Corte di Cassazione, VI Sezione Penale, sentenza 23 settembre 2021, n. 35262
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.
- In ordine al reato di maltrattamenti di cui al capo 2), osserva la Corte, non emerge con chiarezza dalla decisione impugnata la ricostruzione dei contorni della vicenda storico-fattuale sulla cui base è stata affermata la penale responsabilità dell’imputato.
Pur avendo positivamente vagliato le dichiarazioni della persona offesa S.A. in relazione al reato di lesioni personali aggravate di cui al capo 3), con la conseguente assoluzione dell’imputato per aver ritenuto compatibili le risultanze dei referti medici con le attendibili spiegazioni dalla predetta teste al riguardo fornite, la sentenza impugnata non ne ha preso in esame il contenuto in ordine alla configurabilità del connesso delitto di maltrattamenti, il cui concreto ambito di operatività, già ridimensionato per l’esclusione di una parte rilevante della condotta – ossia quella basata sul reato di lesioni personali contestato ai danni della medesima persona offesa nel capo 3) – poggia essenzialmente sulle non riscontrate dichiarazioni accusatorie del teste C.S. .
La Corte distrettuale, sul punto, ne ha richiamato il contenuto, là dove egli ha riferito, in particolare: a) di aver visto in numerose occasioni la persona offesa recarsi, piangente, nell’abitazione sua e della moglie – M.S. – con ecchimosi al volto e tracce di sangue dopo che il compagno l’aveva gravemente malmenata; b) che la stessa aveva dormito tante notti in una chiesa di via […]; c) che ebbe modo di vedere personalmente l’imputato picchiarla quando si trovava nella di lui abitazione.
Della piena affidabilità di tale testimone, tuttavia, la stessa sentenza impugnata sembra dubitare là dove, per un verso, pare ipotizzarne in maniera perplessa la non credibilità, per altro verso sembra addurre a sua conferma le deposizioni rese da altre testimoni (I.C.D. e G.C.N. ), che tuttavia si sono limitate a dichiarare, la prima, che la persona offesa le aveva più volte riferito di aver ricevuto degli schiaffi dall’imputato, la seconda, di aver visto in alcune occasioni l’imputato darle qualche schiaffo perché era ubriaca.
Nessun raffronto, inoltre, è stato operato fra il contenuto delle dichiarazioni del teste C.S. e quello emergente dalla deposizione della persona offesa, avuto riguardo alle specifiche censure dalla difesa mosse in sede di gravame, ove si era posto in rilievo il fatto che in udienza dibattimentale la predetta teste aveva reso una deposizione contraria all’impostazione accusatoria, per un verso negando di essere stata picchiata dal compagno e di aver ricevuto insulti, per altro verso limitandosi a fare riferimento solo a reciproci dispetti e litigi di coppia, senza accennare ad una condizione di timore e di inferiorità psicologica verso l’imputato.
Infine, della teste A. – la cui attendibilità la difesa ha contestato sulla base di obiezioni specificamente mosse in sede di gravame, e dalla Corte territoriale non puntualmente esaminate – sono state richiamate dichiarazioni accusatorie che non sembrano trovare analoghi elementi di riscontro nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa, nè in quelle provenienti dalle altre testimoni che hanno avuto modo di osservare direttamente il comportamento dell’imputato nei confronti della convivente, ovvero di conoscerne indirettamente le caratteristiche sulla base delle confidenze da costei ricevute.
Giova richiamare, in relazione ai profili critici or ora evidenziati, l’insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 6126 del 09/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 275033) secondo cui, ai fini della configurabilità del reato abituale di maltrattamenti in famiglia, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima.
Deve pertanto escludersi, conclude la Corte, che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile (Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794, che in motivazione ha precisato che fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona).
Il delitto de quo, in altri termini, postula il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest’ultima, nei cui confronti viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa ed umiliante la stessa convivenza familiare.
- Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello in dispositivo indicata per un nuovo giudizio che, nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, dovrà eliminare i rilevati vizi della motivazione, uniformandosi ai principi da questa Suprema Corte stabiliti.