Corte di Cassazione civile, ordinanza 28 giugno 2024, n. 17942
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
La responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.
La valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del vizio motivazionale come tuttora denunciabile per cassazione (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti).
In tema di sport amatoriale, pur implicante attività agonistica, la consapevolezza del rischio di chi vi partecipa volontariamente riduce la soglia di responsabilità dei custodi del bene sul quale viene svolta la competizione, i quali sono tenuti ad attenersi alle normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, ove esso, per le sue intrinseche caratteristiche, non sia più elevato che nella media
La responsabilità ex art. 2051 c.c. del gestore di piste da sci alpino presuppone la sussistenza di un nesso causale tra la caduta dello sciatore danneggiato e la presenza di un pericolo “atipico” sulla pista, da intendersi come ostacolo difficilmente visibile e, pertanto, non facilmente evitabile anche da parte di uno sciatore diligente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto responsabile il gestore per la caduta di uno sciatore, provocata dalla presenza di un accumulo di neve derivante da innevamento artificiale, scarsamente visibile e di rilevanti dimensioni, tale da impegnare una parte considerevole della pista e, pertanto, non riconducibile al normale utilizzo della stessa).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Motivi della decisione
1.1 – Con il primo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 4 della Normativa Nazionale Omologazione Impianti Sportivi – Sezione Motocross, per aver la sentenza impugnata escluso la responsabilità ex art. 2043 c.c. del Crossodromo, rilevando che sassi di rilevanti dimensioni, presenti nella pista e causa dell’evento dannoso, esulano dall’obbligo di manutenzione e vanno considerati mere asperità naturali con cui il motociclista deve necessariamente confrontarsi.
1.2 – Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., per aver la Corte veneta escluso la responsabilità del custode, ancorché fosse stato dimostrato il nesso causale tra cosa ed evento, in assenza di prova positiva di fatto fortuito idoneo a spezzare il nesso causale, prova tuttavia indispensabile, secondo il paradigma dell’art. 2051 c.c., per escludere la responsabilità del custode.
1.3 – Con il terzo motivo, infine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si lamenta l’omesso esame, nonché assoluta mancanza di motivazione al riguardo, circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, non essendosi valutata come necessaria la sussistenza del caso fortuito onde escludere la responsabilità del custode riguardo alle condizioni della pista custodita.
2.1 – Occorre anzitutto rilevare che la Corte d’appello ha negato la sussistenza della responsabilità dell’ASD, nell’occorso, in relazione ad entrambi i profili ventilati dal A.A.: sia con riguardo alla responsabilità ex art. 2043 c.c., non essendosi ravvisato né il presupposto della natura antigiuridica della condotta (cioè, all’evidenza, la colpa specifica della stessa ASD, posto che non è stato rinvenuto un onere di manutenzione della pista tale da eliminare i sassi da essa affioranti, onere non configurabile al lume dell’art. 4 del Regolamento FMI), sia con riguardo alla responsabilità ex art. 2051 c.c., essendosi ascritto l’incidente a caso fortuito.
Entrambi i suddetti profili sono stati attinti, rispettivamente, con il primo e con il secondo e il terzo motivo di ricorso.
3.1 – Ciò posto, il primo motivo è infondato.
Va anzitutto premesso che l’art. 4 del Regolamento – FMI non reca propriamente una norma giuridica, la cui violazione e/o falsa applicazione possa di per sé denunciarsi in questa sede di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; le relative disposizioni, destinate agli affiliati, possono però utilizzarsi ai fini della configurazione del parametro della diligenza esigibile dal gestore di una pista di motocross, sub specie di oneri manutentivi, nell’egida dell’art. 2043 c.c., ed in questo senso saranno valutate (così come, in effetti, lo sono state dal giudice d’appello).
3.2 – Come correttamente evidenziato dalla controricorrente, l’art. 4 del detto regolamento non configura affatto il contenuto dell’obbligo di manutenzione della pista da motocross, ma detta soltanto le condizioni che devono osservarsi affinché il circuito possa essere omologato dalla Federazione, richiedendosi in particolare che non si faccia ricorso ad elementi non naturali (quali ad es., cemento, catrame, ecc.).
In altre parole, come sostanzialmente pure ritenuto dal giudice d’appello, la disposizione regolamentare vuole solo impedire che, lungo il percorso della pista da motocross, l’utente possa imbattersi in opere, manufatti, ecc., creati dall’uomo e dunque esulanti dal contesto fuoristradistico. Ciò, evidentemente, in piena sintonia con lo sport cui il circuito omologando è destinato, caratterizzato dall’uso di potenti ed agili motocicli, dotati di speciali gomme tassellate e ampia escursione degli ammortizzatori, in grado di affrontare efficacemente e velocemente le asperità del terreno e le difficoltà connesse (salti, curve, avvallamenti, ecc.);
si tratta, come è noto, di uno sport fuoristradistico, la cui essenza – se confinata in un circuito all’uopo predisposto – consiste proprio nell’affrontare nel più breve tempo possibile il perimetro del circuito stesso, le cui caratteristiche il pilota deve sfruttare, con abilità, per sopravanzare i concorrenti (per meglio intendersi: il tratto di circuito percorso durante un salto consente al pilota di coprire una data lunghezza molto più velocemente che la si percorresse senza effettuare il salto stesso); ma la questione non cambia affatto in relazione ad un utilizzo del circuito non agonistico (non finalizzato, cioè, all’espletamento di una gara, ma solo per allenamento od altra causa di diporto, come avvenuto nella specie).
Per quanto lapalissiano, è comunque chiaro che l’utilizzo del circuito da parte del motociclista richiede apprezzabile perizia, trattandosi comunque di uno sport motoristico, di per sé pericoloso, svolto in ambiente natura/iter accidentato, destinato a continui mutamenti, giro dopo giro, per effetto dell’intenso lavoro cui il circuito è sottoposto dall’azione dei motocicli, anche in ragione della tassellatura delle gomme di cui essi sono dotati.
3.3 – La presenza di sassi o asperità varie sul percorso, dunque, fa parte del gioco, fatte salve situazioni che, in relazione alle cennate caratteristiche dello sport di cui si discute, si presentino come obiettivamente eccezionali e/o imprevedibili secondo quanto normalmente atteso da un manufatto di questa specie (si ipotizzi un ostacolo così rilevante, su un circuito da motocross, da non poter essere superato o affrontato da una moto da cross, ma solo, ad es., da una moto trial).
Quanto precede, fermo l’obbligo del gestore di schermare opportunamente ostacoli disseminati lungo il circuito, quali quelli indicati dall’art. 4.11 del Regolamento, mediante balle di paglia o materiale assorbente gli urti.
3.4 – Tale situazione non può riscontrarsi in relazione al caso che occupa, in cui lo stesso accertamento operato dalla Corte d’appello, circa la presenza di sassi affioranti dal terreno per circa 15 – 20 cm. (rectius, “sassi di dimensioni apprezzabili”), è avvenuta più su base deduttiva che fenomenica ed appare comunque compatibile con l’uso cui il circuito era destinato.
Del tutto correttamente, dunque, la Corte d’appello ha escluso la responsabilità dell’ASD ex art. 2043 c.c., non essendo configurabile un onere manutentivo – o altrimenti positivo o commissivo – del circuito da motocross, in capo al gestore, tale da rendere il percorso privo di ostacoli, asperità o pericoli: invece, consustanziali alla stessa natura dello sport di cui si discute.
4.1 – Il secondo e il terzo motivo – da esaminarsi congiuntamente perché connessi – sono parimenti infondati, benché la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta, ai sensi dell’art. 384, ult. comma, c.p.c..
Nel rigettare anche la domanda attorea ex art. 2051 c.c., con le stesse argomentazioni già viste ed utilizzate in relazione alla domanda ex art. 2043 c.c., la Corte lagunare ha escluso la responsabilità dell’ASD per “caso fortuito”; da tanto dovrebbe dunque ricavarsi che il A.A., nella apparente prospettiva della stessa Corte d’appello (e come infatti sostenuto dallo stesso ricorrente con i mezzi in esame), avrebbe assolto integralmente l’onere sullo stesso gravante, in special modo circa la sussistenza del nesso di causalità tra la res in custodia e l’evento; se tanto fosse vero, avrebbe buon gioco il ricorrente nel rimarcare l’error iuris commesso dalla Corte lagunare, perché il caso fortuito, che esime il custode da responsabilità, deve avere ben determinate caratteristiche, nient’affatto scrutinate dal giudice d’appello.
Può sin d’ora anticiparsi che cosi non è, per quanto paia opportuno effettuare una ricognizione circa lo stato della giurisprudenza di legittimità con riguardo alla responsabilità da custodia.
4.2 – In proposito, occorre evidenziare che questa Corte, con ordinanza n. 2482/2018 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018), ha avuto modo di precisare che: “In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro“.
Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. n. 27724/2018; Cass. n. 20312/2019; Cass. n. 38089/2021; Cass. n. 35429/2022), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, essendosi statuito (Cass. n. 11152/23; Cass. n. 14228/2023; Cass. n. 21675/2023; Cass. n. 33074/2023) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., n. 21675/2023, Rv. 668745 – 01; ancor più di recente, Cass. n. 2376/2024, Rv. 670396 – 01) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.
A tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del vizio motivazionale come tuttora denunciabile per cassazione (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. n. 16502/2017).
Riassumendo, l'”esatta interpretazione” che, ai sensi dell’art. 65 ord. giud., le Sezioni Unite (nonché i successivi approdi della giurisprudenza di questa Corte) hanno dato dell’art. 2051 c.c., per quanto qui rileva, può così compendiarsi (da ultimo, Cass. n. 8346/2024):
- a) la responsabilità del custode è esclusa dalla prova del “caso fortuito”;
- b) il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d’un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato, oppure in un comportamento della vittima;
- c) se il caso fortuito è consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile;
- d) se il caso fortuito è consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri: d’) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno; d”) valutare se il danneggiato ha rispettato il “generale dovere di ragionevole cautela”; d”’) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza “irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”; d””) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.
4.3 – Ora, l’affermazione della Corte del merito, circa la ricorrenza nella specie del caso fortuito, è chiaramente erronea.
Si afferma in sentenza che l’unico teste oculare ha solo confermato che l’attore cadde col bacino su un sasso, ma non anche che egli sia caduto a causa dell’impatto della moto contro un sasso, avendo il teste solo visto che la moto dell’attore si impennò prima di cadere per terra.
Insomma, difetta ogni accertamento, da parte della Corte d’appello, sulla eziologia della caduta, avendo il A.A. solo dimostrato l’occasione della caduta (l’impatto della parte bassa della schiena contro un sasso, quand’anche di dimensioni apprezzabili, costituisce ovviamente un posterius, anche sul piano logico).
Così stando le cose, ciò che in realtà la Corte lagunare ha inteso dire è non già che l’attore avesse assolto l’onere della prova a suo carico, sì da far emergere il contrapposto onere a carico del custode del circuito, ma solo che la caduta del A.A. costituiva un fatto meramente casuale, ossia strettamente ed intimamente connaturato con i rischi normalmente affrontati da chi si cimenta col motocross.
Ciò risulta palese proprio dalla motivazione addotta dalla Corte, laddove essa si sofferma sulla impossibile configurabilità, nella specie, di caratteristiche intrinseche o condizioni di manutenzione della pista dell’ASD incompatibili con lo sport di cui si discute.
4.4 – Così emendata la motivazione, la finale statuizione di rigetto della domanda attorea ex art. 2051 c.c. appare senz’altro corretta, perché nell’esame della responsabilità risarcitoria (lato sensu intesa), collegata all’esercizio sportivo non professionistico, non può prescindersi dall’accettazione del rischio da parte dell’utente, connaturato al tipo di sport praticato: è ben noto, anzitutto, l’insegnamento di Cass. n. 3997/2020, secondo cui “In tema di sport amatoriale, pur implicante attività agonistica, la consapevolezza del rischio di chi vi partecipa volontariamente riduce la soglia di responsabilità dei custodi del bene sul quale viene svolta la competizione, i quali sono tenuti ad attenersi alle normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, ove esso, per le sue intrinseche caratteristiche, non sia più elevato che nella media” (principio affermato in relazione al calcetto).
Particolarmente calzante, in detta prospettiva, risulta poi l’insegnamento di Cass. n. 16223/2022, dettata circa la pratica dello sci amatoriale: “La responsabilità ex art. 2051 c.c. del gestore di piste da sci alpino presuppone la sussistenza di un nesso causale tra la caduta dello sciatore danneggiato e la presenza di un pericolo “atipico” sulla pista, da intendersi come ostacolo difficilmente visibile e, pertanto, non facilmente evitabile anche da parte di uno sciatore diligente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto responsabile il gestore per la caduta di uno sciatore, provocata dalla presenza di un accumulo di neve derivante da innevamento artificiale, scarsamente visibile e di rilevanti dimensioni, tale da impegnare una parte considerevole della pista e, pertanto, non riconducibile al normale utilizzo della stessa)”.
Richiamando quanto già osservato nel par. 3.2 circa la presenza di ostacoli eccezionali o imprevedibili, in relazione al motocross, il principio da ultimo richiamato, con gli opportuni adattamenti, ben può applicarsi anche al tema che occupa: in caso di sinistro verificatosi su una pista da motocross, l’eziologia richiesta dall’art. 2051 c.c. – in relazione all’onere di custodia gravante sul gestore del circuito ed all’accertamento della sua connessa responsabilità – deve parametrarsi rispetto ad un pericolo “atipico”, non facilmente evitabile anche da parte di un pilota sufficientemente esperto, restando relegato nella ordinaria casualità ogni altro evento rapportabile al pericolo “normale” o “tipico” correlato allo sport motoristico in parola.
Pertanto, posto che il sinistro occorso al A.A. appare essere stato nella sostanza correttamente apprezzato dal giudice d’appello, nel senso appena descritto, può anche aggiungersi – davvero adabundantiam – che la circostanza che il sinistro stesso sia accaduto durante il giro di ricognizione del circuito da parte dello stesso danneggiato (v. ricorso, p. 5) denota vieppiù l’assenza dei vizi denunciati dal A.A. in questa sede: l’incidente può dirsi senz’altro correlato all’accettazione del rischio “normalmente” gravante sull’utente di un circuito da motocross, se non pure da una verosimilmente inadeguata perizia dello stesso A.A., addirittura caduto in una fase in cui il circuito stesso avrebbe dovuto affrontarsi con la necessaria cautela, proprio per individuarne le caratteristiche e i pericoli “tipici” (posto che di pericoli “atipici”, nella specie, non v’è traccia, come s’è detto ampiamente).
Il che, in buona sostanza, è quanto ha inteso affermare – seppur cripticamente, non meno che correttamente – la Corte lagunare.
5.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato.
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