Corte di Cassazione, sez. Unite civili, ord. 17 giugno 2024 n. 16784
PRINCIPIO DI DIRITTO
“Il diritto di azione si sostanzia nella pretesa ad un pronunciamento giudiziario sulla domanda conforme ai principi o garanzie processuali riconosciute come fondamentali: dal diritto di difesa, alla terzietà e imparzialità del giudice, al contraddittorio in condizioni di parità, ma anche alla ragionevole durata del processo.
Tali garanzie si compongono in un rapporto di solidarietà che le rafforza reciprocamente. Nelle controversie relative a diritti di natura civile, la durata del processo rappresenta un fattore idoneo a influire sullo stesso diritto di accesso al giudice.
La Costituzione, all’art. 111, individuando nel rispetto della ragionevole durata un connotato del giusto processo, costruisce l’impegno ai tempi ragionevoli non soltanto come un diritto della persona che è parte di un processo, ma anche come una garanzia oggettiva di buon funzionamento della giustizia.
La Corte di Strasburgo, a sua volta, chiamata a delineare la portata dell’art. 6, par. 1, CEDU, da sempre afferma l’importanza del fatto che la giustizia sia amministrata senza ritardi che possano comprometterne l’effettività e la credibilità […], paventando addirittura il rischio che, in casi limite, l’eccessiva durata di un procedimento pendente possa equivalere ad un vero e proprio diniego di giustizia […].”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – È impugnata dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione la sentenza del Consiglio di Stato che – nel confermare, con motivazione parzialmente diversa, la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha dichiarato inammissibile, per difetto assoluto di giurisdizione, la domanda degli odierni ricorrenti – ha statuito che gli atti impugnati, inerenti alla formazione del ruolo e alla calendarizzazione delle cause e delle udienze, sono atti interni all’ordine giudiziario e di natura solo preparatoria e strumentale e, come tali, si sottraggono al sindacato del giudice amministrativo, in quanto costituiscono atti di amministrazione del processo civile, promanano da un organo giudiziario non soggetto a controlli esterni o gerarchie ministeriali e sono destinati a produrre effetti che si dispiegano naturalmente sulla gestione del singolo processo.
- – Il ricorso dinanzi al giudice amministrativo nasce dal rinvio della trattazione, dinanzi alla Corte d’appello di Roma, di una causa proposta, da oltre cento attori, per riassumere il giudizio per il riconoscimento in Italia di una sentenza della Southern District Court of New York che aveva condannato la Repubblica islamica dell’Iran e alcuni soggetti istituzionali di tale Repubblica al risarcimento dei danni […], per il loro coinvolgimento nell’attentato alle Torri Gemelle.
Il procedimento di delibazione era stato introdotto con un ricorso per sequestro conservativo ante causam (incardinato al n. 8714 del 2017 di registro generale), concesso dalla prima sezione della Corte d’appello, e poi revocato, in sede di reclamo, dalla seconda sezione, cui ha fatto seguito l’introduzione della causa di merito (iscritta al n. 5709 del 2018), soggetta, ex lege, al rito sommario di cognizione in unico grado, concluso il 10 dicembre 2020 con un’ordinanza di diniego di riconoscimento, la quale è stata impugnata dai ricorrenti in sede di legittimità.
La prima sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanza n. 39391 del 2021, ha accolto il ricorso e, cassando l’ordinanza di rigetto del 10 dicembre 2020, ha affermato la giurisdizione italiana sulla controversia, ha rigettato le eccezioni vertenti sull’immunità degli Stati esteri e dei loro agenti riconosciuti responsabili di crimini contro l’umanità, ha riaffermato l’insindacabilità, all’interno del giudizio di riconoscimento della sentenza straniera, delle valutazioni di merito compiute dal giudice straniero e ha rinviato la causa alla Corte d’appello, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese legali.
- – Il ricorso per cassazione avverso la pronuncia del Consiglio di Stato è affidato a sette motivi.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 362 cod. proc. civ. e degli artt. 7 e 9 cod. proc. amm., in riferimento agli artt. 103, primo comma, 110, 113, secondo comma, 107 e 111, primo comma, Cost. Con esso viene impugnato il passaggio della sentenza del Consiglio di Stato in cui si afferma che gli atti della Presidente di sezione della Corte d’appello di Roma non sono riferibili all’esercizio o al mancato esercizio del potere amministrativo.
L’interpretazione proposta dalla sentenza impugnata confligge, ad avviso dei ricorrenti, con la giurisprudenza costituzionale, che attribuisce, nel riparto di competenze tra il Consiglio superiore e il Ministro guardasigilli, alla responsabilità di quest’ultimo l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. I ricorrenti ricordano che, per precetto costituzionale, la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. A loro avviso, non sarebbe pertinente il richiamo, nella pronuncia del Consiglio di Stato, alla tutela offerta dalla legge Pinto (legge n. 89 del 2001) come esempio di un valido rimedio comunque presente nel sistema, avendo essi un diritto costituzionalmente garantito ad adire la via giurisdizionale onde correggere l’illegittimità o l’eccesso di potere del provvedimento generale adottato dalla dirigenza ed ottenere le misure propulsive rivolte a rimettere il processo sul “binario corretto”.
Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 362, primo comma, cod. proc. civ. e 7 e 9 cod. proc. amm., in riferimento agli artt. 103, 104, 107, 113, 5, 110, 111 e 101 Cost.) censura che il difetto di giurisdizione sia stato messo in collegamento con la pretesa necessità di proteggere l’autonomia della magistratura ordinaria, benché non si verta in un caso di esercizio di funzioni giurisdizionali. La decisione impugnata finirebbe con il creare un ampio spazio di immunità dalla giurisdizione per una categoria potenzialmente infinita di atti di cui, a priori, si esclude ogni giustiziabilità, solo perché provenienti dalla magistratura in genere, seppure non emessi nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Ad avviso dei ricorrenti, il provvedimento impugnato e il suo decreto attuativo avrebbero solo l’effetto di congelare il ruolo residuo, già del dott. E.E., senza incidere sui carichi dei magistrati dell’ufficio, con un unico effetto, esterno, di cancellazione dell’udienza del 2023, fissata in sede giurisdizionale dal collegio.
Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 362, primo comma, cod. proc. civ. e 7 e 9 cod. proc. amm., in riferimento all’art. 103 Cost., 1 e 4 del D.Lgs. n. 240 del 2006 e 7 della legge n. 241 del 1990) i ricorrenti contestano che l’atto “a monte”, del 6 aprile 2023, sia riconducibile al potere giurisdizionale. Non sarebbe giurisdizionale perché non è emesso dal relatore. Si sostiene che tale atto, non avendo redistribuito tra i giudici della sezione i vari carichi, non sarebbe preparatorio al processo, ma avrebbe inciso autoritativamente sulla singola causa ritardando l’udienza di discussione e decisione in violazione del principio dell’equo processo, con uno slittamento talmente ritardato da mettere a rischio il diritto vantato. La divaricata qualificazione della fattispecie, con la natura amministrativa dell’atto generale e la proiezione del decreto attuativo in funzione preparatoria e strumentale alla funzione giurisdizionale, evidenzierebbe una frattura del ragionamento logico-giuridico del Consiglio di Stato. Ad avviso dei ricorrenti, l’unica differenza ammissibile ed esistente tra i vari provvedimenti e atti dell’ufficio giudiziario sarebbe quella tra atti amministrativi e organizzativi che ricadono nell’alveo delle funzioni del Guardasigilli e quelli della magistratura in sede giudicante. Nel ricorso si sostiene che gli atti impugnati non promanano dall’organo giudiziario, in quanto il dirigente, sebbene magistrato, rappresenta il Ministro della giustizia allorché svolge compiti inerenti alla organizzazione dell’ufficio e non esercita alcuna funzione giurisdizionale. I ricorrenti affermano di rivendicare il loro diritto soggettivo e interesse legittimo al rispetto dei criteri che la dirigenza si è data nel provvedimento del 6 aprile 2023, venendo inseriti con la priorità dovuta all’anzianità del loro processo (2017) e a non vedersi applicati i criteri della causa di nuova iscrizione (2022).
Discutere della lunghezza del processo tout court non avrebbe nulla a che vedere con la possibilità di esercitare il diritto di difesa sulle decisioni che, attraverso il meccanismo organizzativo, incidono in maniera deteriore sul diritto ad un pronunciamento giurisdizionale.
Sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione degli artt. 362, primo comma, cod. proc. civ. e 7 e 9 cod. proc. amm. con l’art. 104 Cost.”, con il quarto motivo si chiede che venga annullata la sentenza del Consiglio di Stato che, con interpretazione contraria a quella risultante dalla giurisprudenza costituzionale, avrebbe preteso di racchiudere tutto il complesso dell’attività degli uffici giudiziari sotto l’ombrello della riserva di organizzazione, invocando le più alte garanzie di autonomia della magistratura dettate per la protezione della libertà del magistrato nell’interpretare la legge e nella formazione del libero convincimento.
Con il quinto mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 362, primo comma, cod. proc. civ. e 7 e 9 cod. proc. amm., in combinato disposto con gli artt. 3 e 28 Cost. e con il D.P.R. n. 3 del 1957) si censura che, nell’escludere l’assimilazione degli atti dei dirigenti a quelli degli esponenti della pubblica amministrazione, sia stato violato il principio secondo cui la singolarità della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti giudiziali e la stessa posizione super partes del magistrato possono suggerire condizioni tali da limitarne la responsabilità ma non sono tali da negarne in assoluto la responsabilità.
I ricorrenti, con il sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 362, primo comma, cod. proc. civ. e 7 e 9 cod. proc. amm., rispetto all’art. 105 Cost. e agli artt. 7 e 7-bis della legge sull’ordinamento giudiziario), prospettano, lamentando omessa decisione e omessa motivazione relativamente al terzo motivo di appello, che ben avrebbe potuto il Consiglio di Stato, valutata la propria giurisdizione sul Consiglio superiore della magistratura, riconoscere di essere munito di giurisdizione e pronunciarsi sulla domanda di misure propulsive al CSM circa le sue funzioni di vigilanza e decisorie. Il Consiglio di Stato avrebbe tolto ogni valore alla portata normativa delle tabelle ed al corrispondente dovere dei magistrati di attenersi ad esse.
Con il settimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 9 cod. proc. amm. con riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU nonché mancata disapplicazione da parte del Consiglio di Stato dell’interpretazione di norma anche di rango costituzionale) i ricorrenti deducono che l’interpretazione seguita dal Consiglio di Stato violerebbe i capisaldi del sistema giurisdizionale europeo che prevedono, quali loro pietre angolari, il diritto ad un ricorso effettivo, ad un giusto processo in un tempo ragionevole e a un giudice imparziale. Il Consiglio di Stato, nel negare la giurisdizione, avrebbe interpretato le norme italiane di rango costituzionale in maniera contrastante con il diritto ad un ricorso effettivo ed equivalente secondo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. I ricorrenti ricordano che, in base al principio del primato del diritto dell’Unione, è inammissibile che norme di diritto interno, quand’anche di rango costituzionale, pregiudichino l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione. L’interpretazione data dal Consiglio di Stato alle norme di rango costituzionale negherebbe in radice ogni possibilità di adire un giudice e ottenere una risposta giurisdizionale su una questione legittimamente e tempestivamente sollevata. Il Consiglio di Stato avrebbe prefigurato l’esistenza di un tertium genus di atti organizzativi non processuali che, sebbene capaci di incidere gravemente sul diritto di difesa delle parti e a un equo processo, si sottraggono al controllo di legalità, non potendo essere impugnati né fuori dal processo, dinanzi al giudice amministrativo, né nel processo, stante l’assenza di rimedi nel codice di rito. Sarebbe contraria all’art. 6 della CEDU la sottrazione di intere categorie di azioni al controllo giurisdizionale. Vi sarebbe un vuoto di tutela da rimettere al vaglio della Corte costituzionale per contrasto con gli artt. 24 e 101 Cost. Di qui anche la richiesta di disapplicazione dell’interpretazione resa dal Consiglio di Stato, perché essa impedirebbe in radice una decisione giurisdizionale sugli atti ed i provvedimenti impugnati, nonostante questi incidano direttamente sul diritto ad un pronunciamento giudiziario sulla domanda, dunque sul diritto di accesso a un giudice. I ricorrenti sollevano la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea onde verificare la compatibilità della lettura interpretativa degli artt. 7 e 9 cod. proc. amm. con gli artt. 103 e 113 Cost. fatta dal Consiglio di Stato con riferimento agli artt. 13 e 6 della CEDU, dal momento che – si sostiene nel ricorso – il difetto assoluto di giurisdizione pronunciato dal Consiglio di Stato violerebbe il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
- – I motivi di ricorso, data la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
- – Occorre muovere dalla premessa che, con il decreto del 6 aprile 2023, la Presidente della seconda sezione della Corte d’appello di Roma – dopo aver dato atto che il ruolo contenzioso già attribuito al dott. E.E., sebbene già pressoché dimezzato e attribuito per metà ad altro relatore, era vacante dal mese di giugno 2022 e che il sesto posto di consigliere presso quella sezione, in base ai prevedibili tempi di copertura del posto con i trasferimenti ordinari disposti dal Consiglio superiore, sarebbe rimasto scoperto quantomeno sino al mese di novembre 2023 – ha ritenuto necessario rimodulare tutte le fissazioni delle udienze dei giudizi facenti parte di tale ruolo, al fine di evitare che giudizi più risalenti fossero fissati più in là nel tempo rispetto a quelli più recenti. Allo scopo di riordinare il ruolo, e tenuto conto della pendenza sullo stesso di molti giudizi ultraquinquennali, rientranti, in base al programma di gestione, tra quelli da decidere in via prioritaria, la Presidente ha disposto che tutti i fascicoli non riassegnati venissero nuovamente fissati a partire dall’udienza collegiale del 21 novembre 2023, in numero – rispettivamente – di quattro e di cinque per ciascuna udienza, a partire dal processo più risalente, con numero di registro generale del 2016, e proseguendo secondo il criterio cronologico, sino all’esaurimento del ruolo, in tutte le udienze collegiali del martedì, riservandosi di indicare, con separati provvedimenti, l’udienza di rinvio per ogni singolo giudizio, all’esito del riordino del ruolo e prima del 1° maggio 2023.
Il provvedimento generale del 6 aprile 2023 non è soltanto un atto generale sui criteri di ricalendarizzazione delle udienze: è anche un provvedimento con cui si rende noto che il ruolo contenzioso già attribuito al consigliere E.E. è vacante dal mese di giugno del 2022, è stato attribuito per metà (senza ricomprendervi la causa in questione) ad altro relatore e per l’altra metà lasciato su un ruolo temporaneamente inattivo almeno sino a novembre 2023, essendo vacante il sesto posto di consigliere presso la sezione seconda della Corte d’appello. Lo stesso decreto del 6 aprile 2023 preannuncia una decisione di riordino delle residue cause del ruolo del dott. E.E. e indica l’opportunità di utilizzare “unicamente il criterio cronologico”: ciò sulla base della espressa considerazione del fatto che il ruolo “si compone di molti giudizi ultraquinquennali i quali, in base al vigente programma di gestione, rientrano tra quelli da decidere in via prioritaria”.
Con il successivo provvedimento del 26 aprile 2023, rilevata la necessità di procedere alla riorganizzazione dei giudizi a partire dall’udienza del 21 novembre 2023 unicamente secondo il criterio cronologico, tenendo conto della sola data di iscrizione a ruolo della causa, le udienze già fissate, a partire da quella del 2 maggio 2023 e sino a quella del 17 giugno 2025, sono state differite, con l’indicazione, per ogni causa, della data della nuova udienza e degli incombenti da svolgere.
Dunque, il provvedimento generale del 6 aprile stabilisce i criteri per la gestione del contenzioso pendente, già assegnato al dott. E.E., rimettendo ad un successivo provvedimento del presidente di sezione l’indicazione delle nuove date di udienza per ciascuno dei giudizi ed in funzione della data di iscrizione a ruolo.
- – Il Collegio delle Sezioni Unite è investito del compito di stabilire se gli atti impugnati abbiano carattere amministrativo.
Infatti, è sull’inquadramento degli atti gravati nella tipologia di quelli inerenti alla giurisdizione e sull’affermazione che essi non costituiscono espressione del potere amministrativo, che il Consiglio di Stato ha fatto leva per giungere alla declaratoria di difetto assoluto di giurisdizione, che implica estraneità di tali atti non solo alla cognizione del giudice amministrativo, ma altresì di qualsiasi altro giudice, a qualunque plesso appartenente. Viceversa, dall’accertamento della natura amministrativa discenderebbe la sindacabilità in sede giurisdizionale: l’amministrazione è soggetta alla giurisdizione e ogni atto produttivo di effetti nella sfera giuridica di soggetti terzi è sottoposto al controllo della giurisdizione.
L’amministrazione è responsabile non solo politicamente, rispetto alla comunità di riferimento; lo è anche rispetto agli specifici soggetti titolari di interessi protetti poiché, nei suoi confronti, è assicurata ad essi la tutela giurisdizionale. Da un lato, infatti, l’art. 24 Cost., nell’assicurare la tutela giurisdizionale degli interessi protetti, prende in considerazione non solo i diritti soggettivi, ma anche la particolare posizione soggettiva (interesse legittimo) che si correla specificamente ai poteri dell’amministrazione. Dall’altro, l’art. 113 Cost. specifica che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi”.
Queste disposizioni richiamano due aspetti del regime giuridico degli atti amministrativi: la loro sottoposizione necessaria a un controllo giurisdizionale; la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche.
- – L’operazione qualificatoria rimessa alle Sezioni Unite si colloca in una zona di confine, in un ambito interstiziale, alimentato dai concorrenti ed inversi fenomeni storici della “giurisdizionalizzazione” dell’amministrazione e della “amministrativizzazione” della giurisdizione.
Sebbene amministrazione e giurisdizione si esprimano, entrambe, attraverso atti concreti che producono effetti giuridici e definiscono rapporti relativamente a singoli soggetti o a categorie di soggetti, la funzione fondamentale dei due apparati è diversa.
Infatti, mentre la funzione di amministrazione consiste nell’esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico al fine di curare, nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati, l’interesse pubblico; la giurisdizione, essendo chiamata a risolvere conflitti attraverso l’applicazione delle regole poste dall’ordinamento giuridico, esercita una funzione neutra, non portatrice di interessi concreti da realizzare ma di un solo interesse, che è quello dell’applicazione oggettiva della legge e della risoluzione giusta del conflitto.
Occorre, d’altra parte, considerare che la funzione di amministrazione è funzione diffusa, a differenza di altre funzioni come la legislazione e la giurisdizione, esclusivamente attribuite dalla Costituzione e dalle leggi a soggetti e organi espressamente deputati. Se la funzione di amministrazione, come funzione di governo, si esercita per regola attraverso organi, le pubbliche amministrazioni, soggetti a regole di organizzazione loro proprie, nondimeno la funzione di amministrazione è esercitata anche da altri soggetti pubblici (gli organi costituzionali; l’organizzazione giudiziaria) almeno in ordine alle esigenze di funzionamento interno (rapporti con il personale, realizzazione e manutenzione degli edifici, acquisto delle attrezzature).
- – Tanto premesso, gli atti impugnati nella specie vanno inquadrati tra quelli presidenziali di amministrazione del processo mediante la redistribuzione del ruolo e lo scaglionamento nel tempo delle controversie, adottati in seguito al trasferimento ad altro ufficio del giudice inizialmente designato come relatore. Gli atti di cui si verte hanno per contenuto la rimodulazione della fissazione delle udienze da parte della Presidente di sezione della Corte d’appello, previa indicazione del criterio generale per l’effettuazione della nuova programmazione delle udienze. Essi recano il differimento delle udienze fissate per la trattazione delle singole cause ancora pendenti sul ruolo vacante del dott. E.E. ed individuano le date delle nuove udienze nonché gli incombenti da svolgere.
Provenendo da un organo della giurisdizione, soggetto alle regole organizzative che l’ordinamento giudiziario e il Consiglio superiore della magistratura approntano al fine di garantire l’indipendenza del giudice e della sua funzione, ed essendo oggettivamente inerenti alla giurisdizione, gli atti in questione, ancorché non si concretizzino nello ius dicere, dispiegano ed esauriscono i loro effetti sui processi cui sono accessori e strumentali.
Non si tratta di atti attraverso cui si esplica la funzione amministrativa, vale a dire una funzione discrezionale il cui esercizio comporta la ponderazione dell’interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in gioco. La funzione istituzionale di questi atti, attraverso la distribuzione nel tempo della fissazione delle udienze, consiste nell’assicurare in concreto lo svolgimento della giurisdizione, preparandone l’esercizio in relazione alle cause pendenti sul ruolo e al singolo processo.
La nuova fissazione, da parte della dirigenza della sezione della Corte d’appello, del calendario delle udienze, con lo spostamento in avanti nel tempo della trattazione e discussione della causa di riconoscimento ed esecutività in Italia della pronuncia statunitense di condanna al risarcimento del danno, non costituisce un provvedimento oggettivamente inerente alla cura concreta di interessi amministrativi, ma è un atto che, essendo rivolto a organizzare la giurisdizione e la gestione del contenzioso, della singola causa come delle cause pendenti sul ruolo del giudice trasferito, è strettamente collegato con il processo e suscettibile di ripercuotersi in modo specifico sull’esercizio della giurisdizione.
È un atto, comunque, non amministrativo, essendo rivolto alla necessaria organizzazione della trattazione delle cause civili attraverso la formazione del ruolo e la ricalendarizzazione dei processi e delle relative udienze da parte di un organo giudiziario non soggetto a controlli esterni o a gerarchie ministeriali di sorta.
Esso è espressione di una competenza riservata all’ordine giudiziario, anche in ragione della stretta inerenza delle questioni in esame alle garanzie costituzionali di indipendenza interna ed esterna dei magistrati, la cui cura è riservata al CSM, organo di governo autonomo di quell’ordine giurisdizionale.
La fissazione del calendario delle udienze a seguito della riorganizzazione del ruolo delle cause del giudice trasferito è ancillare all’esercizio della funzione propriamente giurisdizionale. Né sono distinguibili, con riguardo alla funzione che esprimono, il rinvio deciso dal giudice in udienza e il provvedimento di rinvio emesso, al di fuori di essa, dal presidente per far fronte ad un oggettivo impedimento alla celebrazione del processo.
- – I poteri organizzativi dei capi degli uffici non si svolgono in modo assolutamente libero o addirittura arbitrario.
Essi hanno come cornice di riferimento la disciplina tabellare degli uffici giudicanti, rivolta a stabilire – secondo quanto previsto dagli artt. 7-bis e 7-ter della legge sull’ordinamento giudiziario (regio decreto n. 12 del 1941) e dalle circolari del Consiglio superiore della magistratura – gli aspetti riguardanti l’organizzazione dei singoli uffici e i compiti ad essi attribuiti, l’assegnazione delle singole cause ai singoli giudici, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, e, in quest’ambito, anche i provvedimenti diretti al riequilibrio dei carichi di lavoro, con la redistribuzione dei ruoli vacanti e la ricandelarizzazione delle cause più urgenti e risalenti, in vista dell’esigenza di definire i procedimenti che abbiano superato i tempi della legge Pinto (legge n. 89 del 2001).
In questa cornice, spetta agli uffici giudiziari – nell’osservanza delle linee guida fissate dal Consiglio superiore ai fini della predisposizione dei programmi di gestione ex art. 37 del decreto-legge n. 98 del 2011 – assicurare un giusto equilibrio tra le diverse esigenze che sono in gioco quando si tratta di organizzare i tempi del processo: ridurre l’arretrato; perseguire un obiettivo di rendimento dell’ufficio che tenga conto dei carichi esigibili e della qualità della giurisdizione; infine, garantire priorità, nell’ambito dell’obiettivo di rendimento dell’ufficio, alla gestione delle cause più rilevanti, individuate secondo criteri predeterminati relativi alla natura e al valore, in modo che di tali cause sia comunque garantita la trattazione in un tempo ragionevole. I piani di gestione, difatti, rappresentano uno strumento con cui i capi degli uffici, con l’ausilio e la mediazione del CSM, elaborano piani di azione per gestire l’emergenza e l’arretrato di consistenza “patologica”. Essi non costituiscono solo una risposta quantitativa a fronte dell’arretrato e delle pendenze; rappresentano una risposta complessiva di qualità della giurisdizione che, attraverso il monitoraggio e la responsabilizzazione della dirigenza, privilegia la riduzione dei tempi di definizione dei processi selezionando altresì il contenzioso che, per i beni in gioco, merita di essere definito in via preferenziale.
- – Il difetto assoluto di giurisdizione è stato dichiarato dal Consiglio di Stato sulla base di una duplice e convergente argomentazione: in primo luogo, perché si tratta, soggettivamente, di una vicenda interna all’organizzazione di un ufficio giudiziario, cioè di un esercizio discrezionale di un potere autonomo, separato dalla pubblica amministrazione, assistito dalla garanzia costituzionale di autonomia della giurisdizione; inoltre, perché l’impugnabilità e la sindacabilità, da parte del giudice amministrativo o ad opera di un diverso giudice appartenente ad un altro plesso giurisdizionale, dell’atto del presidente di sezione della corte d’appello finirebbe con l’esercitare una inammissibile interferenza del giudice amministrativo nell’esercizio della giurisdizione ordinaria.
- – Il Collegio delle Sezioni Unite condivide l’interpretazione offerta dal Consiglio di Stato.
Occorre premettere che i beni costituzionali che vengono in rilievo nella disciplina tabellare – il buon andamento della funzione organizzativa funzionale all’esercizio indipendente della giurisdizione e l’efficienza dell’attività giurisdizionale, con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge – si manifestano in una duplice direzione: rappresentano un carattere di struttura e un tratto definitorio della funzione svolta dalla magistratura, ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere che ha il suo presidio nel Consiglio superiore della magistratura presieduto dal Presidente della Repubblica; costituiscono, nello stesso tempo, anche una garanzia per gli omnes e per i cives, nell’interesse stesso di coloro che si rivolgono alla giustizia.
La riserva di organizzazione che compete all’ordine giudiziario riguarda, in primo luogo, la spettanza al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, delle assunzioni, delle assegnazioni, dei trasferimenti e delle promozioni nei riguardi dei magistrati. Concerne, altresì, la posizione e lo svolgimento del sistema tabellare: cardine della struttura organizzativa degli uffici e strumento rivolto a soddisfare l’esigenza correlata alla attuazione e realizzazione del principio del giudice naturale precostituito per legge e il valore del buon andamento perseguito anche attraverso i programmi di gestione ai fini della progressiva e sostenibile eliminazione dell’arretrato, esso delinea una cornice di principi e di moduli organizzativi all’interno dei quali le scelte concretamente operate dai dirigenti degli uffici sono riconoscibili e suscettibili di verifica. Riserva di ordinamento giudiziario significa previa predisposizione da parte degli organi di autogoverno della magistratura di criteri obiettivi per l’assegnazione degli affari e per l’esplicitazione dei poteri organizzativi dei capi degli uffici giudiziari.
- – Il profilo che viene in rilievo nella presente controversia riguarda la conformità, alla stessa disciplina tabellare, dell’atto organizzativo del ruolo inattivo delle cause di pertinenza di un giudice trasferito, sostenendosi, da parte dei ricorrenti, che, non intervenendo sui ruoli dei giudici della sezione e non redistribuendo tra di loro i vari carichi, il capo dell’ufficio avrebbe finito con il far slittare irragionevolmente una causa urgente, che avrebbe dovuto avere, secondo la stessa disciplina organizzativa interna, una corsia di trattazione preferenziale e accelerata, tenendo conto della data di effettiva pendenza, del rito sommario previsto per legge e della “posta in gioco”.
L’interesse della parte, che si esprime nella esigenza di verifica della conformità dell’atto organizzativo generale adottato dal presidente di sezione dell’ufficio ai criteri oggettivi e predeterminati stabiliti dal Consiglio superiore in sede di approvazione delle tabelle, non è senza risposta nell’ordinamento.
- – Questa risposta, tuttavia, non può essere rinvenuta nella sindacabilità dell’atto dinanzi al giudice amministrativo.
Affidare ad un giudice appartenente ad un diverso plesso il sindacato sulla legittimità della diversa scansione temporale anche quando c’è un capo dell’ufficio giudiziario o un presidente di sezione che, edotto delle ragioni di particolare urgenza della causa, potrebbe ritornare sui suoi passi e diversamente modulare i tempi dell’udienza di discussione, ed anche quando c’è un giudice della causa di merito che ha la direzione del procedimento e dei suoi tempi, comporterebbe l’inconveniente pratico di devolvere ad un diverso ordine giurisdizionale la verifica della osservanza in concreto dei prefissati criteri di organizzazione e gestione dei tempi processuali delle cause civili.
Se fosse possibile per il giudice amministrativo, o per un altro giudice diverso da quello ordinario procedente, pronunciarsi in relazione agli atti in questione, annullando o revocando i provvedimenti sulla fissazione delle udienze adottati dal presidente della sezione della corte d’appello tabellarmente competente e dando al processo, dall’esterno, una diversa scansione procedimentale, si finirebbe con l’avere una inammissibile interferenza del giudice amministrativo o di un qualsiasi altro giudice nell’esercizio della giurisdizione interferita, il che costituirebbe una ragione di ulteriore rallentamento e di sospensione del singolo processo, con effetti finali di paralisi e maggiore ritardo del servizio giustizia.
In questa prospettiva, l’invocata giustiziabilità dell’atto, per di più ad opera di una diversa giurisdizione, sarebbe ridondante e potenzialmente contraddittoria perché, anziché favorire la rapida definizione del processo, affiderebbe la pratica direzione dei tempi della singola causa – con un inevitabile bilanciamento, implicante una valutazione di merito, con le esigenze di definizione delle altre cause pendenti e con il limite delle risorse, anche umane, disponibili – ad un diverso ordine giurisdizionale, con la inammissibile coesistenza del processo civile con un parallelo “processo al processo” dinanzi al giudice amministrativo o in altra sede.
Si avrebbe, infatti, l’indebita invasione di una sfera di autonomia riservata all’ordine giudiziario, laddove l’art. 104 Cost., riconoscendo alla magistratura ordinaria la natura di “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, non ammette che su atti di gestione del processo civile, sul case management, possa esercitarsi una forma di sindacato ad opera di un altro plesso giurisdizionale. Ciò sarebbe in contrasto con lo stesso principio di unità funzionale delle giurisdizioni, dal quale scaturisce, come logico corollario, il principio per cui la pluralità di giurisdizioni non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale.
- – La risposta all’esigenza di verifica della indicata conformità si realizza nella sede giudiziale propria, non già ab extra come potrebbe avvenire se si trattasse di un atto amministrativo impugnabile davanti al giudice amministrativo, con irragionevoli rischi pratici di interferenza tra giudici, di insicurezza e di incoerenza complessiva del sistema.
Ammettendo l’impugnabilità di atti si introdurrebbe in modo surrettizio un regime di validità delle sentenze civili che proporrebbe una questione di stabilità del provvedimento giurisdizionale, in direzione contraria alla norma dell’art. 7-bis dell’ordinamento giudiziario, ai cui sensi la violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari non determina in alcun caso la nullità dei provvedimenti adottati.
Questa conclusione è del resto ribadita dalla circostanza che il citato art. 7-bis fa salvo il possibile rilievo disciplinare dei provvedimenti di assegnazione degli affari adottati in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio.
La norma annette alle tabelle il carattere di parametro di valutazione del comportamento del competente dirigente, ma esclude che abbiano natura di norma incidente sulla validità e sulla correttezza degli atti di esercizio della funzione giurisdizionale.
- – La verifica della conformità viene concretamente assicurata attraverso forme di interlocuzione, nel processo, tra le parti e il giudice civile procedente, al quale è affidata la direzione del procedimento.
Rappresentando la particolare delicatezza della causa dovuta alla “posta in gioco” o alla attinenza del processo a diritti inviolabili della persona o altre ragioni di urgenza derivanti dalla anzianità della iscrizione a ruolo, vi è la possibilità di mettere in discussione le determinazioni sulla ricalendarizzazione dei tempi del processo adottate (dallo stesso giudice o) dal capo dell’ufficio, al fine di provocarne un riesame o una revisione.
Invero, nella direzione del procedimento che l’art. 175 cod. proc. civ. affida al giudice sta il potere (che in realtà è anche un dovere) di adottare, concorrendone le condizioni, tutti i provvedimenti intesi al più sollecito svolgimento del procedimento, inclusa, se del caso, l’anticipazione dell’udienza che sia stata fissata o rinviata a una data più lontana.
Il sistema processuale civile ha una vocazione naturale alla autorettificazione in vista della tempestività della decisione di merito e intesta al giudice un ampio spettro di iniziative, anche non puntualmente previste dal codice, che consentono di apportare, quando ve ne sia la necessità, nel dialogo con le parti, i giusti correttivi all’iter processuale affinché esso si snodi nel rispetto del principio della ragionevole durata, e della effettività, della risposta di giustizia.
La direzione del procedimento orientata al più sollecito svolgimento non lascia spazio ad atteggiamenti di indifferenza burocratica. Il bene costituzionale dell’efficienza del processo non può non orientare le prassi applicative, avendo riguardo alla circostanza che la ragionevole durata funge da precetto di ottimizzazione, rivolto a prescrivere che la speditezza sia realizzata nella misura del possibile, tenendo conto della complessità della causa, del carico esigibile, della disponibilità di adeguate risorse strumentali e del poliedro della durata ragionevole di tutti i processi sul ruolo del giudice, e non semplicemente, in chiave atomistica, della sola faccia, di modeste proporzioni, di uno specifico processo.
La Costituzione, nel suo essere fonte, cioè diritto positivo, non rifiuta e anzi reclama la diretta applicazione. Non appartiene soltanto ai custodi, ma è di tutti e parla a tutti. Penetra nella cultura giuridica e orienta le prassi. Giudici e avvocati si giovano della sua capacità ordinante e dei suoi effetti protettivi. È nella concreta esperienza che la ragionevole durata, qualità del giusto processo, si matura ed è messa alla prova, costruendosi nel diuturno farsi dei comportamenti rilevanti del giudice e dei difensori delle parti.
In questa prospettiva, la stessa autonomia dell’ordine giudiziario non va intesa come una irrelata separatezza autoreferenziale, ma è capacità di interpretare le attese delle persone, saper dar voce alla Costituzione nella sua forza espansiva nel dinamismo dei suoi principi e nella vincolatività dei suoi diritti, tra cui quello ad una giustizia processualmente giusta.
- – Il difetto assoluto di giurisdizione è, allora, il riflesso della esclusione della impugnabilità e sindacabilità, da parte del giudice amministrativo o ad opera di un diverso giudice appartenente ad un altro plesso giurisdizionale, dell’atto del presidente di sezione della corte d’appello recante la nuova programmazione e calendarizzazione delle cause civili rimaste sul ruolo del giudice trasferito ad altra sede.
- – L’approdo delineato sul piano della regolazione della giurisdizione non si pone in contrasto con l’orientamento, richiamato dai ricorrenti, che ammette l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo degli atti dell’Organo di governo autonomo della magistratura ordinaria (con “quella ampiezza di tutela giurisdizionale, coessenziale allo Stato di diritto, nei confronti delle possibili violazioni di legge”: Corte cost., sentenza n. 457 del 2002) anche nella materia della formazione delle tabelle degli uffici giudiziari.
Infatti, la sottoposizione al giudice amministrativo degli atti attraverso i quali si esplica la funzione di amministrazione della giurisdizione svolta dal Consiglio superiore dipende dalla posizione di tale organo: organo “di sicuro rilievo costituzionale” (Corte cost., sentenza n. 148 del 1983 e sentenza n. 189 del 1992) che (salva la natura giurisdizionale dei poteri disciplinari esercitati dall’apposita Sezione) esercita funzioni di “indole amministrativa” (Corte cost., sentenza n. 44 del 1968 e sentenza n. 189 del 1992, cit.). Come ha messo in luce la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza 4 gennaio 2017, n. 10), non si tratta di un organo giurisdizionale, sicché non si pone il tema dell’attinenza dell’atto impugnato alla funzione giurisdizionale.
Al contrario, il presidente di sezione di una corte d’appello è il preposto con funzioni di direzione ad una articolazione di un organo della giurisdizione e, come tale, nell’esercizio degli specifici poteri di legge, emette non solo atti amministrativi in senso proprio, ma anche atti di giurisdizione e atti inerenti alla giurisdizione.
- – Un diverso inquadramento, tra gli atti amministrativi, dei provvedimenti che vengono in rilievo nella presente controversia, neppure potrebbe farsi discendere dalla responsabilità, affidata al Ministro della giustizia per precetto costituzionale (art. 110 Cost.), del funzionamento e dell’organizzazione dei servizi della giustizia.
Non v’è dubbio che la direzione degli uffici giudiziari si confronta con l’amministrazione dei servizi giudiziari, attribuita alla responsabilità del Ministro della giustizia: amministrazione che, come la Corte costituzionale ha precisato (sentenza n. 379 del 1992), non concerne semplicemente i mezzi (locali, arredi, personale ausiliario) necessari per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, ma riguarda altresì sia l’organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l’assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all’attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti. Più di recente, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha indicato nell’innovazione e nel rafforzamento organizzativo, con la trasformazione tecnologica e digitale, un punto essenziale di quelle riforme orizzontali rivolte ad assicurare la prevedibilità della durata dei processi civili sulla base anche di un progetto organizzativo rimesso ai capi degli uffici giudiziari, di concerto con i dirigenti amministrativi.
Nella specie, tuttavia, è dirimente osservare che gli atti che vengono in rilievo non incrociano la responsabilità del Ministro guardasigilli nell’organizzazione e nel funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
In tali atti, che mediante l’individuazione delle nuove date di comparizione e discussione dispiegano i loro effetti naturali sulla gestione dei processi del ruolo del consigliere relatore trasferito ad altra sede, non si esprimono attribuzioni ministeriali, ma si manifesta la strumentalità al processo e all’esercizio della giurisdizione, con la correlativa garanzia di autonomia e indipendenza che accompagna la funzione giurisdizionale, senza alcun condizionamento né alcuna interferenza esterna da poteri diversi.
- – La conclusione nel senso del difetto assoluto di giurisdizione sugli atti del presidente di sezione della corte d’appello relativi alla formazione del ruolo e alla calendarizzazione delle cause e delle udienze, non equivale a un vuoto di garanzie. Non significa, cioè, che l’ordinamento nel suo complesso non offra, o non sia in grado di offrire, in chiave sistemica, tutela al diritto della parte a vedersi decisa la sua causa in tempi ragionevoli, da intendersi come ragionevole impiego di una quota di risorse giurisdizionali adeguata rispetto ad un dato processo.
19.1. – Il diritto di azione si sostanzia, infatti, nella pretesa ad un pronunciamento giudiziario sulla domanda conforme ai principi o garanzie processuali riconosciute come fondamentali: dal diritto di difesa, alla terzietà e imparzialità del giudice, al contraddittorio in condizioni di parità, ma anche alla ragionevole durata del processo. Tali garanzie si compongono in un rapporto di solidarietà che le rafforza reciprocamente. Nelle controversie relative a diritti di natura civile, la durata del processo rappresenta un fattore idoneo a influire sullo stesso diritto di accesso al giudice. La Costituzione, all’art. 111, individuando nel rispetto della ragionevole durata un connotato del giusto processo, costruisce l’impegno ai tempi ragionevoli non soltanto come un diritto della persona che è parte di un processo, ma anche come una garanzia oggettiva di buon funzionamento della giustizia. La Corte di Strasburgo, a sua volta, chiamata a delineare la portata dell’art. 6, par. 1, CEDU, da sempre afferma l’importanza del fatto che la giustizia sia amministrata senza ritardi che possano comprometterne l’effettività e la credibilità (Corte EDU, 24 ottobre 1989, ric. n. 10073/82. H.V. c. Francia; Corte EDU, Grande Camera, 29 marzo 2006, ric. n. 36813/97, Scordino c. Italia), paventando addirittura il rischio che, in casi limite, l’eccessiva durata di un procedimento pendente possa equivalere ad un vero e proprio diniego di giustizia (Corte EDU, 21 dicembre 2010, ric. n. 50973/08, Vassilios Athanassiou e altri c. Grecia).
19.2. – Innanzitutto, alla parte di un processo sono attribuite due posizioni giuridiche destinate a salvaguardare ex ante ed ex post la pretesa di un giudizio di congrua durata. L’art. 1-bis della legge n. 89 del 2001 (legge Pinto) prevede, infatti, che la parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa.
Inoltre, la parte che, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’articolo 1-ter della legge Pinto, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo, ha diritto ad una equa riparazione. L’interesse a veder definite in un tempo ragionevole le proprie istanze di giustizia è tanto forte che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima (con la sentenza n. 88 del 2018) la disciplina che rinviava alla conclusione del procedimento presupposto l’attivazione dello strumento volto a rimediare alla sua lesione, seppur a posteriori e per equivalente.
Il diritto alla ragionevole durata del processo (che è l’altra faccia dell’obbligo dello Stato di organizzare il sistema giudiziario in modo tale che i giudici che amministrano il giudizio possano soddisfare tutti i requisiti del giusto processo, ivi compreso l’obbligo di trattare e decidere i casi in un tempo ragionevole) è, dunque, in prima battuta, sottoposto a un regime di autotutela da parte del suo titolare, secondo uno schema che incentiva l’interessato ad attivare gli strumenti offerti dall’ordinamento al fine di scongiurare che il giudizio si dilati oltre la misura tollerabile.
La stessa tutela riparatoria diviene ammissibile solo nel caso in cui il pur diligente ricorso alle tecniche acceleratorie abbia mancato di conseguire risultati soddisfacenti.
19.3. – La ragionevole durata viene concretamente assicurata anche attraverso le indicate forme di interlocuzione, nel processo, tra le parti e il giudice, al quale è affidata la direzione del procedimento.
19.4. – A livello ordinamentale, poi, è possibile la segnalazione al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e al Ministro della giustizia, titolari del potere di iniziativa disciplinare. Sotto questo profilo, preme evidenziare che il regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie (nel cui ambito rientra il rispetto delle previsioni tabellari e il non incorrere in ingiustificati ritardi) e il prestigio della magistratura investono il momento della concretizzazione dell’ordinamento attraverso la giurisdizione, vale a dire l’applicazione imparziale e indipendente della legge. Si tratta perciò di beni i quali, affidati alle cure del Consiglio superiore della magistratura, non riguardano soltanto l’ordine giudiziario, riduttivamente inteso come corporazione professionale, ma appartengono alla generalità dei soggetti e, come del resto la stessa indipendenza della magistratura, costituiscono presidio dei diritti dei cittadini (Corte cost., sentenza n. 497 del 2000).
Va inoltre ricordato che i provvedimenti che assumono rilievo sotto il profilo organizzativo sono valutati in occasione del conferimento, o della conferma, degli incarichi direttivi o semi-direttivi e in sede di valutazioni di professionalità.
19.5. – La conformazione in chiave sistemica della tutela offerta, con una pluralità di rimedi ad ampio raggio, ai diritti individuali che vengono in rilievo in presenza di siffatti provvedimenti preparatori ed inerenti alla giurisdizione, appare costituzionalmente giustificata proprio per garantire, nell’interesse stesso di coloro che si rivolgono alla giustizia, l’autonomia e il buon andamento della funzione giurisdizionale.
- – Non sussistono le condizioni di legge per sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti.
Il presupposto interpretativo che alimenta il dubbio è che, con il negare la possibilità, per il giudice amministrativo, di esercitare un controllo di legalità su atti suscettibili di incidere sul diritto delle parti ad un equo processo, si determinerebbe un “grave vuoto di tutela”, con conseguente frizione degli artt. 7 e 9 cod. proc. amm. in rapporto al parametro degli artt. 24 e 101 Cost.
Il presupposto interpretativo alla base dell’eccezione di costituzionalità è erroneo.
Non è riscontrabile il denunciato vuoto di tutela.
In un’organizzazione peculiare quale quella giudiziaria, dove i principi costituzionali di autonomia, indipendenza, precostituzione e naturalità e buon andamento, aventi direzione e verso biunivoci, rappresentano sia una garanzia di status che un diritto del cittadino, i rimedi approntati dall’ordinamento per rendere effettivo il diritto alla ragionevole durata del processo (l’interlocuzione, la sollecitazione, il reclamo all’interno del processo o comunque in seno all’ufficio giudiziario; i rimedi preventivi e riparatori della durata eccessiva; il sistema disciplinare, con l’iniziativa del Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione; le ricadute sulle valutazioni di professionalità in caso di conclamata neghittosità) dimostrano che non c’è alcuna “zona franca” e che l’ordinamento nel suo complesso è in grado di reagire dall’interno non solo alla grave negligenza del singolo giudice ma anche alle disfunzioni di sistema.
- – L’assenza del denunciato vuoto di tutela, e la coerenza dei rimedi approntati con la garanzia costituzionale dell’equo processo, inducono ad escludere, del pari, che il dichiarato difetto di giurisdizione per la non sindacabilità, da parte di un giudice appartenente ad altro plesso giurisdizionale, dei provvedimenti di calendarizzazione del processo, renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione.
Sono, per contro, salvaguardati tanto il principio di equivalenza quanto quello di effettività.
Va pertanto respinta la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
- – Il ricorso è rigettato.
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