprio come avviene nei giudizi contenziosi. Nella medesima prospettiva, si è pertanto sostenuto che la sentenza che conclude siffatto procedimento presenta una duplice natura, ossia di accertamento costitutivo, quanto all’esame dei presupposti di legge ed alla pronuncia di divorzio, e dichiarativa dell’efficacia delle condizioni volute dalle parti.
3.4.3.2. Altra dottrina, senza peraltro porsi il problema della valenza del verbale di comparizione dei coniugi che riporti le condizioni concordate dai coniugi, ritiene che il ricorso a firma congiunta sia un qualcosa in meno dell’accordo in sede di separazione consensuale, poiché non avrebbe alcun contenuto negoziale e si risolverebbe semplicemente in una domanda comune rivolta al Tribunale, nell’aspirazione ad ottenere un certo provvedimento, avente un contenuto concordemente divisato dalle parti.
3.4.3.3. Su posizione diametralmente opposta sembra, tuttavia, ormai collocarsi la dottrina di gran lunga prevalente, secondo la quale l’accordo posto a base di tale procedimento avrebbe chiara natura negoziale, rilevando il parallelismo e la connotazione causale identici all’accordo concluso tra coniugi in sede di separazione consensuale, dalla quale si distingue solo per il preliminare accertamento dei requisiti di legge per dichiarare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Secondo tale tesi, a prescindere dalla forma del provvedimento finale, il divorzio su domanda congiunta non costituisce un giudizio contenzioso, ma un procedimento di giurisdizione volontaria, nel quale gli accordi delle parti non possono essere sindacati dal giudice, se non per quanto riguarda le statuizioni riguardanti i figli minori, ferma restando la decisione sulla sussistenza dei presupposti per la pronuncia di divorzio.
Al di fuori di tale profilo, l’attività del Tribunale è ritenuta sostanzialmente vincolata, tant’è che gli effetti patrimoniali del divorzio vengono ricondotti all’accordo delle parti, riportati nel verbale di comparizione davanti al collegio, anziché alla determinazione del giudice, che è assimilata a una mera omologa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili dell’ordinamento vigente. Ciò che rileva – si ribadisce è che, in caso di divorzio su domanda congiunta, la fonte della regolamentazione dei rapporti tra gli ex coniugi divorziati va ravvisata nell’accordo delle parti e non nella sentenza.
3.4.4. La giurisprudenza di questa Corte ha recepito in parte ciascuna delle diverse elaborazioni della dottrina, muovendo da un dato inequivocabile di diritto positivo, costituito dal disposto della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, secondo cui il Tribunale decide con sentenza verificando esclusivamente “la sussistenza dei presupposti di legge” e valutando “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli”.
3.4.4.1. In tal senso – accomunando le due fattispecie, che al di là della diversità di disciplina presentano l’evidenziato tratto comune della consensualità – si è affermato che, in caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale, ma sull’accordo tra i coniugi. Essa realizza pertanto – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli – un controllo solo esterno su tale accordo, attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse superiore e trascendente della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi ben possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori (Cass., 20/08/2014, n. 18066; Cass., 13/02/2018, n. 10463).
3.4.4.2. Nel medesimo ordine di idee si pone la successiva pronuncia, con la quale questa Corte – affrontando un caso di revoca unilaterale del consenso da parte di uno dei coniugi – ha stabilito che il Tribunale deve comunque provvedere all’accertamento dei presupposti per la pronuncia richiesta, per poi procedere, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone esclusivamente la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori. Infatti, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell’ambito del quale l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale della L. n. 898 del 1970, ex art. 3, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici.
Il che consente al tribunale di intervenire su tali accordi soltanto nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l’adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose (Cass., 24/07/2018, n. 19540). 3.4.4.3. È del tutto evidente, pertanto, che – ferma la natura costituiva della sentenza che definisce il procedimento di divorzio a domanda congiunta, con la peculiarità che siffatta pronuncia è emessa sull’accordo delle parti, sia pure avente natura ricognitiva dei presupposti per la pronuncia sullo status, che il Tribunale ha comunque il dovere di verificare – la sentenza in parola viene a rivestire un valore meramente dichiarativo, o di presa d’atto, invece, quanto alle condizioni “inerenti alla prole ed ai rapporti economici”, che la domanda congiunta di divorzio deve “compiutamente” indicare. Fermo il limite invalicabile costituito dalla necessaria mancanza di un contrasto tra gli accordi patrimoniali e norme inderogabili, e dal fatto che gli accordi non collidano con l’interesse dei figli, in special modo se minori.
3.4.5. La pacifica – secondo tutta la giurisprudenza di legittimità succitata – natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta pertanto che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizione stipulate dalle parti, e riprodotte nel verbale di separazione. Come del resto – sul piano generale – il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2).
3.4.6. È del tutto evidente, pertanto, che l’impostazione seguita – nel caso di specie – dalla Corte d’appello si è tradotta, in concreto, in un limite ingiustificato all’esplicazione dell’autonomia privata, che potrebbe dispiegarsi – ad avviso della Corte territoriale esclusivamente in direzione di un accordo obbligatorio, avente il valore sostanziale di un preliminare, e non di un atto traslativo definitivo. L’operazione ermeneutica che ne è derivata si è concretata, pertanto, in una sorta di peculiare – quanto inammissibile – “conversione” dell’atto di autonomia, che da trasferimento definitivo è stato trasformato d’ufficio, dal giudice, in un mero obbligo di trasferimento immobiliare.
Ed invero, il giudice di secondo grado ha confermato, sul punto, l’impostazione operata dal primo giudice, secondo cui le condizioni stabilite dalle parti vanno precisate nel senso che “i trasferimenti immobiliari indicati nelle condizioni siano da intendersi come impegni preliminari di vendita e di acquisto”.
3.4.7. Per converso, in una lettura costituzionalmente orientata che tenga conto de fondamento costituzionale dell’autonomia privata, ravvisabile negli artt. 2, 3, 41 (Corte Cost., sent. n. 60 del 1968) e 42 Cost. – è evidente che una restrizione dell’autonomia, per di più in presenza di una situazione di crisi coniugale che impone, anche sul piano solidaristico, una soluzione il più celere possibile quanto meno delle questioni economiche che possono tradursi in ulteriori motivi di contrasto tra i coniugi, la soluzione propugnata dalla Corte territoriale non può ritenersi condivisibile.
Basti, per vero, por mente all’evenienza, di certo tutt’altro che improbabile, che – in caso di inadempimento, per qualsiasi ragione, dell’obbligato alla promessa di trasferimento della proprietà di beni, in sede di accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto – la controparte di siffatti accordi non potrà che intraprendere dovendo escludersi anche una risoluzione del patto per inadempimento, non trattandosi di un contratto sinallagmatico, bensì dell’adempimento di un dovere di mantenimento previsto dalla legge (Cass., 17/06/2004, n. 11342) – di un lungo ed incerto giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo, ai sensi dell’art. 2932 c.c.. Con evidente levitazione dei costi, che verrebbero ad incidere su di una situazione già fortemente compromessa sul piano economico.
3.4.8. D’altro canto, tale soluzione contrasta con la rilevata assenza – sul piano generale, e fatte salve le verifiche che il Tribunale è tenuto ad operare nelle singole fattispecie concrete – di profili di illiceità o di meritevolezza di siffatti accordi.
3.4.9. Nè la diversa opzione interpretativa può efficacemente fondarsi, a giudizio di queste Sezioni Unite, sulla disposizione della L. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 29, comma 1-bis, introdotto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, a norma del quale “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale.
La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
È di chiara evidenza, infatti, che il tenore letterale della norma fonda la previsione di nullità sulla mancanza nell’atto dell'”identificazione catastale”, nonché del “riferimento alle planimetrie depositate in catasto” e della “la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. Si tratta dunque, com’è del tutto evidente, di una nullità testuale (art. 1418 c.c.) di carattere oggettivo che, a prescindere dalla esattezza e veridicità degli allegati e della dichiarazione, determina la nullità dell’atto per la sua sola mancanza (per un’ipotesi non dissimile, Cass. Sez. U., 22/03/2019, n. 8230).
3.4.10. Tale nullità non è ancorabile, pertanto, al soggetto che compie tale accertamento – neppure individuato nella prima parte dell’art. 29 succitato – ben potendo la nullità stessa verificarsi qualunque sia il soggetto che roga l’atto, sia esso un notaio o anche le parti private nella scrittura privata autenticata.
Il che risulta confermato dal fatto che l’unica previsione che si riferisce al notaio, contenuta nell’ultima parte della norma (individuazione degli intestatari catastali e verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari), non è sanzionata dalla nullità dell’atto. Ne discende che l’accordo traslativo adottato in sede di divorzio ma mutatis mutandis il principio, per le ragioni suesposte, è applicabile anche alla separazione consensuale, nella quale l’atto traslativo è riconducibile alla parte negoziale eventuale dell’accordo, ai sensi degli artt. 150 e 158 c.c., ma l’atto, non essendo espressamente previsto e disciplinato dalla legge, ha natura atipica deve contenere tutte le indicazioni richieste, a pena di nullità, dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis.
3.4.11. Sotto tale profilo, è evidente che il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi redatto dal cancelliere ai sensi dell’art. 126 c.p.c., che – per intanto – realizza l’esigenza della forma scritta dei trasferimenti immobiliari, richiesta dall’art. 1350 c.c., è – come dianzi detto – un atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza (oltre alle decisioni succitate, cfr. Cass., 12/01/2009, n. 440; Cass. 11/12/2014, n. 26105).
È stato già chiarito, infatti, che la dominante giurisprudenza di legittimità e una parte della dottrina ammettono la possibilità di attribuzioni patrimoniali tra coniugi in sede di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, ritenendo che le relative pattuizioni, quando operino il trasferimento in favore di uno di essi o di terzi di beni immobili, in quanto inserite nel verbale di udienza, redatto da un ausiliario del giudice e diretto a far fede di ciò che in esso è attestato, devono ritenersi, stipulate nella forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2699 c.c. e quindi trascrivibili, ai sensi dell’art. 2657 c.c..
Secondo tale opinione, al cancelliere (esattamente come al giudice) compete la qualifica di pubblico ufficiale e lo svolgimento delle formalità relative all’udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica funzione (cfr. art. 357 c.p.); sicché gli atti redatti o formati con il suo concorso, nell’ambito delle funzioni al medesimo attribuite, e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell’art. 2699 c.c..
Gli incombenti relativi alla verifica della coincidenza dell’intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari – previsti dall’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29 – ben possono, di conseguenza, essere eseguiti dall’ausiliario del giudice, sulla base della documentazione che le parti saranno tenute a produrre, se del caso mediante un protocollo che ciascun ufficio giudiziario – come accade già in diversi Tribunali potrà predisporre d’intesa con il locale Consiglio dell’ordine degli avvocati.
3.4.12. L’opzione interpretativa che queste Sezioni Unite intendono privilegiare, è, d’altra parte, in linea con le affermazioni della più recente giurisprudenza di questa Corte, emesse con specifico riferimento alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis. Si è – per vero – anzitutto affermato, al riguardo, che la dichiarazione richiesta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 19, comma 14, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali.
L’omissione – ma limitatamente a tale dichiarazione – determina, pertanto, la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comma 1 (Cass., 11/04/2014, n. 8611; Cass., 21/07/2016, n. 15073; Cass., 03/06/2016, n. 11507; Cass., 29/08/2019, n. 21828).
3.4.13. Quanto all’ambito di applicazione delle prescrizioni riguardanti le informazioni e le dichiarazioni catastali, previste a pena di nullità, la tesi minoritaria secondo la quale il perimetro applicativo della norma sarebbe circoscritto allo schema dell’atto negoziale notarile (sia esso l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata), con esclusione, oltre che delle scritture private semplici, anche degli atti pubblici amministrativi o giudiziari, che producano gli stessi effetti giuridici indicati dalla norma, è smentito dall’orientamento assolutamente maggioritario della dottrina.
La maggioranza degli interpreti considera, per vero, necessaria una interpretazione estensiva e adeguatrice della disposizione in esame, che la rende applicabile agli atti di categoria diversa che trasferiscano o costituiscano diritti reali (o sciolgano la comunione dei relativi diritti). Si ritiene, in sostanza, che, pur essendo la norma rivolta anzitutto agli atti formati o autenticati dal notaio, essa sia, comunque, applicabile a tutti gli atti amministrativi che producono i medesimi effetti, quali i decreti di trasferimento per espropriazione, ed anche agli atti giudiziari, come le sentenze costitutive ex art. 2932 c.c..
Se non si aderisse alla tesi estensiva – non si manca di rilevare, altresì, da autorevole dottrina – si porrebbe il più generale problema della configurabilità dei trasferimenti immobiliari nei verbali di conciliazione ex art. 185 c.p.c., aventi certamente natura negoziale, ancorché redatti con l’intervento del giudice a definizione di una controversia pendente (in tal senso, cfr. Cass., 26/02/2014, n. 4564; Cass., 28/06/2007, n. 14911).
3.4.14. Alla tesi dominante ha, peraltro, aderito la giurisprudenza più recente di questa Corte, secondo la quale il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 c.c., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle menzioni catastali di cui della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce un “error in iudicando” censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza.
Gli effetti di tale errore, pertanto, si esauriscono all’interno del processo e non producono alcuna conseguenza sul piano della idoneità della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari (Cass., 25/06/2020, n. 12654). In una successiva pronuncia, questa Corte ha affrontato, poi, anche la questione relativa alla portata dell’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis.
La decisione – per vero ribadisce che nel giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare relativo ad un fabbricato già esistente, la conformità catastale oggettiva di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce una condizione dell’azione e deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice, che non può accogliere la domanda ove la presenza delle menzioni catastali difetti al momento della decisione. Si afferma, peraltro, che il giudice non è, viceversa, tenuto a verificare la ricorrenza della c.d. conformità catastale soggettiva, consistente nella coincidenza del promittente venditore con l’intestatario catastale del bene, in quanto essa non costituisce una condizione dell’azione e la sua mancanza non impedisce l’emissione di una sentenza costitutiva di trasferimento del fabbricato ex art. 2932 c.c. (Cass., 29/09/2020, n. 20526).
3.4.15. Deve ritenersi, pertanto, che la disposizione succitata non sia applicabile esclusivamente agli atti compiuti con il ministero del notaio, ma si attagli invece a tutti i trasferimenti immobiliari che, oltre che in forma giudiziale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., ben possono essere effettuati anche in un verbale di conciliazione giudiziale o in un verbale di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta.
D’altro canto, si osserva da parte di attenta dottrina, della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, ultimo periodo, il legislatore ha certamente detto meno di quanto volesse, usando il riferimento al notaio come indicativo dell’accertamento che deve essere compiuto in ogni caso di redazione dell’atto da parte del un pubblico ufficiale. Se, invero, avesse voluto imporre l’intervento del solo notaio, il legislatore avrebbe dovuto chiarire che introduceva una norma in deroga all’art. 1350 c.c., sia pure limitatamente alle unità immobiliari urbane, mentre nulla ha disposto sul punto, dovendo pertanto ritenersi ancora pienamente lecite, e valide, semplici scritture private, che riportino trasferimenti o costituzioni di diritti reali, o scioglimento delle relative comunioni. Secondo i sostenitori di tale tesi, un’opinione contraria renderebbe, d’altro canto, la norma intrinsecamente incoerente, visto che, da una parte, legittima la possibilità di realizzare atti dispositivi anche con scritture private e, dall’altra, impone la redazione di tali atti da parte del notaio.
A ciò viene aggiunta la considerazione che la violazione della disposizione sulla conformità soggettiva – come dianzi detto – non è assistita, come per la violazione di quelle conformità oggettiva, dalla sanzione della nullità, sicché, se non vi è nullità, e nessuna altra conseguenza è prevista, diviene difficile sostenere che, in forza di tale norma, solo il notaio possa compiere gli atti in esame.
3.5. Dando, conclusivamente, risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, queste Sezioni Unite affermano i seguenti principi di diritto:
“sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento;
il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis;
non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
- Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, accolto. La sentenza impugnata va, di conseguenza, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti. 5. Nessuna statuizione va emessa sulle spese del presente giudizio, trattandosi di ricorso congiunto.