<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, V Sezione Penale, sentenza 10 giugno 2021, n. 23040</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>PRINCIPIO DI DIRITTO</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Accertata la responsabilità penale dell’imputato, con sentenza ormai irrevocabile sul punto, quest'ultimo cessa di essere semplicemente un aspetto intangibile della futura condanna in sede di rinvio (come tale rimuovibile per l'intervento di cause estintive o modificative), per divenire, invece, una porzione qualificante della sentenza non annullata, che assume, essa stessa, i connotati di un giudicato, appunto, di responsabilità.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>La sopravvenienza di una <em>lex posterior</em>, incidente solo sul contenuto della previsione normativa in tema di legittima difesa <em>ex</em> art. 52 c.p. non può essere considerata equivalente ad una <em>abolitio criminis</em>.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi infondati.</em></li> <li><em> Come si è detto il ricorrente propone una interpretazione del disposto dell'art. 2 c.p., comma 4, secondo cui "se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile", nel senso che la preclusione rappresentata dalla formazione del giudicato deve ritenersi non operante se dall'applicazione della nuova legge penale può discendere l'assoluzione dell'imputato o del condannato ovvero un suo trattamento sanzionatorio più favorevole. Orbene, nella sua pur suggestiva prospettazione, la tesi difensiva, non tiene sufficientemente conto dei principi da tempo sedimentati nella giurisprudenza di legittimità in tema di <strong>effetti della formazione del giudicato cd. parziale</strong>, a partire dall'affermazione, secondo cui non può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della Corte di cassazione che dispone l'annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l'irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all'imputato (fattispecie relativa a condanna per concussione annullata limitatamente alla individuazione della pena prima dell'approvazione della L. 6 novembre 2012, n. 190: cfr. Cass., Sez. U., n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258654).</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Giova ribadire, osserva la Corte, alcune riflessioni svolte al riguardo dal Supremo Collegio nella sua espressione più autorevole.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>"La <strong>preclusione del giudicato</strong> come <strong>limite alla applicazione retroattiva della lex mitior</strong> è stata...più volte scrutinata dalla Corte costituzionale, anche sul versante della relativa compatibilità con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, per come interpretati dalla Corte di Strasburgo, e si è osservato come la giurisprudenza di quella Corte, non soltanto abbia puntualizzato che il principio della retroattività della legge più favorevole possa subire deroghe o limitazioni in presenza di particolari situazioni, ma abbia anche espressamente riconosciuto che il principio in questione non è in grado di travolgere il giudicato (v. ad esempio, la sentenza n. 236 del 2011). D'altra parte, lo stesso Giudice delle leggi, chiamato a pronunciarsi in merito ad una questione relativa alla mancata previsione della possibilità di revoca della sentenza di condanna a norma dell'art. 673 c.p.p., a seguito di <strong>overruling giurisprudenziale</strong> in ordine alla qualificazione di un fatto come reato, ha puntualmente escluso "che dalle conclusioni raggiunte a proposito del principio di irretroattività della norma sfavorevole possa automaticamente ricavarsi l'esigenza convenzionale di rimuovere, in nome del principio della retroattività della lex mitior, le decisioni giudiziali definitive non sintoniche con il sopravvenuto mutamento giurisprudenziale in bonam partem. I due principi hanno, infatti, diverso fondamento. L'irretroattività della norma penale sfavorevole rappresenta uno <strong>strumento di garanzia del cittadino contro persecuzioni arbitrarie</strong>, espressivo dell'esigenza di calcolabilità delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale: esigenza con la quale contrasta un successivo mutamento peggiorativo a sorpresa del trattamento penale della fattispecie. Nessun collegamento con la predetta libertà ha, per converso, il principio di retroattività della norma più favorevole, in quanto la lex mitior sopravviene alla commissione del fatto, cui l'autore si era liberamente e consapevolmente autodeterminato in base al panorama normativo (e giurisprudenziale) dell'epoca: trovando detto principio fondamento piuttosto in quello di uguaglianza, che richiede, in linea di massima, di estendere la modifica mitigatrice della legge penale, espressiva di un mutato apprezzamento del disvalore del fatto, anche a coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore": con l'ovvia conseguenza di rendere non incompatibile con quel principio proprio il limite del giudicato, secondo quanto affermato sul punto dalla stessa Corte EDU, nel caso Scoppola contro Italia (v. sentenza n. 230 del 2012. Sul punto v., da ultimo, anche la sentenza n. 210 del 2013).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla stregua di tali principi, soggiunge la Corte, può quindi dedursi che, nella specie, essendo intervenuta prima della novella legislativa la pronuncia rescindente di questa Corte proprio sul tema della individuazione del reato più grave in quello di concussione, e poichè il tema della relativa qualificazione giuridica e della responsabilità non ha formato oggetto di censure da parte del giudice della legittimità, il relativo profilo ha ormai assunto l'autorità del giudicato, a norma dell'art. 624 c.p.p., comma 1.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>D'altra parte, al di là delle opzioni dogmatiche, può rilevarsi che se il punto deciso, ma non annullato, genera comunque una preclusione, resta comunque difficile intravedere una distinguibilità teorica tra preclusione e <strong>giudicato </strong>ove la decisione su quel punto provenga dall'organo di vertice della piramide giurisdizionale e non possa, quindi, essere comunque "ridiscusso". In questa prospettiva, appare logicamente consequenziale ritenere che, ove il punto irretrattabilmente risolto attenga alla ritenuta sussistenza di responsabilità penale in ordine ad una determinata fattispecie, le vicende del reato e della sua riferibilità all'imputato <strong>si "cristallizzano"</strong>, con la ragionevole conseguenza di rendere il reato stesso ormai <strong>processualmente insensibile rispetto al sopravvenire di ipotesi estintive</strong>, come la prescrizione, <strong>o modificative</strong>, agli effetti di quanto previsto dall'art. 2 c.p., comma 4. In altri termini, accertata la responsabilità, con sentenza ormai irrevocabile sul punto, quest'ultimo cessa di essere semplicemente un aspetto intangibile della futura condanna in sede di rinvio (come tale rimuovibile per l'intervento di cause estintive), per divenire, invece, una porzione qualificante della sentenza non annullata, che assume, essa stessa, i connotati di un giudicato, appunto, di responsabilità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Un approdo, questo, che appare essere null'altro che il naturale sviluppo di una ormai sedimentata giurisprudenza di legittimità, in tema di cosiddetto <strong>giudicato progressivo</strong> (v. da ultimo, Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, Brunetto, Rv. 252935, ove si è affermato che la legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario per cassazione a norma dell'art. 625 bis c.p.p., spetta anche alla persona condannata nei confronti della quale sia stata pronunciata sentenza di annullamento con rinvio limitatamente a profili che attengono alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Nella specie, si è in particolare ritenuto ammissibile il ricorso straordinario proposto avverso la sentenza della Corte di cassazione che aveva annullato con rinvio la pronuncia di condanna esclusivamente con riferimento alla sussistenza di una circostanza aggravante)".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Principi, quelli esposti nella ora menzionata sentenza delle Sezioni Unite, affatto isolati, ma condivisi da una serie di arresti della giurisprudenza di legittimità, che hanno evidenziato come l'annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la <strong>definitività dell'affermazione di colpevolezza</strong>, vale a dire dell'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato, determinando il <strong>giudicato parziale</strong> così formatosi un <strong>effetto preclusivo alla operatività di cause di non punibilità o di estinzione del reato sopravvenute</strong> successivamente alla pronuncia della sentenza di annullamento parziale (cfr. Cass., Sez. 3, n. 15101 del 11/03/2010, Rv. 246616; Cass., Sez. 2, n. 4109 del 12/01/2016, Rv. 265792; Cass., Sez. 5, n. 5219 del 17/01/2017, Rv. 269052; Cass., Sez. 1, n. 35845 del 16/05/2019, Rv. 276617).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In questo solco interpretativo, osserva la Corte, si inseriscono le decisioni che ritengono non ostativo alla formazione del giudicato relativamente alla parte della sentenza che concerne l'affermazione di responsabilità, con conseguente formazione dell'effetto preclusivo innanzi indicato, l'annullamento parziale della sentenza di condanna relativamente al punto della decisione riguardante la configurabilità di una <strong>circostanza aggravante</strong>, incidente, per l'appunto, sulla determinazione dell'entità della pena, in quanto la parte riguardante l'affermazione di responsabilità non ha connessione essenziale con la parte oggetto dell'annullamento (cfr. Cass., Sez. 2, n. 12967 del 14/03/2007, Rv. 236462; Cass. Sez. 1, n. 43710 del 24/09/2015, Rv. 264815; Cass., Sez. 6, n. 12717 del 31/01/2019, Rv. 276378; Cass., Sez. 4, n. 1355 del 28/11/2019, Rv. 278901).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nè i precedenti giurisprudenziali citati dal ricorrente a sostegno del proprio assunto appaiono pertinenti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Essi, infatti, riguardano fattispecie in cui il superamento del giudicato si giustifica alla luce della intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma penale di riferimento: cfr. Cass., Sez. 4, n. 12640 del 06/02/2018, Rv. 272244, in cui, peraltro, si verteva in tema di causa di estinzione del reato (prescrizione) maturata prima della pronuncia della sentenza di annullamento e non successivamente, nonchè Cass., Sez. 3, n. 12532 del 29/01/2015, Rv. 263001; ovvero sulla base della abrogazione di una precedente disciplina normativa: cfr. Cass., Sez. 4, n. 16140 del 16/03/2017, Rv. 269611).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nei casi menzionati, dunque, ci si trova di fronte a mutamenti del contesto normativo, sopravvenuti per intervento del Legislatore o della Corte Costituzionale, la cui idoneità a mettere in crisi l'intangibilità del giudicato formatosi discende dal fatto che essi incidono direttamente sul reato oggetto dell'accertamento divenuto definitivo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al riguardo non può che condividersi quanto affermato al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità (anche con riferimento all'incidenza delle decisioni degli organi giurisdizionali comunitari), che ha ben definito i rapporti tra giudicato progressivo, abolitio criminis, sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale e inconciliabilità della normativa nazionale con i principi comunitari.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si è, infatti, chiarito che, in caso di annullamento parziale di una sentenza da parte della Corte di Cassazione, che abbia ad oggetto statuizioni diverse dall'accertamento del fatto reato e della responsabilità dell'imputato, il giudicato progressivo non impedisce di pronunciarsi sulla sussistenza ed eventuale applicazione dell'intervenuta "<strong>abolitio criminis</strong>".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Invero, precisa la Corte, lo stretto collegamento tra il fatto reato che non è più tale e gli altri punti della decisione renderebbe priva di senso una statuizione contrastante con la nuova situazione; d'altro conto il disposto dell'art. 673 c.p.p., che consente al giudice dell'esecuzione di revocare la sentenza di condanna nel caso di sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice, dimostra chiaramente una particolare efficacia attribuita dal legislatore alla abrogazione proprio perché in questo caso - come per l'ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale - non si può dire che a base della condanna vi sia un reato (cfr. Cass., Sez. 6, n. 3020 del 05/02/1996, Rv. 204789).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Allo stesso tempo l'annullamento con rinvio disposto esclusivamente ai fini della determinazione della pena non impedisce al giudice del rinvio di pronunciare l'assoluzione per insussistenza del fatto qualora sia nelle more sopravvenuta una sentenza della Corte di Giustizia Europea che abbia dichiarato l'incompatibilità con il diritto comunitario della norma nazionale da cui dipenda l'applicazione della norma incriminatrice, come nel caso del reato di vendita di supporti privi di contrassegno Siae che, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee dell'8 novembre 2007 in causa Schwibert, la Corte di Cassazione ha ritenuto non più costituente reato (cfr. Cass., Sez. 6, n. 9028 del 05/11/2010, Rv. 249680; Cass., Sez. 6, n. 30595 del 22/06/2010, Rv. 248040).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si tratta, come appare evidente, di casi del tutto diversi da quello che ci occupa in questa sede, nella quale si discute della <strong>applicabilità di una lex posterior, incidente solo sul contenuto della previsione normativa in tema di legittima difesa</strong>, ex art. 52 c.p., di cui, come si vedrà meglio in seguito, non modifica le direttrici di fondo e che non può essere considerata equivalente ad una abolitio criminis.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Giova evidenziare che tale ultimo principio, come si vedrà innanzi, viene affermato in recenti decisioni della Suprema Corte, in parte richiamate dallo stesso ricorrente nella memoria del 2.3.2021.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al riguardo, tuttavia, non può non osservarsi preliminarmente che con tale atto vengono in realtà prospettati motivi nuovi di ricorso, con particolare riferimento, da un lato, alla possibilità che il novum rappresentato dall'entrata in vigore della L. 26 aprile 2019, n. 36, sia applicabile in favore dell'imputato, non solo per il venir meno della intangibilità del giudicato, che consentirebbe di rivalutarne la condotta, sotto il profilo soggettivo, ai sensi della nuova formulazione della causa di esclusione della colpevolezza di cui all'art. 55 c.p., comma 2, ma anche, per quel che riguarda la scriminante di cui all'art. 52 c.p., sulla base del disposto dell'art. 2 c.p., comma 2, trattandosi di vera e propria abolitio criminis; dall'altro, ad una diversa valutazione della condotta del M., conseguente al riconoscimento della applicabilità retroattiva della nuova normativa, soprattutto sulla base del suo atteggiamento psicologico nei confronti delle vittime Ma.Ma. e Ma.Pi., influenzato in maniera decisiva dalla consapevolezza della "caratura criminale" del Ma.Ma..</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ed invero i "motivi nuovi" consistono proprio in un'ulteriore illustrazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono l'originaria richiesta rivolta al giudice dell'impugnazione, nei limiti dei capi o punti della decisione oggetto del gravame (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2559 del 07/05/1998, Rv. 210787; Cass., Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, Rv. 251482).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In quanto tali essi andavano presentati, a pena di decadenza, ai sensi del combinato disposto dell'art. 585 c.p.p., comma 4 e 5, art. 611 c.p.p., almeno quindici giorni prima rispetto alla data dell'8.3.2021, fissata per l'udienza innanzi alla sezione della Suprema Corte officiata della trattazione del ricorso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla medesima conclusione, osserva la Corte, si giunge ove anche si volesse considerare l'atto di cui si discute, conformemente alla intestazione formale dello stesso, come "<strong>memoria</strong>", in quanto anche per le memorie delle parti vige la regola che nel giudizio di legittimità esse possono essere presentate fino a quindici giorni prima dell'udienza, conformemente alla previsione speciale dettata per il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione dall'art. 611 c.p.p..</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Disposizione, quest'ultima, oggetto di consolidata interpretazione da parte della giurisprudenza di legittimità, nel senso che il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall'art. 611 c.p.p., relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, Rv. 278719; Cass., Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, Rv. 278745).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le menzionate disposizioni normative mantengono la loro vigenza nel procedimento innanzi alla Corte di Cassazione anche nel vigore della disciplina emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, richiamato, in uno con il D.L. 14 gennaio 2021, n. 2, art. 1, comma 1, dal difensore del M. nella intestazione della "memoria", non prevede, infatti, alcuna deroga al riguardo, limitandosi a statuire che i difensori delle parti possono presentare, entro cinque giorni prima dell'udienza, con atto scritto inviato alla cancelleria della Corte a mezzo posta certificata, dopo avere preso contezza delle determinazioni del procuratore generale presso la Corte di Cassazione, solo le loro conclusioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Queste ultime, come appare evidente, costituiscono la manifestazione del contenuto finale della pretesa decisoria di cui viene investito il giudice di legittimità adito, fondata sulle ragioni esposte con i motivi di ricorso originari, i motivi nuovi e le memorie (sulla differenza tra memorie e conclusioni, nonchè sulla natura, per così dire, servente delle prime rispetto alle seconde, cfr. Cass., Sez. 2, n. 25525 del 20/05/2008, Rv. 240647), potendo, a tutto voler concedere, le parti, con le loro conclusioni, solo replicare a quelle del procuratore generale, di cui abbiano avuto conoscenza, ma non certo dedurre motivi nuovi di ricorso o articolare memorie, che, come nel caso in esame, propongano una complessiva messa a punto e risistemazione degli originari motivi di impugnazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale interpretazione, secondo cui anche nel vigore della disciplina emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19, nel giudizio di legittimità le parti possono presentare <strong>motivi nuovi e memorie</strong> <strong>solo fino a quindici giorni prima dell'udienza</strong>, ai sensi dell'art. 611 c.p.p., trova ulteriore conferma nella circostanza che la L. 18 dicembre 2020, n. 176, di conversione, con modificazioni, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ha previsto, con l'introduzione del comma 8 bis nel testo del citato art. 23, solo per i giudizi civili innanzi alla Corte di Cassazione la possibilità per i difensori delle parti di presentare memorie nei cinque giorni antecedenti l'udienza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per tornare alla questione di diritto prospettata dal ricorrente, va comunque affermato, per incidens, che il precedente richiamato, pur affermando come in caso di sentenza di condanna pronunciata prima dell'entrata in vigore di una modifica legislativa che introduca una nuova scriminante od ampli la sfera di operatività di una scriminante già esistente, rientri tra le attribuzioni del giudice dell'esecuzione il potere di verificare la ricorrenza dei presupposti - purchè specificamente allegati dall'istante - per l'applicazione retroattiva della scriminante ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 2, ha in ogni caso ribadito, ai fini di escludere il potere di revocare detta sentenza ex art. 673 c.p.p., che un intervento normativo di tale natura non integra un'ipotesi di abolitio criminis derivante da abrogazione o da dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (cfr. Cass., Sez. 1, n. 14161 del 20/02/2020, Rv. 278973, nonchè Cass., Sez. 1, n. 37430 del 30/09/2020, Rv. 280649).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sicchè, sotto il profilo del diritto di difesa, non appare preclusa per l'imputato la possibilità comunque di far valere in sede esecutiva l'eventuale operatività della scriminante di cui si discute, nella prospettiva delineata dalle indicate decisioni.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="5"> <li><em> Con riferimento al tema del preteso contrasto della interpretazione seguita dalla corte territoriale con il contenuto precettivo dell'<strong>art. 7 C.E.D.U.</strong>, così come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo, non può non rilevarsi come tale questione sia stata risolta dalla già richiamata sentenza n. 16208 del 27/03/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione, nei termini indicati nelle pagine precedenti alla cui lettura si rimanda.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Il precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente a fondamento del proprio assunto (Corte E.D.U., Sez. 3, 12.1.2016, Gouarrè Patte c. Andorra) ad un'attenta lettura del percorso motivazionale seguito dal giudice sovranazionale, non appare, inoltre, pertinente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Osserva la Corte "che l'art. 7 p. 1 della Convenzione stabilisce non solo il <strong>principio della irretroattività della norma penale più severa</strong> ma anche, implicitamente, il <strong>principio della retroattività della norma penale più favorevole al reo</strong>, ribadendo che dalla sentenza X c. Repubblica Federale di Germania (6 marzo 1978), si è formato un generale consenso in Europa e in ambito internazionale sul fatto che l'applicazione della legge penale che stabilisce una pena più mite, anche se entrata in vigore dopo la commissione del fatto, è divenuta un principio fondamentale del diritto penale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In applicazione di tali principi la Corte ha ritenuto che un'interdizione permanente dall'esercizio della professione di medico può essere considerata una pena ai sensi dell'art. 7 della Convenzione, osservando come le stesse corti nazionali abbiano ritenuto che si trattasse di una pena accessoria, aggiunta alla pena principale consistente nella privazione della libertà. Ai sensi del nuovo Codice penale andorrano, in cui l'interdizione dall'esercizio della professione è considerata una pena principale, essa non può superare i vent'anni. Sebbene il Codice penale del 1990 considerasse l'interdizione permanente dall'esercizio di una professione una pena accessoria, la riforma del 2005 ha stabilito che le pene accessorie non possono avere una durata superiore a quella della pena principale più severa. Questa modifica del 2005 al Codice penale ha condotto, pertanto, all'entrata in vigore di una legge penale più favorevole per il sig. G.P..</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte ha attirato l'attenzione sul fatto che il principio dell'efficacia retroattiva della norma penale più favorevole al reo viene espressamente riconosciuto dall'art. 7 nuovo c.p. andorrano. Il terzo paragrafo di tale articolo impone un obbligo alle Corti che hanno pronunciato condanne nei confronti dei ricorrenti di procedere alla revisione d'ufficio quando una legge successiva riduce la pena o la misura di sicurezza stabilita per un reato, anche in caso di sentenza definitiva, quale è il caso di specie. La Corte non ha rinvenuto una valida ragione che impedisca al ricorrente di beneficiare delle disposizioni di tale articolo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quando uno Stato espressamente prevede nella sua legislazione il principio dell'efficacia retroattiva della norma più favorevole al reo, come nell'art. 7 p. 3 del Codice penale andorrano, deve offrire la possibilità a coloro che si presentano davanti alle Corti nazionali di esercitare tale diritto conformemente alle garanzie contenute nella Convenzione. Nonostante le richieste del sig. G.P., tuttavia, le Corti andorrane hanno continuato ad applicare la pena più severa, imposta in precedenza, anche quando il Parlamento ha successivamente previsto una pena più lieve e l'applicazione retroattiva di quest'ultima. Da ciò la Corte ha fatto conseguire che continuare ad applicare una pena più severa che andava oltre le condizioni stabilite dalla legislazione penale in vigore ha comportato la violazione da parte delle Corti andorrane del principio di legalità e del diritto del sig. G.P. di aver imposta una pena prevista dalla legge.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte ha concluso che vi è stata una violazione dell'art. 7 Convenzione dal momento che le Corti dell'Andorra non hanno applicato l'art. 7 p. 3 c.p.".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò posto, prosegue la Corte, non può che ribadirsi la non pertinenza del richiamo operato dal ricorrente al citato arresto della Corte E.D.U., incentrato, come si è visto, sulla mancata applicazione da parte delle Corti andorrane di una nuova disposizione normativa, che, essendo più favorevole al reo in punto di trattamento sanzionatorio, andava applicata con efficacia retroattiva sulla base della espressa previsione della norma nazionale di nuovo conio di cui all'art. l'art. 7 p. 3 c.p..</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ed invero, a differenza di quanto verificatosi all'interno dell'ordinamento nazionale andorrano, una disposizione di tal fatta nell'ordinamento italiano esiste da tempo ed è consacrata nel disposto dell'art. 2 c.p., comma 4, secondo "se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo", con il limite espresso della preclusione rappresentata dal giudicato, disposizione non censurata, come si è detto, dalla Corte E.D.U.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il caso preso in considerazione dalla Corte E.D.U. in Gouarrè c. Andorra, inoltre, si riferisce ad un intervento normativo che nel 2005 ha abrogato la precedente disciplina del Codice penale andorrano, che, come si è detto, prevedeva, a titolo di sanzione accessoria, l'interdizione permanente dalla professione medica.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si tratta, pertanto, di fattispecie che, alla luce dei principi in precedenza affermati, rientra nel novero dei casi in cui, per l'ordinamento italiano, il giudicato progressivo in caso di annullamento parziale di una sentenza da parte della cassazione, che abbia ad oggetto statuizioni diverse dall'accertamento del fatto reato e della responsabilità dell'imputato, non impedirebbe comunque di pronunciarsi sulla sussistenza ed eventuale applicazione di questa particolare forma di abolitio criminis.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="6"> <li><em> Formulata in termini assolutamente generici, infine, deve ritenersi l'eccezione di legittimità costituzionale, che non tiene conto degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, di cui si è fatta menzione, nonché manifestamente infondata la richiesta, avanzata in memoria, di devolvere le rappresentate questioni di diritto alla scrutinio delle Sezioni Unite di questa Corte, non essendovi alcun contrasto giurisprudenziale da sanare, trovando, piuttosto, le indicate questioni adeguata soluzione, come dimostrato, proprio nella elaborazione della giurisprudenza di legittimità.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La genericità della eccezione di legittimità costituzionale si apprezza, peraltro, a partire dal profilo della rilevanza della questione dedotta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al riguardo si osserva che, secondo un condivisibile arresto della giurisprudenza di legittimità, la fattispecie scriminante della <strong>legittima difesa</strong>, risultante dalle modifiche introdotte dalla L. 26 aprile 2019, n. 36, postula quali requisiti aggiuntivi rispetto a quello della <strong>proporzione</strong>, di cui all'art. 52 c.p., comma 2 la <strong>commissione di una violazione di domicilio da parte dell'aggressore</strong>; la <strong>presenza legittima dell'agente</strong> nei luoghi dell'illecita intrusione predatoria o dell'illecito intrattenimento e uno specifico <strong>animus defendendi</strong>, per cui alla finalità difensiva deve necessariamente corrispondere, sul piano oggettivo, il <strong>pericolo attuale di un'offesa ingiusta</strong>, non altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva effettivamente attuata (cfr. Cass., Sez. 1, n. 21794 del 20/02/2020, Rv. 279340, nonchè Cass., Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, Rv. 279344).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Orbene, premesso che anche la nuova <strong>legittima difesa "domiciliare"</strong> richiede pur sempre il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, non altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva effettivamente attuata, il ricorrente non indica su quale ragionamento giuridico è stato fondato il rigetto della richiesta di applicazione della scriminante (ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio del 24.10.2018, con riferimento ad entrambe le ipotesi di cui agli artt. 52 e 55 c.p.), che, se fosse stato motivato sulla insussistenza del pericolo attuale di un'offesa ingiusta, non altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva effettivamente attuata, renderebbe del tutto irrilevante l'applicazione dell'art. 52 c.p. (e dell'art. 55 c.p.), con riferimento alla legittima difesa domiciliare, non modificativa sul punto della precedente disciplina.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="7"> <li><em> Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>