Corte costituzionale, sentenza 7 novembre 2024, n. 174
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Sardegna 19 dicembre 2023, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023 (Legge di stabilità 2023), variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie», nella parte in cui, al numero 1), ha modificato l’art. 124, comma 2, della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), limitatamente alle parole «degli indici volumetrici e».
Va altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 16, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, che ha inserito il comma 3-bis nell’art. 37 della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture).
Vanno invece dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, nella parte in cui, al numero 1), ha modificato l’art. 124, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri;
Va, infine, dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 16, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, che ha inserito il comma 3-bis nell’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, promossa, in riferimento all’art. 136 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato varie disposizioni della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023.
Riservata a separata pronuncia la decisione sulle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, vengono ora esaminate quelle relative all’art. 4, comma 1, lettera a), nonché all’art. 7, comma 16. 2.
– L’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023 ha modificato l’art. 124 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che detta norme in tema di «[i]nterventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra».
La citata lettera a) è ripartita nei numeri 1) e 2). La disposizione di cui al numero 1) ha modificato il comma 2 dell’art. 124, mentre quella di cui al numero 2) ne ha sostituito il comma 3.
Dal contenuto del ricorso si desume che l’impugnazione, pur riferendosi testualmente all’intera lettera a ), ha per oggetto solo il suo numero 1), cui va pertanto limitato l’esame.
La modifica in questione è consistita nell’inserimento al comma 2 dell’art. 124, dopo le parole «sono consentiti», delle seguenti: «, anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza e numero dei piani previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali,».
Di conseguenza, ora l’art. 124, comma 2, della legge della reg. Sardegna n. 9 del 2023 dispone che «[n]egli immobili destinati ad uso abitativo sono consentiti, anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza e numero dei piani previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali, gli interventi di riuso dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra esistenti con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri – che riferisce di avere promosso, con precedente ricorso iscritto al n. 35 reg. ric. 2023, analoghe questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 124, nel testo anteriore alla modifica – la disposizione impugnata violerebbe l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Sardegna.
Ciò in quanto, consentendo il potenziale aumento della cubatura degli immobili ad uso abitativo e l’alterazione degli standard urbanistici, contrasterebbe con il principio della pianificazione urbanistica unitaria del territorio, espresso dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, non rispettando in tal modo i limiti della competenza legislativa regionale primaria in materia di «edilizia ed urbanistica».
Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., quest’ultimo per inosservanza dell’«obbligo di pianificazione concertata e condivisa, necessaria per un ordinato sviluppo urbanistico e per individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
2.1.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. sono inammissibili.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi in via principale il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, bensì anche quello di allegare, a sostegno delle questioni proposte, una motivazione non meramente assertiva ma sufficientemente chiara e completa (tra le molte, sentenze n. 155, n. 125 e n. 80 del 2023, n. 135 del 2022).
Quanto alla violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., il ricorrente non allega alcuna specifica ragione di censura e si limita a indicare i parametri asseritamente violati, il cui richiamo consente tutt’al più di ipotizzare che egli invochi genericamente la tutela costituzionale dell’ambiente e la competenza legislativa statale nella stessa materia.
Quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., che è denunciata senza individuare alcun parametro interposto, non si possono formulare nemmeno generiche ipotesi ricostruttive.
Il difetto di adeguata motivazione riguarda anche il denunziato contrasto con il principio di leale collaborazione. Il ricorrente lamenta l’inosservanza dell’«obbligo di pianificazione concertata e condivisa, necessaria per un ordinato sviluppo urbanistico e per individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del [c]odice dei beni culturali e del paesaggio».
Manca, tuttavia, una motivazione chiara e adeguata, e non meramente assertiva, sugli specifici termini del conflitto della disposizione impugnata con il parametro evocato (nello stesso senso, sentenza n. 142 del 2024, punto 3 del Considerato in diritto, su analoghe questioni promosse con il citato ricorso iscritto al n. 35 reg. ric. 2023).
2.2.– Venendo all’esame nel merito della censura di violazione dell’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Sardegna, innanzi tutto deve esserne esattamente definito il perimetro.
I sintetici motivi di ricorso si concentrano sulla possibilità che gli interventi di riuso dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra siti negli immobili ad uso abitativo producano un aumento delle cubature e un’alterazione degli standard urbanistici (in altri termini, sulla possibilità che siano superati i limiti di densità edilizia fissati dagli standard o, in termini più rigorosi, dalla pianificazione comunale), senza contestare l’eventuale superamento, mediante il riuso, degli ulteriori «limiti di altezza e numero dei piani».
Di conseguenza, la censura va circoscritta alla parte della disposizione impugnata che, modificando il comma 2 dell’art. 124 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, consente il superamento «degli indici volumetrici» previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali (in senso analogo, ancora sentenza n. 142 del 2024, punti 5.4. e 5.4.1. del Considerato in diritto, sulla mancata contestazione, in quel giudizio, dell’«eventuale superamento degli ulteriori limiti di altezza, distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti e gli spazi destinati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi»).
2.2.1.– Ciò premesso, si osserva che la disposizione impugnata, per il suo contenuto, è riconducibile alla materia «edilizia ed urbanistica», attribuita dall’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Sardegna alla competenza legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna.
Secondo lo stesso art. 3 dello statuto, tuttavia, questa competenza deve essere esercitata nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, dettate dal legislatore statale per «rispond[ere] complessivamente ad un interesse unitario» e che «esig[o]no, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 198 del 2018).
A tali norme questa Corte ha già ricondotto l’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, individuato dal ricorrente come parametro interposto, che esprime il principio della necessaria pianificazione urbanistica del territorio (tra le molte, sentenze n. 147, n. 136, n. 90 e n. 17 del 2023) e costituisce il fondamento della disciplina degli standard urbanistici (sentenza n. 142 del 2024).
Il ricorrente lamenta dunque che il legislatore regionale, prevedendo il riuso di seminterrati, piani pilotis e locali siti a piano terra anche mediante il superamento degli indici volumetrici previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali, avrebbe travalicato i limiti della sua competenza primaria, rappresentati dal principio di pianificazione urbanistica e dalla disciplina degli standard urbanistici.
La fondatezza della censura deriva dalla natura stabile della disciplina espressamente derogatoria degli indici volumetrici contenuta, in termini generali, nella disposizione impugnata, disciplina che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore regionale può introdurre purché le deroghe generali siano connotate dalla «eccezionalità e […] temporaneità» e dal perseguimento di «obiettivi specifici, coerenti con i detti caratteri» (tra le molte, sentenza n. 17 del 2023).
A tal proposito sono rilevanti le considerazioni svolte da questa Corte nella citata sentenza n. 142 del 2024, sotto due profili (trattati, rispettivamente, ai punti 6.1.2. e 6.3.3. del Considerato in diritto).
Il primo attiene alla questione che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva promosso, per violazione dei medesimi parametri evocati in questa sede, nei confronti dell’art. 124 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 nel testo previgente, che ammetteva gli interventi di riuso di seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra senza consentire espressamente il superamento degli indici volumetrici.
Questa Corte ha ritenuto la questione non fondata, escludendo che «la disciplina sul riutilizzo di spazi e volumi dia luogo di per sé alla deroga agli indici volumetrici».
Ha tuttavia osservato, rilevando la stabile portata derogatoria della previsione qui censurata, che «[t]anto trova conferma a contrario nello ius superveniens che ha modificato il comma 2 dell’art. 124», in quanto «l’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023 ha aggiunto alla norma che consente il riuso dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra esistenti negli immobili destinati ad uso abitativo, l’inciso “anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza e numero dei piani previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali”», autorizzando espressamente «[s]olo con tale addizione […] la superabilità della densità edilizia».
Il secondo profilo attiene invece all’accoglimento, sulla base delle stesse censure, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 123, comma 11, della legge regionale n. 9 del 2023, che consentiva espressamente il recupero dei sottotetti «anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali».
Questa Corte ha rilevato, in particolare, che l’impugnata disposizione derogatoria, «pur nella apprezzabile finalità di ridurre il consumo di suolo, disattende la densità prevista dagli strumenti urbanistici in termini stabili, assentendo in via generale gli interventi di riutilizzo con riguardo ad un novero particolarmente ampio di spazi e volumi».
Da ciò la conclusione che «[l]a norma regionale impugnata […] vulnera […] l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio presidiato dagli standard e dal principio di pianificazione».
Infine, questa Corte ha ritenuto sufficiente, per ripristinare la legittimità costituzionale della disposizione, «espungere l’inciso “degli indici volumetrici e”».
Le medesime ragioni – e la medesima limitazione della pronuncia ablativa (per le considerazioni qui svolte al precedente punto 2.2.) – valgono anche per la disposizione derogatoria in esame. Pertanto, dev’essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, nella parte in cui, al numero 1), ha modificato l’art. 124, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente alle parole «degli indici volumetrici e».
3 – Passando all’esame dell’art. 7, comma 16, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, esso ha inserito nell’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018 il nuovo comma 3-bis, secondo cui «[p]er i contratti di cui al comma 1 costituisce requisito di ammissione dell’offerta tecnica il raggiungimento del punteggio minimo pari al 60 per cento del valore massimo attribuibile all’offerta tecnica stessa».
Ad avviso del ricorrente, sarebbero violati l’art. 3, primo comma, lettera e), dello statuto reg. Sardegna e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto tale disposizione «non trova riscontro nel codice dei contratti pubblici vigente» di cui al d.lgs. n. 36 del 2023, superando, di conseguenza, i limiti della competenza legislativa regionale in materia di «lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione» e invadendo così la competenza legislativa statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza».
La disposizione impugnata violerebbe inoltre il giudicato costituzionale di cui all’art. 136 Cost., poiché rinvia al comma 1 dell’art. 37 della stessa legge regionale n. 8 del 2018, già dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte con la sentenza n. 166 del 2019.
3.1.– Va innanzi tutto esaminata la censura di violazione del giudicato costituzionale, promossa in riferimento all’art. 136 Cost., in quanto attinente all’esercizio stesso del potere legislativo, «che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione» (sentenza n. 151 del 2024; nello stesso senso, tra le molte, sentenze n. 73 del 2022 e n. 215 del 2021).
3.1.1.– La questione non è fondata. Secondo il costante orientamento di questa Corte, la violazione del giudicato costituzionale si configura solo quando la nuova disposizione mantiene in vita o ripristina, anche indirettamente, gli effetti della medesima struttura normativa oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale (tra le molte, ancora sentenze n. 151 del 2024 e n. 73 del 2022).
Il ricorrente invoca quale giudicato la sentenza n. 166 del 2019, con cui, per quanto qui rileva, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 1 (e, in via consequenziale, dei commi 2, 3, 4 e 8) dell’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018.
L’art. 37, rubricato «Commissione giudicatrice», prevedeva, al comma 1, che «[n]elle procedure di aggiudicazione dei contratti di appalto e di concessione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ai sensi dell’articolo 95 del decreto legislativo n. 50 del 2016, ai fini della nomina dei componenti della commissione di gara,» la Regione istituisse «l’Albo telematico dei commissari di gara, suddiviso per categorie di specializzazione, a cui le stazioni appaltanti [avrebbero avuto] accesso libero e diretto».
Il Presidente del Consiglio dei ministri, nell’impugnare tale disposizione, sosteneva che essa, prevedendo l’istituzione presso la Regione dell’«Albo telematico dei commissari di gara», si era discostata dall’art. 78 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che aveva istituito presso l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) l’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, conferendo, altresì, alla stessa ANAC la competenza di definire, con apposite linee guida, i criteri e le modalità di iscrizione, nonché le modalità di funzionamento delle commissioni giudicatrici.
Accogliendo la questione, per il contrasto dell’impugnato comma 1 con i limiti statutari della potestà legislativa regionale in materia di lavori pubblici, questa Corte ha osservato che l’art. 78 del d.lgs. n. 50 del 2016, «nell’operare la drastica scelta di sottrarre la nomina dei commissari di gara alle stazioni appaltanti» e nel prevedere l’istituzione e la gestione, a cura dell’ANAC, del citato «Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici», aveva introdotto «una radicale innovazione.
L’innovazione era […] ispirata a finalità di trasparenza, imparzialità, tutela della concorrenza e prevenzione di reati», nell’esercizio delle «competenze esclusive statali della tutela della concorrenza e dell’ordine pubblico» (sentenza n. 166 del 2019, punti 9.2. e 9.3. del Considerato in diritto).
Il comma 3-bis dell’art. 37, aggiunto dal qui impugnato art. 7, comma 16, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, ha un contenuto del tutto estraneo all’istituzione dell’«Albo telematico dei commissari di gara», pertanto esso non riproduce né mantiene in vita o ripristina, direttamente o indirettamente, gli effetti della norma di cui al comma 1.
La disposizione impugnata, infatti, riguarda i requisiti di ammissione dell’offerta tecnica nei contratti da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
3.2.– Si può ora passare all’esame della censura dell’art. 7, comma 16, sotto il diverso profilo del riparto di competenze. Il ricorrente lamenta il superamento dei limiti della potestà legislativa regionale in materia di «lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione», di cui all’art. 3, primo comma, lettera e), dello statuto reg. Sardegna.
Questi limiti, che derivano dalla necessità di rispettare gli obblighi internazionali, le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, sarebbero rinvenibili nelle disposizioni del vigente codice dei contratti pubblici emanate dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela della concorrenza».
È questo, pertanto, il corretto significato da attribuire alla contemporanea evocazione del citato parametro statutario e dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
3.2.1.– La questione è fondata. Sebbene il ricorrente non indichi espressamente specifiche norme del d.lgs. n. 36 del 2023 limitanti la potestà legislativa regionale, va considerato che la disposizione impugnata ha per oggetto la «offerta tecnica» nelle procedure di aggiudicazione dei contratti di cui al comma 1 dell’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, vale a dire, come si è visto, nelle procedure di aggiudicazione dei «contratti di appalto e di concessione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo».
Questo ambito oggettivo consente di identificare con certezza le norme statali di riferimento in quelle che, al Titolo V della Parte V del Libro II del d.lgs. n. 36 del 2023 (articoli da 107 a 112), disciplinano «[l]a selezione delle offerte», con particolare riguardo all’art. 108, che, fra l’altro, detta norme sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
La disposizione impugnata prevede che, qualora il contratto sia aggiudicato con questo criterio, la componente tecnica dell’offerta deve raggiungere un punteggio minimo, pari al sessanta per cento del tetto massimo stabilito dalla stazione appaltante per la valutazione di tale componente, pena la non ammissione dell’offerta tecnica stessa.
Considerato che il raggiungimento del punteggio minimo può essere verificato solo in seguito alla valutazione dell’offerta da parte dei commissari di gara, il legislatore regionale ha introdotto, all’esito di tale valutazione, una causa di esclusione automatica dell’offerta tecnica dalla procedura di affidamento, che non lascia alla stazione appaltante alcun margine per una scelta diversa.
Una simile previsione non è contemplata dall’art. 108 cod. contratti pubblici. Il comma 4 di tale disposizione prevede che «[i] documenti di gara stabiliscono i criteri di aggiudicazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto», e che, «[i]n particolare, l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto».
Prevede, inoltre, che «[l]a stazione appaltante, al fine di assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici».
Secondo il successivo comma 7, «[i] documenti di gara […] indicano i singoli criteri di valutazione e la relativa ponderazione, anche prevedendo una forcella in cui lo scarto tra il minimo e il massimo deve essere adeguato».
Il codice dei contratti pubblici è dunque improntato al principio della «autonomia di scelta dell’amministrazione aggiudicatrice, che […] deve correlare l’individuazione, oltre che dei criteri, anche degli elementi di valutazione degli stessi, alla natura, all’oggetto e al contenuto dell’appalto», spettando alla sua discrezionalità «tanto determinare e poi applicare i criteri di volta in volta ritenuti più idonei per valutare il carattere più vantaggioso dell’offerta» (sentenza n. 23 del 2022, con argomenti riferiti all’art. 95, comma 6, del previgente codice dei contratti pubblici, ma estensibili alle analoghe previsioni di cui all’art. 108 del d.lgs. n. 36 del 2023).
Imponendo un inderogabile punteggio minimo dell’offerta tecnica, la disposizione regionale impugnata lede, in definitiva, l’autonomia di scelta della stazione appaltante, alla quale viene preclusa, tra l’altro, una diversa ponderazione dei criteri di valutazione, ove ritenesse di adottare una forcella tra il minimo e il massimo, come è previsto dal citato art. 108, comma 7.
Disposizione, quest’ultima, che affida alla stessa stazione appaltante il potere di valutare, volta per volta, l’adeguatezza dello scarto, senza stabilirlo in modo fisso. Secondo il costante orientamento di questa Corte, le disposizioni del codice dei contratti pubblici che riguardano la scelta del contraente (le procedure di affidamento) sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza e costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, attuative anche di «obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea» (sentenza n. 114 del 2011).
Ne consegue che le regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme.
In particolare, questa Corte ha affermato che «[l]a concorrenza, che in generale rinviene nell’uniformità di disciplina “un valore in sé perché differenti normative regionali sono suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali” (sentenza n. 283 del 2009), a fortiori, non tollera regole differenziate a livello locale nelle procedure che danno accesso alla stipula dei contratti pubblici» (ancora, sentenza n. 23 del 2022).
La garanzia di un confronto concorrenziale effettivo necessita della autonomia delle stazioni appaltanti nella valutazione caso per caso della migliore offerta.
Tale autonomia è stata rafforzata dal nuovo codice dei contratti pubblici del 2023 rispetto alle precedenti sue versioni.
Lo dimostrano chiaramente le norme del codice dedicate ai «principi generali» che regolano la contrattualità pubblica: in particolare, le norme contenute nei primi tre articoli del codice. In base al «[p]rincipio del risultato», le stazioni appaltanti «perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza» (art. 1, comma 1).
In base al «[p]rincipio della fiducia», viene favorita e valorizzata «l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato» (art. 2, comma 2).
Infine, in base al «[p]rincipio dell’accesso al mercato», le stazioni appaltanti «favoriscono […] l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità» (art. 3, comma 1).
L’autonomia delle stazioni appaltanti, dunque, risulta potenziata: limitarla significherebbe pregiudicare la competizione tra le imprese che aspirano all’aggiudicazione del contratto.
In conclusione, la disposizione impugnata ha superato i limiti posti dalle citate norme fondamentali, adottate dallo Stato in nome della tutela della concorrenza, alla competenza legislativa primaria che l’art. 3, primo comma, lettera e), dello statuto attribuisce alla Regione autonoma Sardegna. Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 16, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, che ha inserito il comma 3-bis nell’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018.