Corte Costituzionale, ordinanza 28 ottobre 2021 n. 204
GUIDA ALLA LETTURA
sarebbe contrario alle garanzie proprie del diritto di difesa un assetto che imponga alla parte lesa dal provvedimento di aggiudicazione di proporre un ricorso recante motivi aggiunti prima che essa sia stata posta nelle condizioni di percepire il vizio che si intende denunciare, o comunque quando non le sia stato assicurato, a tal fine, l’intero termine di trenta giorni previsto dalla legge, e non le possa essere mosso alcun addebito di colpevole inerzia, o comunque di negligenza.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, con ordinanza del 2 marzo 2020 (reg. ord. n. 107 del 2020), questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 5, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) in riferimento all’art. 24 della Costituzione, nella parte in cui fa decorrere il termine per proporre motivi aggiunti, nelle controversie di cui al comma 1, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
Il rimettente giudica della legittimità di una procedura di affidamento di appalto pubblico di servizi, nella quale è controversa la tempestività della proposizione di motivi aggiunti al ricorso.
Questi ultimi, infatti, sono stati notificati il 31 luglio 2019, a seguito di accesso agli atti di gara conseguito il 15 luglio precedente. Tuttavia, la comunicazione dell’aggiudicazione (disciplinata ora, a seguito dell’abrogazione dell’indicato art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 – d’ora in avanti: “primo” cod. contratti pubblici – dall’art. 76 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante «Codice dei contratti pubblici») era pervenuta alla parte ricorrente nel processo principale fin dal 29 maggio 2019, sicché, assumendo tale ultima data a dies a quo per computare il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti, sarebbe palese la tardività di questi ultimi e la conseguente irricevibilità del ricorso che li contiene.
Il giudice a quo muove da tale presupposto interpretativo, che reputa imposto dal chiaro tenore letterale della disposizione censurata, e ne denuncia gli esiti come difformi dalle garanzie del diritto di difesa assicurate dall’art. 24 Cost. Infatti, il termine di decadenza per proporre motivi aggiunti decorrerebbe da una data nella quale la parte ricorrente ben potrebbe ignorare i vizi che affliggono la procedura di gara, e la cui conoscenza potrebbe seguire non già alla mera comunicazione dell’aggiudicazione a favore di altro concorrente, ma alla visione degli atti del procedimento, per effetto dell’istanza di accesso.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per «mancata compiuta individuazione del petitum», ovvero perché il rimettente non avrebbe indicato quale soluzione compatibile con la Costituzione questa Corte dovrebbe adottare, al fine di superare il prospettato vizio di illegittimità costituzionale.
L’eccezione non è fondata.
Questa Corte ha già affermato che «l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure» (sentenze n. 150 e n. 123 del 2021).
Nel caso di specie, il tenore dell’ordinanza di rimessione rende esplicito che il giudice a quo ravvisa una soluzione al dubbio di legittimità costituzionale nel regime generale di proposizione dei motivi aggiunti regolato dall’art. 43 dell’Allegato 1 al d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.), per il quale il termine non può che decorrere da quando chi abbia interesse al ricorso sia stato posto nelle condizioni di percepire il vizio, suscettibile di essere reso oggetto del motivo aggiunto.
3.– L’Avvocatura ha altresì eccepito l’inammissibilità della questione, perché il giudice rimettente avrebbe omesso ogni tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.
Ciò sarebbe particolarmente grave, secondo l’interveniente, alla luce della giurisprudenza amministrativa maturata sul censurato art. 120, comma 5, cod. proc. amm., che avrebbe già offerto una lettura della disposizione tale da renderla del tutto conforme all’art. 24 Cost.
La giurisprudenza, per la sua parte largamente maggioritaria, aveva infatti già precisato, al tempo in cui è stata adottata l’ordinanza di rimessione, che il rinvio contenuto nella norma censurata all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici va ora riferito al vigente art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici, che disciplina l’analogo istituto delle informazioni da comunicare a candidati e offerenti nella gara pubblica. Si era aggiunto che, per effetto di tale rinvio, il termine di trenta giorni per proporre il ricorso è suscettibile di essere incrementato (cosiddetta dilazione temporale) con riferimento agli ulteriori quindici giorni che l’art. 76, comma 2, prima parte, del “secondo” cod. contratti pubblici prevede ai fini dell’accesso agli atti di gara, e che, in ogni caso, per le ipotesi in cui l’amministrazione non permetta l’accesso, o lo procrastini indebitamente, il termine decorre solo da quando l’interessato abbia conosciuto gli atti della procedura.
Successivamente all’ordinanza di rimessione, tale indirizzo giurisprudenziale ha incontrato l’avallo della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 24 giugno-2 luglio 2020, n. 12.
3.1.– L’eccezione non è fondata.
Il giudice rimettente si è mostrato consapevole dell’indirizzo ermeneutico appena rammentato, ma ha dichiarato di ritenerlo precluso all’interprete dalla univoca formulazione letterale dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm., la quale imporrebbe di computare la decorrenza del termine per proporre motivi aggiunti dalla comunicazione dell’aggiudicazione, senza alcun correttivo che permetta in ogni caso al ricorrente di godere pienamente del termine assegnato dal legislatore, ove il profilo di illegittimità non potesse essere colto sulla base del solo provvedimento di aggiudicazione.
Questa Corte ha ripetutamente affermato, a tale proposito, che «l’effettivo esperimento del tentativo di una interpretazione costituzionalmente orientata – ancorché risolto dal giudice a quo con esito negativo per l’ostacolo ravvisato nella lettera della disposizione denunciata – consente di superare il vaglio di ammissibilità della questione incidentale sollevata. La correttezza o meno dell’esegesi presupposta dal rimettente – e, più in particolare, la superabilità o non superabilità degli ostacoli addotti a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata – attiene invece al merito, e cioè alla successiva verifica di fondatezza della questione stessa» (sentenza n. 189 del 2019; in tal senso, sentenze n. 172 del 2021, n. 262 e n. 221 del 2015).
Pertanto, alla luce della motivazione offerta dal rimettente per contrapporsi all’interpretazione costituzionalmente orientata, pur predominante in giurisprudenza, la questione è ammissibile.
4.– Nel merito, essa non è fondata.
Anzitutto, va osservato che non sussiste alcuno degli ostacoli ravvisati dal giudice a quo, quanto alla praticabilità della interpretazione adeguatrice da ultimo sposata dalla menzionata Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
4.1.– Il giudice a quo ritiene, in primo luogo, che il rinvio operato dalla norma censurata alla comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, ai fini della decorrenza del termine per proporre motivi aggiunti, non permetta di postergare in nessun caso il dies a quo, neppure per l’ipotesi di accesso agli atti di gara, né di adottare soluzioni correttive che garantiscano l’esercizio del diritto di difesa, nonostante simile decorrenza.
Viene così ravvisato un impedimento letterale che si frapporrebbe all’interpretazione invalsa in giurisprudenza durante la vigenza dell’art. 79 appena citato, e che è stata poi riproposta con riferimento al sopravvenuto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici.
Tuttavia, il rimettente non considera che entrambe le disposizioni appena ricordate disciplinano non solo l’informazione attinente alla aggiudicazione, ma anche quelle successive che l’amministrazione è tenuta a rendere disponibili, ovvero a comunicare, a seguito di richiesta di accesso agli atti (art. 79, comma 5-quater, del “primo” cod. contratti pubblici; art. 76, comma 2, del “secondo” cod. contratti pubblici). Fermo restando, perciò, che l’inizio del termine per proporre il ricorso coincide (in questo caso e salve le altre ipotesi individuate dalla giurisprudenza amministrativa) con la data della comunicazione della aggiudicazione, è proprio il rinvio al testo integrale (e dunque comprensivo dell’attività conseguente alla richiesta di accesso) dell’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici (ed ora a quello del sopravvenuto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici) a ricondurre nel cerchio delle interpretazioni compatibili con la lettera della legge, secondo il contesto logico-giuridico al quale pertiene la norma, la lettura che impone una dilazione temporale, correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici).
4.2.– Il rimettente, in secondo luogo, osserva che il censurato art. 120, comma 5, cod. proc. amm. continua a rinviare all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, pur dopo l’abrogazione di esso ad opera dell’art. 217, comma 1, lettera e), del “secondo” cod. contratti pubblici. Il giudice a quo ricava da ciò un ulteriore elemento letterale sfavorevole all’applicabilità alla fattispecie del sopraggiunto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici, sulla quale ormai si fonda l’interpretazione adeguatrice accolta dalla giurisprudenza amministrativa.
Tuttavia, tale argomento è inidoneo a sorreggere una simile conclusione. L’abrogazione dell’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, e la perdurante vigenza dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. censurato, infatti, pone un dubbio ermeneutico concernente la natura formale o materiale del rinvio disposto dalla disposizione censurata, e, nel caso in cui l’interprete si orienti per il carattere formale, un ulteriore profilo concernente l’individuazione, ove possibile, della norma eventualmente divenuta applicabile in luogo di quella abrogata, e delle forme e dei limiti entro i quali il rinvio può continuare ad operare. Si tratta, vale a dire, di tappe di un percorso integralmente riconducibile alla sfera propria dell’interpretazione, ovvero di un’attività tipica del giudice. Rispetto ad esso la lettera della legge, per la parte in cui dispone un rinvio ad una disposizione successivamente abrogata, non è un ostacolo, ma al contrario il punto di partenza che onera l’interprete del compito di assegnare alla norma il significato che essa acquisisce, a seguito dell’abrogazione della disposizione oggetto di rinvio.
4.3.– Infine, il rimettente sostiene che l’interpretazione intesa a individuare nel sopraggiunto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici l’oggetto del rinvio contenuto nell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. sarebbe del tutto eccentrica, perché comporterebbe che il termine per proporre non solo i motivi aggiunti, ma anche il ricorso principale decorra non già dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ma «solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura» a seguito di richiesta di accesso.
Il rimettente ritiene tale effetto, che sarebbe «in radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici», una conseguenza necessitata del presupposto secondo il quale la norma censurata dispone ora un rinvio all’art. 76, comma 2, del “secondo” cod. contratti pubblici, che disciplina le comunicazioni rese dall’amministrazione a seguito di istanza di accesso.
Tale convincimento non è però condivisibile, perché non vi è alcuna ragione per ritenere che la norma censurata contenga ora un rinvio solo a tale porzione dell’art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici, e non anche al comma 1 dello stesso articolo, che continua a disciplinare la comunicazione dell’aggiudicazione.
Ne consegue che il testo dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. è compatibile con un’interpretazione, come quella da ultimo seguita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale il dies a quo per proporre il ricorso principale ed i motivi aggiunti decorre dalla comunicazione dell’aggiudicazione (salve le ulteriori ipotesi di decorrenza di altra natura, ed estranee al presente incidente di legittimità costituzionale), fermo il già descritto meccanismo di dilazione temporale per denunciare i vizi che emergano a seguito dell’accesso agli atti di gara.
5.– Una volta appurato che non vi è alcun impedimento letterale o logico ad adottare l’interpretazione della norma censurata propugnata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, avvallata dalla Adunanza plenaria, resta da verificare se essa sia tale da assicurare la conformità della disposizione all’art. 24 Cost.
Questa Corte osserva, in via preliminare, che senza dubbio sarebbe contrario alle garanzie proprie del diritto di difesa un assetto che imponga alla parte lesa dal provvedimento di aggiudicazione di proporre un ricorso recante motivi aggiunti prima che essa sia stata posta nelle condizioni di percepire il vizio che si intende denunciare, o comunque quando non le sia stato assicurato, a tal fine, l’intero termine di trenta giorni previsto dalla legge, e non le possa essere mosso alcun addebito di colpevole inerzia, o comunque di negligenza.
L’istituto stesso dei motivi aggiunti, infatti, è finalizzato, per quanto qui rileva, a permettere l’introduzione in giudizio di profili di illegittimità dell’atto impugnato che non era stato possibile percepire innanzi, sulla base della sola cognizione del provvedimento lesivo.
Perciò, prevedere che il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti maturi, nonostante il vizio non fosse conoscibile mediante l’impiego della ordinaria diligenza, comporterebbe una arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2019 e n. 94 del 2017).
Oltretutto, nella materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi o forniture soggetti al diritto dell’Unione europea, una tale previsione sarebbe anche in contrasto con quest’ultimo, che invece esige che il termine per proporre ricorso decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della illegittimità che intende denunciare (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 28 gennaio 2010, in causa C-406/08, Uniplex, UK, Ltd, e ordinanza 14 febbraio 2019, in causa C-54/18, Cooperativa Animazione Valdocco S.C.S. Impresa sociale Onlus), formulando così una regola che, in tale settore, concerne sia il ricorso principale, sia la proposizione di motivi aggiunti.
Perciò, sono compatibili con l’art. 24 Cost., oltre che con il diritto dell’Unione europea, ove applicabile, quelle sole interpretazioni del quadro normativo per effetto delle quali la parte ricorrente disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque per proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe potuto prendere conoscenza usando l’ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell’impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativamente alcuna dimidiazione di esso.
6.– L’interpretazione respinta dal rimettente, ma avallata da ultimo dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, rientra nel novero appena descritto delle letture costituzionalmente orientate del censurato art. 120, comma 5, cod. proc. amm.
Difatti, essa assicura, mediante il meccanismo della cosiddetta dilazione temporale per i casi di accesso tempestivamente soddisfatto dall’amministrazione, che il termine per proporre i motivi aggiunti, pur decorrendo, per l’ipotesi prevista dalla disposizione censurata, dalla data di comunicazione dell’aggiudicazione, sia ugualmente pieno.
Parimenti, per il caso in cui l’amministrazione, invece, neghi l’accesso o lo procrastini con condotte dilatorie, il termine, secondo tale lettura esegetica, decorre, quanto ai vizi non percepibili innanzi, dalla data di effettiva conoscenza degli atti di gara, sicché con ciò si assicura alla parte ricorrente di poter usufruire dei trenta giorni assegnati dall’art. 120 cod. proc. amm. per articolare le proprie censure in giudizio.
7.– La configurabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che supera il profilo di illegittimità costituzionale denunciato, e che peraltro è già dominante in giurisprudenza, rende non fondata la questione sollevata dal rimettente.