TAR Sicilia – Catania, III Sezione, sentenza 17 giugno 2024, n. 2243
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’amministrazione ha piena disponibilità dei termini procedimentali e rientra nella sua discrezionalità amministrativa disporre dello spatium deliberandi prima di addivenire alla conclusione di un procedimento nel rispetto dei relativi termini finali.
Non può sostenersi, conseguentemente, che sia viziata da eccesso di poter per travisamento, contraddittorietà, illogicità manifesta e manifesta ingiustizia, una condotta compendiantesi nel “disporre” dei termini previsti dalla legge per la conclusione del procedimento per cui è causa.
Se ne deve escludere, difatti, la riconducibilità ad un comportamento gravemente negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere il privato, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione, dovendosi al contrario evidenziare che l’eventuale accelerazione di un iter procedimentale avente ad oggetto l’applicazione di una normativa incostituzionale – finalizzata a prevenire gli effetti caducatori di una sentenza del Giudice delle Leggi – costituirebbe, essa sì, una condotta poco ancorata al parametro della ragionevolezza che permea l’azione amministrativa.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il Collegio esamina, preliminarmente, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente della Regione Sicilia con riguardo al ricorso introduttivo, la quale è fondata e deve essere accolta.
13.1. Le censure proposte dalla parte ricorrente con il primo atto di gravame concernono esclusivamente taluni atti adottati dal Comune di Catania. Avverso la Circolare dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente n. 5 del 20.06.2023, avente contenuto esplicativo e interpretativo della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023, non sono state proposte specifiche censure; né le esposte, presunte, illegittimità degli atti comunali contestati sono state correlate a specifici vizi della suddetta Circolare regionale, il cui contenuto non è stato reso oggetto di sindacato giurisdizionale.
Deve rammentarsi, in subordine, che la circolare interpretativa è in linea di principio un atto interno finalizzato ad indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi, privo di effetti esterni, cosicché, non essendo considerabile quale atto presupposto del provvedimento applicativo ritenuto lesivo, non sussiste l’onere della sua impugnazione. Anche ove se ne promuovesse l’impugnazione insieme all’atto che ne costituisce applicazione, chi ricorre in giudizio è tenuto – in conformità allo schema della doppia impugnativa elaborato in relazione agli atti regolamentari, applicabile analogicamente alle circolari – a dedurre un vizio dell’atto “a valle” che è tratto dalla circolare “a monte”, di cui l’atto provvedimentale mutuerebbe la presunta illegittimità. Con il ricorso in epigrafe parte ricorrente non evidenzia tali profili di illegittimità derivata, sterilizzando, conseguentemente, la propria impugnativa della Circolare regionale n. 5 del 2023, la quale, anche in considerazione del principio di specificità dei motivi di cui all’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a., sfugge allo scrutinio di questo organo giudicante.
Da ciò discende l’estromissione dell’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente della Regione Sicilia, atteso che gli atti gravati con il ricorso introduttivo, come specificatamente censurati dalla parte ricorrente, non sono imputabili allo stesso.
- In via ulteriormente preliminare, deve procedersi all’esame dell’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo sollevata dal Comune di Catania, la quale è infondata.
14.1. La nota prot. 325446 dell’1.08.2023, oggetto di impugnazione, non costituisce – ad avviso del Collegio – una mera comunicazione di natura endoprocedimentale, ma, al contrario, ha natura di provvedimento immediatamente impugnabile, in quanto suscettibile di produrre effetti nella sfera del destinatario.
Tale evidenza emerge dalla complessiva condotta tenuta dall’Ente comunale nell’ambito del procedimento per cui è causa e, in particolare, dalla sequenza di tali atti: (i) la nota pubblicata dalla Direzione urbanistica del Comune di Catania il 13.07.2023, con la quale, facendo seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023 e alla successiva Circolare n. 5 del 20.06.2023 dell’Assessorato regionale del Territorio e Ambiente, l’Ente comunale ha rilevato che “per tutte le istanze presentate e non concluse, la Direzione Urbanistica comunica che sarà notificata conclusione del procedimento”; (ii) la successiva (e ravvicinata) nota n. 325446 dell’1.08.2023, con la quale viene disposta l’archiviazione d’ufficio della pratica edilizia n. 6530/22SDP scaturente dall’istanza presentata dalla società ricorrente (prot. n. 486337 del 12.12.2022), «in quanto non sussistono più le condizioni normative necessarie per determinare “legittimamente” la chiusura del procedimento in precedenza avviato».
Risulta chiaro, dal tenore contenutistico di tale ultimo atto, che – dando seguito a quanto già anticipato con la nota pubblicata il 13.07.2023 – il Comune etneo abbia chiuso il proprio procedimento amministrativo, evidenziando l’insussistenza delle “condizioni normative necessarie” per addivenire a un exitus differente da quello di reiezione della domanda di permesso di costruire presentata dalla ricorrente.
Alcun rilievo sostanziale può attribuirsi, come invece sostenuto dall’Amministrazione resistente, alla frase di chiusura dell’atto, ove “Si informa che qualsivoglia comunicazione, dovrà essere indirizzata alla scrivente Direzione Urbanistica e Gestione del territorio…”, non potendosi trarre il convincimento che dalla stessa discenda l’attribuzione del valore di preavviso di rigetto all’atto avversato.
Da un lato, infatti, la formulazione dell’atto è tale da escludere, per il suo contenuto e le espressioni letterali ivi utilizzate, che si sia al cospetto di una mera comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di rilascio del permesso di costruire, non potendosi ricavare dal testo del provvedimento che il riferimento a “qualsivoglia comunicazione” da indirizzarsi all’Ufficio procedente corrisponda alle “osservazioni” che gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto, eventualmente corredate da documenti, come previsto dall’art. 13 della L.R. n. 7 del 2019.
Dall’altro lato, come viene affermato dalla costante giurisprudenza amministrativa, il provvedimento di diniego dell’istanza di rilascio del permesso di costruire non è sottoposto all’onere di preventiva comunicazione dei motivi ostativi, in quanto tale provvedimento è un atto sostanzialmente vincolato e, pertanto, ai fini della sua adozione l’Amministrazione deve semplicemente vagliare la conformità dell’intervento edilizio alla normativa primaria e secondaria, nonché agli strumenti urbanistici (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 10/07/2023, n. 6715; Consiglio di Stato sez. IV, 12/04/2021, n. 2965; Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 2019, n. 2305).
Alcun dubbio può residuare, peraltro, in ordine al fatto che l’Amministrazione comunale abbia inteso determinarsi in senso “vincolato” e nel convincimento di non disporre di alcun margine discrezionale, ritenuto che – in considerazione delle specificità della fattispecie – l’archiviazione dell’istanza è stata disposta a seguito di una sopravvenienza (la dichiarazione di incostituzionalità della disciplina normativa costituente il presupposto per l’eventuale accoglimento della stessa, da attuarsi secondo quanto stabilito dalla Circolare interpretativa della Regione Sicilia n. 5/2023) la quale, come chiaramente esposto dall’Ente, esclude ogni differente esito procedimentale.
Anche ove si ritenesse, in via di astratta ipotesi, che la nota prot. 325446 dell’1.08.2023 non abbia natura di atto di diniego espresso, di per sé impugnabile, la stessa sarebbe in ogni caso da qualificarsi come atto amministrativo implicito, che per costante indirizzo giurisprudenziale costituisce manifestazione della volontà della volontà di un’amministrazione allorquando quest’ultima “pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà” (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 20 gennaio 2020, n. 3; Cons. Stato, Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 6732; id., 27 novembre 2014, n. 5887; Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 589; id., 19 febbraio 2018, n. 1034; Sez. IV, 24 aprile 2018, n. 2456; da ultimo T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 15/03/2023, n. 658).
La predetta nota ha invero “sostanziato” la volontà definitiva dell’Amministrazione comunale procedente, risultando altresì presenti i requisiti che devono sussistere affinché un atto o un comportamento amministrativo acquistino valore provvedimentale implicito.
E infatti, nello specifico: (i) esiste “a monte” una manifestazione espressa di volontà dell’Amministrazione (v. nota del 13.07.2023, ove si afferma che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 90/2023 e della successiva Circolare n. 5 del 2023, la norma del “Piano Casa” non può essere più invocata e che, pertanto, per tutte le istanze presentate e non concluse sarà notificata la conclusione del procedimento); (ii) tale atto “a monte” promana dall’organo amministrativo competente ed è stato adottato nell’esercizio delle sue attribuzioni (ossia la Direzione urbanistica e di gestione del territorio del Comune di Catania, presso cui è stato incardinato il procedimento amministrativo avviato dall’istanza di permesso di costruire per cui è causa); (iii) la nota “a valle”, a sua volta, rientra nella sfera di competenza del medesimo soggetto amministrativo che ha emanato l’atto presupposto (la medesima Direzione urbanistica e di gestione del territorio del Comune di Catania) ; (iv) per tale tipologia di atto non è prevista dalla legge una specifica forma a pena di nullità; (v) dalla manifestazione di volontà a monte (v. ancora nota del 13.07.2023) si desume in modo inequivoco la volontà dell’Amministrazione anche con riferimento al provvedimento implicito a valle, sussistendo un chiaro collegamento tra l’atto implicito e l’atto presupponente, costituendo il primo l’unica conseguenza possibile dell’atto a monte espresso.
La nota prot. 325446 dell’1.08.2023, pertanto, costituisce un atto consequenziale in senso stretto, dal tenore provvedimentale, autonomamente impugnabile.
- Nel merito, il ricorso introduttivo è da ritenersi infondato per quanto di seguito considerato e specificato.
15.1. Il primo motivo di gravame non è meritevole di accoglimento, in quanto deve escludersi che a seguito della presentazione dell’istanza di rilascio del permesso di costruire da parte della odierna ricorrente si sia formato il silenzio-assenso dell’Amministrazione comunale che resiste in giudizio.
La difesa dell’Ente comunale rileva che l’inapplicabilità del silenzio-assenso promani dal fatto che ai sensi dell’art. 20, comma 8, del D.P.R. 380/2001, come recepito dinamicamente in Sicilia dalla L.R. 16/2016, “Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. (…)”.
Da tale disposizione discenderebbe che – in presenza di vincoli di natura idrogeologica, ambientale, paesaggistica o culturale – a fronte del decorso del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo non possa intendersi formato il silenzio-assenso da parte dell’amministrazione procedente.
Dalla lettura dell’istanza presentata dalla società ricorrente in data 12.12.2022 può appurarsi che l’area oggetto di intervento risulti assoggettata a vincolo paesaggistico, nonché a vincolo aeroportuale [cfr. punti 15) e 24) della dichiarazione asseverata resa dal progettista, rispettivamente a pag. 13 e 15 dell’istanza]. Più specificatamente, viene indicato che l’area è assoggettata al procedimento ordinario di autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, viene allegata all’istanza la relazione paesaggistica e la documentazione necessaria ai fini della predetta autorizzazione.
Tuttavia, come emerge dalla documentazione versata in atti, la quale è stata, in parte, allegata all’istanza di permesso di costruire e, in parte, integrata a seguito della richiesta di integrazione documentale dell’Ente, parte ricorrente ha prodotto l’autorizzazione paesaggistica resa necessaria dalla presenza di un “vincolo paesaggistico” nell’area interessata dall’istanza. Da ciò consegue che la presenza di tale vincolo non abbia costituito un reale ostacolo alla formazione del silenzio-assenso.
A determinare, allora, la mancata formazione del silenzio-assenso sono i seguenti, differenti, rilievi.
La Circolare dell’Assessorato regionale del Territorio e dell’Ambiente n. 5 del 2023 ha previsto, in sede interpretativa della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023, che tale pronuncia fosse insuscettibile di produrre effetti solo ove il titolo abilitativo edilizio fosse stato rilasciato, in modo espresso o per silentium, in un momento antecedente alla sua pubblicazione, avvenuta in data 10.05.2023.
La società odierna ricorrente ha presentato la propria istanza per il rilascio del permesso di costruire in data 12.12.2022 (prot. 483637). Prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla sua presentazione, entro il quale – ai sensi dell’art. 20, comma 3, del D.P.R. 380 del 2001 – “…il responsabile del procedimento cura l’istruttoria e formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione (…)”, l’Amministrazione comunale ha adottato, in data 8.02.2023, una richiesta motivata di integrazione documentale. Tale richiesta, secondo quanto previsto dal comma 5 dello stesso art. 20 del D.P.R. 380 del 2001, ha determinato l’interruzione dei termini del procedimento, i quali hanno iniziato a decorrere ab initio dalla data di ricezione della documentazione integrativa, avvenuta il 15.03.2023, in coerenza con quanto previsto dall’ultimo capoverso dell’art. 20, comma 5 del D.P.R. 380/2001. A nulla rileva, peraltro, che la richiesta di integrazione documentale da parte dell’Amministrazione comunale sia stata inviata oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, come invece prescrive proprio l’art. 20, comma 5, in quanto trattasi di un termine endoprocedimentale di natura ordinatoria, dalla cui violazione non discende l’illegittimità della conseguente sequenza procedimentale.
Non coglie nel segno quanto dedotto dalla parte ricorrente, secondo cui la richiesta di integrazione documentale avrebbe determinato la sospensione, piuttosto che l’interruzione, dei termini procedimentali. Inequivoco risulta essere, infatti, il dato letterale della disposizione, la quale espressamente stabilisce che il termine viene “interrotto” e che, a seguito dell’integrazione documentale, “ricomincia a decorrere”, a differenza di quanto previsto dal precedente comma 4 dello stesso art. 20, ove, a fronte della richiesta del responsabile del procedimento di apportare modifiche di modesta entità al progetto originario, si ha invece la sola sospensione dei termini.
Da tali superiori premesse deve farsi discendere, quindi, che: (i) i termini procedimentali abbiano cominciato a decorrere nuovamente dal 15.03.2023, data dell’avvenuta integrazione documentale; (ii) il responsabile del procedimento disponesse da quel preciso momento del termine di sessanta giorni per adottare la propria proposta di provvedimento, trattandosi anche in tal caso di un termine endoprocedimentale; (iii) il successivo provvedimento finale avrebbe dovuto essere emesso entro il termine di trenta giorni dalla suddetta proposta, secondo quanto previsto dal comma 6 dell’art. 20 del D.P.R. 380 del 2001.
Conseguentemente, alcun silenzio-assenso si è formato – ai sensi dell’art. 20, comma 8, del D.P.R. 380 del 2001 – in data anteriore alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023, avvenuta, come già menzionato, il 10.05.2023. In coerenza con la summenzionata Circolare n. 5/2023, il procedimento per cui è causa risultava quindi ancora pendente, con conseguente inapplicabilità dell’art. 6 della L.R. n. 6 del 2010 a seguito della sua sopraggiunta dichiarazione di incostituzionalità.
15.2. Anche la seconda doglianza non coglie nel segno e deve essere disattesa.
La Deliberazione della Giunta municipale n. 132 del 2018, la quale disciplina il rilascio dei titoli edilizi “Smart Design Project” del Comune di Catania, costituisce un atto di indirizzo politico privo della forza di legge. Dalla sua violazione, pertanto, non può farsi discendere alcuna illegittimità dell’atto. Sebbene tale Deliberazione abbia previsto una procedura accelerata per il rilascio del titolo abilitativo, trova in ogni caso applicazione la disciplina legislativa prevista dalla L.R. 16/2016, che ha recepito dinamicamente il D.P.R. 380 del 2001, alla quale l’Amministrazione non può sottrarsi, atteso il proprio superiore rango di fonte normativa. Da ciò consegue che la mancata adozione del permesso di costruire entro il termine di 48 ore dalla protocollazione dell’istanza non possa rappresentare una “violazione e falsa applicazione di legge”, né integra un silenzio inadempimento, di cui difettano i necessari presupposti. L’omessa emanazione del provvedimento finale, invero, assume il valore di silenzio inadempimento ove sussista un obbligo giuridico di provvedere; tale obbligo giuridico, tuttavia, non può essere rinvenuto nella suddetta delibera della giunta comunale di Catania, la quale non può costituirne il presupposto. Alcun “diritto” al rilascio è sorto, quindi, in capo alla società ricorrente, così come alcun “obbligo” normativo di pronunciarsi entro tale suddetto termine viene posto in capo all’Amministrazione.
15.3. Appurato che non si sia formato alcun silenzio-assenso a seguito dell’istanza presentata dalla società ricorrente, deve escludersi che l’Amministrazione resistente avesse l’obbligo di provvedere sulla stessa sulla base di quanto previsto dalla L.R. 16/2016, come dedotto dal ricorrente con il terzo motivo di gravame.
Come evidenziato nella trattazione del presente ricorso introduttivo, alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023 il procedimento amministrativo per cui è causa risultava ancora “pendente”, ed è stato chiuso con la nota prot. 325446 dell’1.08.2023, il contenuto vincolato ha determinato la reiezione della domanda. Da ciò deve farsi discendere che alcun silenzio-inadempimento risulta ad oggi residuare in capo all’Ente che resiste in giudizio, con conseguente infondatezza anche di tale ultima censura.
15.4. Rilevata la legittimità dell’azione amministrativa del Comune etneo, deve conseguentemente rigettarsi la domanda risarcitoria presentata dalla parte ricorrente ai sensi dell’art. 30.c.p.a. con il ricorso introduttivo, di cui difettano i relativi presupposti. Al momento della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023 il procedimento amministrativo risultava infatti ancora “pendente”, non risultando spirati i termini procedimentali per la sua conclusione e non essendosi determinata la formazione di un silenzio-significativo. Ciò implica, come logica conseguenza, che con la nota prot. 325446 dell’1.08.2023 l’Amministrazione comunale si sia limitata, in applicazione degli effetti della pronuncia del Giudice costituzionale e nell’esercizio di un potere vincolato, a denegare il permesso di costruire per cui è causa, il quale non sarebbe stato altrimenti concedibile. L’assenza della condotta contra ius, quindi, rende inaccoglibile la suddetta pretesa risarcitoria, sia sotto il profilo del danno da ritardo, sia quale voce di danno di danno emergente scaturente dal presunto comportamento inadempiente dell’Ente.
- Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso introduttivo è pertanto da ritenersi infondato e deve essere respinto.
- Anche il ricorso per motivi aggiunti è infondato e deve essere respinto.
17.1. Il primo motivo è infondato.
Come ampiamente evidenziato nell’ambito della trattazione del primo motivo di ricorso, si esclude la formazione del silenzio-assenso – ai sensi dell’art. 20, comma 8, del D.P.R. 380 del 2001 – in data anteriore alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023, avvenuta in data 10.05.2023. In coerenza con la summenzionata Circolare n. 5/2023, il procedimento per cui è causa risultava quindi ancora pendente, con conseguente inapplicabilità dell’art. 6 della L.R. n. 6 del 2010 a seguito della sua sopraggiunta dichiarazione di incostituzionalità.
Inconferente è la censura con la quale parte ricorrente lamenta la presunta violazione del divieto di integrazione postuma della nota del Comune di Catania, Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio, prot. DRU 2198 del 12.2.2024, nella parte in cui evidenzierebbe la presunta tardività nella produzione della documentazione integrativa in cui sarebbe incorsa la società che ricorre in giudizio a seguito di specifica richiesta formulata dall’Ente.
Nel corpo della suddetta nota si legge, infatti, che le integrazioni presentate dall’odierna parte ricorrente “…pervenivano fuori tempo in data 15.03.2023 ma venivano comunque considerate per l’istruttoria, in ragione del principio del favor partecipationis…”. È di tutta evidenza, ad avviso del Collegio, che tale precisazione non costituisca una integrazione dell’apparato motivazionale della nota avversata con il ricorso introduttivo, atteso che: (i) dal tenore letterale dell’estratto sopra riportato si evince, chiaramente, che la tardiva produzione delle integrazioni richieste non sia stata ritenuta dall’Amministrazione procedente ostativa ai fini di un eventuale esito favorevole del procedimento per cui è causa, non costituendo, pertanto, motivo per addivenire all’archiviazione dello stesso; (ii) l’unica motivazione indicata nella nota prot. Protocollo nr. 325446 dell’1.08.2023, e confermata dalla successiva nota 2198/2024, è rappresentata dall’insussistenza delle “condizioni normative necessarie per determinare legittimamente la chiusura del procedimento” alla luce della sopraggiunta sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023, seguita dalla Circolare dell’ARTA n. 5 del 2023.
Da ciò discende che nessuna integrazione della motivazione originariamente riportata nell’atto gravato dal ricorso introduttivo sia rinvenibile nella successiva nota n. 325446 del 2023.
17.2. Priva di pregio è anche la seconda doglianza.
Come già rilevato dal Collegio, i termini procedimentali hanno cominciato a decorrere nuovamente dal 15.03.2023, data dell’avvenuta integrazione documentale da parte della società istante. A partire da tale data il responsabile del procedimento disponeva del termine di sessanta giorni per adottare la propria proposta di provvedimento, a cui avrebbe dovuto seguire il provvedimento finale (espresso o per silentium) entro il termine di trenta giorni dalla suddetta proposta, secondo quanto previsto dal comma 6 dell’art. 20 del D.P.R. 380 del 2001.
Per accogliere l’istanza di permesso di costruire presentata dalla società oggi ricorrente l’Amministrazione comunale, quindi, avrebbe dovuto concludere il procedimento in un momento antecedente alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2023, avvenuta in data 10.05.2023. Risultando tuttavia ampiamente ancora aperti i termini del procedimento in tale data, non si può asserire, come sostenuto da parte ricorrente, che l’Ente comunale abbia assunto una condotta ostruzionistica, rallentando l’iter di rilascio del titolo edilizio in violazione del principio di imparzialità, di efficienza e di trasparenza dell’azione amministrativa. L’amministrazione infatti ha piena disponibilità dei termini procedimentali e rientra nella sua discrezionalità amministrativa disporre dello spatium deliberandi prima di addivenire alla conclusione di un procedimento nel rispetto dei relativi termini finali.
Non può sostenersi, conseguentemente, che sia viziata da eccesso di poter per travisamento, contraddittorietà, illogicità manifesta e manifesta ingiustizia, come dedotto dalla società che ricorre in giudizio, una condotta, come quella del Comune di Catania, che abbia “disposto” dei termini previsti dalla legge per la conclusione del procedimento per cui è causa. A nulla rileva, ad avviso del Collegio, che nella nota impugnata con il secondo atto di gravame l’Ente abbia evidenziato che sarebbe stato “…lesivo del principio di precauzione e del rispetto del principio di legalità consentire il frettoloso completamento di un iter in deroga agli strumenti urbanistici ed alle norme edilizie vigenti per effetto di una legge non più operante” in quanto, nelle more della conclusione del procedimento, era stata diffusa dagli organi competenti la decisione assunta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 90 de 2023, poi pubblicata in data 10.05.2023.
Tale precisazione: (i) da un lato, non integra – come invece asserito da chi ricorre in giudizio – una forma di integrazione postuma del provvedimento avversato con il ricorso introduttivo, in quanto nulla aggiunge alla ragione del diniego ivi riportata; (ii) dall’altro, costituisce manifestazione piena della discrezionalità amministrativa nella disponibilità dei termini procedimentali, dovendosene escludere la riconducibilità ad un comportamento gravemente negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere il privato, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione, dovendosi al contrario evidenziare che l’eventuale accelerazione di un iter procedimentale avente ad oggetto l’applicazione di una normativa incostituzionale – finalizzata a prevenire gli effetti caducatori di una sentenza del Giudice delle Leggi – costituirebbe, essa sì, una condotta poco ancorata al parametro della ragionevolezza che permea l’azione amministrativa.
- Per tutto quanto sopra esposto e considerato i due ricorsi, in quanto entrambi infondati, devono quindi essere respinti.
- Alla luce di quanto previsto agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c.p.c., il Collegio ritiene di ravvisare, nelle peculiarità del giudizio, eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti costituite.