Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza 27 giugno 2024, n. 25516
PRINCIPIO DI DIRITTO
Se per un verso l’aggravante della relazione affettiva di cui all’art. 612 bis, comma 2, c.p. non presuppone necessariamente una “stabile condivisione della vita comune”, per altro verso la nozione di “relazione affettiva” deve ritenersi indicativa di un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella persona offesa aspettative di protezione (Sez. 3, n. 11920 del 9/01/2018, B., Rv. 272383 – 01) e che, dunque, non abbia carattere di occasionalità o di fugace estemporaneità.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione.
- Muovendo dal primo motivo di ricorso, con cui la difesa ribadisce l’eccezione di incompetenza per territorio già formulata in sede di merito, deve ritenersi che le relative argomentazioni siano manifestamente infondate. Giova premettere che il delitto di atti persecutori è reato di evento e non di mera condotta.
Dunque, esso si caratterizza per la produzione di un evento “di danno”, consistente nell’alterazione delle abitudini di vita della persona offesa ovvero nell’arrecare in capo ad essa un perdurante e grave stato di ansia o di paura; oppure, alternativamente (così Sez. 5, n. 29872 del 19/05/2011, L., Rv. 250399 – 01), nella produzione di un evento “di pericolo”, costituito da un fondato timore in capo alla vittima per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona ad essa legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015, G., Rv. 262517 – 01; Sez. 3, n. 23485 del 7/03/2014, U., Rv. 260083 – 01).
Esso, inoltre, si configura come un reato abituale che ha bisogno, per perfezionarsi, di una pluralità di azioni che costituiscono condotta unitaria in quanto causalmente orientate verso la realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice (cfr. Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, P., Rv. 275381 – 01; Sez. 5, n. 54920 del 8/06/2016, G., Rv. 269081 – 01) e che si consuma non nel momento iniziale di realizzazione delle condotte, ma nel momento e nel luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’art. 612-bis cod. pen. (Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, S., Rv. 279178 – 01; Sez. 5, n. 3042 del 9/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278149 – 01; Sez. 5, n. 51718 del 5/11/2014, T., Rv. 262636 – 01).
Non può, pertanto, condividersi la tesi difensiva secondo cui la competenza si sarebbe dovuta radicare nel territorio in cui si erano verificati i singoli comportamenti dell’agente, suscettibili di essere ricondotti a una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento, ovvero in quello in cui vi era stata la programmazione della progressione comportamentale da parte dell’imputato.
Nel caso di specie, dunque, il luogo di consumazione del delitto contestato è stato correttamente individuato dai Giudici di merito nel territorio Venezia, nel cui circondario la persona offesa viveva all’epoca dei fatti e nell’ambito del quale, pertanto, si era ingenerato il grave stato di ansia che l’aveva successivamente costretta a modificare le proprie abitudini di vita. Ne consegue, dunque, l’inammissibilità del primo motivo di doglianza.
- Manifestamente infondate sono, altresì, le censure articolate con il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa deduce l’insussistenza dell’elemento oggettivo del delitto contestato. Secondo il ricorrente, nella prima fase del rapporto con la persona offesa, collocabile tra il 25 agosto 2020 e il 22 settembre 2020, esso sarebbe stato improntato a confidenzialità e reciproca intimità; mentre nella fase successiva, tra il 22 settembre 2020 e il 23 novembre 2020, la condotta contestata si sarebbe concretizzata nella creazione di profili falsi su social network e su siti di incontri gay, utilizzando il nome di B.B. e sostituendosi a lui, sicché sarebbero mancati i contatti (personali, telefonici, tramite social network) tra i due.
Osserva, nondimeno, il Collegio che secondo la giurisprudenza di legittimità il delitto di atti persecutori può essere integrato attraverso qualunque comportamento di molestia o minaccia, purché reiterato, che abbia in concreto determinato in capo alla persona offesa un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona ad essa legata da relazione affettiva o, ancora, l’alterazione delle abitudini di vita della persona offesa.
Nell’ampia casistica giurisprudenziale, inoltre, si è ritenuto che possa integrare la condotta di atti persecutori anche il reiterato invio alla persona offesa di sms con messaggi amorosi, ingiuriosi e minatori, veicolati anche a mezzo di plurime telefonate, nonché la divulgazione di filmati che la ritraggono in atteggiamenti intimi (Sez. 5, n. 13800 del 9/11/2018, dep. 2019, A., Rv. 276625 – 01; Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010, Distefano, Rv. 248285 – 01), come anche la condotta di chi reiteratamente pubblichi, sui social network, fotografie o messaggi aventi contenuto denigratorio della persona offesa o comunque con riferimenti alla sua sfera sentimentale e sessuale, in violazione del diritto alla riservatezza (Sez. 5, n. 26049 del 1/03/2019, P., Rv. 276131 – 01). Ne consegue, pertanto, la manifesta infondatezza anche delle censure svolte con il secondo motivo di impugnazione.
- Fondate sono, invece, le censure svolte con il terzo motivo di ricorso con riferimento alla sussistenza dell’aggravante della relazione affettiva prevista dal secondo comma.
4.1. L’aggravante prevista dal secondo comma dell’ art. 612-bis cod. pen., introdotto dall’art. 7, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (recante Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, legge 23 aprile 2009, n. 38, è stata modificata dall’art. 1, comma 3, lett. a), d.l. legge 14 agosto 2013, n. 93 (recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119, che ha stabilito, per quanto qui di interesse, che l’aggravante sussiste anche nel caso di persona che sia attualmente legata da relazione affettiva con la persona offesa, laddove, nel testo previgente, si faceva riferimento al fatto commesso da chi “è stato” legato alla vittima.
Tale modifica legislativa ha dato corso, nel nostro ordinamento, a quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e aperta alla firma l’I 1 maggio 2011, ratificata dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, che rappresenta il primo strumento “giuridicamente vincolante” volto a creare un quadro normativo diretto a prevenire il diffondersi di ogni forma di violenza contro le donne, in particolare di quella domestica. Infatti, la Convenzione ha previsto una circostanza aggravante proprio nel caso in cui l’agente sia legato alla vittima da una “relazione affettiva”.
Quest’ultima locuzione si rinviene frequentemente, nella giurisprudenza di legittimità, in tema di maltrattamenti in famiglia, quale elemento indicativo della convivenza connotata da stabilità e condivisione di un percorso comune di vita, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà e assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione (ex plurimis Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv. 283120 – 01).
Al contrario, la “relazione affettiva” richiamata in materia di atti persecutori assume una differenza valenza, secondo quanto è dato evincere dalla assimilazione di tale situazione, nell’ambito dell’aggravante del secondo comma, ai casi in cui gli atti persecutori siano commessi ai danni del coniuge anche separato o divorziato, a indicare la volontà legislativa di un inasprimento delle pena non soltanto, appunto, nelle situazioni personali in cui quali il rapporto tra autore e vittima è connotato da stabilità, convivenza, condivisione di scelte di vita (come nel caso del coniuge), ma anche nel caso in cui, dopo la separazione e il divorzio, la convivenza sia venuto meno, sino a ricomprendere i casi in cui il legame sia solo affettivo, ma comunque espressivo di un reciproco rapporto di fiducia e protezione, tale da suscitare nella vittima aspettative di tutela nei confronti dell’autore delle condotte persecutorie.
Dunque, se, per un verso, l’aggravante in parola non presuppone necessariamente una “stabile condivisione della vita comune”, per altro verso la nozione di “relazione affettiva” deve ritenersi indicativa di un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella persona offesa aspettative di protezione (Sez. 3, n. 11920 del 9/01/2018, B., Rv. 272383 – 01) e che, dunque, non abbia carattere di occasionalità o di fugace estemporaneità.
Un legame di tal fatta, invero, giustifica, sul piano politico criminale, un più rigoroso trattamento sanzionatorio per le condotte che strumentalizzino tale rapporto fiduciario, le quali, dunque, si avvantaggiano della condizione di minorata difesa della persona offesa e, al contempo, esprimono una maggiore riprovevolezza soggettiva e un più intenso vulnus della sfera personale della vittima, aggredita da un soggetto nel quale essa poteva legittimamente riporre aspettative di protezione (cfr. Sez. 5, n. 21641 del 2/03/2023, C., Rv. 284696 – 01).
Una ricostruzione, questa, la cui fondatezza trova conferma, sul piano sistematico, nell’orientamento giurisprudenziale che, in materia di violenza sessuale, configura la circostanza aggravante della “relazione affettiva” di cui all’art. 609-ter, primo comma, n. 5-quater, cod. pen., indipendentemente dalla convivenza con la vittima, quando lo sfruttamento del rapporto di fiducia con la persona offesa e l’accesso violento o abusivo nella sfera più intima di quest’ultima facilitino all’agente la commissione del delitto (così Sez. 3, n. 42424 del 6/02/2018, L., Rv. 274518 – 01).
4.2. Tanto premesso, giova osservare che, nel caso di specie, con l’atto di appello la difesa aveva dedotto che l’imputato e la persona offesa avessero avuto, nel periodo di riferimento, un unico incontro, secondo quanto affermato dallo stesso B.B. in occasione del suo esame dibattimentale (v. a pagina 8 del verbale stenotipico dell’udienza 14/12/2022); di tal che non avrebbe potuto ipotizzarsi l’esistenza di alcuna “relazione”, la quale presuppone una qualche durata del rapporto, che nella specie avrebbe avuto un carattere “occasionale e fugace”.
A fronte di tale specifica deduzione, invero, la sentenza impugnata non ha offerto una motivazione adeguata, limitandosi ad affermare che il legame si fosse protratto “dal 25 agosto a metà settembre 2020” e che, nel corso di esso, i due soggetti avessero avuto occasione di aprirsi reciprocamente alla sfera intima e personale, dando vita a “un rapporto fondato su di un aspetto inerente la sfera dei sentimenti e la strutturazione degli affetti e delle emozioni”.
Nell’articolare tali puntualizzazioni, tuttavia, la Corte territoriale non ha indicato gli specifici elementi fattuali idonei a superare la prospettazione difensiva secondo cui, nell’arco temporale indicato, i due si fossero incontrati solo una volta e, dunque, a dimostrare che il loro rapporto non avesse avuto carattere “occasionale e fugace”, come invece dedotto dalla difesa.
In altri termini, la motivazione si è sviluppata secondo cadenze del tutto assertive, essendosi affermato, da un lato, che la relazione aveva avuto una apprezzabile durata temporale, ma senza dimostrare tale circostanza; e, dall’altro lato, che il rapporto tra i due aveva genericamente riguardato la sfera dei sentimenti circostanza, questa, che non pare sufficiente a integrare la nozione di “relazione affettiva”, in difetto del requisito di una non occasionalità del rapporto, a partire dal quale possa svilupparsi una relazione fondata sulla fiducia in grado di ingenerare quelle “aspettative di protezione” che costituiscono, come detto, la giustificazione della previsione di una circostanza aggravante e, correlativamente, di un più rigoroso trattamento sanzionatorio.
4.3. Manifestamente infondata è, invece, la tesi difensiva, articolata sempre con il terzo motivo, in ordine all’insussistenza dell’aggravante relativa all’utilizzo di strumenti informatici o telematici, dal momento che l’uso di tali strumenti sarebbe avvenuto in relazione a comunicazioni dirette non a B.B. ma a persone diverse e in quanto la creazione di falsi profili su siti di incontri gay riconducibili alla persona offesa non sarebbe stata in stretta correlazione con l’attività persecutoria in danno di B.B.
In proposito, deve, infatti, osservarsi che le sentenze di merito hanno ben spiegato come la complessiva azione persecutoria ai danni della persona offesa fosse stata realizzata proprio attraverso la attivazione di numerosi account in siti di incontri nei quali venivano riportati l’indirizzo di casa e del posto di lavoro di B.B. e venivano inserite sue immagini anche intime, con la contestuale rappresentazione di una sua disponibilità verso rapporti sessuali occasionali, nonché attraverso l’invio di e-mail all’azienda per la quale B.B. lavorava e ad altri soggetti a lui legati da ragioni lavorative, di foto che lo ritraevano nudo o nell’atto di praticare autoerotismo e attraverso l’invio ad amici di link dei profili abusivamente aperti a suo nome presso i siti d’incontri.
Azioni, quelle appena riassunte, che i Giudici di merito hanno motivatamente inquadrato nella complessiva condotta dell’imputato volta a umiliare socialmente la persona offesa, svelando aspetti intimi della sua personalità e finanche offrendo una falsa rappresentazione della sua incondizionata disponibilità ad avere rapporti occasionali presso l’abitazione o il luogo di lavoro.
- Venendo alle doglianze formulate con il quarto motivo e riguardanti il delitto contestato al capo B), va premesso che l’art. 612-fer cod. pen., introdotto dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, rubricato “diffusione di immagini e video sessualmente espliciti”, punisce, al primo comma, il fatto di colui il quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.
Inoltre, il secondo comma stabilisce che la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. Secondo quanto affermato in giurisprudenza, il delitto in esame è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale (Sez. 5, n. 14927 del 22/02/2023, in motivazione).
La prassi giurisprudenziale ha fatto propria un’interpretazione ampia della fattispecie, volta a estendere la tutela di una delle sfere più intime della persona.
E così, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612-ter cod. pen., si è ritenuto che la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti possa avere ad oggetto immagini o video che ritraggano atti sessuali ovvero organi genitali ovvero anche altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualità; e che integri il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento (Sez. 5, n. 14927 del 22/02/2023, Rv. 284576 – 01).
5.1. Nel caso di specie, la difesa assume che le foto e i video di B.B., inseriti dall’imputato su siti web di incontri, sarebbero stati disponibili liberamente nei siti in cui la persona offesa li aveva “pubblicati”, sicché il successivo utilizzo del materiale visivo da parte dell’imputato non potrebbe dirsi “indebito”.
Tuttavia, come condivisibilmente evidenziato dalla sentenza impugnata, proprio le caratteristiche dei siti web di incontri su cui le immagini erano state inviate dimostra l’infondatezza della tesi difensiva. Infatti, essendo l’accesso a tali siti e piattaforme limitato alle sole persone che vi si erano iscritte attraverso un’apposita procedura di registrazione, le fotografie (e le informazioni veicolate unitamente ad esse) non erano liberamente acquisibili e trasmissibili, essendo tale facoltà circoscritta, in virtù del consenso prestato dalla persona ritratta al momento dell’apertura dell’account, soltanto agli appartenenti alla comunità virtuale cui erano state originariamente inviate e unicamente all’interno di essa. Ne consegue, pertanto, l’infondatezza delle censure svolte con il quarto motivo.
- Infondate devono, altresì, ritenersi le argomentazioni difensive svolte con il quinto motivo quanto al delitto di sostituzione di persona.
6.1. In argomento, va premesso che l’art. 494 cod. pen. punisce con la pena della reclusione fino ad un anno, salvo che il fatto non costituisca un altro delitto contro la fede pubblica, colui il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici. La norma incriminatrice, invero, prevede una fattispecie con condotta tipica a forma libera, potendo l’induzione in errore avvenire in qualunque modo (Sez. 5, n. 11406 del 12/06/2014, dep. 2015, Caradonna, Rv. 263057 – 01).
Quanto all’elemento soggettivo, si è al cospetto di un delitto a dolo specifico, in cui il vantaggio o il danno perseguiti non devono avere necessariamente carattere economico (Sez. 5, n. 41012 del 26/05/2014, Cimadomo, Rv. 260493 – 01).
La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha recentemente affermato che integra il delitto de quo la condotta di colui il quale crei e utilizzi un account e una casella di posta elettronica ovvero si iscriva a un sito e.commerce servendosi dei dati anagrafici di altra persona, inconsapevole di ciò, con il fine di far ricadere su quest’ultima l’inadempimento delle obbligazioni conseguenti all’avvenuto acquisto di beni mediante la partecipazione ad aste in rete o altri strumenti contrattuali (Sez. 5, n. 42572 del 22/06/2018, D., Rv. 274008 – 01) o anche soltanto al fine di far ricadere su di essa l’attribuzione delle connessioni eseguite in rete (Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768 – 02).
E, ancora, che integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di chi inserisca nel sito di una chat line a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un nickname di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla medesima, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale (Sez. 5, n. 18826 del 28/11/2012, dep. 2013, Celotti, Rv. 255086 – 01).
Coerentemente con questa impostazione, inoltre, si è ritenuto che configuri il delitto in esame anche la condotta di colui il quale crea e/o utilizza un profilo su social network, servendosi abusivamente dell’immagine di un diverso soggetto, inconsapevole di tale operazione, in quanto essa è idonea alla rappresentazione di un’identità digitale non corrispondente al soggetto che ne fa uso (Sez. 5, n. 22049 del 6/07/2020, Yague, Rv. 279358 – 01; Sez. 5, n. 25774 del 23/04/2014, Sarlo, Rv. 259303 – 01; Sez. 5, n. 42572 del 22/06/2018, D., Rv. 274008 – 01; Sez. 5, n. 33862 del 8/06/2018, R., in motivazione).
6.2. Nel caso in esame, le sentenze di merito hanno posto in luce come l’attivazione degli account fosse avvenuta con modalità tali consentirne la pacifica riconducibilità alla persona offesa e come, in particolare, la presenza di fotografie che la ritraevano fosse evidentemente funzionale proprio a rappresentarne l’utilizzazione da parte di costei.
Ciò che, pertanto, priva di qualunque rilievo la circostanza, posta in luce dalle difesa, che tali account fossero associati, all’atto della creazione del profilo, a un nominativo di fantasia, stante la pacifica riferibilità degli stessi alla persona di B.B. che gli utenti della rete erano indotti a ritenere titolare dei medesimi proprio grazie alle immagini che lo riguardavano.
- Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente all’aggravante della relazione affettiva, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
7.1. Ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento sarà necessario omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.