<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 27 maggio 2021 n. 9</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPI DI DIRITTO</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li style="font-weight: 400;"><strong><em>a) La presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale.</em></strong></li> <li style="font-weight: 400;"><strong><em>b) La partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante.</em></strong></li> <li style="font-weight: 400;"><strong><em>c) L’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.</em></strong></li> <li style="font-weight: 400;"><strong><em>d) L’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione, nella fase di gara, del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell’art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stata utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l’aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento; l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.</em></strong></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li style="font-weight: 400;"><em> Le prime tre delle quattro questioni sollevate dalla V sezione sottopongono all’esame dell’Adunanza plenaria il tema delle interferenze tra il concordato preventivo con continuità aziendale, in particolare nella versione del concordato in bianco o con riserva o preconcordato, e le vicende dei contratti pubblici, con specifico riferimento alla fase dell’evidenza pubblica e dunque alla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto o della concessione.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> Se tradizionalmente il rapporto tra le procedure concorsuali e le procedure ad evidenza pubblica è sempre stato all’insegna dell’antinomia, nel senso che la sottoposizione dell’impresa al fallimento o a procedure similari è sempre stata una causa ostativa o di impedimento a partecipare alle gare, a partire dal d.l. 83/2012 che modificava l’art. 38 del Codice dei contratti del 2006 si è aperta per così dire una breccia, che ha riguardato proprio il concordato preventivo con continuità aziendale.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si tratta, questa, di una variante del concordato preventivo, procedura concorsuale che, a differenza in particolare del fallimento, ha sempre avuto una finalità “recuperatoria” ma che, nella logica originaria della legge fallimentare del 1942, incentrata sull’espulsione dal mercato dell’impresa insolvente, occupava un posto secondario, se non marginale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’evoluzione del diritto concorsuale italiano, quale registratasi soprattutto a partire dalle riforme del 2005-2006 attraverso una profonda revisione dell’impianto della legge fallimentare, nel quadro di una riscoperta e di un forte potenziamento delle procedure finalizzate al recupero del valore dell’impresa e alla continuazione dell’azienda, privilegiando soluzioni della crisi concordate con i creditori, ha visto, con il ricordato d.l. 83/2012 che ha aggiunto l’art. 186 bis alla legge del 1942, l’ingresso nel nostro sistema del concordato con continuità aziendale, finalizzato ad assicurare il ritorno </em>in bonis<em> dell’imprenditore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Sin dal suo primo apparire, il nesso tra concordato con continuità e contratti pubblici è stato molto forte, sul presupposto che, nella generalità dei casi e in un mercato dove gli appalti aggiudicati dalle pubbliche amministrazioni occupano uno spazio considerevole, fossero funzionali, per non dire del tutto necessari, al perseguimento dell’obiettivo del recupero di valore dell’impresa sia la continuazione dei contratti pubblici già in corso, sia la partecipazione a procedure di assegnazione di nuovi contratti pubblici con la possibilità, quindi, di aggiudicarsi nuove commesse (come ha ricordato anche, di recente, Corte cost. n. 85/2020, al punto 5.1).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Di questo nesso così stretto il legislatore del 2012 si era mostrato subito consapevole, non solo nella disciplina dell’istituto racchiusa nell’art. 186 bis della legge fallimentare, che già allora in diversi punti faceva menzione dei contratti pubblici per garantirne la prosecuzione e quindi la stabilità o per permetterne a determinate condizioni la stipula di nuovi, ma anche nella coordinata modifica dell’art. 38 del codice dei contratti del 2006, già ricordata. Modifica in forza della quale, alla tradizionale e risalente regola di esclusione per le imprese in stato di fallimento, liquidazione coatta o concordato preventivo (v. già l’art. 75 del d.p.r. 554/1999 e prima ancora l’art. 13 della l. 584 del 1977 e a ritroso l’art. 15 della l. 57 del 1962 sull’istituzione dell’albo nazionale dei costruttori che aveva specificato e definito sul punto la clausola generale di “insindacabile” esclusione di cui all’art. 68 del r.d. 827 del 1924), si introduceva la novità di un’eccezione esplicita per “il caso di cui all’art. 186 bis…”.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Allo stesso anno, il 2012, risale anche, mutuato dall’esperienza nordamericana, la prima previsione del concordato in bianco o con riserva, introdotto all’art. 161, comma 6, con il quale l’imprenditore può depositare un ricorso contenente una domanda di concordato, avente comunque un contenuto minimo, riservandosi di procrastinare di sessanta o centoventi giorni la presentazione del piano e della proposta di concordato, così da anticipare i tempi dell’emersione della crisi, ma avendo uno spazio maggiore per elaborare una via d’uscita dalla stessa, e nel frattempo beneficiare degli effetti “protettivi” di cui all’art. 168 nei confronti delle iniziative di terzi, con la possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione e anche, purché urgenti, di straordinaria amministrazione su autorizzazione del tribunale, come anche di assicurare la prededuzione ai nuovi creditori.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il concordato in bianco o con riserva – in cui autorevole dottrina ha scorto una scissione tra il profilo volitivo (la domanda di apertura del concordato), quello propositivo (la proposta) e quello argomentativo (il piano) – ha conosciuto sin dai primi mesi di applicazione un significativo successo ricevendo, anche per questo improvviso e largo utilizzo, valutazioni discordanti, in specie per i temuti rischi di abuso (sui quali v. Cass. Sez. U., n. 9935/2015). Il legislatore è quindi presto tornato sull’art. 161, comma 6, con alcuni correttivi significativi, il principale dei quali è consistito nel prevedere la possibilità che il tribunale – nel fissare il termine entro il quale l’imprenditore deve presentare la proposta e il piano di concordato nonché depositare la documentazione – nomini subito un commissario giudiziale affinché vigili sull’impresa nel tempo, che potrebbe anche essere non breve, compreso tra la presentazione della domanda di concordato e l’ammissione alla procedura, e dove maggiori sono i timori di un uso dilatorio dell’istituto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Del commissario giudiziale e della sua funzione di vigilanza è fatta menzione anche all’art. 186 bis, a proposito del concordato con continuità aziendale, in particolare al comma 4 inserito nel 2013 e da allora rimasto sostanzialmente immutato, dove si è previsto che successivamente al deposito del ricorso, ovvero alla domanda di concordato con esso proposta, “la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato”.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anticipando quel che si osserverà a breve, mentre le disposizioni della legge fallimentare, rilevanti ai fini della presente decisione (artt. 161 e 186 bis), dal 2013 in poi si sono stabilizzate e da ultimo sono state trasfuse nel codice della crisi d’impresa del 2019 (non ancora in vigore, per queste parti), sono cambiate invece, più volte come si vedrà, quelle del codice dei contratti del 2016 racchiuse negli articoli 80, comma 5, lett. b) e 110, il che ha reso il coordinamento tra le prime e le seconde sicuramente meno agevole.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li style="font-weight: 400;"><em> Ciò premesso, sulla questione posta con il primo quesito si è registrato un contrasto di orientamenti, puntualmente ripercorso nell’ordinanza di remissione.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’indirizzo favorevole all’applicabilità anche al concordato in bianco o con riserva della deroga all’art. 80 , comma 5, lett. b) del codice dei contratti prevista per il concordato con continuità aziendale (Cons. St., sez. V n. 1328/2020, sez. III n. 1772/2018, sez. VI n. 426/2016, sez. III n. 5519/2015, sez. V n. 6272/2013, sez. IV n. 3344/2014) fa leva sull’effetto prenotativo della domanda di concordato in bianco, in funzione del possibile concordato con continuità aziendale, e sulle finalità anticipatorie e protettive dell’istituto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’indirizzo restrittivo, che conduce all’esclusione in via automatica dalla procedura di gara (Cons. St., VI n. 3984/2019, sez. III n. 5966/2018), muove dalla duplice premessa che con la domanda di concordato in bianco il debitore riconosca il venir meno dei propri requisiti di affidabilità e che la partecipazione alla gara sia un atto di straordinaria amministrazione, autorizzabile a mente dell’art. 161, comma 6, solo se urgente, per poi sottolineare l’incertezza e la fluidità della fase che si apre a seguito della domanda in bianco o con riserva, il che renderebbe tale fattispecie non comparabile con quella del concordato con continuità aziendale in senso proprio, il solo caso peraltro contemplato dall’art. 80, comma 5, lett. b) quale ragione di eccezione alla veduta regola che, in omaggio alla tradizione della contrattualistica pubblica nazionale, dispone altrimenti l’esclusione dell’operatore che si trovi in stato di insolvenza o di crisi, giudicandolo inaffidabile.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li style="font-weight: 400;"><em> La soluzione del contrasto impone di riprendere il discorso sul quadro normativo di riferimento, approfondendo ora il rapporto tra le discipline della legge fallimentare e del codice dei contratti.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Se della prima si è già detto, sottolineandone la sostanziale stabilità dal 2013 in poi, la seconda ha conosciuto invece continui rimaneggiamenti per effetto dei quali è mutato nel tempo il grado – ora maggiore, ora minore – di concordanza con la prima.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In linea generale va ricordato come nella disciplina sui contratti pubblici il problema della crisi di impresa sia sempre stato affrontato per lo più o primariamente secondo la prospettiva e dal punto di vista della stazione appaltante, muovendo quindi dalla preoccupazione che la crisi possa minare alla radice l’affidabilità dell’appaltatore in vista della realizzazione della commessa pubblica. A tale preoccupazione l’ordinamento risponde con delle norme di ordine pubblico poste a tutela della stazione appaltante e improntate non da oggi (si è già citato, tra gli altri, l’art. 15 della l. 57/1962) ad una regola di esclusione obbligatoria ed automatica.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si tratta, sempre ragionando in linea generale, di un approccio non del tutto necessitato sul piano del diritto europeo, nel senso che le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, e quindi riconoscendone certamente la rilevanza nell’ambito dei requisiti di partecipazione a garanzia dell’integrità degli operatori economici, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come (verrebbe da dire, quanto) escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni, al pari di quanto previsto per le ipotesi di grave illecito o errore professionale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In questo senso il richiamo alla recente sentenza della Corte di giustizia 28.3.2019, C-101/18, non è di particolare ausilio, non solo e non tanto poiché pronunciata in relazione all’art. 45 della direttiva 2004/18 e sull’assunto – si vedrà, revocabile in dubbio – del giudice remittente che la normativa nazionale disponga l’esclusione dalla gara dell’operatore economico che abbia presentato una domanda di concordato con riserva; ma, soprattutto, in quanto il giudice europeo ricorda come l’art. 45 in questione “non contempla un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. In tale ambito, gli Stati membri hanno il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri stabiliti da tale disposizione” (punto 45 della motivazione).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nel fare uso del proprio margine di scelta il legislatore italiano, ancora nel 2016, ha optato per un criterio binario: per cui la regola è e rimane l’esclusione obbligatoria e automatica per l’operatore in stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, mentre l’eccezione è ammessa per l’ipotesi di concordato con continuità aziendale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Poiché il legislatore del codice dei contratti ha riferito testualmente il motivo di esclusione anche agli operatori nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, o per le altre situazioni, si è fatta strada negli interpreti l’idea che l’eccezione andasse declinata unicamente in favore degli operatori che fossero già stati ammessi al concordato con continuità aziendale. Un’idea rafforzata dalla lettura dell’art. 110, comma 3 – nel testo applicabile ra</em>tione temporis <em>– dove la partecipazione alle procedure di affidamento è riferita, oltre che al curatore del fallimento ammesso all’esercizio provvisorio, alla (sola) impresa (già) “ammessa” al concordato con continuità aziendale; e dove per l’impresa che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva si dice(va) solo che “può eseguire i contratti già stipulati”.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="5"> <li style="font-weight: 400;"><em> Stando al complessivo (e innegabilmente complesso) dato testuale ricavabile dal codice dei contratti, nella versione applicabile sempre </em>ratione temporis<em>, se ne potrebbe ricavare allora la duplice conclusione per cui la partecipazione a nuove gare sarebbe preclusa non solo a chi ha presentato domanda di concordato in bianco ma, più in generale, in tutti i casi in cui l’operatore che ha presentato domanda di concordato preventivo a norma dell’art. 161 non sia stato ancora ammesso alla procedura. Il che, nei casi di concordato con continuità, non solo condurrebbe al sicuro insuccesso dell’istituto ma contrasterebbe frontalmente con quanto si è sempre letto, in questi anni, all’art. 186 bis, comma 4, dove – come già sottolineato – si dice chiaramente che tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell’ammissione al concordato, si ricava inoltre dall’art. 5 del DM 31.1.2015 in tema di regolarità contributiva).</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Da questo inciso della norma fallimentare – “se nominato”, nella formulazione in vigore dal 2013 al 2019, divenuto attualmente (come confermato anche, quando finalmente sarà in vigore, dall’art. 95 del codice della crisi) “ove già nominato” – già l’ANAC (con la determinazione n. 5 dell’8.4.2015) e la dottrina hanno ricavato la convinzione che esso dimostrerebbe come l’art. 186 bis, comma 4, contempli (anche) l’ipotesi del concordato in bianco o con riserva, dal momento che per il concordato preventivo ordinario la nomina del commissario giudiziale è doverosa, sicché l’uso della formula ipotetica si spiegherebbe solo se riferita al concordato in bianco dove, invece, la nomina del commissario giudiziale è una facoltà lasciata al tribunale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In epoca più recente, successivamente all’indizione della gara qui in contestazione, queste distonie (ma v’era chi tra i commentatori aveva parlato, al principio, di vero e proprio corto circuito tra due blocchi normativi) tra il codice dei contratti e la legge fallimentare sono andate riducendosi (come ha osservato anche Corte cost., n. 85/2020 al punto 4.2.1), se è vero che l’art. 80, comma 5, lett. b) fa ora (di nuovo) testuale rinvio all’art. 186 bis della legge fallimentare (come già prima era avvenuto con l’art. 38 del vecchio codice) e quindi anche al suo comma 4; e che l’art. 110 è stato riscritto in occasione dell’adozione proprio del codice della crisi d’impresa (ad opera dell’art. 372 di tale codice), prevedendosi che alle imprese che hanno depositato domanda di concordato con riserva si applichi l’art. 186 bis della legge fallimentare e che per la partecipazione alle gare, tra il momento di tale domanda e quello del decreto di ammissione, sia sempre necessario l’avvalimento dei requisiti di un altro soggetto. Dove il primo periodo, nel fare rinvio all’art. 186 bis, ha una valenza di chiarimento o di interpretazione autentica; laddove invece il secondo periodo ha carattere innovativo, introducendo – per l’avvenire – un elemento di ulteriore garanzia che si aggiunge al controllo giudiziale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Esplicativa di questo stato delle cose parrebbe la relazione illustrativa all’art. 372 del codice della crisi, che nel ribadire come la domanda con riserva non impedisce la partecipazione a procedure di affidamento, puntualizza come “Lo scopo è quello di evitare che paradossalmente, tale domanda, da strumento di tutela per l’imprenditore, diventa un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale”.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="6"> <li style="font-weight: 400;"><em> Oltre al dato ricavabile dalla legge fallimentare, e al progressivo riavvicinamento da parte del codice dei contratti, viene in soccorso nella soluzione del primo quesito l’inquadramento che la domanda con riserva riceve da parte della giurisprudenza della Suprema Corte nel più ampio contesto della procedura di concordato preventivo. Si è osservato al riguardo come con il ricorso di cui all’art. 161, comma 6, della legge fallimentare l’imprenditore presenta la domanda di concordato preventivo, “e non già un ricorso di portata diversa e più circoscritta”, e come “il procedimento innescato dalla domanda con riserva non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell’unico procedimento che rileva, articolato in due fasi per così dire interne” (Cass. sez. I n. 14713/2019, nel senso che il cosiddetto preconcordato costituisce una mera opzione di sviluppo del concordato, in cui l’imprenditore ha già assunto la qualità di debitore concordatario ed è già sottoposto ad un regime di controllo giudiziale, v., altresì,.Cass., sez. I, n. 7117/2020).</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> L’insieme di questi rilievi e di queste evidenze conduce quindi l’Adunanza plenaria a ritenere che, sulla scorta dell’art. 186 bis, comma 4, della legge fallimentare, la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione né inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici. In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione – il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St. AP n. 8/2012 e 8/2015) – ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell’art. 186 bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice della crisi d’impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l’accesso al mercato dei contratti pubblici (non pertinente è il richiamo a Cons. St., AP, n. 2155/2010, perché precedente le novità sul concordato introdotte a partire dal 2012).</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Questa conclusione, che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica, che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara. In questo senso la formula “partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, contenuta nell’art. 186 bis, comma 4 (e da ultimo all’art. 110, comma 4, del codice dei contratti), deve essere letta nel suo significato più pieno e più coerente con quella esigenza di controllo giudiziale </em>ab initio<em> che, realizzandosi sin dal momento in cui si costituisce il rapporto processuale con il giudice fallimentare, rappresenta il punto di equilibrio tra la tutela del debitore e quella dei terzi.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="8"> <li style="font-weight: 400;"><em> Si deve quindi precisare come, qualora come nel caso di specie l’impresa presenti la domanda di concordato dopo avere già presentato la domanda di partecipazione alla gara, essa dovrà chiedere al tribunale di essere autorizzata a (continuare a) partecipare alla procedura (in tal senso già Cons. St, sez. V, n. 6272/2013). Sebbene la legge non indichi un termine </em>ad hoc<em>per la presentazione di una tale istanza (di autorizzazione), è del tutto ragionevole ritenere che, secondo un elementare canone di buona fede in senso oggettivo, l’istanza debba essere presentata senza indugio, anche per acquisire quanto prima l’autorizzazione ed essere – per quanto si dirà – nella condizione utile di poterla trasmettere alla stazione appaltante con la procedura ad evidenza pubblica ancora in corso.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In casi di questo tipo, il richiamo alla buona fede, e agli obblighi di protezione che ne discendono nel corso delle trattative e della formazione del contratto (cfr. AP n. 5/2018), vale anche a ritenere che della avvenuta presentazione della domanda di concordato ai sensi dell’art. 161, comma 6, l’operatore debba mettere prontamente a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n.16/2020: facendo quindi applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. C-bis, anziché della lett. F-bis.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="9"> <li style="font-weight: 400;"><em> Quanto sinora evidenziato dispensa l’Adunanza dal dare risposta al secondo quesito, siccome incentrato sull’assunto che la questione della partecipazione, possibile o meno, alle gare pubbliche debba trovare la sua soluzione sulla base dell’art. 161, comma 7, della legge fallimentare, a seconda che detta partecipazione sia qualificabile come un atto di ordinaria ovvero di straordinaria amministrazione; quando invece, per quanto in precedenza osservato, il legislatore con l’art. 186 bis, comma 4, ha considerato nello specifico la partecipazione alla gara come un atto (ovvero, anche se non soprattutto, una condotta complessiva), da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del tribunale fallimentare. Il che – è appena il caso di osservare incidentalmente – non deve significare che in linea generale partecipare ad una gara pubblica sia da considerarsi (sempre) un atto di straordinaria amministrazione quanto, piuttosto, che dopo la presentazione di una domanda di concordato (soprattutto se con riserva) quel che in astratto potrebbe anche considerarsi come di ordinaria amministrazione assume un connotato diverso, tale da richiedere il controllo giudiziale assicurando in tale sede – come si è chiarito – un minimo di discovery (in più) ovvero dovendo fornire l’imprenditore idonee informazioni sul contenuto del piano in preparazione (Cass. 14713/2019 cit.).</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> La centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conducono a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debbano intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione, qui sostenuta anche dalla difesa erariale, che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St, sez. V n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si intende che – anche a chiarimento del quesito rivolto all’Adunanza – si sta ragionando sempre dell’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara, di cui all’art. 186 bis, comma 4, e non anche dell’ammissione alla procedura di concordato di cui all’art. 163, trattandosi di provvedimenti del tribunale differenti, nei presupposti e negli effetti, il secondo dei quali destinato ad essere adottato a distanza di mesi dalla presentazione della domanda di concordato con riserva, quando la procedura ad evidenza pubblica normalmente è già conclusa. Proprio perché consapevole di questa distanza temporale, sempre in chiave anticipatoria e prenotativa, il legislatore ha previsto che il rilascio del primo provvedimento sia condizione necessaria ma al tempo stesso (anche) sufficiente. Ove poi, nonostante il rilascio dell’autorizzazione, alla fine il tribunale non procedesse più all’ammissione dell’impresa al concordato o l’ammissione fosse revocata, aprendo così la via al fallimento ricorrendone i presupposti, è evidente che varranno le regole generali previste per i casi in cui il fallimento sopravvenga nel corso della gara o dopo la stipula del contratto (art. 110 e, per i raggruppamenti temporanei d’impresa, art. 48 del codice dei contratti).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Così rispondendosi in linea generale al terzo quesito, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un’autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. E’ il caso singolare dal quale è originato il giudizio in corso, in cui è mancato il rilascio di un’autorizzazione da parte del tribunale prima dell’aggiudicazione della gara, non essendo stata presentata un’istanza in tal senso dall’impresa concordataria sull’erroneo presupposto che non occorresse, ma è intervenuta l’autorizzazione alla stipula del contratto di appalto.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="11"> <li style="font-weight: 400;"><em> Per quanto concerne il quarto ed ultimo quesito, originato dal ricorso incidentale proposto in primo grado dagli odierni appellanti, il suo esame era stato allora condizionato all’accoglimento del ricorso principale dinanzi al Tar ed è ora condizionato all’esito degli appelli, nel senso che qualora questi venissero accolti e si dovesse accertare che – a differenza di quanto ha ritenuto il Giudice di primo grado – il raggruppamento appellante non andava escluso dalla gara, non vi sarebbe più interesse alla soluzione della questione su come si debba interpretare il comma 19 ter dell’art. 48 del codice dei contratti. Ciò premesso, poiché per quanto osservato al punto precedente è rimessa alla sezione remittente la valutazione della rilevanza nel caso concreto dell’autorizzazione tardivamente acquisita dal tribunale, l’Adunanza ritiene prudenzialmente di dover rispondere anche sul quarto quesito, di cui allo stato non si può escludere la rilevanza.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> Si deve procedere dall’esame dei commi 17 e 18 dell’art. 48. Tali norme dispongono per quanto più rileva in questa sede che, in deroga alla regola generale dell’immodificabilità della composizione del raggruppamento temporaneo rispetto all’assetto risultante dall’impegno presentato in sede di offerta (art. 48, comma 9), è consentita al raggruppamento la possibilità di modificare la propria composizione in conseguenza della sottoposizione del mandante o del mandatario ad una procedura concorsuale per insolvenza o crisi d’impresa (nel caso in questione sarebbe, per quanto detto, la pendenza di una domanda di concordato in bianco o con riserva cui non avrebbe fatto seguito in tesi il tempestivo rilascio ad opera del tribunale fallimentare, e la tempestiva comunicazione alla stazione appaltante, dell’autorizzazione a partecipare alla gara pubblica in questione) ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il comma 19 contempla, inoltre, le (ulteriori) modifiche soggettive derivanti da esigenze organizzative del raggruppamento, che nella fase dell’esecuzione del rapporto possono giustificare la riduzione del raggruppamento, alla duplice condizione che le imprese rimanenti abbiano i requisiti sufficienti e che la modifica non sia finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara (evidentemente diverso da quello di cui all’art. 80, comma 5, lett. b).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Su queste previsioni, dettate per la fase dell’esecuzione e che privilegiano l’interesse alla conservazione del rapporto in funzione della più celere esecuzione dell’opera o del servizio o della consegna della fornitura, si innesta il comma 19-ter dell’art. 48 – comma aggiunto dall’art. 32, comma 1, lett. h) del d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56 – che ha esteso espressamente la possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18 e 19 anche in corso di gara.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La questione qui posta attiene, specificamente, proprio all’estensione, ora introdotta dal comma 19-ter, delle modifiche soggettive, in origine consentite dai commi 17 e 18 solo alla fase dell’esecuzione, anche alla fase di gara, con l’invocata possibilità di effettuare la sostituzione della mandataria o della mandante – nel caso di specie, la mandante -anche con un soggetto esterno al raggruppamento.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="13"> <li style="font-weight: 400;"><em> Merita ricordare come la regola dell’immodificabilità risponda in via generale ad una duplice esigenza, fortemente avvertita sia a livello nazionale che, come si dirà, a livello europeo, di evitare, da un lato, che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto, del quale non abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali, di partecipazione, in conseguenza di modifiche della composizione del raggruppamento avvenute nel corso della procedura ad evidenza pubblica o nella fase esecutiva del contratto, e dall’altro all’esigenza di tutelare la </em>par condicio<em>dei partecipanti alla gara con modifiche della composizione soggettiva del raggruppamento “calibrate” sull’evoluzione della gara o sull’andamento del rapporto contrattuale.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Di questa regola l’Adunanza plenaria, prima ancora del codice attuale, aveva dato una lettura funzionale, nel senso di non precludere la modifica soggettiva in assoluto, ammettendola laddove questa operi in riduzione, anziché in aggiunta o in sostituzione, quindi solo internamente e senza innesti dall’esterno del raggruppamento; e comunque sempre che non sia finalizzata ad eludere i controlli in ordine al possesso dei requisiti (AP n. 8/2012, di recente Cons. St., V, n. 1379/2020 e n. 1031/2018).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>13.1. In particolare secondo l’impostazione tradizionale l’addizione di soggetti esterni all’originaria composizione del raggruppamento, che ha presentato la propria offerta con una determinata composizione soggettiva, costituisce un </em>vulnus<em> non solo al fondamentale interesse pubblico alla trasparenza e, dunque, al buon andamento della pubblica amministrazione, dovendo l’iter della gara svolgersi secondo determinate e non alterabili – salvo deroghe espressamente consentite – scansioni procedurali che consentano la previa verifica dei requisiti in capo ai concorrenti e, poi, la valutazione delle offerte nell’interesse pubblico all’aggiudicazione al miglior offerente, ma anche un </em>vulnus<em> al principio di parità di trattamento tra le imprese interessate all’aggiudicazione e, dunque, al valore primario della concorrenza nel suo corretto esplicarsi.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>13.2. Se questa è l’impostazione di partenza, con la duplice declinazione del principio appena ricordata (nella prospettiva sia della stazione appaltante che degli altri concorrenti), si tratta di interrogarsi ora se per effetto del combinato disposto dei commi 17, 18, 19 e 19 ter dell’art. 48 debba ritenersi ammessa, dal legislatore nazionale, nelle ipotesi ivi contemplate, una modifica soggettiva di tipo anche additivo quindi in aumento, nella fase dell’esecuzione come in quella della gara.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Da una lettura testuale del combinato disposto – specie laddove al comma 18 utilizza la formula “altro operatore economico subentrante” – si potrebbe ritenere che in effetti il legislatore si sia mosso in tale direzione, privilegiando la continuità ovvero la prosecuzione del rapporto contrattuale come anche della partecipazione alla procedura di gara, e in nome di questa continuità – a sua volta connessa alla nuova prospettiva “recuperatoria” del diritto della crisi d’impresa in precedenza ricordata – consenta ora la modifica del raggruppamento anche per addizione. Se non fosse che, in un intervento più recente, extracodicistico (con l’art. 5, comma 4, d.l. 76/2020), peraltro di natura dichiaratamente emergenziale e quindi almeno nelle intenzioni volto ad assicurare ancora di più (del codice) la sollecita esecuzione dei contratti pubblici, sempre il legislatore è sembrato invece circoscrivere l’orizzonte della modifica limitando l’avvicendamento solo (se realizzato) “con altra impresa del raggruppamento designato”. E se questo ha ritenuto di fare (o riaffermare) nella fase dell’esecuzione, a maggior ragione parrebbe logico doversi escludere che abbia voluto ammettere una modifica additiva nella fase della gara, dove il profilo del rispetto della concorrenza è più acuto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>14.Nel diritto europeo dei contratti pubblici il tema della sostituzione è affrontato nella fase dell’esecuzione. La Direttiva n. 24/2014/UE contempla talune ipotesi di sostituzione all’art. 72 in tale fase e nel Considerando n. 110, già ricordato dallo stesso Collegio rimettente, precisa che «in linea con i principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’aggiudicatario non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico, ad esempio in caso di cessazione dell’appalto a motivo di carenze nell’esecuzione, senza riaprire l’appalto alla concorrenza» e «tuttavia, in corso d’esecuzione del contratto, in particolare qualora sia stato aggiudicato a più di un’impresa, l’aggiudicatario dell’appalto dovrebbe poter subire talune modifiche strutturali dovute, ad esempio, a riorganizzazioni puramente interne, incorporazioni, fusioni e acquisizioni oppure insolvenza», sicché «tali modifiche strutturali non dovrebbero automaticamente richiedere nuove procedure di appalto per tutti gli appalti pubblici eseguiti da tale offerente».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nel diritto europeo manca invece una disposizione che si occupi della sostituzione dell’operatore economico nello svolgimento della procedura di aggiudicazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Al di là della sua forza più o meno cogente, per la fase dell’esecuzione il Considerando svolge una funzione ricognitiva di principi che trovano in disposizioni del Trattato provviste di effetto diretto, quelle che a suo tempo scandirono la realizzazione del mercato comune imponendo agli Stati l’abolizione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e delle persone, il loro primo fondamento.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Questa Adunanza plenaria, di recente, ha chiarito che anche la fase esecutiva del contratto pubblico non è una “terra di nessuno”, indifferente all’interesse pubblico e a quello privato degli altri operatori che hanno preso parte al confronto concorrenziale, e che «l’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono […] essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione» (Ad. plen. n. 10/2020).</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="15"> <li style="font-weight: 400;"><em> Si può quindi fondatamente ritenere che la deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, sia solo quella dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa </em>ratio<em>della deroga, dovuta a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o, addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio, incorporato od estinto).</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> A</em><em>maggior ragione si impone che nella fase della procedura di gara il soggetto che ha preso parte ad essa, presentando l’offerta, non sia diverso da quello che viene valutato dalla stazione appaltante e che, infine, si aggiudica la gara, non essendo ammissibile, sul piano del diritto UE, che proprio la fase pubblicistica, deputata alla scelta del miglior offerente, sia quella in cui attraverso la modifica soggettiva e l’addizione di un soggetto esterno alla gara si aggiri il principio della concorrenza e si ammetta in corso di gara un soggetto diverso da quello che ha presentato l’offerta.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A conferma di ciò vale richiamare la Corte di Giustizia UE, che nella sentenza del 24 maggio 2016 in C-396/14 – pronunciata in un caso di modifica della composizione di un raggruppamento temporaneo per riduzione – ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza significano, in particolare, che gli offerenti devono trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le offerte sia al momento in cui queste vengono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice e, in questi termini, detto principio e detto obbligo «costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici» (§ 37).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>16.1. Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, che discende dalle libertà fondamentali del Trattato e che ha lo scopo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed effettiva tra le imprese che partecipano ad un appalto pubblico, impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse opportunità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>16.2. Né l’argomento valorizzato dalle difese delle appellanti, nel senso che l’eventuale modifica soggettiva del raggruppamento mediante addizione avverrebbe pur sempre lasciando immutata l’offerta già presentata in gara, il che renderebbe non pertinente il richiamo alla concorrenza e alla trasparenza, è persuasivo. La tesi sembra considerare infatti unicamente le procedure aperte o ristrette, ossia quelle modalità di scelta del contraente che autorevole dottrina definiva già nei primi anni ’70 del secolo scorso come (modi) “di tipo meccanico”, dove la parte privata non partecipa alla formazione del contenuto contrattuale e dove l’offerta, una volta presentata, è destinata a rimanere immutata (tutt’al più potrà essere “giustificata” in sede di verifica sull’anomalia). Senonché il sistema conosce da sempre anche modi (di scelta) “di tipo negoziato”, nei quali la parte privata partecipa invece attivamente alla formazione del contenuto contrattuale e comunque ne discute con l’amministrazione contrattante, modalità che ricevono negli ultimi tempi un forte impulso nel diritto europeo, come dimostrano, ad esempio, la procedura competitiva con negoziazione, il dialogo competitivo, i partenariati per l’innovazione. Sono modalità, tra loro differenti, ma accomunate dall’elemento della negoziazione e dove è fisiologico che le offerte iniziali siano modificate nel corso della procedura (cfr. art. 29.5 e 30.6 della Direttiva 24/2014/UE), il che esclude, almeno in tali casi, il preteso carattere neutro ai fini della parità di trattamento di un’eventuale sostituzione e rende necessario riaffermare piuttosto l’immodificabilità ovvero l’identità del soggetto che ha presentato l’offerta iniziale con quello che formula l’offerta finale.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="17"> <li style="font-weight: 400;"><em> Questa stessa Adunanza, con la sentenza n. 8 del 4 maggio 2012, ha già chiarito da tempo che il principio di immodificabilità soggettiva persegue lo scopo di consentire alla stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara e, di conseguenza, «precludere modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, in grado di impedire le suddette verifiche preliminari» ovvero che «tale verifica venga vanificata», sicché le uniche modifiche soggettive elusive del dettato normativo sono quelle che portano all’aggiunta delle imprese partecipanti, non già alla loro riduzione (c.d. modifica per sottrazione) o al recesso di una partecipante, laddove, però, la modifica della compagine in senso riduttivo avvenga per esigenze proprie del raggruppamento o del consorzio, non già per evitare la sanzione dell’esclusione dalla procedura di gara per difetto dei requisiti in capo ad un componente.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> La procedura di gara assume il carattere di strumento di scelta non solo dell’offerta migliore, ma anche del contraente più affidabile, come è stato acutamente notato in dottrina, e il principio di immodificabilità soggettiva risponde ad esigenze di sicurezza giuridica per la stazione appaltante</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>durante l’iter di formazione e di esecuzione del contratto, oltre che al principio di concorrenza, di sicuro rilievo europeo, garantendosi così il primato giuridico della gara, la massima partecipazione, il principio di personalità del contratto, quale “specchio fedele” della gara stessa, come si è detto, e della sua tendenziale incedibilità, ammessa solo a determinate condizioni dalla legge (v., più in generale, l’art. 106, comma 1, lett. d), n. 2 del d. lgs. n. 50 del 2016).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le deroghe, tassativamente previste, devono trovare un solido fondamento normativo, a livello europeo e nazionale, e rispondere anzitutto, seppur non solo, ad un preciso interesse pubblico, che giustifichi la deroga alla riapertura dell’appalto alla concorrenza per il venir meno della identità giuridica tra soggetto che ha formulato la proposta, che si aggiudica la gara e che esegue il contratto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ebbene, quanto meno per la fase della gara, un simile fondamento, a livello europeo, non è dato rinvenire, non al punto da consentire la modifica del raggruppamento temporaneo d’imprese con l’addizione di un soggetto esterno. In assenza di un tale fondamento, e al cospetto di una regola generale risalente di segno inverso di cui si è già detto, si impone quindi un’interpretazione comunitariamente orientata, ovvero conforme, della disposizione nazionale di cui al comma 19 ter dell’art. 48, privilegiando tra tutti i significati possibili quello che appare maggiormente conforme ai principi del Trattato e alle finalità della direttive in materia, nel senso che deve ritenersi consentita in sede di gara, per tutte le ragioni vedute, solo una modifica della composizione del raggruppamento c.d. per sottrazione ovvero per riduzione, la sola coerente con i principi di parità di trattamento e di concorrenza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Sul piano procedurale, l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="19"> <li style="font-weight: 400;"><em> È alla luce di queste considerazioni, dunque, che deve ora fornirsi risposta al quarto quesito, escludendo la sostituzione esterna per la figura della mandante, come anche logicamente per quella della mandataria.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> Sulla base di tutto quanto finora considerato possono quindi essere formulati i principi di diritto sulle questioni deferite ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. all’Adunanza plenaria dalla V sezione del Consiglio di Stato, alla quale la causa va restituita ai sensi del comma 4 della medesima disposizione:</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>– a) la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>– b) la partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>– c) l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>-d) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione, nella fase di gara, del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell’art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stata utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l’aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento; l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.</em></p>