Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 15 gennaio 2021 n. 615
PRINCIPI DI DIRITTO
Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione.
In materia di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell’imprenditore, fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede. La responsabilità della P.A. per il danno prodotto all’imprenditore quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il datore di lavoro abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Tanto precisato, deve essere osservato che queste Sezioni Unite hanno più volte affermato che la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì ilpetitum sostanziale, il quale deve essere identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice quanto, piuttosto, della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (tra le molte, Cass. Sez. Un. 20 novembre 2020 n. 26500, Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2019 n. 6040, Cass. Sez. Un. 21 dicembre 2018 n. 33212, Cass. Sez. Un. 13 novembre 2018 n. 29081, Cass. Sez. Un. 8 giugno 2016 n. 11711, Cass. Sez. Un. 23 settembre 2013 n. 21677, Cass. Sez. Un. 25 giugno 2010 n. 15323).
- Con specifico riguardo al riparto della giurisdizione nella materia della Cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, è altrettanto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per il quale, in linea generale, in materia di integrazione salariale, la posizione soggettiva del datore di lavoro diammissione alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, diviene didiritto soggettivo dopo l’adozione del provvedimento di concessione (o autorizzazione) del trattamento, mentre, quando non sia stato ancora adottato alcun provvedimento, la posizione medesima è di interesse legittimo ed è tutelabile soltanto davanti al giudice amministrativo (Cass. Sez. Un. 20 giugno 1987 n. 5454 Cass. Sez. Un. 28 aprile 1989 n. 2034, Cass. Sez. Un. 10 agosto 1989 n. 3679, Cass. Sez. Un. 12 ottobre 1990 n. 10016, Cass. Sez. Un. 5 febbraio 1999 n. 30, Cass. Sez. Un. 10 agosto 2005 n. 16780, Cass. Sez. Un. 27 gennaio 2006 n. 1732, Cass. Sez. Un. 11 aprile 2006 n. 8376, Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2007 n. 310, Cass. Sez. Un. 30 agosto 2018 n. 21435, Cass. Sez. Un. 25 febbraio 2019 n. 5455, le ultime due in materia di mobilità in deroga).
- Con riferimento a specifiche vicende fattuali, queste Sezioni Unite hanno precisato:
- Cass. Sez. Un. 15 luglio 1991 n. 7837: nei riguardi della pubblica amministrazione competente ad autorizzare l’integrazione salariale (INPS quanto all’integrazione ordinaria e Ministero del lavoro quanto alla straordinaria), i lavoratori e il datore di lavoro, prima o in mancanza dell’emanazione dell’atto autorizzativo (caratterizzato da discrezionalità amministrativa anche nel caso d’integrazione ordinaria), hanno una posizione solo indirettamente tutelata e perciò d’interesse legittimo, sorgendo il diritto soggettivo del lavoratore (all’integrazione salariale) e del datore di lavoro (al rimborso delle somme a tal titolo anticipate ai dipendenti) solo dal provvedimento autorizzativo dell’intervento della C.I.G.; pertanto, mentre appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative ai rapportiche traggono origine dal suddetto provvedimento, spettano invece alla cognizione del giudice amministrativo le controversie volte all’impugnazione del provvedimento amministrativo didiniego dell’autorizzazione, ancorché la contestazione di tale atto sia finalizzata alla realizzazione del diritto del datore di lavoro al rimborso delle integrazioni anticipate.
- Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2007 n. 310: in materia di integrazione salariale, le posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo – con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo – qualora intervenganoatti amministrativi di annullamento o di revocadi tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere discrezionale esercitato dall’Amministrazione nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico ad essa affidato.
- Cass. Sez. lav. 27 gennaio 2006 n. 1732 e Cass. sez. lav. 11 dicembre 2009 n. 26047: in materia di integrazione salariale, le posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo – con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo – qualora intervenganoatti amministrativi di annullamento o di revocadi tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere discrezionale esercitato dall’Amministrazione nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico ad essa affidato.
Qualora il provvedimento di ritiro intervenga nel corso di un giudizio che la parte privata abbia instaurato correttamente – in quanto titolare di un pregresso diritto soggettivo – dinanzi al giudice ordinario, viene a radicarsi la giurisdizione e la competenza a decidere la controversia da parte dello stesso giudice, ai sensi dell’art. 5 c.p.c.. Ove venga denunciata davanti al medesimo giudice l’illegittimità del provvedimento sopravvenuto, non può venire in questione l’istituto della disapplicazione, poiché ciò che, sostanzialmente, diviene oggetto di discussione è l’esercizio del potere di autotutela e oggetto dell’azione del privato è non già la tutela di una sua posizione di diritto soggettivo tuttora perdurante ma la rimozione dell’atto amministrativo (di annullamento o di revoca), di modo che sia reintegrata, a tutti gli effetti, la posizione di diritto soggettivo (venuta meno) della quale era precedentemente titolare.
In tale contesto, pertanto, il giudice ordinario non può dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, ma solo decidere sulla base della situazione attuale di fatto e di diritto (sopravvenuto annullamento o revoca del decreto di concessione della C.I.G. e, dunque, insussistenza in capo al privato delle posizioni di diritto soggettivo delle quali chiede la tutela sulla base del provvedimento autorizzativo), salva l’eventuale sospensione del processo, ex art. 295 c.p.c., in caso di avvenuta impugnazione dell’atto di annullamento (o di revoca) dinanzi al giudice amministrativo;
- Cass. Sez. Un. 11 aprile 2006 n. 8376: la posizione soggettiva del datore di lavoro di interesse legittimo non può ritenersi modificata in ragione dell’asserita “sicura adozione” del provvedimento ammissivo, per effetto del disposto inquadramento della società istante nel settore “industria – ramo edilizia”, in quanto il solo inquadramento nel settore industrianon fa discendere automaticamenteil diritto alla integrazione salariale dovendo questo diritto essere deliberato dal competente organo amministrativo mediante, appunto, il provvedimento autorizzativo.
- Ebbene, pur non potendo prescindersi dai principi affermati nelle decisioni innanzi richiamate (p. da dal n. 16 al n. 21 di questa sentenza), perché essi ricostruiscono in modo chiaro e condivisibile la posizione delle parti private nella materia della cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, nondimeno, lapeculiarità della controversiapostula, ai fini della soluzione di giurisdizione, la necessità di svolgere considerazioni ulteriori rispetto a quelle sviluppate nei richiamati precedenti giurisprudenziali.
- Ciò che è stato denunciato dalla società ricorrente, come innanzi rilevato (cfr. pp. n. 10, n. 12 e n. 13 di questa sentenza), è, infatti,il comportamento complessivotenuto dal Ministero nella fase propedeutica alla richiesta di ammissione alla CIGS e alla valutazione della richiesta stessa, comportamento che è privo di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio di un potere amministrativo in ordine alla concessione della CIGS, potere mai esercitato, come è indiscusso tra le parti.
- E ciò che è stato domandato è ilrisarcimento di un danno da comportamento e non da provvedimento.
- Tanto precisato, la soluzione della questione di giurisdizione nel caso in esame trova valido ausilio nella recenteordinanza 28 aprile 2020 n. 8236pronunciata da queste Sezioni Unite in una fattispecie nella quale veniva in rilievo, come nel caso in esame, la questione di riparto della giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria del danno dedotto come cagionato non da un “provvedimento” ma dal “comportamento” della P.A..
- Nella predetta ordinanza è stato affermato il principio secondo cui “Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di unacondotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nellaresponsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato“, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.
- All’affermazione del principio innanzi richiamato, queste Sezioni Unite sono pervenute muovendo dalle coeve ordinanze del 23 marzo 2011 nn. 6594, 6595, 6596 nelle quali è stato ritenuto che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, poi legittimamente annullato (ordinanza n. 6594 del 2011), ovvero sulla attendibilità della attestazione rilasciata dalla P.A., poi rivelatasi erronea (ordinanza n. 6595 del 2011), ovvero in un provvedimento di aggiudicazione, poi rivelatosi illegittimo (ordinanza n. 6596 del 2011), rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.
- Nella ordinanza n. 8236 del 2020 è stato osservato che nelle predette ordinanze del 2011 (i cui principi erano stati ribaditi nelle decisioni delle Sezioni Unite nn. 16586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019 e 12635/2019) l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle domande risarcitorie poggiava sul rilievo che esse avevano ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo, generalmente qualificato come “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio” leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato.
- Principi che, pur con alcune puntualizzazioni (infra, pp. dal n. 41 al n. 43 di questa sentenza), sono stati ribaditi in confronto attento e puntuale con le pronunce di segno opposto delle Sezioni Unite nn. 8057/2016, 13454/2017, 13194/2018, in cui risulta, invece, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi annullato. Affermazione questa che muove dal duplice rilievo che ciò che veniva in discussione era l’agire provvedimentale nel suo complesso e che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell’ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell’amministrazione si colloca e che connette tale condotta con l’esercizio del potere.
- L’adesione all’orientamento espresso nelle sopra richiamate ordinanze del 2011 e nelle successive decisioni conformi è stata spiegata, tra l’altro, rilevando che nel caso in cui, secondo la domanda dell’attore, il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l’affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento nemmeno mediato tra il comportamento dell’amministrazione e l’esercizio del potere.
- Ed è stato osservato che il comportamento dell’amministrazione rilevante ai fini dell’affidamento del privato “si pone – e va valutato – su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere. Detto comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione e il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente giudizio) o, addirittura essere legittimo, così da risultare “un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativi dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico (così Cons. Stato n. 5/2018, già citata §33)””.
- È stato anche precisato che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche, e a maggior ragione, nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione.
- Tanto sulla scorta della considerazione che in questo caso l’amministrazione non ha realizzato alcun atto di esercizio del potere amministrativo e il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca interamente sul piano del comportamento (“dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato”), non esistendo, appunto, alcun provvedimento amministrativo a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.
34. L’ordinanza n. 8236 del 2020 ha, infine affermato, con attenta analisi delle disposizioni contenute nell’art. 7 e art. 30, comma c.p.a. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, che i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595, e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 80 del 1998 (che regola “ratione temporis anche la vicenda oggi sottoposta all’attenzione di questo Collegio, che si colloca in epoca antecedente alla entrata in vigore del c.p.a. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010) non hanno perso di attualità a causa dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010. - Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nella ordinanza n. 8236 del 20020 sopra richiamata, perché condivide tutte le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., non contrastate dai controricorrenti.
- Tutte le argomentazioni motivazionali costituiscono, infatti, lo sviluppo di principi della giurisprudenza di questa Corte e di quella amministrativa (Cons. Stato Adunanza Plenaria n. 5 del 2018) in materia di riparto della giurisdizione e sono saldamente ancorate all’art. 103 Cost., comma 1 e ai principi affermati dalla Corte Costituzionale, la quale ha radicato la giurisdizione anche esclusiva del giudice amministrativo nell’avvenuto esercizio da parte della pubblica amministrazione di poteri amministrativi che si siano estrinsecati in atti unilaterali autoritativi, o in atti consensuali sostitutivi o integrativi del potere autoritativo (C. Cost. n. 204 del 2004), ovvero nei comportamenti collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di poteri pubblici che costituiscono esecuzione di atti provvedimenti amministrativi e sono riconducibili all’esercizio del potere dell’Amministrazione (C. Cost. n. 191/2006) e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio (C. Cost. n. 35 del 2010).
- La ricostruzione contenuta nella ordinanza n. 8236 del 2020 poggia sul rilievo che la causa petendi della domanda non era costituita dal ritardo della P.A. nel provvedere (negativamente o positivamente), ma era fondata sulla violazione dell’affidamento ingenerato dalla amministrazione in un determinato esito, favorevole alla attrice, del procedimento e rileva che la pretesa aveva ad oggetto un danno causato non da atti o provvedimenti ma dal comportamento tenuto dalla P.A. tale da ingenerare un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso, dal diniego finale.
38. Essa, quindi, lungi dal costituire, come, invece, annotato da attenta dottrina, la riedizione della teoria della prospettazione, dà applicazione al principio più volte affermato da queste Sezioni unite (cfr. supra p. n. 15 di questa sentenza) secondo cui la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice quanto, piuttosto, della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati. - L’ordinanza, inoltre, tiene ben ferma la differenza tra le regole pubblicistiche e quelle privatistiche, in conformità all’orientamento giurisprudenziale espresso dal Cons. Stato nella sentenza n. 5 del 2018 (si legga anche la più recente nella sentenza n. 7237 del 2020), secondo cui “nell’ambito del procedimento amministrativo (e del procedimento di evidenza pubblica in particolare) regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano, dunque, in sequenza temporale (prime le une e poi le altre o anche le altre). Operano, al contrario, in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Le regole di diritto pubblico hanno ad oggetto il provvedimento (l’esercizio diretto ed immediato del potere) e la loro violazione determina, di regola, l’invalidità del provvedimento adottato. Al contrario, le regole di diritto privato hanno ad oggetto il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara. La loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità. Non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto)”.
- Chiarisce, infatti, che la lesione discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell’amministrazione; regole la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità.
41. L’ordinanza Cass. Sez. Un. 8236 del 2020 ha anche affermato, come già evidenziato, che la situazione soggettiva del privato lesa dalla delusione delle aspettative generate dal comportamento della pubblica amministrazione non si identifica “nel diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio”, priva in sé di autonoma consistenza perché il patrimonio di un soggetto è l’insieme di tutte le situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo fanno capo, sicché la conservazione dell’integrità del patrimonio altro non è che la conservazione di ciascuno dei diritti e delle altre situazioni soggettive che lo compongono e si risolve in una formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni soggettive che fanno capo ad un soggetto. - Manifestando, in modo esplicito, di volere dare continuità ai principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595, e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi, ha precisato che la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione deve essere qualificata come responsabilità da contatto sociale, qualificato dallo status della pubblica amministrazione, soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte di legittimità dei propri atti. Ed ha spiegato che il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione deve essere inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 c.c.), dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazioni, ma reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, in virtù degli artt. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c. (buona fede).
43. Essa, inoltre, ha ricondotto la responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato allo schema della responsabilità contrattuale, precisando che tale inquadramento non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto.
44. Il Collegio ritiene di condividere anche siffatta ricostruzione e fa proprie, condividendole, tutte le argomentazioni motivazionali che la sorreggono, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., non contrastate dai controricorrenti. - Va osservato, in primo luogo, che la ricostruzione della responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione in termini di responsabilità da contatto sociale trova forte radicamento nell’art. 1173 c.c., che prevede che “le obbligazioni derivano da contratto o da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”.
46. Il Collegio osserva al riguardo che gli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, imposti dall’art. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c. (buona fede) hanno ormai assunto una funzione ed un ambito applicativo più ampi rispetto a quella concepiti dal codice civile del 1942, e non possono essere più considerati strumentali solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile, ma anche alla tutela del diritto, di derivazione costituzionale (art. 41 Cost., comma 1), di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza. - L’ordinanza n. 8236 del 2020, inoltre, fa leva sulla considerazione che le disposizioni contenute nella L. n. 241 del 1990 (artt. 21 quinquies, 21 nonies, art. 2 bis, comma 1), pur disciplinando direttamente l’azione amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità dell’atto amministrativo, nondimeno vengono in rilievo per il loro carattere sistematico, che orienta progressivamente il nostro ordinamento verso un’idea di “diritto amministrativo paritario” nei casi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto.
- E la nozione di diritto amministrativo paritario risulta ancorata all’art. 97 Cost., che postula un modello di pubblica amministrazione permeato dai principi di correttezza e di buona amministrazione e un comportamento dei pubblici poteri consapevole dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei cittadini e delle imprese e che per questo deve essere orientato al confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.
- Infine, il riferimento operato ai principi di diritto comunitario (sono state richiamate richiamate CGUE 3 maggio 1978 C12/77 Topfer, CGUE 14.3.2013 C545/2011 Agrargenossenschaft Neuzelle, CGUE 23 gennaio 2019 C-419/17, Deza a.s.) è apprezzabile perché attribuisce alla Pubblica Amministrazione una dimensione Europea, evocata in modo espresso dal legislatore interno anche nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, che finalizza l’azione amministrativa alla efficienza, ponendola in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dell’Unione Europea (così Cass. sez. lav. 20 giugno 2016 n. 12678).
- Inconclusione, in continuità con il principio affermato dalla ordinanza n. 8236 del 2020, deve, quindi, ribadirsi che: “Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.
- Questi principi trovano applicazione alla fattispecie in esame perché, come già rilevato, la controversia ha ad oggetto la pretesa risarcitoria del danno che la società ricorrente ha fondato sulla avvenuta lesione dell’affidamento riposto dalla società ricorrente nel comportamento tenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella conduzione e nella gestione della procedura di mobilità, che precedette la richiesta di ammissione alla CIGS, che la ricorrente assume essersi compendiato in comportamenti difformi dai canoni di correttezza e buona fede, comportamenti questi privi di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio, mai attuato, del potere amministrativo correlato alla ammissione al trattamento di CIGS.
- Pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e le parti vanno rimesse innanzi alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione che farà applicazione del principio di diritto che segue, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità:
- “In materia di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell’imprenditore, fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede. La responsabilità della P.A. per il danno prodotto all’imprenditore quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il datore di lavoro abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.