La sentenza solleva il problema dell’applicazione retroattiva della Legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili al fine di garantire i diritti alla pensione di reversibilità a una coppia omosessuale la cui unione non era formalmente riconosciuta in Italia al momento del decesso di uno dei partner.
In particolare viene esaminato se il mancato riconoscimento del trattamento pensionistico costituisca discriminazione rispetto alle coppie eterosessuali, in considerazione della protezione dei diritti fondamentali garantita dalla Costituzione e dalla normativa UE.
Viene scrutinato altresì il tema afferente alla legittimità del riconoscimento della paternità per un minore nato tramite maternità surrogata, contraria all’ordine pubblico italiano, ma riconosciuta legalmente negli USA, questione che solleva l’esigenza di continuità e tutela dei diritti del bambino riconosciuto successivamente come figlio di entrambi i partner, con particolare riguardo al diritto alla pensione di reversibilità e alla protezione dei suoi interessi superiori.
La scelta di deferire la decisione alle Sezioni Unite sottolinea la necessità di una chiarificazione definitiva sulle ridette questioni, stabilendo un quadro giurisprudenziale uniforme che possa fungere da riferimento per casi futuri.
Corte di Cassazione civile, sezione IV, ordinanza interlocutoria 21 agosto 2024, n. 22992
QUESTIONI RIMESSE
Vanno rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni:
Se è possibile riconoscere la pensione di reversibilità al partner superstite di una coppia omosessuale, considerando che il decesso è avvenuto prima dell’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016, che disciplina le unioni civili.
Se il diritto alla pensione indiretta possa essere esteso ai figli nati tramite maternità surrogata riconosciuti attraverso la trascrizione nei registri dello stato civile italiano di sentenze straniere diretta ad accertare lo status filiationis.
Se il rifiuto di erogare la pensione di reversibilità possa costituire discriminazione in base al quadro normativo vigente e alla sua compatibilità con il diritto dell’Unione Europea in materia di diritti fondamentali.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Svolgimento del processo
- – Gli antecedenti di fatto, da cui trae origine il presente giudizio, non sono controversi tra le parti.
I signori A.A. e C.C., legati da stabile convivenza, hanno avuto un figlio negli Stati Uniti, nato con fecondazione assistita il (Omissis) e registrato in Italia, il (Omissis), come figlio del solo A.A.
Il 2 novembre 2013, la coppia ha contratto matrimonio a New York e l’atto è stato trascritto in Italia come unione civile il 4 ottobre 2016, dopo il decesso del signor C.C., risalente all’8 ottobre 2015.
L’8 maggio 2017, sono stati trascritti in Italia la sentenza statunitense del 5 luglio 2016, che accerta la paternità anche in capo a C.C., e l’atto di nascita statunitense, che, aggiornato, menziona anche tale riconoscimento di paternità.
- – Il signor A.A., nella qualità indicata in epigrafe, ha formulato domanda di accertamento della discriminazione, con riferimento al rifiuto di erogare la pensione indiretta, spettante per la morte del signor C.C., e ha chiesto per sé e per il minore B.B. l’attribuzione del trattamento previdenziale in esame.
Il ricorso, proposto ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e dell’art. 28 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, è stato respinto dal Tribunale di Milano, con ordinanza n. 9153 del 4 aprile 2019.
2.1. – Il Tribunale ha escluso che il diniego della prestazione previdenziale integri discriminazione, in quanto è stato in concreto giustificato sulla base della valutazione dell’insussistenza dei requisiti prescritti dalla Legge.
2.2. – Il Tribunale ha poi dichiarato inammissibile la domanda di accertamento del diritto di ottenere la pensione indiretta, in quanto irritualmente proposta con il procedimento speciale antidiscriminatorio.
- – La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 803 del 2020, depositata il 9 febbraio 2021, ha accolto il gravame interposto dal signor A.A. e, in riforma dell’ordinanza impugnata, ha accertato il diritto dell’appellante e del minore B.B., in quanto eredi del signor C.C., di conseguire la pensione indiretta.
La Corte territoriale ha condannato l’INPS a corrispondere i ratei della prestazione, maggiorati degl’interessi, a decorrere dal primo novembre 2015, e ha compensato le spese del doppio grado.
I giudici del gravame hanno esaminato in via pregiudiziale, reputandola ammissibile, la domanda di accertamento del diritto di beneficiare della pensione indiretta, “in quanto suscettibile di assicurare la definizione del giudizio”, anche senza addentrarsi nell’esame della paventata discriminazione (pagina 8 della sentenza d’appello).
3.1. – Per quel che concerne la posizione del partner superstite della coppia, la Corte territoriale prende le mosse da una “interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata” (pagina 9), che conduce a riconoscere, in favore dei componenti della coppia omosessuale, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato alla coppia coniugata.
Anche il “trattamento pensionistico di reversibilità” dev’essere ricondotto ai “diritti/doveri di assistenza e solidarietà, tutelati costituzionalmente, propri delle relazioni affettive di coppia tra cui quella omosessuale stabile” (pagina 11) e costituisce espressione, a sua volta, del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni soggettive.
Nel caso di specie, la stabilità della relazione affettiva è attestata dal matrimonio contratto negli Stati Uniti d’America il 2 novembre 2013 e debitamente trascritto in Italia come unione civile, il 4 ottobre 2016, non appena la Legge italiana l’ha consentito.
Poste tali premesse, la Corte di merito evidenzia che “Tanto basta per il riconoscimento del diritto rivendicato” (pagina 13).
3.2. – Alle medesime conclusioni i giudici d’appello giungono per il figlio minore, “che certamente fa parte della relazione stabile affettiva tutelata costituzionalmente” e, per “dato di fatto incontestato”, è figlio anche del defunto C.C. (pagina 13).
Tale status è consacrato da una sentenza statunitense del luglio 2016, annotata l’8 maggio 2017 sull’atto di nascita del registro di stato civile italiano.
Il preminente interesse del minore impone che lo status decorra dalla nascita, senza soluzione di continuità. Una diversa interpretazione della disciplina di Legge “influirebbe negativamente sulla definizione dell’identità personale del minore, in considerazione delle conseguenze pregiudizievoli concernenti, tra le altre, la possibilità di acquisire i diritti ereditari” (pagina 15 della pronuncia impugnata).
3.3. – Ogni altra questione rimane “assorbita” e le spese del doppio grado possono essere compensate, in considerazione della “particolarità e novità della questione trattata” (la già richiamata pagina 15 della sentenza).
- – L’INPS ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano.
- – Il signor A.A., anche quale genitore responsabile del minore B.B., resiste con controricorso e propone, altresì, ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
- – Il ricorso è stato fissato per la trattazione alla pubblica udienza del 12 marzo 2024.
- – La parte ricorrente incidentale, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria illustrativa.
- – All’udienza il Pubblico Ministero ha esposto le sue conclusioni motivate e i difensori delle parti hanno illustrato gli argomenti svolti negli scritti difensivi.
Motivi della decisione
- – Il ricorso principale dell’INPS si articola in due motivi.
1.1. – Con la prima censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’Istituto prospetta la violazione dell’art. 13 del regio Decreto-Legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 luglio 1939, n. 1272, dell’art. 1, comma 20, della Legge 20 maggio 2016, n. 76, e dell’art. 11 delle preleggi.
Avrebbe errato la Corte territoriale nell’attribuire “al partner superstite di una coppia affettiva stabile, tra cittadini italiani dello stesso genere, il diritto alla pensione di reversibilità nonostante il decesso del partner assicurato sia avvenuto prima dell’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016” (pagina 2 del ricorso per cassazione). Sarebbe soltanto la Legge a definire tempi, modi e limiti del riconoscimento dei diritti dell’unione omosessuale e la Legge sarebbe inequivocabile nel sancire solo per il futuro l’operatività delle previsioni introdotte nel 2016.
Al fine di salvaguardare “la certezza dei rapporti giuridici, certezza che in materia di status familiari riveste un’importanza particolarmente seria, poiché vengono coinvolti interessi di terzi meritevoli a loro volta di tutela” (pagine 11 e 12 del ricorso per cassazione), la Legge n. 76 del 2016 non dispiegherebbe effetti “nei confronti di unioni precedenti alla sua entrata in vigore” (pagina 11). Né la retroattività potrebbe essere predicata alla stregua di una interpretazione adeguatrice, in antitesi con il chiaro dettato della Legge.
1.2. – Con il secondo mezzo, egualmente proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 13 del citato r.D.L. n. 636 del 1939.
La sentenza impugnata meriterebbe censura anche per avere riconosciuto il diritto alla pensione indiretta al “minore nato da maternità surrogata” (pagina 3 del ricorso), ad onta della palese contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione della sentenza statunitense del riconoscimento della paternità del “genitore intenzionale”.
L’Istituto rammenta che, per giurisprudenza consolidata (Cass., S.U., 8 maggio 2019, n. 12193), non può essere dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziale straniero che inserisca il genitore d’intenzione nell’atto di stato civile di minore, quando il minore sia generato con la pratica della maternità surrogata, “gravemente lesiva della dignità della donna in generale e della gestante in particolare” (pagina 14 del ricorso per cassazione, che richiama la sentenza n. 272 del 2017, pronunciata dal giudice delle leggi).
Ad avviso del ricorrente, la tutela dell’interesse del minore al rispetto della propria identità, che si fonda anche sul “legame riscontrabile in concreto con il genitore intenzionale”, postula una “valutazione complessiva degli interessi coinvolti, anche in relazione alle possibili specificità dei singoli casi” (pagina 14 del ricorso). Tale valutazione sarebbe prerogativa della discrezionalità del legislatore, chiamato a bilanciare i molteplici interessi di rilievo costituzionale nell’ampia gamma delle soluzioni possibili.
La stessa Corte costituzionale avrebbe ribadito che spetta al legislatore, in via prioritaria, “la valutazione del bilanciamento tra gli interessi coinvolti” (pagina 16).
L’Istituto esclude, pertanto, che de iure condito il minore nato da maternità surrogata possa vantare “il requisito soggettivo necessario per accedere alla pensione di reversibilità indiretta” (la già citata pagina 16).
- – Il signor A.A. replica con controricorso e spiega, inoltre, ricorso incidentale.
2.1. – Le doglianze dell’INPS sarebbero inammissibili e, comunque, infondate.
2.1.1. – Quanto alla prima censura, non coglierebbe nel segno, in quanto la sentenza impugnata avrebbe rinvenuto nell’art. 2 Cost. il fondamento precipuo del diritto di fruire della pensione indiretta. Il precetto costituzionale tutelerebbe diritti “che il giudice comune può garantire senza incidente di incostituzionalità” (pagina 9 del controricorso, punto 25).
La Legge n. 76 del 2016 varrebbe soltanto a confermare “la rilevanza che pure il legislatore ha ascritto alle unioni omoaffettive quali unioni che devono essere equiparate al matrimonio sotto il profilo della solidarietà intrafamiliare e degli istituti previdenziali conferenti” (pagina 10 del controricorso, punto 28). Peraltro, la domanda potrebbe essere accolta sulla scorta “degli argomenti a matrice antidiscriminatoria, in particolare fondati sulle fonti unionali” (pagina 11 del controricorso, punto 31).
2.1.2. – Anche il secondo motivo del ricorso principale sarebbe inammissibile o, comunque, manifestamente infondato.
L’accertamento dello status filiationis acquisito all’estero produrrebbe effetti ex tunc, sin dalla nascita, e non potrebbe essere disatteso dal giudice italiano, a fronte di una trascrizione che rappresenterebbe “titolo formale di stato nei registri dello stato civile nazionale” (pagina 12 del controricorso, punto 36).
L’INPS non potrebbe vantare alcuna legittimazione a contestare lo status filiationis accertato all’estero.
2.2. – Il ricorso incidentale s’incentra su tre motivi, che si possono così compendiare.
2.2.1. – Con il primo mezzo, il ricorrente incidentale si duole, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’omessa pronuncia sulle domande di accertamento della discriminazione, con la conseguente nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La Corte di merito non avrebbe reso alcuna pronuncia sulla domanda di accertamento del carattere discriminatorio tanto del rifiuto opposto dall’INPS quanto della normativa nazionale e sulle correlate domande di risarcimento dei danni non patrimoniali e di cessazione della condotta discriminatoria.
La decisione d’appello sarebbe erronea, nella parte in cui avrebbe considerato assorbite tali domande, pur provviste di una loro autonomia, “con autonoma causa petendi e petitum” (pagina 17 del controricorso, punto 61). Sarebbe evidente l’interesse a coltivare l’azione intrapresa, per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati dal contegno illecito.
2.2.2. – Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.), il ricorrente incidentale deduce la violazione degli artt. 91, primo comma, e 92, secondo comma, cod. proc. civ. e, in particolare, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio, a dispetto della totale soccombenza dell’INPS.
La particolarità della questione non rappresenterebbe giustificazione idonea e la novità sarebbe stata soltanto “genericamente addotta” (pagina 20 del controricorso, punto 81).
2.2.3. – Con la terza critica, il ricorrente incidentale denuncia, infine, omessa, apparente e comunque contraddittoria motivazione e conseguente nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ.
Sarebbe insussistente o comunque apparente una motivazione incardinata, quanto alla compensazione delle spese, sulla mera particolarità della questione e sull’asserita novità della controversia, peraltro contraddetta dal richiamo a una pluralità di precedenti conformi.
Il ricorrente incidentale chiede, infine, di esperire rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea in ordine all’interpretazione della disciplina italiana sulla compensazione delle spese di lite “in caso di soccombenza totale in un giudizio che costituisce tutela di diritti soggettivi derivati dal diritto dell’Unione” (pagina 3 del controricorso). Il diritto a un processo giusto ed equo e ad un rimedio effettivo sarebbe pregiudicato da una prassi incline a compensare le spese di lite, a danno della parte che ha già patito discriminazione.
- – Il ricorso principale dell’INPS, le argomentazioni illustrate nel controricorso e il primo motivo del ricorso incidentale interpellano questa Corte su questioni di primaria importanza, contraddistinte da profili di spiccata peculiarità.
- – Il primo motivo del ricorso principale verte sull’erogazione della pensione indiretta al partner superstite di una coppia omosessuale, in rapporto alle innovazioni recate dalla Legge n. 76 del 2016.
4.1. – Come il Pubblico Ministero e l’Istituto hanno evidenziato nel corso della discussione, questa Corte ha già affermato che la pensione di reversibilità non può essere riconosciuta, nella vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016, a favore di superstite già legato da stabile convivenza con persona dello stesso sesso poi deceduta (Cass., sez. lav., 14 settembre 2021, n. 24694). In tal senso milita il generale principio d’irretroattività, enunciato dall’art. 11 delle preleggi.
La pronuncia richiamata ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Milano, che aveva riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità, in forza dell’applicazione diretta dell’art. 2 Cost. e delle affermazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, concernenti la tutela delle unioni tra persone dello stesso come formazioni sociali.
A fondamento della decisione, questa Corte ha rilevato che: “La normativa del 2016 è, tuttavia, inapplicabile al caso di specie atteso che la vicenda si è interamente svolta ed è cessata in epoca anteriore all’entrata in vigore della Legge, essendo il partner dell’odierno controricorrente deceduto in data anteriore, così come anche la richiesta del trattamento pensionistico è stata presentata prima dell’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016. In altre parole, la convivenza del controricorrente con il relativo partner si è svolta interamente come convivenza di fatto ed è cessata prima di poter essere eventualmente ufficializzata ai sensi della – posteriore – Legge n. 76 del 2016” (punto 7 delle Ragioni della decisione).
Questa Corte ha soggiunto che tale disciplina non suscita dubbi di legittimità costituzionale che attingano il grado della non manifesta infondatezza, in quanto “le esigenze solidaristiche devono pur sempre essere calibrate in sede legislativa e non già nel giudizio di legittimità costituzionale” (punto 12 delle Ragioni della decisione, che richiama la sentenza n. 461 del 2000, in tema di mancato riconoscimento della pensione di reversibilità ai conviventi more uxorio).
Peraltro, il sospetto d’incostituzionalità della mancata applicazione retroattiva della disciplina della Legge n. 76 del 2016 sarebbe privo d’incidenza concreta sulla definizione della controversia, in quanto “affinché si realizzi (con ogni relativa conseguenza quanto a diritti e doveri) un’unione civile, è indispensabile requisito di Legge quello d’una formale e consapevole dichiarazione di volontà di entrambe le parti non surrogabile da una convivenza di fatto, pur se da lungo tempo stabile. Né vale sostenere che nella vicenda in oggetto la formalizzazione dell’unione civile non ha avuto luogo sol perché, prima della Legge n. 76/2016, è sopravvenuto il decesso del partner, che presumibilmente si sarebbe avvalso della citata Legge – con tutti gli effetti giuridici ivi previsti – optando anch’egli per la scelta di ufficializzare la propria stabile convivenza: trattandosi non già di provare un fatto (l’ipotetica volontà del partner deceduto), bensì di verificare l’esistenza del necessario negozio solenne prescritto dalla Legge, l’uso delle presunzioni è di per sé inidoneo” (punto 17 delle Ragioni della decisione).
4.2. – A questi principi ha dato continuità anche Cass., sez. I, 14 marzo 2022, n. 8241, affermando che “il grado di tutela somministrabile dal giudice ordinario non può consistere in una applicazione retroattiva della stessa Legge del 2016 (ipotesi ritenuta impraticabile dalla stessa ricorrente), in una vicenda svoltasi interamente ed esauritasi (con il decesso del partner) prima dell’entrata in vigore della stessa, con l’effetto che la relazione personale è configurabile come convivenza di fatto; né – come vorrebbe la ricorrente – può consistere in una operazione ermeneutica orientata a rimuovere gli effetti di quella che è denunciata come discriminazione, mediante il riconoscimento del trattamento previdenziale mancato, ai fini del ripristino in forma specifica della parità di trattamento, in thesi, violata. Entrambe le opzioni non sono percorribili.
Come rilevato da questa Corte anche successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016, la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso negli ordinamenti facenti parte del Consiglio d’Europa e rimessa al libero apprezzamento degli Stati membri, purché garantisca a tali unioni uno standard di tutela adeguato (cfr. Cass., sez. I, n. 11696 del 2018).
E tuttavia, da ciò non è possibile inferire la necessità di riconoscere in via giurisprudenziale alle coppie omoaffettive, indipendentemente dall’intervento del legislatore, tutti i diritti anche patrimoniali e previdenziali riconosciuti alle coppie coniugate solo dal 2016, con l’effetto di annullare di fatto quel margine di discrezionalità che è, invece, riservato al legislatore anche nella scelta dei tempi e delle modalità con cui realizzare le istanze di tutela provenienti dalla società, trovandosi il legislatore nella migliore posizione per valutare i confliggenti interessi (pubblici e privati) che vengono di volta in volta implicati (nel senso che le unioni omosessuali hanno il diritto di ottenere “nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla Legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”, vd. Corte cost. n. 138 del 2010).
In altri termini, l’impossibilità per la coppia omoaffettiva di beneficiare del trattamento previdenziale, nel contesto normativo antecedente alla Legge n. 76 del 2016, trova giustificazione nella impossibilità di contrarre il vincolo matrimoniale, trattandosi di una scelta del legislatore che è espressione del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati”.
Secondo l’ordinanza citata, nella modulazione temporale della disciplina di Legge non è dato scorgere profili d’illegittimità costituzionale e d’incompatibilità con la normativa antidiscriminatoria del diritto dell’Unione europea: “La mancata inclusione della persona unita ad un’altra dello stesso sesso, in una relazione deformalizzata, fra i soggetti beneficiari del trattamento di reversibilità, rinviene allora una non irragionevole giustificazione nella circostanza che tale pensione si ricollega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico formalizzato che qui per definizione manca, con la conseguenza che deve ribadirsi la diversità delle situazioni poste a raffronto e, quindi, la non illegittimità di una differenziata disciplina delle stesse. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 41, della Legge n. 335 del 1995, in tema di riconoscimento della pensione ai superstiti per i dipendenti pubblici. Si rivela analogamente non necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per la corretta interpretazione del diritto dell’Unione (artt. 47 e 48 Carta dei diritti fondamentali, 10,19 e 157 TFUE e Direttive 2000/78/CE e 2006/54/CE), la quale s’impone invece con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi”.
4.3. – La vicenda sottoposta all’odierno scrutinio si raccorda alle disposizioni sopravvenute, in virtù della trascrizione – come unione civile – del matrimonio contratto negli Stati Uniti d’America.
Agli argomenti dell’INPS, che nella regolarizzazione postuma identifica il tentativo di conferire una surrettizia efficacia retroattiva alla Legge n. 76 del 2016, in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, fanno riscontro i rilievi illustrati nel ricorso incidentale.
In questa prospettiva, la parte privata invita a ponderare, in primo luogo, la peculiarità del caso di specie, che diverge da quelli già vagliati nei precedenti del 2021 e del 2022, in virtù del nesso che intercorre con la disciplina della Legge n. 76 del 2016. Nesso che non sarebbe né estrinseco né artificioso.
Ad ogni modo, la vicenda non sarebbe comparabile a quella indicata come termine di raffronto, in quanto le coppie eterosessuali conviventi avrebbero potuto optare per il matrimonio: nessuna opzione alternativa, per contro, sarebbe stata accordata alle coppie omosessuali (pagina 10 della memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza).
- – Anche il secondo motivo del ricorso principale sottende tematiche d’inedita complessità, inerenti al riconoscimento della tutela previdenziale a favore dei figli nati da maternità surrogata.
5.1. – L’Istituto pone in risalto il dato, d’innegabile rilevanza, della contrarietà di tale pratica all’ordine pubblico, nei termini enunciati dal giudice delle Leggi (sentenza n. 272 del 2017) e dalle sezioni unite di questa Corte (da ultimo, Cass., S.U., 30 dicembre 2022, n. 38162).
5.2. – A questi argomenti, diffusamente esposti anche nel corso della discussione, la parte ricorrente incidentale contrappone l’intangibilità dell’accertamento dello status filiationis, che non può esser posto in discussione incidenter tantum, e la necessità di valutare l’interesse preminente del minore, anche alla luce della funzione solidaristica immanente ai trattamenti di reversibilità, affermata a più riprese dalla giurisprudenza costituzionale (fra le molte, sentenza n. 174 del 2016).
Il fulcro delle argomentazioni del ricorso incidentale, ribadite nella memoria illustrativa, risiede nella particolarità della posizione del minore, meritevole di una speciale tutela per le condizioni di più accentuata vulnerabilità in cui viene a trovarsi in questo frangente.
Pertanto, il vincolo di solidarietà che si è instaurato in virtù della comunione di vita e di affetti con il “genitore intenzionale” non potrebbe che perdurare anche dopo la sua morte, nella forza cogente che l’ordinamento gli conferisce.
Né sarebbe consentito al legislatore sacrificare in maniera sproporzionata i fondamentali doveri di solidarietà, che presiedono al riconoscimento della pensione in favore dei superstiti, in nome dello stigma della pratica che ha condotto alla nascita del minore.
- – Indissolubilmente connesso con tali questioni e con la corretta esegesi della disciplina vigente è il tema della discriminazione, approfondito nel primo motivo del ricorso incidentale.
6.1. – A tale riguardo, la Corte costituzionale ha chiarito di recente che: “Con la predisposizione del giudizio antidiscriminatorio di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 150 del 2011, il legislatore… ha inteso fornire protezione al fondamentale diritto a non subire discriminazioni per tutte le volte che, in ragione di condotte, comportamenti o atti posti in essere da privati o dalla pubblica amministrazione, tale diritto venga leso. Il presupposto su cui si fonda il giudizio antidiscriminatorio – e il correlato potere del giudice ordinario di disporre, nei vari modi possibili, la cessazione della discriminazione – è dunque che la condotta discriminatoria sia direttamente imputabile al privato o, ed è il profilo che qui rileva, alla pubblica amministrazione.
Nel caso in cui, invece, la discriminazione compiuta dalla pubblica amministrazione trovi origine nella Legge, in quanto è quest’ultima a imporre, senza alternative, quella specifica condotta, allora l’attività discriminatoria è ascrivibile alla pubblica amministrazione soltanto in via mediata, in quanto alla radice delle scelte amministrative che si è accertato essere discriminatorie sta, appunto, la Legge….
In evenienze del genere, il giudice ordinario non può allora ordinare la modifica di norme regolamentari che siano riproduttive di norme legislative, in quanto ordinerebbe alla pubblica amministrazione di adottare atti regolamentari confliggenti con la Legge non rimossa. L’esercizio di un siffatto potere è, dunque, subordinato all’accoglimento da parte di questa Corte della questione di legittimità costituzionale sulla norma legislativa che il giudice ritenga essere causa della natura discriminatoria dell’atto regolamentare” (sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.2. del Considerato in diritto).
6.2. – I termini non mutano in maniera significativa allorché “il giudice ordinario ritenga che le norme legislative e regolamentari siano in contrasto (anche) con norme del diritto dell’Unione europea dotate di efficacia diretta, cui è tenuto a dare immediata applicazione. La primazia del diritto UE – costantemente riconosciuta da questa Corte quale “architrave su cui poggia la comunità di corti nazionali” (sentenza n. 67 del 2022) – richiede che il giudice nazionale, quando ritenga la normativa interna incompatibile con normativa dell’Unione europea a efficacia diretta, provveda immediatamente all’applicazione di quest’ultima, senza che la sua sfera di efficacia possa essere intaccata dalla prima (sentenza n. 170 del 1984).
Ciò, ovviamente, sempre che non ritenga di sollevare questione di legittimità costituzionale, nel caso in cui ne ricorrano i presupposti che questa Corte ha precisato a partire dalla sentenza n. 269 del 2017 (v. poi, tra le molte, sentenze n. 149, n. 67 e n. 54 del 2022, n. 182 e n. 49 del 2021, n. 63 e n. 20 del 2019; ordinanza n. 182 del 2020).
In particolare, nell’ambito del giudizio ex art. 28 del D.Lgs. n. 150 del 2011, la primauté è garantita dal giudice ordinario innanzitutto allorché è chiamato ad accertare l’esistenza dell’asserita discriminazione. È in questo momento del giudizio che egli, ove accerti che la condotta per cui è causa trova fondamento in atti normativi incompatibili con normativa dell’Unione europea a efficacia diretta, dà immediata applicazione a quest’ultima e ordina la cessazione della discriminazione…
La non applicazione per contrasto con il diritto dell’Unione europea a efficacia diretta – necessaria per l’attribuzione immediata del bene della vita negato sulla base dell’accertata discriminazione – non rimuove, infatti, la Legge dall’ordinamento con immediata efficacia erga omnes, ma impedisce soltanto “che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale” (sentenza n. 170 del 1984).
L’ordine di rimozione della norma regolamentare – che proietta i suoi effetti, per espressa scelta del legislatore compiuta con l’art. 28 del D.Lgs. n. 150 del 2011, oltre il caso che ha originato il giudizio antidiscriminatorio – richiede, allora, che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della Legge, la quale, ancorché non applicata nel caso concreto, è ancora vigente, efficace e, sia pure in ipotesi erroneamente, suscettibile di applicazione da parte della pubblica amministrazione o anche di altri giudici che ne valutino diversamente la compatibilità con il diritto dell’Unione europea.
Sono, dunque, tanto l’ordinato funzionamento del sistema delle fonti interne – e, nello specifico, i rapporti tra Legge e regolamento regionali, anche in relazione al diritto dell’Unione europea – quanto l’esigenza che i piani di rimozione della discriminazione siano efficaci a richiedere che il giudice ordinario, se correttamente intenda ordinare la rimozione di una norma regolamentare al fine di evitare il riprodursi della discriminazione de futuro, sollevi questione di legittimità costituzionale sulla norma legislativa sostanzialmente riprodotta dall’atto regolamentare, anche dopo che si sia accertata l’incompatibilità di dette norme interne con norme di diritto dell’Unione europea aventi efficacia diretta” (sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto, richiamato dalla difesa dell’INPS durante la discussione).
6.3. – La ricostruzione della portata precettiva della normativa applicabile e la disamina della valenza discriminatoria delle condotte rispettose delle prescrizioni di Legge non possono essere valutate in maniera atomistica, quasi fossero aspetti l’uno avulso dall’altro.
- – Le questioni dibattute, suscettibili di riproporsi in una pluralità di fattispecie, investono l’interpretazione del diritto vigente in ordine a punti di capitale importanza, che toccano la disciplina intertemporale dettata dalla Legge n. 76 del 2016, i corollari delle pronunce rese da questa Corte a sezioni unite sulla tutela dei figli nati da maternità surrogata e la stessa latitudine della tutela antidiscriminatoria, nelle sue interrelazioni con l’attuazione della Legge.
L’oggetto del contendere s’interseca, pertanto, con molteplici interessi presidiati dalla Carta costituzionale e dalle fonti internazionali e involge un aspetto non ancora compiutamente scandagliato dalla giurisprudenza di questa Corte: le implicazioni previdenziali dei diritti dei singoli, tutelati nel contesto delle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost.
In tale ambito, emerge nitida l’esigenza di comporre a sistema il dettato normativo e le indicazioni assiologiche della Costituzione e delle altre Carte internazionali, al fine di garantire una tutela sistemica e non frazionata degl’interessi coinvolti e di orientare il comportamento dei consociati e delle amministrazioni, vincolate all’applicazione della Legge.
Nel settore della previdenza pubblica, che chiama in causa imperiose esigenze di certezza e di prevedibilità e impone di salvaguardare anche la sostenibilità del sistema complessivamente inteso, si apprezza in maniera pregnante la necessità di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della Legge, individuando il punto di equilibrio prescelto dal legislatore.
- – In virtù dei rilievi svolti, si rimette la controversia alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., sulle questioni di massima di particolare importanza, implicate dalla trattazione del ricorso principale dell’INPS e del primo motivo di ricorso incidentale.
- – Si deve disporre, infine, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente ordinanza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
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