Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 16 ottobre 2024, n. 37953
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di furto di energia elettrica, può ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza, senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7), c.p., in quanto l’energia elettrica, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023, Rv. 285844; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, Rv. 285422).
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con la sentenza di cui in epigrafe il Tribunale di Catania, in composizione monocratica dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.A., imputato del delitto di cui agli artt. 624, 625, co. 1, n. 2) e n. 7), c.p., avente ad oggetto energia elettrica, di cui l’imputato, secondo la prospettazione accusatoria, si era impossessato, sottraendola alla società proprietaria ENEL Spa, alla cui rete aveva “collegato abusivamente, mediante allaccio diretto, l’impianto di via (Omissis), di cui aveva la disponibilità”, perché l’azione penale non può essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità della querela di parte, trattandosi di reato divenuto perseguibile a querela e non più d’ufficio.
- Avverso la suddetta sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso immediato per cassazione il pubblico ministero presso il Tribunale di Catania, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 516 e ss.” c.p.p., poiché, sebbene all’udienza del 4.7.2023 l’organo della pubblica accusa avesse proceduto alla modifica del capo d’imputazione, contestando il fatto come aggravato dalla circostanza della consumazione del furto su di un bene destinato a pubblico servizio o a pubblica utilita, ai sensi dell’art. 625, co. 1, n. 7), c.p., che rende tuttora procedibile d’ufficio il delitto di furto, ai sensi del vigente art. 624, terzo comma, c.p., come aggiunto dall’art. 2, lett. i), del D.Lgs. n. 150 del 2022, il giudice procedente aveva considerato tardiva la suddetta contestazione suppletiva.
Ciò in quanto, come osservato dal Tribunale, la contestazione suppletiva era intervenuta in un momento successivo al maturarsi dell’improcedibilità del reato per lo spirare del termine per la proposizione della querela, improcedibilità da rilevare ex officio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., sicché la contestazione suppletiva era inidonea a incidere su un effetto ormai acquisito al giudizio.
Tale epilogo decisorio, rileva il pubblico ministero ricorrente, non è condivisibile, in considerazione del potere del pubblico ministero, sancito dall’art. 517, c.p.p., di procedere alla contestazione suppletiva, senza alcuna preclusione o limite temporale, apparendo, pertanto, inconferente la scadenza del termine per la proposizione della querela, dal momento che, una volta legittimamente effettuata la contestazione della circostanza aggravante in questione, il reato era divenuto perseguibile d’ufficio.
Con requisitoria scritta del 4.5.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, nella persona della dott.ssa Sabrina Passafiume, chiede che il ricorso venga accolto. Con memoria pervenuta in data 7.5.2024, l’avv. Flavio Ragonese, difensore di fiducia dello A.A., chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile, rilevando come l’inutile decorso del termine per proporre querela non consente al pubblico ministero di procedere alla contestazione di una circostanza aggravante . che renda il reato perseguibile d’ufficio, come affermato da Cass., Sez. 5, n. 3741 del 22/1/2024.
- Il ricorso va accolto per le seguenti ragioni. Occorre premettere al riguardo che, sebbene il ricorso sia fondato solo sulla violazione degli artt. 129 e 517 c.p.p., questa Corte può, essendo giudice del fatto processuale, vagliare direttamente il capo di imputazione, onde considerare la questione, logicamente preliminare a quella sottesa all’impugnazione proposta, dell’avvenuta contestazione nell’originaria prospettazione accusatoria della circostanza aggravante della destinazione del bene sottratto a un pubblico servizio.
Tale profilo è prioritario in ordine logico rispetto al secondo, posto che in presenza di tale circostanza aggravante, il delitto di furto è tuttora procedibile d’ufficio, pur dopo la novella legislativa della cd. riforma Cartabia, in considerazione della nuova formulazione dell’art. 624, co. 3, c.p., come sostituito dall’art. 2, co. 1, lett. i), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, che, nel prevedere la regola generale della procedibilità a querela della persona offesa del delitto di furto, contempla tra le eccezioni, il caso in cui il furto sia commesso, su cose destinate a pubblico servizio, integrante una delle circostanze aggravanti espressamente previste dall’art. 625, co. 1, n. 7), c.p.
3.1. Ciò posto occorre affrontare il tema, invero decisivo, del corretto esercizio del potere di contestazione della circostanza aggravante di cui si discute, in un caso, come quello in esame in cui difetta un esplicito riferimento, nella formulazione dell’imputazione, alla destinazione del bene oggetto dell’azione predatoria (l’energia elettrica) a pubblico servizio. Orbene nella giurisprudenza di legittimità si registrano sul punto diverse opzioni interpretative.
Secondo un primo orientamento, infatti, in tema di furto di energia elettrica, può ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza, senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7), c.p., in quanto l’energia elettrica, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023, Rv. 285844; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, Rv. 285422).
In altri arresti, invece, si evidenzia come non possa considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui si discute qualora nell’imputazione la natura dell’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l’impiegodi formule equivalenti ovvero mediante l’indicazione della relativa norma.
Ciò in quanto la predetta circostanza aggravante ha natura valutativa, imponendo una verifica di ordine giuridico sulla natura della “res”, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, Rv. 285878; Sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, Rv. 285465; Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Rv. 281556).
La differenza tra le due posizioni sinteticamente richiamate si fonda, in altri termini, sulla possibilità di ritenere o meno la circostanza aggravante della destinazione del bene a un pubblico servizio di natura auto-evidente, situazione nella quale soltanto detta circostanza aggravante potrebbe senza dubbio alcuno considerarsi contestata in fatto, secondo l’insegnamento recato da Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436.
Orbene ritiene il Collegio che, proprio alla luce delle indicazioni provenienti dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite, debba essere riaffermato il principio della natura valutativa della circostanza aggravante della destinazione del bene a un pubblico servizio che peraltro, come si vedrà, non esclude la possibilità di ritenerla contestata in fatto, in presenza di determinati presupposti.
Come osservato dalle Sezioni Unite nella richiamata decisione “la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive.
In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato”. Diversamente avviene “con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative.
Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale.
Né può esigersi dall’imputato, pur se assistito da una difesa tecnica,l’individuazione dell’esito qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l’appunto dì una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse”.
Orbene, se è indubbia la rilevanza pubblicistica di un bene come l’energia elettrica, ritiene il Collegio che decisivo, ai fini del giudizio sulla sussistenza della circostanza aggravante de qua, sia l’accertamento in ordine alla concreta destinazione (piuttosto che alla natura) del bene ad un pubblico servizio.
La pluralità di destinazioni che il bene-energia ha storicamente avuto e che potrà continuare ad avere (si pensi alla sempre maggiore diffusione di forme private di autoproduzione di energia), comporta, infatti, che la destinazione di tale bene a un pubblico servizio non sia necessaria, vale a dire ontologicamente caratterizzante il bene medesimo, non potendo essere considerata alla stregua di un suo connotato intrinseco e autoevidente, atteso che, per essere affermata o negata, richiede una valutazione da parte dell’interprete, valutazione che può in alcuni casi rilevarsi complessa implicando talora la considerazione di norme extra-penali, soggette, come insegna l’esperienza degli interventi normativi di varia natura che si sono susseguiti nel corso degli anni, a una continua evoluzione.
Che la destinazione del bene-energia possa essere mutevole, peraltro, lo dimostra plasticamente la compresenza, all’interno della disposizione normativa dì cui all’art. 625, co. 1, c.p., di due diverse circostanze aggravanti, quelle previste dal n. 7) e dal n. 7-bis, circostanza, (quest’ultima, che qualifica in termini di servizio pubblico l’erogazione di energia, ritenute dalla giurisprudenza di questa Corte legate da un rapporto di specialità (cfr. Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Rv. 281556).
Affermata la natura “valutativa”, secondo i principi sanciti dalla sentenza delle Sezioni Unite “Sorge” della circostanza aggravante in esame, ciò che rileva è verificare se il capo di imputazione sia stato formulato con riferimento a una serie di elementi descrittivi e qualificativi che hanno reso pienamente esercitabili i diritti di difesa dell’imputato, anche in relazione alla circostanza aggravante dell’essere stato, il bene sottratto, destinato a pubblico servizio.
Peculiare rilievo assume, quindi, nella struttura della più volte evocata sentenza delle Sezioni Unite “Sorge”, la collocazione del tema della contestazione della circostanza aggravante nel perimetro della necessità di un’informazione dettagliata, diretta all’imputato,circa la natura del fatto che vale ad aggravare le conseguenze sanzionatorie.
Necessità che deriva non solo dalla inequivoca formulazione delle plurime norme codicistiche che descrivono la modalità con le quali deve essere effettuata la contestazione del fatto e delle sue aggravanti, ma anche e soprattutto dal livello di tutela preteso a riguardo all’art. 6, par. 3, lett. a), della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, laddove individua, tra i canoni dell’equo processo, quello che l’imputato sia reso edotto della prospettazione accusatoria formulata a suo carico, presupposto indefettibile per l’esercizio del fondamentale diritto di difesa.
D’altra parte, le esigenze difensive dell’imputato, rispetto a modifiche in peius “a sorpresa”, ossia non precedute da una adeguata contestazione, sono state poste a fondamento della nota sentenza “Drassich c. Italia”, in cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in una fattispecie nella quale l’imputato era stato condannato per un reato (corruzione in atti giudiziari), che non era stato menzionato nel provvedimento di rinvio a giudizio e che non gli era stato comunicato in nessuna fase del procedimento, all’esito di una diversa qualificazione giuridica operata solo al momento della deliberazione della Corte di Cassazione, senza essere evocata da alcuna delle controparti o dei giudici in una fase anteriore del procedimento, ha ritenuto integrata una violazione dell’art. 6, par. 3, della Convenzione EDU.
Lo scopo di rendere in concreto l’imputato edotto della prospettazione accusatoria in tutte le sue componenti, ossia anche in quelle che investono gli elementi accessori del fatto, come quelli circostanziali, è raggiunto, pertanto, quando egli possa in forza della lettura del capo di imputazione esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa. Tale scopo è certamente raggiunto tutte le volte che la contestazione della circostanza aggravante consenta di rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla prospettazione accusatoria per come aggravata, ossia, nel caso in esame, per aver sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa.
3.2. Tanto premesso, nella fattispecie per cui è processo tale scopo è stato in concreto raggiunto poiché, come emerge dalla lettura del capo di imputazione, in esso il pubblico ministero ha fatto esplicito riferimento alla condotta di furto di energia elettrica posta in essere in danno dell’ENEL, mediante accesso diretto alla rete di distribuzione dell’ente erogatore, reso possibile da un allaccio abusivo, rete che, per l’appunto, fornisce un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’evidente e oggettiva esigenza di rilevanza “pubblica”.
Palese, di conseguenza, appare l’errore nel quale è incorsa la pronuncia impugnata, in quanto il giudice di merito, pur in presenza di un’adeguata contestazione della circostanza aggravante in esame, idonea a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece erroneamente ritenuto che nel caso di specie la stessa mancasse, omettendo di valutare il contenuto del capo d’imputazione alla luce dei principi in precedenza indicati.
- Sulla base delle svolte considerazioni, dovendosi ribadire che la ragione dell’accoglimento del ricorso del pubblico ministero è nel caso concreto da individuare nella ritenuta attitudine della originaria contestazione di reato a renderlo procedibile di ufficio, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, ai sensi dell’art. 569, comma 4, c.p.p., alla corte di appello di Catania per il relativo giudizio.