Cassazione civile, Sez. lav., ordinanza 28 ottobre 2022, n. 32018
‹In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre “ipso facto” ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del “quantum” risarcitorio››.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1) Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dal controricorrente, il quale sostiene che, con la presentazione di detto ricorso, sarebbe stato violato lo Statuto Comunale nella parte ove prevede, all’art. 27, lett. h), che la resistenza in giudizio debba essere proposta dal responsabile del servizio competente in materia. Infatti, il medesimo Statuto attribuisce la rappresentanza in giudizio al Sindaco e l’intervento del citato Responsabile del servizio costituisce solo un momento interno del procedimento amministrativo. 2) Con il primo motivo il Comune di Vizzini lamenta la violazione degli artt. 1218, 2087 e 2697 c.c. perché la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare l’esistenza di una condotta riconducibile al mobbing, anche considerata l’assenza di prova di un intento persecutorio. La doglianza è infondata. Ai fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno Corte di Cassazione – copia non ufficiale 4 di 7 persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione (Cass., Sez. L, n. 10992 del 9 giugno 2020). Per l’esattezza, secondo la S.C. (Cass., Sez. L, n. 17698 del 6 agosto 2014), affinché sia integrata la fattispecie del mobbing lavorativo, occorre che ricorrano: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. Nella specie, la corte territoriale, con una motivata valutazione di merito non censurabile nella presente sede, ha accertato la presenza di tutti gli esposti requisiti. In particolare, ha verificato, a pag. 7 della motivazione, che il Comune di Vizzini “aveva adottato una serie di condotte sostanzialmente punitive, mascherandole quali atti organizzativi che però nella realtà dei fatti non avevano alcuna giustificazione e apparivano evidentemente irrazionali” e che non appariva plausibile alcuna giustificazione della condotta del Comune di Vizzini “se non una volontà di emarginare il lavoratore”. Pertanto, per la Corte d’appello di Catania, il “complessivo comportamento datoriale di per sé costituisce una fattispecie vessatoria nei confronti del lavoratore”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 di 7 Ne consegue che vi è stato un accertamento dell’intento persecutorio del datore di lavoro, il quale aveva unificato una serie di condotte ostili reiterate, talune integranti un demansionamento ed altre no, tenute sul luogo di lavoro e protrattesi, con frequenti cambiamenti di ufficio, per un congruo periodo di tempo. L’azione del Comune di Vizzini è stata ritenuta del tutto in contrasto con il principio di buna fede ed espressione di una volontà punitiva, che mirava ad isolare il lavoratore ed a lasciarlo inattivo. 3) Con il secondo motivo parte ricorrente censura la violazione degli artt. 1218, 1223 e 1225 c.c., nonché 40 e 41 c.p. perché la corte territoriale non avrebbe considerato che, come emergeva dalla CTU disposta in appello, il controricorrente versava in uno stato premorboso in ragione del quale la condotta di esso Comune avrebbe generato solo un aggravamento ulteriore della patologia già in atto. Inoltre, ad avviso del Comune di Vizzini si sarebbe dovuto tenere conto del procedimento penale che aveva visto coinvolto Francesco Li Rosi. La doglianza è infondata. Infatti, la Corte d’appello di Catania ha esaminato le risultanze di tutte le CTU disposte in corso di causa (una in primo grado e due in appello) e ha motivato in maniera estremamente approfondita le conclusioni cui è giunta. Quanto all’incidenza del procedimento penale, al quale il controricorrente era stato sottoposto, sulla salute di quest’ultimo, il giudice del merito, in accordo con l’ultima CTU (collegiale), ha affermato come le relative vicende non abbiano inciso sul danno Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 di 7 attuale, ma solo sulla personalità premorbosa del soggetto rendendolo più predisposto a sviluppare una patologia. In ordine, poi, alla riduzione dell’ammontare del danno biologico prospettato dall’ultima CTU, seguita, per il resto, dalla corte territoriale, si osserva che la Corte d’appello di Catania ha correttamente applicato il principio di diritto espresso da Cass., Sez. 3, n. 15991 del 21 luglio 2011 (poi confermato da Cass., Sez. 3, n. 30521 del 22 novembre 2019) e così massimato: ‹‹In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre “ipso facto” ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del “quantum” risarcitorio››. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 7 di 7 Nella specie, come accertato in sede di merito, lo stato premorboso di Francesco Li Rosi non ha avuto incidenza causale sulla patologia invalidante oggetto del contendere e la condotta del Comune di Vizzini è stata la causa necessaria del danno biologico, con la conseguenza che l’entità del risarcimento non può essere ridotta in ragione della semplice sussistenza della condizione di particolare fragilità del controricorrente. 4) In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, per dichiarare l’obbligo del ricorrente di corrispondere un importo pari a quello del contributo unificato versato, se dovuto.