<p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ferma la già complicata isolabilità in astratto di una categoria di diritti “</em>reali<em>” in un mondo globalizzato e “</em>smaterializzato<em>” che – come tale - vede l’inerenza alle “</em>res<em>”, alle “</em>cose<em>”, progressivamente vieppiù recessiva, resta tutta la significativa peculiarità di talune ambigue figure forgiate in epoca medioevale che indubbiamente associano profili obbligatori tipicamente “</em>personali<em>” ad aspetti con foggia, per l’appunto, maggiormente “</em>reale<em>” siccome compenetrata e, in qualche modo, consustanziale a determinate “</em>res<em>”, con le quali all’unisono circolano; si tratta delle c.d. obbligazioni </em>propter rem<em> e dei c.d. oneri reali, questi ultimi protagonisti di una nuova stagione in materia ambientale, oltre che significativi anche sul crinale della garanzia, del pari “</em>reale<em>”, che lasciano affiorare a presidio dell’interesse creditorio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo viene varata la legge n.2248, all. F, c.d. legge sui lavori pubblici, il cui art.234 dispone che le proprietà laterali alle strade ferrate pubbliche sono soggette a tutte le servitù e pesi imposti dalla legge medesima alle proprietà “<em>coerenti alle strade ordinarie nazionali, provinciali e comunali</em>”, configurando una figura ibrida e a metà strada tra la servitù il c.d. onere reale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, che segue la scia del <em>Code Napoléon</em> – e, prima ancora, della Rivoluzione francese - ed assume gli oneri reali (di ascendenza germanica) una iniqua eredità del regime feudale, incompatibile con le tipiche concezioni liberistiche che ispirano i codificatori in tema di assetto e circolazione della proprietà fondiaria.</p> <p style="text-align: justify;">I diritti reali vengono assunti come tipici ed annoverati in un <em>numerus clausus</em>; nel pertinente catalogo non figura dunque l’onere reale, mentre l’art.1130 afferma per parte sua che il contratto non può avere effetti per i terzi fuori che nei casi stabiliti dalla legge, non potendo dunque l’autonomia privata più forgiare i “<em>feudali</em>” oneri reali, ovvero “<em>pesi</em>” trasferibili con il passaggio a titolo particolare del bene cui essi ineriscono, stante come tale fattispecie inciderebbe per l’appunto sulla sfera giuridica dei terzi acquirenti.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’art.29, comma 1, delle disposizioni transitorie e di attuazione del codice, poi, le rendite, le prestazioni e tutti gli oneri gravanti su beni immobili a titolo di enfiteusi, subenfiteusi, censi, albergamento od altro simile, costituite sotto leggi anteriori, sono regolate dalle leggi medesime: il codice tollera dunque, seppure ad esaurimento, l’esistenza di rapporti già esistenti in qualche modo riconducibili all’onere reale, che restano disciplinati dalle norme anteriori e che nel giro di qualche decennio scompariranno dalla scena (è il caso delle c.d. decime sacramentali) ovvero verranno trasformati in canoni fissi con possibilità di affrancazione (e, dunque, di estinzione del pertinente “<em>onus</em>” reale).</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi – in tema di obbligazioni c.d. <em>propter rem</em> - all’art.676 del codice, in tema di comunione, ciascun partecipante ha diritto di obbligare gli altri (comunisti) a contribuire con esso alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, salva a questi la facoltà di liberarsene coll’abbandono dei loro diritti di comproprietà.</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, in tema di servitù, ai sensi dell’art.643 quando “<em>pure</em>” il proprietario del fondo servente (oltre, ovviamente, a quello del fondo dominante) fosse tenuto, in forza del titolo, alle spese necessarie per l’uso o per la conservazione della servitù, può sempre liberarsene, abbandonando il fondo servente al proprietario del fondo dominante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1882</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile viene varata la legge n.1684 sulla riscossione delle imposte dirette, il cui art.43 in tema di c.d. tributo fondiario dispone al comma 3 che l’esattore per la riscossione dell’imposta dell’anno in corso e del precedente ha diritto di procedere sull’immobile per il quale l’imposta è dovuta, quando anche la proprietà e il possesso siano passati “<em>in persona diversa da quella inscritta nel ruolo</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Una norma che sarà, nella sostanza, riproposta nella successiva legislazione tributaria e nella quale la dottrina scorge una figura di onere reale “<em>pubblicistico</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1887</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 luglio viene varata la legge n.1427 che dispone l’abolizione delle decime e delle altre prestazioni stabilite sotto qualsiasi denominazione ed in qualunque modo corrisposte per l’amministrazione dei sacramenti o per altri servizi spirituali ai Vescovi, ai ministri del culto, alle Chiese, alle fabbricerie o ad altri corpi morali che hanno per scopo un servizio religioso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1900</strong></p> <p style="text-align: justify;">Entra in vigore il 01 gennaio il <em>Bürgerliches Gesetzbuch</em>, meglio noto come BGB, codice civile tedesco che – smentendo una precedente tendenza germanica (dove pure sono in qualche modo nati, in ambito consuetudinario) ad estinguere gli oneri reali o comunque ad ammetterne in qualche modo l’affrancazione – prevede invece l’onere reale come figura tipica di diritto reale limitato su cosa altrui.</p> <p style="text-align: justify;">Più in particolare, nel relativo terzo libro, intitolato <em>Sachenrecht</em> (Diritto delle cose), il codice dedica la sezione VI proprio agli oneri reali (<em>Reallasten</em>), e al §1105 stabilisce che «<em>un fondo può essere gravato in maniera che a colui, in favore del quale viene costituito l’onere, debbano essere effettuate prestazioni periodiche dal fondo (oneri reali)</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Il successivo §1111 ammette che l’onere reale possa essere costituito anche in favore di un persona determinata, quand’anche costui non sia proprietario del fondo, circostanza nella quale la dottrina (anche italiana) ravviserà la differenza con la servitù.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1922</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre viene varato il R.D. n.1401, nuovo testo unico delle leggi per la riscossione delle imposte dirette, secondo il cui art.43, comma 3, l’esattore per la riscossione dell’imposta dell’anno in corso e del precedente ha “<em>diritto di procedura</em>” sull’immobile per il quale l’imposta è dovuta, quand’anche la proprietà od il possesso siano passati, in qualunque modo, a persona diversa da quella iscritta a ruolo, tanto prima che dopo la pubblicazione di tale ruolo.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta dunque di una figura di onere reale, stante la garanzia che grava sull’immobile avvinto, costituendone il presupposto, all’imposizione pertinente. Il tutto, nondimeno, in orbita pubblicistica (e, segnatamente, tributaria), inserendosi in un <em>trend</em> che troverà conferma futura con riguardo a fattispecie impositive come l’ILOR (imposta locale sui redditi) e i contributi consorziali di bonifica, colonizzazione e simili.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1933</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 febbraio viene varato il R.D. n.215 in tema di bonifica integrale, il cui art.21 dispone che i contributi dei proprietari nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche di bonifica costituiscono oneri reali sui fondi dei contribuenti e sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l’imposta fondiaria, prendendo grado immediatamente dopo tale imposta e le relative sovrimposte provinciali e comunali.</p> <p style="text-align: justify;">La materia della bonifica diventa dunque “<em>elettiva</em>” in tema di oneri reali, secondo uno schema che troverà seguito anche nella legislazione successiva di pertinenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 aprile viene varata la legge n.477 onde, conformemente ad analoga legislazione successiva, quando in dipendenza di un’opera pubblica eseguita dallo Stato con il relativo concorso, direttamente o per concessione, derivino vantaggi economicamente valutabili a beni immobili, l’Amministrazione dello Stato impone a carico dei rispettivi proprietari un contributo di miglioria da determinare in rapporto all’incremento di valore derivato agli immobili per effetto dell’esecuzione dell’opera pubblica (art.1).</p> <p style="text-align: justify;">L’istituto viene assimilato ad un onere reale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1939</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1806 alla cui stregua – scandagliando una fattispecie di contratto di compravendita di un terreno regolarmente trascritto e contenente l’obbligo di edificarvi delle costruzioni di un certo tipo - gli oneri reali non sono altro che servitù prediali se intrinsecamente costituiscono altrettante utilità per i fondi vicini; nondimeno, difettando tale requisito e dileguatosi (conseguentemente) il concetto tecnico di servitù, non per questo possono assumersi cadere nel nulla le contrattazioni, e con esse gli impegni assunti dalle parti.</p> <p style="text-align: justify;">Se così fosse, precisa la Corte, la giurisprudenza rifiuterebbe di applicare la volontà e di seguire gli sviluppi del diritto, rimanendo avvinta al rigore di dottrine tradizionali; rigore che essa ha invece superato, principalmente per il rispetto della volontà delle parti, che non ha altro limite se non quello dell’ordine pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una pronuncia emblematica che si colloca nel solco pretorio onde va assunto consentito all’autonomia privata imporre alla proprietà immobiliare, giusta convenzioni trascritte, degli oneri che – incorporandovisi – le accompagnano nei successivi trasferimenti anche a titolo particolare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), secondo il cui art.1104, in tema di comunione, ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/631.html">maggioranza</a> a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al pertinente diritto (comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">La rinunzia non giova tuttavia al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa (comma 2); inoltre, il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3228.html">cessionario</a> del partecipante è <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1667.html">tenuto in solido</a> con il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1401.html">cedente</a> a pagare i <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1402.html">contributi</a> da questo dovuti e non versati (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, ai sensi dell’art.1070 c.c. il proprietario del fondo servente, quando è tenuto in forza del <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3135.html">titolo</a> o della legge alle spese necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, può sempre liberarsene, rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante (comma 1); nel caso in cui l'esercizio della servitù sia limitato a una parte del fondo, la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3445.html">rinunzia</a> può peraltro limitarsi alla parte stessa (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi all’art.888, il vicino si può esimere dal contribuire nelle spese di costruzione del <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1172.html">muro di cinta</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1175.html">divisorio</a>, cedendo, senza diritto a compenso, la metà del terreno su cui il muro di separazione deve essere costruito. In tal caso il muro è di proprietà di colui che l'ha costruito, salva la facoltà del vicino di renderlo comune ai sensi dell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-ii/sezione-vi/art874.html">874</a>, senza l'obbligo però di pagare la metà del valore del suolo su cui il muro è stato costruito.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale dei c.d. oneri reali, da rammentare l’art.960, che disciplina gli obblighi dell’enfiteuta e secondo il quale l'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico che può consistere in una somma di danaro ovvero in una quantità fissa di prodotti naturali (comma 1), non potendo pretendere remissione o riduzione del canone per qualunque insolita sterilità del fondo o perdita di frutti.</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del successivo art.961, l'obbligo del pagamento del canone grava solidalmente su tutti i coenfiteuti e sugli eredi dell'enfiteuta finché dura la comunione (comma 1); nel caso in cui segua la divisione e il fondo venga goduto separatamente dagli enfiteuti o dagli eredi, ciascuno risponde per gli obblighi inerenti all'enfiteusi proporzionalmente al valore della propria porzione (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Di rilievo anche l’art.860 in tema di consorzi di bonifica, alla cui stregua i <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=proprietari">proprietari</a> dei beni <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=situati">situati</a> all’interno del <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=perimetro">perimetro</a> di un <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=comprensorio">comprensorio</a>, per l’appunto, di bonifica, sono <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=obbligati">obbligati</a> a contribuire nella spesa <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=necessaria">necessaria</a> per l'esecuzione, la <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=manutenzione">manutenzione</a> e l'esercizio delle opere in <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=ragione">ragione</a> del beneficio che <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=traggono">traggono</a> dalla bonifica medesima (significativi sul punto anche gli articoli 850, in tema di consorzi di ricomposizione fondiaria, e 921, in tema di consorzi coattivi per la migliore utilizzazione delle acque).</p> <p style="text-align: justify;">Stando al successivo art.864 i contributi dei proprietari nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica e di miglioramento fondiario sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l'imposta fondiaria: il legislatore del codice sembra qui recepire l’art.21 del R.D. 215.33 in tema di bonifica integrale, omettendo tuttavia di citare espressamente la figura dell’onere reale.</p> <p style="text-align: justify;">Di rilievo – su di un piano generale - l’art.1372 c.c. che ribadisce come il <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=contratto">contratto</a> abbia forza di legge tra le (sole) parti, non potendo dunque essere <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=sciolto">sciolto</a> che per mutuo <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=consenso">consenso</a> o per cause <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=ammesse">ammesse</a> dalla legge (comma 1) e non potendo produrre <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=effetto">effetto</a> rispetto ai terzi che nei casi <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=previsti">previsti</a> dalla legge (comma 2), con conseguente teorica inconciliabilità rispetto a figure di “<em>oneri reali</em>”, e dunque di prestazioni che ineriscono a tal punto ad una <em>res</em> da circolare liberamente con essa impegnando, automaticamente, la sfera giuridica dei terzi acquirenti futuri.</p> <p style="text-align: justify;">Significativo anche l’art.1489 del codice onde, se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e che non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’articolo 1480 (comma 1), dovendosi osservare inoltre, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 1481, 1485, 1486, 1487 e 1488.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, di rilievo anche l’art.1869 in materia di rendita, alla cui stregua le disposizioni degli articoli <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iii/capo-xviii/art1864.html">1864</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iii/capo-xviii/art1865.html">1865</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iii/capo-xviii/art1866.html">1866</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iii/capo-xviii/art1867.html">1867</a> e <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iii/capo-xviii/art1868.html">1868</a> (rendita perpetua e garanzia sull’immobile pertinente) si applicano a ogni altra “<em>annua <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4122.html">prestazione</a> perpetua</em>” costituita a qualsiasi titolo, anche per atto di ultima volontà: parte della dottrina riconduce tali fattispecie alla figura del c.d. onere reale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 agosto viene varata la legge n.1150, c.d. legge urbanistica, secondo il cui art.28 è possibile lottizzare determinate aree a fini edificatori, quando già vi sia un piano particolareggiato e su iniziativa del c.d. Podestà comunale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1946</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.37 alla cui stregua – nel prisma del difetto di limiti all’autonomia privata con riguardo alla possibilità di far luogo ad oneri reali, e facendo perno sulla funzione sociale della proprietà – si afferma ammissibile un patto incluso in un contratto di compravendita di un terreno e contenente l’obbligo di mantenere su di esso le future costruzioni ad una determinata distanza da un edificio preesistente.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta per il Collegio di limitazioni che non sono configurabili come servitù perché in esse non si concreta la prestazione di una utilità da uno ad un altro fondo, ma che comunque danno attuazione al principio di eguaglianza e di coesistenza di vari diritti di proprietà giacché per il Collegio, come risaputo, l’assolutezza del diritto di proprietà va intesa nei limiti razionali di un moderato esercizio, tale da non invadere e impedire l’esercizio dell’altrui diritto.</p> <p style="text-align: justify;">Muovendo dal fatto che la legge stessa, in tema di rapporti di vicinato, pone delle limitazioni in fatto di “<em>distanze</em>”, sempre come limitazioni vanno considerate quelle che, nella stessa materia e nel medesimo campo, sono stabilite dalla libera volontà delle parti, quando naturalmente non siano contrarie all’ordine pubblico, in quanto queste seconde, al pari delle prime, mirano a stabilire un rapporto di equilibrio tra diritti contrastanti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.824 che – nel quadro di un orientamento che non distingue con rigore l’onere reale dall’obbligazione <em>propter rem</em> – ai fini dell’efficacia reale di un obbligo posto a carico del proprietario di un immobile e contenuto in un contratto di compravendita, va assunta sufficiente, ai fini della pubblicità, la trascrizione dell’atto di alienazione in cui è contenuta la pertinente clausola.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1947</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.705 che ammette la possibile configurabilità, in un regolamento condominiale, di oneri reali intesi ad assicurare una destinazione degli immobili conforme all’interesse della collettività proprietaria e vincolanti dunque, come tali, anche gli aventi causa a titolo particolare, purché tali “<em>oneri</em>” siano stati resi pubblici giusta trascrizione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, secondo il cui art.42, comma 1, la proprietà è pubblica o privata e i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati; la proprietà privata è poi riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Stando al successivo art. 44, al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla relativa estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà (comma 1), disponendo provvedimenti a favore delle zone montane (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Di rilievo anche l’art.23, onde nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, e l’art.53, alla cui stregua tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (comma 1), nel contesto di un sistema tributario informato a criteri di progressività (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1951</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.141, onde le obbligazioni <em>propter rem</em> – nel solco di una giurisprudenza che rimarrà consolidata - sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e con il contenuto espressamente previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Tale orientamento restrittivo trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di preservare il più possibile la natura di diritto pieno ed esclusivo della proprietà, quale riflesso del diritto di libertà individuale, donde la sottrazione all’autonomia privata del potere di prevedere liberamente tali obbligazioni al di fuori dei casi tassativamente indicati dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio dunque, con riguardo alle obbligazioni <em>propter rem</em>, mutando giurisprudenza esclude la facoltà per i privati di forgiarne talune “<em>atipiche</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1268, alla cui stregua l’onere reale si compendia in un peso obiettivo gravante su un fondo, così sottolineandosi la peculiare inerenza al fondo medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 dicembre esce la sentenza del Tribunale di Firenze alla cui stregua va riconosciuta efficacia reale (e non dunque obbligatoria) – stante la pubblicità ottenibile giusta trascrizione – ad un obbligo di contenuto positivo quale quello di destinare un terreno esclusivamente alla costruzione di una o più fabbriche “<em>ad uso di studio per esercenti arti belle</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1952</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1896 che, con riguardo alle obbligazioni <em>propter rem</em>, ribadisce doversi escludere la facoltà per i privati di forgiarne talune “<em>atipiche</em>”; nel caso di specie, si tratta della clausola di un atto trascritto in forza della quale una parte dei terreni, prima costituenti un unico lotto, deve essere sistemata, mantenuta e illuminata in guisa da costituire una via privata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1954</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 dicembre esce la sentenza del Corte d’Appello di Milano alla cui stregua va riconosciuta efficacia reale (e non dunque obbligatoria) – stante la pubblicità ottenibile giusta trascrizione – ad un obbligo di contenuto positivo quale quello di destinare una determinata area a giardino.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte va ribadita la liceità ed efficacia di un simile tipo di onere, col solo limite che la proprietà gravata non sia sottoposta ad oneri tali che il diritto del proprietario venga praticamente svuotato del relativo contenuto essenziale, in modo da renderlo quasi illusorio.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio segue dunque ancora una volta l’indirizzo giurisprudenziale che, in contrasto con la dottrina prevalente, ha generalmente classificato un vincolo della specie scandagliata nella categoria degli “<em>oneri reali</em>”, estendendo il concetto tradizionale di questo istituto fino a comprendervi ogni peso obiettivo del fondo, ogni vincolo o limitazione del diritto di proprietà, aventi carattere reale ma non configurabili come servitù, perché possono costituirsi anche a vantaggio di una persona senza identificarsi con i diritti di godimento, e perché possono avere per oggetto anche una prestazione positiva o un obbligo di fare.</p> <p style="text-align: justify;">Va infatti riconosciuta per la Corte l’esigenza di non negare il riconoscimento a situazioni giuridiche create dalla libera volontà delle parti al di fuori degli schemi tipici e tradizionali dei diritti reali, quando non ostino ragioni fondate sulla necessità di tutelare l’ordine sociale o la morale o l’igiene o la libertà degli individui, e sussista un interesse, in colui che impone il vincolo, meritevole di tutela.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1955</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3554 che, con riguardo stavolta agli oneri reali, afferma doversi escludere la facoltà per i privati di forgiarne di atipici.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio scandaglia l’obbligo, contenuto in rogito, di sopportare in futuro, sul confine, la costruzione di una latrina, escludendo <em>in primis</em> l’esistenza di una servitù, essenzialmente perché la pertinente clausola non consente nemmeno di stabilire con la necessaria precisione quale sarebbe stato il fondo servente; esclude altresì l’esistenza di un onere reale, oltre che di una obbligazione <em>propter rem</em>, dacché – in omaggio al principio della libertà dei fondi e nell’interesse generale all’incremento della produzione - le predette non possono per la Corte avere una applicazione generale e illimitata, costituendo piuttosto figure ammissibili soltanto nei casi previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Ne sono esempi – rammenta il Collegio - l’obbligo di riparazione del muro comune ex art.882 c.c.; quello di estirpazione di alberi e siepi ex art.894 c.c. e, quanto alle leggi speciali, il contributo di miglioria, quello di bonifica integrale e così via.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte sembra pertanto anche in materia di oneri reali allinearsi alla dottrina prevalente che – proprio sulla scorta di quel rigore concettuale in precedenza “<em>superato</em>” dalla giurisprudenza al fine di “<em>seguire gli sviluppi del diritto</em>” – parla di tipicità e <em>numerus clausus</em> dei diritti reali, stante anche la incompatibilità di un contenuto <em>in faciendo</em> con la struttura non già solo delle servitù, ma di qualsivoglia altro diritto reale limitato, secondo le categorie ereditate dalla tradizione del diritto romano.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1956</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 giugno esce la sentenza della Corte d’Appello di Trento che riconosce, nel caso di specie, la sussistenza di un onere reale con genesi pattizia (e non <em>ex lege</em>), in un caso di prestazione di alimenti a carico di fondi a tale fine ceduti.</p> <p style="text-align: justify;">La pronuncia, che scandaglia una figura riconducibile allo schema del c.d. censo conservativo, non smentisce tuttavia il recente <em>revirement</em> della Cassazione in tema di necessaria tipicità degli oneri reali (e delle obbligazioni <em>propter rem</em>) siccome ormai maturata negli anni immediatamente precedenti: si tratta infatti di una decisione che investe un rapporto sorto in epoca di applicazione nel Trentino del diritto austriaco, e che la Corte di merito risolve facendo applicazione analogica di talune norme “<em>sulla divisione del fondo ipotecato</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2069 che si occupa di una dichiarazione contenuta in atti di vendita immobiliare di vari appezzamenti di terreno ad altrettanti acquirenti nel senso onde una striscia di terreno di proprietà dell’alienante deve rimanere destinata e mantenuta a strada al fine di mettere in comunicazione i diversi lotti; tale dichiarazione è stata fatta oggetto di una clausola del rogito con la quale il ridetto venditore, alienando l’ultimo lotto, ha imposto all’ultimo acquirente l’obbligo di rispettare la situazione così determinatasi.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio va negato che possa riconoscersi in simile fattispecie una servitù, dacché quest’ultima deve essere costituita in modo sicuro e preciso in tutta la relativa estensione ed entità in modo che non possa in prosieguo di tempo né aggravarsene, né diminuirsene l’esercizio.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte non esclude la configurabilità, nondimeno, di un onere reale che potrebbe tuttavia solo atteggiarsi a “<em>convenzionale</em>” e, come tale, passivamente non trasmissibile all’acquirente a titolo particolare (in sostanza, obbligatorio).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1958</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2857 che ammette la possibile esistenza in un regolamento condominiale clausole intese ad assicurare una destinazione degli immobili conforme all’interesse della collettività proprietaria; non già tuttavia quali “<em>oneri reali</em>”, stante la tipicità che avvince questi ultimi, ma piuttosto quali clausole meramente obbligatorie (laddove non si configuri una servitù).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1966</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2003, che ribadisce come l’onere reale non sia contemplato dal codice come una figura a sé stante costituendo, per lo più, il residuo degli antichi ordinamenti feudali e venendo perciò definito anche <em>servitus iuris germanici</em>, per distinguerlo dalla <em>servitus iuris romani</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Esso deriva per il Collegio direttamente dalla legge e, quanto alla pertinente costituzione, non è <em>in dominio privatorum</em>: stando alla migliore dottrina infatti e alla unanime (ormai) giurisprudenza, l’autonomia dei privati non può costituire un onere reale, ostandovi, tra l’altro, il principio della tipicità dei diritti reali.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte si occupa di una fattispecie in cui si discute del diritto dei condomini di accedere al vano contenente l’impianto centrale di riscaldamento dell’edificio condominiale, diritto esercitabile solo attraverso i locali di proprietà di un solo condomino (peraltro adibiti a tipografia).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte di merito ha configurato nel caso di specie un tale peso – siccome gravante sull’unità immobiliare del prefato condomino – come un onere reale, assumendo applicabili a tale istituto, in via analogica, le norme sulle servitù coattive.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio rigetta simile impostazione e l’applicazione analogica ridetta; essa, innovando rispetto al proprio precedente <em>trend</em> pretorio, assume configurabile una servitù a carico della proprietà individuale e a favore di quella comune, individuando peraltro nella specie – più nel dettaglio - una servitù di passaggio costituitasi per destinazione del padre di famiglia e precisamente per destinazione del precedente unico proprietario dello stabile.</p> <p style="text-align: justify;">La dottrina di commento fa notare come in pronunce come queste affiori – quanto meno implicitamente – il problema della “<em>idoneità delle categorie civilistiche, quali individuate dalla Corte di Cassazione nel nostro sistema, a soddisfare le esigenze che quotidianamente si manifestano soprattutto sul piano socio-urbanistico</em>”, stante la ormai assunta tipicità delle fattispecie di onere reale e di obbligazione <em>propter rem</em>, che dunque non possono essere (più liberamente) forgiate dall’autonomia privata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1967</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce la sentenza della Corte d’Appello di Trento che riconosce, nel caso di specie, la sussistenza di un onere reale con genesi pattizia (e non <em>ex lege</em>), in un caso di vitalizio a carico di un fondo.</p> <p style="text-align: justify;">La pronuncia, seconda ed ultima del genere, che scandaglia una figura riconducibile allo schema del c.d. censo conservativo, non smentisce tuttavia il recente <em>revirement</em> della Cassazione in tema di necessaria tipicità degli oneri reali (e delle obbligazioni <em>propter rem</em>) siccome ormai maturata negli anni Cinquanta: si tratta infatti di una decisione che investe un rapporto sorto in epoca di applicazione nel Trentino del diritto austriaco, e che la Corte di merito risolve ancora una volta facendo applicazione analogica di talune norme “<em>sulla divisione del fondo ipotecato</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto viene varata la legge n.765, c.d. legge ponte, recante modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150.</p> <p style="text-align: justify;">Di rilievo in particolare l’art.8 che, nel modificare l’art.28 della legge urbanistica, innesta nell’ordinamento la figura della c.d. convenzione di lottizzazione, quale accordo di natura pubblicistica attraverso il quale un Comune autorizza taluni privati proprietari, in conformità con il piano regolatore generale e con foggia esecutiva del medesimo, a lottizzare determinate aree a fini edificatori: si tratta di una singolare figura di piano attuativo del PRG che prende le mosse da un’iniziativa privata, e non già da una iniziativa pubblica comunale (come normalmente accade, ad esempio, con i c.d. piani particolareggiati).</p> <p style="text-align: justify;">Dalle convenzioni urbanistiche nascono obblighi che la giurisprudenza tenderà ad additare quali obbligazioni <em>propter rem</em>, come tali “<em>ambulatorie</em>” e trasferibili in virtù della cessione dei pertinenti terreni, siccome inseriti nel piano di lottizzazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.108 che ammette la possibile configurabilità nel contesto di un regolamento condominiale di clausole intese ad assicurare una destinazione degli immobili conforme all’interesse della collettività proprietaria; non già tuttavia quali “<em>oneri reali</em>”, stante la tipicità che avvince questi ultimi, ma piuttosto quali clausole meramente obbligatorie (laddove non si configuri una servitù).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2658 alla cui stregua l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali deriva dalla titolarità del diritto reale sull'immobile e integra un'obbligazione <em>propter rem </em>preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di ripartizione il quale, perciò, non ha valore costitutivo ma soltanto dichiarativo del relativo credito del condominio in rapporto alla quota di contribuzione dovuta dal singolo partecipante alla comunione.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che il condomino non può sottrarsi al pagamento dei contributi richiesti ancorché nello stato di ripartizione approvato dall'assemblea figuri, anziché il proprio nome, quello del proprio dante causa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6382 alla cui stregua esiste un preciso prisma nel quale interpretare gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche: l'obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è infatti per il Collegio di natura “<em>propter rem”</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 agosto esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.8797 alla cui stregua le obbligazioni c.d. reali o <em>propter rem</em> devono assumersi quali figure legali tipiche, potendo nascere per contratto nei soli casi e con i soli contenuti previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.10947 alla cui stregua esiste un preciso prisma nel quale interpretare gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche: l'obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è per il Collegio di natura “<em>propter rem”</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.8, che ribadisce come le obbligazioni <em>propter rem</em> vadano assunte caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e con il contenuto espressamente previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Vale a dire, precisa la Corte, che non possono essere liberamente costituite dall’autonomia privata, ma sono ammissibili solo nei casi stabiliti dalla legge, e cioè quando una norma giuridica consente che, in relazione ad un determinato diritto reale ed in considerazione di esigenze permanenti di cooperazione o di tutela di interessi generali, il soggetto si obblighi ad una prestazione accessoria, che può consistere anche in un <em>facere</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio viene varato il decreto legislativo n.22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.</p> <p style="text-align: justify;">Stando al relativo art.17, comma 2, chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso di un sito, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento.</p> <p style="text-align: justify;">A tal fine:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) deve essere data immediata notifica al Comune, alla Provincia ed alla Regione territorialmente competente, nonché agli organi di controllo sanitario e ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito;</li> <li>b) entro le 48 ore successive alla notifica di cui sopra, deve essere data comunicazione al Comune ed alla Provincia, nonché alla Regione, territorialmente competenti, degli interventi di messa in sicurezza adottati per non aggravare la situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento, contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale;</li> <li>c) entro 30 giorni dall’evento che ha determinato l’inquinamento ovvero dalla individuazione della situazione di pericolo, deve essere presentato al Comune ed alla Regione il progetto di bonifica delle aree inquinate.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Stando al successivo comma 3, i soggetti e gli organi pubblici che nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento siano superiori i limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell’inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla Provincia e alla Regione.</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del comma 10, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai comma 2 e 3; tale onere reale deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica ai sensi e per gli effetti dell’art.18, comma 2, della legge n.47 del 1985.</p> <p style="text-align: justify;">Le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate di cui ai comma 2 e 3 sono assistite, ai sensi del comma 11, da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’art.2748, comma 2, c.c., e detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile di che trattasi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 ottobre viene varato il D.M. n.471, Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta del Regolamento che disciplina l’istituto del c.d. onere reale sulle aree inquinate.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.943 alla cui stregua la formazione del regolamento condominiale (anche non contrattuale) va assunta soggetta al requisito della forma scritta <em>ad substantiam</em>, desumendosi la prescrizione di tale requisito formale, sia dalla circostanza che l'art. 1138 ultimo comma cod. civ. prevedeva (nel vigore dell'ordinamento corporativo) la trascrizione del regolamento nel registro già prescritto dall'art. 71 delle disp. di att. al cod. civ., sia dalla circostanza che, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura soltanto regolamentare (e siano perciò adottabili a maggioranza), trova applicazione il settimo comma dell'art. 1136 cod. civ., che prescrive la trascrizione delle deliberazioni in apposito registro tenuto dall'amministratore (onde anche la deliberazione di approvazione di tale regolamento, per poter essere trascritta, deve essere redatta per iscritto), mentre, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura contrattuale, l'esigenza della forma scritta è imposta dalla circostanza che esse incidono, costituendo oneri reali o servitù, sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di quelli degli altri condomini.</p> <p style="text-align: justify;">Ne discende che il requisito della forma scritta <em>ad substantiam</em> (che non può intendersi, d'altro canto, stabilito <em>ad probationem</em>, poiché quando sia necessaria la forma scritta, la scrittura costituisce elemento essenziale per la validità dell'atto, in difetto di disposizione che ne preveda la rilevanza solo sul piano probatorio) deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio, perché esse, in quanto sostitutive delle clausole originarie del regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei condomini.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8924 onde, poiché tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c., soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono <em>obligationes propter rem — </em>e per questo il condomino non può sottrarsi all'obbligo del pertinente pagamento, ai sensi dell'art. 1118, comma secondo, c.c., che invece, significativamente, nulla dispone per le spese relative al godimento delle cose comuni — è legittima la rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento (purché questo non ne sia pregiudicato), con il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, comma secondo, c.c., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del servizio centralizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Egli è invece obbligato, chiosa la Corte, a sostenere le spese dell'eventuale aggravio derivato alle gestione di tale servizio (da intendersi quale conservazione della pertinente cosa comune), siccome compensato dal maggiore calore di cui beneficia anche il relativo appartamento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.12571 onde, con riguardo alle convenzioni urbanistiche, la natura reale delle obbligazioni che ne discendono comporta che all'adempimento delle stesse vadano assunti tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione medesima, ma anche quelli che richiedono la concessione ad edificare, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa.</p> <p style="text-align: justify;">Il meccanismo dell'ambulatorietà passiva dell'obbligazione proprio della natura <em>propter rem</em>, intende il Collegio, non trasforma <em>ex se</em> gli aventi causa dei lottizzanti in "<em>parti</em>" a pieno titolo del rapporto convenzionale, ma li rende semplicemente corresponsabili nell'esecuzione degli impegni presi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.3341 che – contrariamente alla uniforme giurisprudenza alla cui stregua le obbligazioni <em>propter rem</em>, come pure gli oneri reali, sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge (Cass. 2 gennaio 1997, n. 8; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003) – pare isolatamente dissociarsi dal ridetto principio, senza tuttavia spendere specifici argomenti in senso opposto e anzi riconoscendo, ad ogni modo, che "<em>al principio di tipicità sono vincolati i diritti reali</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, più in specie, i consorzi di urbanizzazione (nella specie, costituiti da proprietari di terreni situati in un'area destinata ad insediamenti abitativo/turistici per realizzare, mantenere e gestire le attrezzature ed i servizi necessari all'utilizzazione dell'intera area), possono legittimamente rivestire natura di associazioni atipiche e - anche sul presupposto per cui al principio di tipicità risultano vincolati i soli diritti reali, e non anche le cosiddette obbligazioni "<em>propter rem</em>", - assumere aspetti sia associativi che di "<em>realità</em>", tali ultimi aspetti derivando, appunto, dall'assunzione di obblighi "<em>propter rem</em>", ovvero dalla costituzione di reciproche servitù.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che, al fine di individuare la disciplina ad essi concretamente applicabile, occorre far capo alle regole dettate dal codice civile in tema di associazioni non riconosciute, specie per quanto attinente ai profili organizzativi ed associativi, fonte primaria restando invece, quanto all'ordinamento interno ed all'amministrazione, l'accordo delle parti, sicché l'atto costitutivo (dotato dei caratteri strutturali del contratto associativo) e lo statuto risultano funzionali a regolare l'attività del consorzio stesso e, in particolare, a stabilire la durata del rapporto, nonché l'eventuale prorogabilità del termine di scadenza, ove questo sia a tempo determinato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4525 alla cui stregua – in ambito ambientale - l’obbligo di evocare correttamente i soggetti obbligati agli interventi di bonifica ed in particolare il proprietario dell’area su cui ricade il vincolo, deriva oltre che dai principi generali fissati dalla legge n. 241 del 1990 e dalla normativa di settore (articoli 1, comma 2, e 8 del d.m. n. 471/1999), dalle conseguenze che l’accertamento dell’inquinamento di un sito comporta per il proprietario il quale, quand’anche non responsabile, potrebbe ritenere utile di provvedere direttamente alla bonifica, se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 aprile viene varato il decreto legislativo n.152, recante norme in materia ambientale, il cui art.253 conferma la configurabilità del c.d. onere reale “<em>ambientale</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il comma 1 della disposizione – significativamente rubricata “<em>oneri reali e privilegi speciali</em>” – dispone che gli interventi previsti dal Titolo in cui essa si incastona costituiscono “<em>onere reale</em>” sui siti contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità competente ai sensi del precedente art.250, l’onere reale dovendo essere iscritto a seguito dell’approvazione del progetto di bonifica e dovendo essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica.</p> <p style="text-align: justify;">Le spese sostenute per i pertinenti interventi sono assistite (comma 2) da privilegio speciale immobiliare sulle aree coinvolte, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.2748, comma 2, c.c., privilegio che può essere esercitato anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile sul quale grava.</p> <p style="text-align: justify;">Il privilegio e la ripetizione delle spese (comma 3) possono essere esercitati nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile, ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.</p> <p style="text-align: justify;">In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge 241.90, le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (comma 4); nel caso in cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia poi spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, egli ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito.</p> <p style="text-align: justify;">Infine (comma 5), gli interventi di bonifica dei siti inquinati possono essere assistiti, sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento, da contributi pubblici entro il limite massimo del 50% delle relative spese qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi ad esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali; a tali contributi pubblici non si applicano tuttavia le disposizioni dei comma 1 e 2 sul c.d. onere reale ambientale e sul connesso privilegio speciale immobiliare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11196 onde, con riguardo alle convenzioni urbanistiche, la natura reale delle obbligazioni che ne discendono comporta che all'adempimento delle stesse vadano assunti tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione medesima, ma anche quelli che richiedono la concessione ad edificare, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa.</p> <p style="text-align: justify;">Il meccanismo dell'ambulatorietà passiva dell'obbligazione proprio della natura <em>propter rem</em>, intende il Collegio, non trasforma <em>ex se</em> gli aventi causa dei lottizzanti in "<em>parti</em>" a pieno titolo del rapporto convenzionale, ma li rende semplicemente corresponsabili nell'esecuzione degli impegni presi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.9148 in tema di obbligazioni dei condomini che – superando la maggioritaria giurisprudenza in senso opposto – assume la natura parziaria, e non già solidale, di tali obbligazioni.</p> <p style="text-align: justify;">Nel cuore del proprio <em>iter</em> motivazionale, la Corte precisa come nelle obbligazioni dei condomini la parziarietà vada ricondotta all'art. 1123 cod. civ., interpretato valorizzando la relazione tra la titolarità della obbligazione e quella (in comune) della cosa.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta dunque per il Collegio di obbligazioni <em>propter rem</em>, che nascono come conseguenza dell'appartenenza in comune - in ragione ciascuno della rispettiva quota - delle cose, degli impianti e dei servizi e solo in ragione della ridetta quota, a norma dell'art. 1123 cit., i condomini devono assumersi tenuti a contribuire alle spese per le parti comuni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2982 onde – in materia ambientale - il coinvolgimento del proprietario del terreno, quand’anche questi non sia responsabile dell’inquinamento, nelle spese di messa in sicurezza e di bonifica del sito, attraverso gli istituti dell’onere reale, è una conseguenza della necessità - individuata dall’autorità competente - di realizzare gli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, presupponendo a monte un provvedimento amministrativo che prescriva detti interventi all’esito dell’approvazione di un progetto di bonifica.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio è dunque da escludere che l’imposizione del peso sul fondo, in assenza di una procedura amministrativa volta ad accertare la contaminazione del suolo e ad imporre l’adozione degli interventi necessari, onerando il proprietario del relativo costo, nasca dalla presenza del semplice accumulo sul terreno di rifiuti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.16401 che assume di potere richiamare e applicare anche al caso di specie ad essa sottoposto il consolidato orientamento giurisprudenziale relativo alla natura reale delle obbligazioni derivanti dalle convenzioni urbanistiche, relative alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, al cui adempimento sono tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono i titoli edilizi nell’ambito della lottizzazione, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5300 che, in tema di rifiuti, si occupa dei c.d. oneri reali.</p> <p style="text-align: justify;">Oggetto del giudizio – rammenta il Collegio - è la costituzione su un compendio immobiliare di proprietà della società ricorrente dell’onere reale di cui all’articolo 17, commi 10 e 11, del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Tali disposizioni normative – inserite nella disciplina in materia di procedure e modalità per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati – stabiliscono che:</p> <p style="text-align: justify;">“<em>Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale nonché la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3. L’onere reale deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 18, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47” (comma 10);</em></p> <p style="text-align: justify;">“<em>Le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, ai sensi dei commi 2 e 3, sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del Codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Le predette spese sono altresì assistite da privilegio generale mobiliare</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">L’istituto dell’onere reale sulle aree inquinate – riprende a questo punto il Collegio - introdotto per la prima volta nell’ordinamento dal d. lgs. n. 22/97 e regolato dal d.m. n. 471/99, è stato reiterato dall’articolo 253 (oneri reali e privilegi speciali) del d.lgs. n. 152/2006 (Parte IV, Titolo V), che, al comma 1, prevede “<em>Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 250. L’onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il d.lgs. n. 152/2006 apporta significative e opportune modifiche a quanto previsto dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 e dal d.m. n. 471/99 che meglio garantiscono il proprietario (in particolare, l’art. 244, comma 3, in base al quale l’ordinanza con la quale la Provincia diffida il responsabile dell’inquinamento a provvedere al fine di mettere in atto gli interventi previsti dalla normativa sulle bonifiche, “<em>è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253”).</em></p> <p style="text-align: justify;">E’ bene sottolineare sin da subito – precisa il Collegio - che né il d.lgs. n. 152/2006, né la normativa dettata dal d. lgs. n. 22/1997 (e rilevante nel caso di specie, <em>ratione temporis</em>) definiscono con precisione le caratteristiche dell’onere reale o gli obblighi che ne derivano.</p> <p style="text-align: justify;">Tale istituto, inoltre, non solo non risulta disciplinato dal codice civile, ma non ha ancora trovato una sistemazione definitiva in dottrina.</p> <p style="text-align: justify;">La caratteristica dell’onere reale è comunque, riprende il Collegio, l’ambulatorietà passiva che accomuna l’istituto alla <em>obligatio propter rem</em> per il fatto che segue l’immobile, per cui chiunque subentri nel diritto reale subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto effettiva conoscenza (a tal fine è prevista la trascrizione dell’onere nei Registri immobiliari e l’annotazione sul certificato di destinazione urbanistica).</p> <p style="text-align: justify;">In merito alla tipologia degli obblighi derivanti dall’onere reale, non è chiaro se consistono nell’obbligo di bonifica o nella mera garanzia – invero atipica – per l’Amministrazione di recupero delle spese sostenute per la bonifica.</p> <p style="text-align: justify;">Comunque, gli obblighi scaturenti dalla costituzione dell’onere reale sono particolarmente gravosi per il proprietario dell’area che potrebbe subire anche l’esproprio dell’area inquinata. Ne consegue per il Collegio che l’intera disciplina non può che essere di stretta interpretazione e non può prescindere dalla rigida osservanza del procedimento dettato dal legislatore.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò implica da un lato che vi sia certezza sullo stato di inquinamento del sito e dall’altro che sia notificata al responsabile dell’inquinamento e al proprietario del sito interessato dall’inquinamento la diffida a provvedere ad effettuare le opere di disinquinamento e di messa in sicurezza.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda in particolare la diffida, trattasi di onere procedimentale necessario, come disposto dall’articolo 8, commi 2 e 3, del d.m. n. 471/1999 (“<em>Il Comune</em>,(…), <em>con propria ordinanza diffida il responsabile dell’inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del presente regolamento. 3. L ‘ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">Intimamente connessa alla diffida è la situazione di “<em>inerzia</em>” del responsabile dell’inquinamento (o la relativa mancata individuazione) e/o l’inerzia del proprietario incolpevole o di eventuali altri soggetti interessati (il comma 4 dell’articolo 8 del citato d.m. n. 471/1999 prevede, infatti, che detti soggetti debbano provvedere tempestivamente agli adempimenti degli interventi necessari di messa in sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale e solamente in caso di inerzia sono adottati dalla Regione o dal Comune ai sensi e per gli effetti dell’articolo 17, commi 9, 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (tali prescrizioni sono meglio precisate dall’attuale articolo 250 del d. lgs. n. 152/2006: “<em>Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi…sono realizzati d’ufficio dal Comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio</em>”)).</p> <p style="text-align: justify;">Va da sé – prosegue il Collegio - che l’obbligo di evocare correttamente i soggetti obbligati agli interventi di bonifica ed in particolare il proprietario dell’area su cui ricade il vincolo, deriva oltre che dai principi generali fissati dalla legge n. 241 del 1990 e dalla normativa di settore (articoli 1, comma 2, e 8 del d.m. n. 471/1999), dalle conseguenze che l’accertamento dell’inquinamento di un sito comporta per il proprietario il quale, quand’anche non responsabile, potrebbe ritenere utile di provvedere direttamente alla bonifica, se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare (Cons. Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).</p> <p style="text-align: justify;">Altro presupposto fondante della costituzione del vincolo è la sussistenza dell’inquinamento del sito e l’approvazione dall’amministrazione competente del progetto di bonifica (l’attuale articolo 253 del d. lgs. n. 152/2006 sul punto più precisamente stabilisce che “<em>L’onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">L’accertamento dello stato di inquinamento del sito deve essere, poi, condotto alla stregua dei parametri e criteri fissati dalla fonte primaria (d. lgs. n. 22 del 1997) e dal decreto di attuazione (d.m. 471 del 25 ottobre 1999).</p> <p style="text-align: justify;">In base a tali parametri, precisa il Collegio, un sito può considerarsi inquinato ove:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) siano superati i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti;</li> <li>b) tanto risulti dall’analisi dei campioni prelevati ed effettuati con le tecniche e nel rispetto dei parametri fissati con decreti ministeriali;</li> <li>c) siano redatti i progetti di bonifica approvati dagli enti competenti che indichino a) gli ambiti interessati, la caratterizzazione ed il livello degli inquinanti presenti; b) i soggetti cui compete l’intervento di bonifica; la stima degli oneri finanziari, fermo, comunque, che per interventi di “<em>bonifica</em>” si intendono gli interventi di rimozione della fonte inquinante e di quanto dalla stessa contaminato fino al raggiungimento dei valori limite conformi all’utilizzo previsto dell’area e, per interventi di “<em>messa in sicurezza</em>”, gli interventi finalizzati al contenimento o isolamento definitivo della fonte inquinante rispetto alla matrici ambientali circostanti.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Nel caso in esame – a parte quanto già detto con riguardo alle carenze della comunicazione alla proprietà delle ordinanze di rimozione dei rifiuti e dell’intervento del Comune in danno, che escludono la conoscenza legale di siffatti provvedimenti, con la conseguente illegittimità dell’onere reale costituito dall’amministrazione – dal punto di vista sostanziale, non risultano per la Sezione sussistere gli elementi fattuali che consentano di considerare il sito “<em>inquinato</em>” e soggetto a bonifica.</p> <p style="text-align: justify;">Il Comune invero assume che, dopo una iniziale situazione di mero abbandono di rifiuti sul sito della società, sarebbe subentrato un diffuso inquinamento dell’area in esito alle analisi di campioni di terreno.</p> <p style="text-align: justify;">L’assunto, condiviso dalla sentenza impugnata, non trova tuttavia corrispondenza negli atti della Provincia di Cremona, dell’ARPA e della Regione Lombardia, soggetti per legge coinvolti a vario titolo nel procedimento di bonifica.</p> <p style="text-align: justify;">Significativo – chiosa ancora il Collegio - è che il decreto della Regione, Direzione generale delle risorse idriche e servizi di pubblica utilità del 6 agosto 2001 di concessione del contributo, concede il contributo in conto capitale in favore del Comune di Robecco d’Oglio soltanto per gli interventi di smaltimento dei rifiuti stoccati nell’area della B. s.r.l. e non anche per le attività di bonifica dell’area inquinata.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, in data 14 settembre 2000, la Provincia di Cremona, a mezzo del Dirigente del Settore Ambiente, aveva rilevato che “<em>…al caso in argomento non sia attualmente applicabile quanto disposto dal D.M. 471 del 25/10/1999 (e pertanto l’art. 17 D. L.vo 22/1997) in materia di bonifiche, giuste le specificazioni dell’ambito applicativo condotte dal comma 2 dell’art. 1 del decreto stesso, a meno di successiva verifica di assoggettamento post – sgombero…”.</em></p> <p style="text-align: justify;">Successivamente allo sgombero dei rifiuti, nella Riunione dei Servizi del 12 febbraio 2003 tenutasi alla presenza di rappresentanti del Comune di Robecco d’Oglio, dell’ARPA, della Provincia di Cremona e della UN., risultava che, dalle analisi di campioni di materiale prelevati presso l’immobile della società B. al fine di accertare l’eventuale superamento dei limiti di legge relativi alle sostanze inquinanti di cui al DM n. 471 del 1999, emergevano valori nella norma e dentro i limiti di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Tale rilievo veniva confermato all’esito della successiva Riunione dei Servizi tenutasi in data 11 luglio 2003 alla presenza di rappresentanti del Comune di Robecco d’Oglio, dell’ARPA, della Provincia di Cremona e di UN., in cui si affermava tra l’altro che “<em>questa messa in sicurezza non rende necessaria la redazione e l’attuazione di un piano di caratterizzazione e delle conseguenti procedure di bonifica ai sensi del D.M. n. 471/99</em>…”.</p> <p style="text-align: justify;">E’ evidente quindi, riprende il Collegio, che le Amministrazioni pubbliche intervenute nella istruttoria hanno concordemente ritenuto che non erano identificabili i presupposti per l’operatività del disposto di cui all’articolo 17 del d. lgs. n. 22 del 1997.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto alla relazione dell’ufficio tecnico comunale, a parte che è stata puntualmente contestata dalla perizia tecnica di parte, essa concerne le analisi dei rifiuti presenti all’interno dell’area di proprietà della società e non le analisi del terreno e delle acque, onde accertare se i valori di concentrazione delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque superficiali o sotterranee superassero i valori limite, come stabilito dall’articolo 2, lettera b), del d.m. n. 471 del 1999, a parte che i prelievi effettuati dall’Amministrazione comunale furono effettuati da soggetto privato, non in contradditorio con gli interessati e non dando conto delle procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni ai sensi dell’allegato 2 al d.m. n. 471 del 1999.</p> <p style="text-align: justify;">Certo è che le analisi eseguite su campioni di materiale prelevati in data 27 gennaio 2003 alla presenza di rappresentanti del Comune di Robecco d’Oglio, dell’ARPA, della UN. e dei locali Carabinieri non hanno riscontrato valori anomali.</p> <p style="text-align: justify;">A conferma, la riunione dei servizi tenutasi in data 12 febbraio 2003 attestava che dalle analisi dei campioni prelevati in data 27 gennaio 2003 sono risultati ” <em>…valori nella norma e dentro i limiti di legge; altrettanto dicasi per il prelievo di terreno sottostante i cumuli per i quali la ricerca effettuata su fenoli e metalli ha dato risultati con valori nella normalità. L’ARPA, tramite i suoi rappresentanti ha dato pure comunicazione verbale dei risultati delle analisi effettuate in contraddittorio rilevando valori conformi ai limiti di legge ed in linea con quelli della ditta</em>…”.</p> <p style="text-align: justify;">A sua volta la UN., in una relazione datata 31 marzo 2003, affermava che “<em>…dalle analisi effettuate in via ufficiosa sui terreni sottostanti ai cumuli di rifiuti e nei coli e terreni attigui al cantiere non sono stati rilevati anomali valori di inquinamento</em>…”.</p> <p style="text-align: justify;">Ad identiche conclusioni approdavano le analisi sui campioni di acqua prelevati all’interno dell’area asseritamente inquinata, come attestato dalla riunione dei servizi tenutasi in data 11 luglio 2003 (all’esito delle risultanze investigative di dettaglio analitiche effettuate sulle matrici di terreno e sui sedimenti relativi a corpi idrici viciniori, la assenza di una situazione di inquinamento).</p> <p style="text-align: justify;">Quanto rappresentato – riprende il Collegio - evidenzia l’insussistenza dell’inquinamento del sito, nonché il travisamento in cui è incorso il Comune – condiviso dal TAR nella sentenza impugnata – in relazione ad un presunto, ma non provato e nemmeno accertato in base ai parametri normativi, superamento dei limiti previsti dal d.m. n. 471/1999.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione deve ritenersi che il terreno in questione non era inquinato ai sensi dell’articolo 17 del d. lgs. n. 22/1997 né prima, né dopo la rimozione dei rifiuti da parte del Comune, sicché non ricorreva il presupposto per la costituzione dell’onere reale che, come esposto, non è collegato al pericolo dello stato di inquinamento ma alla prova certa dello stato di inquinamento del terreno.</p> <p style="text-align: justify;">Invero l’onere reale sembra essere finalizzato nel caso al solo scopo di assicurarsi una garanzia reale per il recupero delle somme anticipate per la rimozione dei rifiuti, in difformità dalla finalità dell’istituto che è garanzia operante solo ed esclusivamente in presenza di uno stato di inquinamento del sito.</p> <p style="text-align: justify;">Di tanto – precisa il Collegio - è consapevole il TAR che riconosce che l’onere reale nel caso è stato costituito nella forma del privilegio senza considerare che anche tale forma di tutela presuppone la sussistenza dell’inquinamento del sito e della necessità della sua bonifica.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, il coinvolgimento del proprietario del terreno, quand’anche non sia responsabile dell’inquinamento, nelle spese di messa in sicurezza e di bonifica del sito, attraverso gli istituti dell’onere reale, è una conseguenza della necessità individuata dall’autorità competente di realizzare gli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, presupponendo a monte un provvedimento amministrativo che prescriva detti interventi all’esito dell’approvazione di un progetto di bonifica, mentre è da escludere che l’imposizione del peso sul fondo, in assenza di una procedura amministrativa volta ad accertare la contaminazione del suolo e ad imporre l’adozione degli interventi necessari, onerando il proprietario del relativo costo, nasca dalla presenza del semplice accumulo sul terreno di rifiuti (Cass. Civ., sez. II, 27 febbraio 2012, n. 2982).</p> <p style="text-align: justify;">Tutta la disciplina dettata in materia implica quale presupposto necessario per la costituzione dell’onere reale il superamento dei limiti fissati con il decreto ministeriale di riferimento, ovvero un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, sicché ove tale necessario presupposto non ricorre, non opera per il Collegio né l’obbligo di procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento, né, per il caso di inerzia del responsabile e del proprietario dell’area inquinata, malgrado incolpevole, la costituzione dell’onere reale che è istituto strettamente consequenziale.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto esposto, conclude il Collegio, assorbito ogni altro motivo, l’appello, con riguardo alla costituzione dell’onere reale, deve essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati con il ricorso di primo grado.</p> <p style="text-align: justify;">La domanda di risarcimento danni non può essere invece accolta, non essendo stata data prova rigorosa dei danni rivenienti alla proprietà dalla costituzione dell’onere reale, non essendo prova idonea il mero riferimento ai danni derivanti dalla interruzione di trattative di alienazione in corso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.26987 alla cui stregua l’obbligazione <em>propter rem</em>, come suggerisce la stessa denominazione, è figura giuridica che indica situazioni di carattere obbligatorio – caratterizzate quindi dall’<em>agere necesse</em> – la cui peculiarità è data dal fatto che la qualità di debitore discende da quella di proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento.</p> <p style="text-align: justify;">La causa di tali obbligazioni è riconducibile ad esigenze di carattere generale, collegate alla titolarità o contitolarità del diritto reale, e si specifica – precisa la Corte - in funzione dell’esercizio o della conservazione di un diritto altrui – come previsto, nella disciplina delle servitù, dagli artt. 1030, 1069, secondo comma, 1091 cod. civ., o, in alternativa, al principio generale <em>ubi commoda eius et incommoda</em>, secondo il quale chi gode di determinati vantaggi non può non subire gli eventuali riflessi negativi di tale godimento (così è nei casi previsti dagli artt. 882, 894, 896, 1104 cod. civ.).</p> <p style="text-align: justify;">La necessaria connessione con la situazione di realità – proprietà o altro diritto reale di godimento – determina, precisa il Collegio, l’accessorietà dell’obbligazione <em>propter rem</em> e la relativa ambulatorietà.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo propria giurisprudenza consolidata – prosegue la Corte - le obbligazioni <em>propter rem</em> sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e con il contenuto espressamente previsti dalla legge (<em>ex plurimis</em>, Cass. 26/02/2014, n. 4572; Cass. 04/12/2007, n. 25289; Cass. 02/01/1997, n. 8; Cass.20/08/1993, n. 8797; Cass. 29/04/1975, n. 1666; Cass. 19/10/1957, n. 3982).</p> <p style="text-align: justify;">Vale a dire, precisa ancora la Corte, che non possono essere liberamente costituite dall’autonomia privata, ma sono ammissibili solo nei casi voluti dalla legge, e cioè quando una norma giuridica consente che, in relazione ad un determinato diritto reale ed in considerazione di esigenze permanenti di cooperazione o di tutela di interessi generali, il soggetto si obblighi ad una prestazione accessoria, che può consistere anche in un facere (così, in motivazione, Cass. n. 8 del 1997, già citata).</p> <p style="text-align: justify;">L’orientamento restrittivo, affermatosi a partire dagli anni ’50 (Cass. 18/01/1951, n. 141), trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di preservare il più possibile la natura di diritto pieno ed esclusivo della proprietà, quale riflesso del diritto di libertà individuale, onde la sottrazione all’autonomia privata del potere di prevedere liberamente tali obbligazioni al di fuori dei casi tassativamente indicati dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">La fattispecie oggetto della presente controversia – riprende la Corte - non è riconducibile alla categoria dell’<em>obligatio propter rem</em>. In primo luogo va chiarito che non sussistono i presupposti per l’applicazione dei principi in tema di condominio, dirimente palesandosi la circostanza che l’immobile in questione non era stato destinato ad alloggio del portiere al momento della costituzione del condominio, essendo <em>ab origine</em> di proprietà esclusiva di uno dei condomini.</p> <p style="text-align: justify;">Il vincolo di destinazione venne impresso con rogito del 4 dicembre 1941, con il quale il condomino proprietario concesse l’immobile in uso al Condominio, dietro corrispettivo di 50 lire al mese, perché fosse adibito in perpetuo ad alloggio del portiere.</p> <p style="text-align: justify;">L’obbligazione così assunta dall’allora proprietario non è sussumibile, conclude il Collegio, nel novero delle obbligazioni <em>propter rem,</em> stante il difetto del requisito della tipicità: non esiste, infatti, una disposizione di legge che contempla l’obbligazione reale tipica di concedere in uso perpetuo un bene immobile.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.199 che assume di potere richiamare e applicare anche al caso di specie ad essa sottoposto il consolidato orientamento giurisprudenziale espresso dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato medesimo, relativo alla natura reale delle obbligazioni derivanti dalle convenzioni urbanistiche, relative alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, al cui adempimento sono tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono i titoli edilizi nell’ambito della lottizzazione, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa (Cass. civ., 28 giugno 2013 n. 16401; 15 maggio 2007, n. 11196; id 27 agosto 2002, n. 12571).</p> <p style="text-align: justify;">Le clausole delle convenzioni urbanistiche devono essere interpretate in relazione allo scopo delle convenzioni stesse, di garantire che all’ edificazione del territorio corrisponda non solo l'approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, ma anche il relativo, equilibrato inserimento in rapporto al contesto di zona che, nell'insieme, garantiscano la normale qualità del vivere in un aggregato urbano discrezionalmente, e razionalmente, individuato dall'autorità preposta alla gestione del territorio; in quest'ottica devono essere letti ed interpretati gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche ridette.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 settembre esce la sentenza della II sezione della Consiglio di Stato n.6282 che assume di potere richiamare e applicare anche al caso di specie ad essa sottoposto il consolidato orientamento giurisprudenziale espresso dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato medesimo, relativo alla natura reale delle obbligazioni derivanti dalle convenzioni urbanistiche, relative alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, al cui adempimento sono tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono i titoli edilizi nell’ambito della lottizzazione, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa (Cass. civ., 28 giugno 2013 n. 16401; 15 maggio 2007, n. 11196; id 27 agosto 2002, n. 12571; Cons. Stato Sez. IV, 9 gennaio 2019, n. 199).</p> <p style="text-align: justify;">Le clausole delle convenzioni urbanistiche devono essere interpretate in relazione allo scopo delle convenzioni stesse, di garantire che all’ edificazione del territorio corrisponda non solo l'approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, ma anche il relativo, equilibrato inserimento in rapporto al contesto di zona che, nell'insieme, garantiscano la normale qualità del vivere in un aggregato urbano discrezionalmente, e razionalmente, individuato dall'autorità preposta alla gestione del territorio; in quest'ottica devono essere letti ed interpretati gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche ridette.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 gennaio esce la sentenza della I sezione del Tar Sardegna n.45 onde, nel richiamare Cass. Sez. III Civile, 20.08.2015, n. 16999, l'obbligazione di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione assunta da colui che stipula una convenzione edilizia è <em>propter rem</em>, nel senso che va adempiuta non solo da colui che tale convenzione ha stipulato, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia.</p> <p style="text-align: justify;">In altri termini, per il Collegio chi realizza opere di trasformazione edilizia e urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al proprio dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario, ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione.</p> <p style="text-align: justify;">La natura reale dell'obbligazione ridetta afferisce dunque ai soggetti che stipulano la convenzione, a quelli che richiedono la concessione a costruire e a quelli che concretamente realizzano l'edificazione avvalendosi della concessione rilasciata al loro dante causa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.8080 che rammenta come il decreto legislativo n. 246 del 2005, facendo salve le disposizioni tributarie, ammetta la riconferma della legittimità del sistema di riscossione dei contributi consortili che, per espresso dettato normativo, costituiscono oneri reali, hanno natura tributaria e vengono riscossi con le stesse modalità previste per la riscossione delle imposte dirette, mediante ruoli esattoriali.</p> <p style="text-align: justify;">L'attuale vigenza di tale regime di riscossione – prosegue la Corte - trova conferma nella motivazione della sentenza della Corte Cost. n. 188/2018 che nel dichiarare l'illegittimità costituzionale della L.R. della Calabria n.11/2003, ha affermato che "<em>Fermo restando che la debenza dei contributi consortili trova la sua fonte (statale) ancora nell'art. 860 cod. civ. - che prescrive che i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio delle opere di bonifica (per cui, secondo la sentenza n. 5 del 1967, «</em>l'obbligo di contribuenza deriva dalla legge<em>») - la norma di principio, che li governa, può ricavarsi dal canone generale della stessa disposizione che parametra il contenuto della prestazione patrimoniale obbligatoria al beneficio che i consorziati traggono dalla bonifica. Canone questo che è in stretta continuità sia con la previsione del (tuttora vigente) art. 11 del r. d. n. 215 del 1933 - secondo cui la ripartizione della «</em>quota di spesa<em>» tra í proprietari è fatta «</em>in ragione dei benefici conseguiti<em>» per effetto delle opere di bonifica e i criteri di ripartizione sono fissati negli statuti dei consorzi o con successiva deliberazione degli stessi - , sia con la richiamata intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, che ha previsto che le spese del consorzio sono a carico dei consorziati «</em>i cui immobili traggono beneficio dalle azioni dei Consorzi"</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, riprende il Collegio, per un corretto inquadramento della questione, è necessario ricordare che il procedimento di riscossione a mezzo ruolo è stato ridisciplinato dal d.lgs. 26.2.1999, n. 46 ("<em>Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell'art 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337</em>").</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, l'ambito di applicazione della riscossione mediante ruolo è stato determinato dall'art. 17 di detto d.lgs. Recita tale norma: "<em>1. Salvo quanto previsto dal comma 2, si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici. 2. Può essere effettuata mediante ruolo affidato ai concessionari la riscossione coattiva delle entrate delle regioni, delle province, anche autonome, dei comuni e degli altri enti locali, nonché quella della tariffa di cui all'art. 156 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. 3. Continua comunque ad effettuarsi mediante ruolo la riscossione delle entrate già riscosse con tale sistema in base alle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Anche dopo l'entrata in vigore di tale nuova disciplina, chiosa a questo punto la Corte, si è ritenuto che i consorzi di bonifica potessero avvalersi della riscossione a mezzo ruolo, pur non potendo loro applicarsi né il primo né il secondo comma dell'articolo in questione.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, i consorzi hanno continuato a praticare la riscossione tramite ruolo in base alla c.d. < <em>clausola di continuità</em> > contenuta nel terzo comma dell'art. 17 del d.lgs. in questione a tenore del quale "<em>continua comunque ad effettuarsi mediante ruolo la riscossione delle entrate già riscosse con tale sistema in base alle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Alla data del 10 luglio 1999, data di entrata in vigore di detto decreto, ai consorzi la riscossione mediante ruolo era consentita dal disposto dell'art. 21 del r.d. 13.2.1933 n. 215 secondo cui "<em>I contributi dei proprietari nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche di bonifica costituiscono oneri reali sui fondi dei contribuenti e sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l'imposta fondiaria, prendendo grado immediatamente dopo tale imposta e le relative sovrimposte provinciali e comunali. Alla riscossione dei contributi si provvede con le norme che regolano l'esazione delle imposte dirette</em>" e, quindi, mediante l'utilizzo del ruolo.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, prosegue il Collegio, anche a voler condividere la tesi secondo la quale l'art. 21 del r.d. 13.2.1933, n. 215, che conferiva ai consorzi di bonifica il potere di riscuotere a mezzo ruolo, sia stato abrogato a far tempo dal 16.12.2010, il predetto comma 30 dell'art. 17 del d.lgs. n. 46/1999 ("<em>continua comunque ad effettuarsi mediante ruolo la riscossione delle entrate già riscosse con tale sistema in base alle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto</em>") ha stabilito una sorta di "<em>ultra vigenza</em>" della normativa richiamata dallo stesso decreto e soprattutto ha confermato la riscossione mediante ruolo delle entrate già riscosse con questo sistema.</p> <p style="text-align: justify;">Si osservi – prosegue la Corte - come il precetto normativo intenda disciplinare nel senso della continuità la procedura e le modalità di riscossione delle entrate, inclusi i contributi consortili, che già venivano riscosse mediante ruolo sin dalla fase originaria.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, quand'anche si volesse ritenere - e la stesa Corte Costituzionale non aderisce a detta tesi - abrogato il citato art. 21, non può esservi alcun dubbio per il Collegio che i consorzi di bonifica debbano ancora continuare a riscuotere i contributi di bonifica tramite ruolo avvalendosi degli agenti della riscossione.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò anche in virtù di quanto affermato dalla medesima Corte di cassazione, la quale continua a far riferimento all'art. 21 del regio decreto n. 215 del 1933, ritenendo quest'ultimo evidentemente in vigore (su tale aspetto, fra le altre, anche la recente ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite, del 20 febbraio 2017, n. 4309, e le sentenze n. 13165 dell'Il giugno 2014, n. 3594 del 14 febbraio 2014, n. 8371 del 5 aprile 2013 e n. 21797 del 5 dicembre 2012).</p> <p style="text-align: justify;">Il richiamo che il cit. art. 17 fa alle disposizioni esistenti al momento della relativa entrata in vigore (1.7.1999) non significa che detta procedura di riscossione rimane in vigore sin che vigono le disposizioni originarie che le hanno istituite, atteso che il legislatore con il termine "<em>comunque</em>" ha inteso indubbiamente preservare il sistema di riscossione mediante ruolo, introdotto dalla previgente normativa. Pertanto, la dedotta abrogazione delle disposizioni istitutive e non dell'art. 17 cit. consentirebbe di ritenere ancora vigente detto sistema di riscossione.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, prosegue la Corte, non va sottaciuto che l'art. 864 c.c. prevede che i contributi di bonifica sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l'imposta fondiaria, la quale risulta abolita a decorrere dal primo gennaio 1974, di guisa che il richiamo deve intendersi effettuato con riferimento alle imposte che l'hanno sostituita (Irpef e Irpeg) con la conseguente applicazione del d.P.R. n. 602/1973 sulla riscossione delle imposte sul reddito. Né detta disposizione può ritenersi abrogata - come affermato da parte della dottrina - solo perché di contenuto assimilabile al cit. art. 21.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, chiosa ancora la Corte, l'art. 21, comma 2, r.d. 13 dicembre 1933, n. 215, dispone che la riscossione dei contributi di bonifica debba avvenire secondo la disciplina stabilita per le imposte dirette; e l'art. 17, comma 3, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, espressamente mantiene il sistema di riscossione mediante ruolo per i tributi che, come quelli consortili in discorso, erano già in questo modo coattivamente richiesti (Cass. sez. trib. n. 8371 del 2013).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.13501 che, in tema di usufrutto e contributi di bonifica, rileva come la normativa del R.D. n. 215/1933 (sui contributi di bonifica posti a carico dei proprietari degli immobili ricadenti nel comprensorio) nulla dice in ordine alla ripartizione dei contributi di bonifica medesimi tra proprietario ed usufruttuario.</p> <p style="text-align: justify;">Sul punto tuttavia, chiosa il Collegio, la giurisprudenza ha ben chiarito che "<em>i contributi consortili di bonifica, a norma dell'art. 21 del r.d. n. 215 del 1933, costituiscono oneri reali che sono dovuti da chi, al tempo dell'esazione, è titolare della proprietà del fondo</em>" (v. Cass. 13167 e 27056 del 2014; Cass. 23815/15).</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, la normativa del codice civile artt. 1008 (-Imposte e altri pesi a carico dell'usufruttuario- "<em>L'usufruttuario è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito. Per l'anno in corso al principio e alla fine dell'usufrutto questi carichi si ripartiscono tra il proprietario e l'usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto</em>") e 1009 c.c. (-Imposte e altri pesi a carico del proprietario- "<em>Al pagamento dei carichi imposti sulla proprietà durante l'usufrutto, salvo diverse disposizioni di legge, è tenuto il proprietario, ma l'usufruttuario gli deve corrispondere l'interesse della somma pagata. Se l'usufruttuario ne anticipa il pagamento, ha diritto di essere rimborsato del capitale alla fine dell'usufrutto</em>") va interpretata nel senso che gravano sull'usufruttuario i carichi connessi con il godimento, aventi come presupposto il reddito, mentre gravano sul proprietario i carichi gravanti sul capitale (ossia sulla proprietà), salvo l'obbligo dell'usufruttuario di corrispondere gli interessi sulla somma pagata dal proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò conferma – precisa la Corte - la natura di oneri reali di detti contributi che sono dovuti da chi, al tempo dell'esazione, è titolare della proprietà del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">A ciò va aggiunto che i contributi di bonifica e di difesa idraulica, per la loro natura di oneri reali, gravano sugli immobili - sulla proprietà, quindi, e non sul reddito - e, conseguentemente, al loro pagamento è tenuto il proprietario degli immobili.</p> <p style="text-align: justify;">L'art 8, della LR. n. 79/ 12, applicabile <em>ratione temporis</em> al caso esaminato, stabilisce, al comma 5, che le attribuzioni del proprietario elencate nel precedente comma 4, "<em>sono esercitate dall'affittuario, dal conduttore o dal titolare di diritti reali di godimento, qualora essi siano tenuti, per legge o in base al contratto, al pagamento del contributo consortile</em>" . E al comma 6 : "<em>il proprietario comunica al Consorzio nominativi dei soggetti di cui al comma 5 al fine della loro iscrizione nei ruoli di contribuenza e dell'annotazione nel catasto consortile</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto anche i titolari di diritti reali di godimento parziari su cosa altrui (come l'usufruttuario) possono essere obbligati al pagamento del contributo di bonifica e possano essere iscritti nei ruoli di contribuenza, con specifica annotazione nel catasto consortile, solo qualora il proprietario comunichi al Consorzio la sussistenza del rapporto giuridico di usufrutto e l'assunzione dell'obbligo di pagamento da parte dell'usufruttuario.</p> <p style="text-align: justify;">Quindi – riprende la Corte - non deve ritenersi esclusa l'assunzione dell'obbligo a carico dell'usufruttuario, ma la stessa va soggetta per il Collegio agli oneri di comunicazione da parte del proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 luglio viene varato il decreto legge n.76, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre viene varata la legge n.120 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.76 ed incide, tra l’altro, sull’art.253, comma 1, del decreto legislativo 152.06.</p> <p style="text-align: justify;">Il nuovo comma 1 di tale norma dispone che gli interventi di cui al Titolo V del decreto in tema di bonifica dei siti contaminati costituiscono onere reale sui siti contaminati medesimi qualora effettuati d’ufficio dall’autorità “ai sensi degli articoli 250 e 252, comma 5, del decreto, l’onere reale dovendo essere iscritto “<em>nei registri immobiliari tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio</em>” a seguito dell’approvazione del progetto di bonifica e dovendo essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.28972 in tema di diritto d'uso esclusivo di un bene condominiale, <em>numerus clausus</em> dei diritti reali e conseguente, relativa inconfigurabilità quale diritto reale atipico</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, la pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del <em>numerus clausus</em> dei diritti reali e della tipicità di essi.</p> <p style="text-align: justify;">Ritengono <em>in primis</em> le Sezioni Unite che – nonostante sia intervenuta rinuncia - occorra comunque pronunciare nell’interesse della legge il pertinente principio di diritto testé riassunto, in risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione (per l’affermazione in ogni caso del principio di diritto in caso di rinuncia al ricorso, viene richiamata Cass., Sez. Un., 6 settembre 2010, n. 19051).</p> <p style="text-align: justify;">I primi quattro motivi di ricorso, è difatti osservato dall’ordinanza di rimessione del 2 dicembre 2019, n. 31420, impongono di esaminare una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e comunque investono una questione di massima di particolare importanza: quella della natura del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale.</p> <p style="text-align: justify;">Riassume a questo punto il Collegio quanto si osserva nell’ordinanza di rimessione:</p> <p style="text-align: justify;">-) a partire da Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301 (seguita da Cass. 10 ottobre 2018, n. 24958; Cass. 31 maggio 2019, n. 15021; Cass. 4 luglio 2019, n. 18024; Cass. 3 settembre 2019, n. 22059) è stato affermato che non può ricondursi al diritto di uso previsto dall’art. 1021 c.c., il vincolo reale di "<em>uso esclusivo</em>" su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di una unità immobiliare di proprietà individuale, in maniera da incidere sulla disciplina del godimento della cosa comune, nel senso di precluderne l’uso collettivo mediante attribuzione a taluno dei partecipanti di una facoltà integrale di servirsi della <em>res</em> e di trarne tutte le utilità compatibili con la relatia destinazione economica;</p> <p style="text-align: justify;">-) la capostipite di tale orientamento, facendo leva sulle nozioni di "<em>uso esclusivo</em>", contenuta nell’art. 1126 c.c. e di "uso <em>individuale",</em> prevista dal novellato art. 1122 c.c., ha ritenuto che tali previsioni pattizie di "<em>uso esclusivo</em>", senza escludere del tutto la fruizione "<em>di una qualche utilità sul bene</em>" in favore degli altri comproprietari, costituiscono deroghe all’art. 1102 c.c., espressione dell’autonomia privata, con effetto di conformazione dei rispettivi godimenti; entro tale inquadramento, l’uso esclusivo sì trasmetterebbe, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa dell’unità cui l’uso stesso accede; l’uso esclusivo in ambito condominiale, così come prospettato, sarebbe, quindi, "<em>tendenzialmente perpetuo e trasferibile</em>", e non riconducibile al diritto reale d’uso di cui agli artt. 1021 c.c. e segg., sicché non condividerebbe con quest’ultimo istituto né i limiti di durata, né i limiti di trasferibilità, e nemmeno le modalità di estinzione; neppure vi sarebbe alcun contrasto con il <em>numerus clausus</em> dei diritti reali, in quanto l’uso esclusivo condominiale sarebbe, piuttosto, una "<em>manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni</em>";</p> <p style="text-align: justify;">-) questa configurazione appaga le diffuse esigenze avvertite dalla pratica notarile di dare al cosiddetto "<em>uso esclusivo</em>" di parti condominiali il rango di un diritto perpetuo e trasmissibile, a contenuto, dunque, non strettamente personale, e cioè stabilito a favore del solo usuario, collegando la facoltà di usare il bene non ad un soggetto, ma ad una porzione in proprietà individuale senza limiti temporali;</p> <p style="text-align: justify;">-) per converso, la qualificazione del diritto di uso esclusivo quale diritto "<em>"</em>quasi<em>" uti dominus</em>", ma pur sempre con il limite di cui all’art. 1102 c.c., non risolve il problema della trascrivibilità, e quindi dell’opponibilità, dell’uso esclusivo sulla cosa comune, avuto riguardo al rilievo che di modificazioni del diritto di proprietà, di comunione o di condominio non si parla in alcuno dei primi tredici numeri dell’art. 2643 c.c., né nell’art. 2645 c.c., che prevede la trascrizione di "<em>ogni altro atto o provvedimento che produce... taluni degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643</em>", mentre solo il n. 14 dell’art. 2643 c.c., parla di sentenze (non di atti negoziali) che operano "<em>la modificazione</em>" di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti;</p> <p style="text-align: justify;">-) il diritto di uso esclusivo di un bene condominiale, riservato soltanto al proprietario di una delle unità immobiliari, che non può assimilarsi ad una servitù prediale, né può essere ricostruito in termini di obbligazione <em>propter rem</em>, deve d’altronde confrontarsi con la diffusa considerazione che il godimento concreta una facoltà intrinseca del diritto di comunione, sicché la modifica del contenuto essenziale della comproprietà, consistente nella negazione della facoltà di uso del bene comune ad alcuni condomini, può discendere soltanto dalla costituzione di un diritto reale in favore dell’usuario, il che però appare precluso dall’osservazione che il nostro ordinamento tuttora non consente all’autonomia privata di scavalcare il principio del numero chiuso dei diritti reali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Invero - osserva tra l’altro l’ordinanza di rimessione - "<em>la questione, cui occorre dare soluzione per decidere i primi quattro motivi di ricorso, circa la natura, i limiti e la opponibilità del diritto di uso esclusivo su beni comuni, involge evidentemente il più classico problema della utilizzabilità delle obbligazioni come espressioni di autonomia privata volte a regolare le modalità di esercizio dei diritti reali, opponendosi dai teorici che la libertà negoziale possa conformare unicamente i rapporti di debito, e non anche le situazioni reali: tale severa conclusione trova il suo fondamento sempre nel tradizionale principio del </em>numerus clausus<em> dei diritti reali, il quale si reputa ispirato da una esigenza di ordine pubblico, restando riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i "</em>tipi<em>" reali normativi</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Dopodiché, chiosa ancora il Collegio, nell’ordinanza che ha rimesso gli atti al Primo Presidente è segnalata sia la non uniformità dei responsi concernenti la natura del diritto di uso esclusivo, sia il rilievo di questione di massima di particolare importanza.</p> <p style="text-align: justify;">Ed in effetti, riprende la Corte, Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, più che porsi in diretto contrasto con un formato indirizzo giurisprudenziale precedente, ha prospettato una ricostruzione nuova.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, se, come osservato, il principio affermato da tale decisione è stato successivamente ribadito, è altrettanto vero che, ancor più di recente, la seconda sezione si è pronunciata in senso opposto, affermando che non può ipotizzarsi la costituzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, che priverebbe del tutto di utilità la proprietà e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l’ordinamento (Cass. 9 gennaio 2020, n. 193).</p> <p style="text-align: justify;">Sicché anche il contrasto è comunque allo stato effettivamente sussistente. La questione – riprende allora la Corte - si pone in generale nei termini seguenti.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto all’origine del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", in ambito condominiale, si trova affermato, in dottrina, che esso sarebbe il frutto di una creazione giurisprudenziale, pur se relativamente tralaticia, di dubbia validità. In effetti, però, la clausola mediante la quale si concede ad una singola unità immobiliare l’uso esclusivo di un’area, (di solito) adibita a cortile, non nasce - come è del resto ovvio - dalla giurisprudenza, ma si è diffusa attraverso la prassi negoziale, in particolare notarile: e si è in particolare ipotizzato che tale diffusione possa aver trovato la propria ragion d’essere, almeno in taluni casi, quale <em>escamotage</em> per risolvere, tramite la qualificazione surrettizia, problemi catastali, ad esempio - è stato detto - per il mancato frazionamento dell’area comune.</p> <p style="text-align: justify;">Nondimeno, è vero che – rammenta la Corte - nella propria giurisprudenza non è raro imbattersi in decisioni rese nell’ambito di liti in cui si controverteva della pretesa titolarità in capo ad un condomino (o ad alcuni condomini) di un diritto di uso esclusivo su una porzione, perlopiù cortilizia, dunque di una parte comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">A mero titolo di esempio possono rammentarsi per la Corte pronunce concernenti: la compatibilità della funzione naturale di un cortile condominiale con la destinazione di esso all’uso esclusivo di uno o più condomini (Cass. 20 febbraio 1984, n. 1209); il diritto di godere in via esclusiva di un giardino comune conferito in uso al proprietario del piano terreno (Cass. 27 luglio 1984, n. 4451); la legittimità dell’installazione di una tenda su di uno spazio di proprietà comune, da parte del condomino del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante (Cass. 25 ottobre 1991, n. 11392); la possibilità di inserimento in un regolamento condominiale contrattuale della previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva (Cass. 4 giugno 1992, n. 6892; e v. al riguardo, ancora senza alcuna pretesa di completezza, Cass. 27 giugno 1978, n. 3169; Cass. 10 luglio 1975, n. 2727; Cass. 24 aprile 1975, n. 1600; Cass. 14 marzo 1975, n. 970); la destinazione di un bene, dall’originario proprietario dell’intero immobile, ad un uso esclusivo (Cass. 28 aprile 2004, n. 8119); l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti (Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).</p> <p style="text-align: justify;">Nonostante la diffusione del fenomeno tuttavia, prosegue il Collegio, non risulta che, prima di Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, la Corte abbia mai chiaramente preso posizione sul fondamento della configurabilità di un c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" di una parte comune - formula, varrà subito osservare, dalla forte caratterizzazione di ossimoro, laddove coniuga l’esclusività dell’uso con l’appartenenza della porzione a più condomini - e sulla pertinente natura: se, cioè, l’attribuzione ad un condomino di un diritto di uso esclusivo altro non sia, almeno in taluni casi, che una formula da intendersi come equivalente dell’attribuzione a lui della proprietà solitaria sulla porzione in discorso; se e come il diritto di uso esclusivo di una parte comune possa armonizzarsi con la regola basilare dettata dall’art. 1102 c.c., senz’altro applicabile al condominio per il rinvio dell’art. 1139 c.c., secondo cui ciascun comunista può servirsi della cosa comune; se il diritto di uso esclusivo abbia natura di diritto reale atipico o sia riconducibile ad una delle figure tipiche di diritto reale di godimento, ovvero se abbia natura non di diritto reale, bensì di diritto di credito.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, prosegue la Corte, non sembra potersi isolare un indirizzo giurisprudenziale che riconduca il c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" alle servitù prediali. Si rinviene, difatti, una ormai non recente decisione nella quale si afferma, in generale, in relazione alle formule impiegate nei regolamenti condominiali contrattuali i quali stabiliscano "<em>pesi sulle cose comuni a vantaggio dei piani o delle porzioni di piano</em>", che le soluzioni oscillerebbero tra le obbligazioni <em>propter rem</em>, gli oneri reali e le servitù reciproche, e che quest’ultima soluzione sarebbe quella preferibile, dal momento che "<em>detti vincoli possono essere trascritti nei registri immobiliari</em>" (Cass. 15 aprile 1999, n. 3749).</p> <p style="text-align: justify;">Ma tale pronuncia – riprende il Collegio - non si misura con le specifiche caratteristiche del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", il quale consiste non già nella semplice creazione di pesi sulle cose comuni a vantaggio di una o più proprietà solitarie, ma, come si avrà modo di dire, in un sostanziale svuotamento del diritto di proprietà sul fondo servente.</p> <p style="text-align: justify;">Con la pronuncia del 2017 poc’anzi richiamata – prosegue il Collegio - si è affermato, come ha già rammentato l’ordinanza di rimessione, che l’"<em>uso esclusivo</em>" su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Tale diritto non è riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’art. 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutuarne le modalità di estinzione, è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede (Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, che ha confermato la decisione di merito, che aveva respinto la domanda del condominio attore, tesa ad accertare che il diritto d’uso esclusivo su due porzioni del cortile, concesso con il primo atto di vendita dall’originario unico proprietario dell’intero edificio in favore di un’unità immobiliare e menzionato anche nell’allegato regolamento, non era cedibile, nè poteva eccedere i trent’anni).</p> <p style="text-align: justify;">Il ragionamento posto a base del principio di diritto così massimato – precisa a questo punto la Corte - si snoda come segue:</p> <p style="text-align: justify;">-) l’art. 1117 c.c., nell’indicare le parti comuni di un edificio in condominio, "<em>se non risulta il contrario dal titolo</em>", consente che, al momento di costituzione del condominio, alcune delle parti altrimenti comuni possono essere sottratte alla presunzione di comunione;</p> <p style="text-align: justify;">-) se ciò è possibile, <em>a fortiori</em> è possibile, nella medesima sede costitutiva del condominio, che le parti convengano l’uso esclusivo di una parte comune in favore di uno o più condomini;</p> <p style="text-align: justify;">-) sotto la dizione sintetica di "<em>uso esclusivo</em>", impiegata dall’art. 1126 c.c., contrapposta a quella di "<em>uso comune</em>", contenuta nell’art. 1122 c.c., nella formulazione risultante dalla L. n. 220 del 2012, ove è precisata una nozione già desumibile dal sistema, si cela la coesistenza, su parti comuni, di facoltà individuali dell’usuario e facoltà degli altri partecipanti (mai in effetti realmente del tutto esclusi dalla fruizione di una qualche utilità sul bene c.d. in uso esclusivo altrui), secondo modalità non paritarie, in funzione del migliore godimento di porzioni di piano in proprietà esclusiva cui detti godimenti individuali accedano;</p> <p style="text-align: justify;">-) deve riconoscersi nella parte comune, anche se sottoposta ad uso esclusivo, il permanere della relativa qualità, appunto, comune, giacché l’attribuzione dell’uso esclusivo costituisce soltanto deroga da parte dell’autonomia privata al disposto dell’art. 1102 c.c., altrimenti applicabile anche al condominio, che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune "<em>secondo il loro diritto</em>";</p> <p style="text-align: justify;">-) i partecipanti diversi dall’usuario esclusivo vedono diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori utilità per l’usuario e minori utilità per gli altri condomini;</p> <p style="text-align: justify;">-) dalla qualifica della cosa in uso esclusivo nell’ambito del condominio quale parte comune di spettanza di tutti i partecipanti, tutti comproprietari, ma secondo un rapporto di riparto delle facoltà di godimento diverso, in quanto fissato dal titolo, da quello altrimenti presunto ex artt. 1117 e 1102 c.c., derivano i corollari dell’inerenza di tale rapporto a tutte le unità in condominio, con la conseguenza che l’uso esclusivo si trasmette, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa sia dell’unità cui l’uso stesso accede che delle altre correlativamente fruenti di minori utilità;</p> <p style="text-align: justify;">-) l’uso esclusivo, quale connotazione del diritto di proprietà ex art. 832 c.c., o dell’altro diritto eventualmente spettante sull’unità immobiliare esclusiva cui accede, tendenzialmente perpetuo e trasferibile (nei limiti di trasferibilità delle parti comuni del condominio), non è riconducibile al diritto reale d’uso di cui all’art. 1021 c.c., di cui l’uso esclusivo di parte comune nel condominio non mutua i limiti di durata, trasferibilità e modalità di estinzione;</p> <p style="text-align: justify;">-) il riconoscimento dell’uso esclusivo non si pone in contrasto con il <em>numerus clausus</em> dei diritti reali.</p> <p style="text-align: justify;">Sulla configurabilità del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" in ambito condominiale – riprende la Corte - la dottrina non sembra aver fornito indicazioni univoche.</p> <p style="text-align: justify;">Si suggerisce anzitutto da alcuni di tener distinti i casi in cui la formula "<em>uso esclusivo</em>" sia impiegata al fine di identificare un diritto di contenuto diverso dalla proprietà ed i casi in cui, invece, la formula, ad esempio attraverso la previsione della perpetuità e trasmissibilità del diritto, miri proprio all’attribuzione del diritto di proprietà, con la finalità, come si accennava, di rimediare a problemi catastali.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto al "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", inteso in senso proprio, si afferma essere dubbia la validità di un accordo interno fra i comunisti che, in deroga all’art. 1102 c.c., assegni l’uso esclusivo, anche se di una parte del bene comune, solo ad uno o più comunisti. Difatti - si sottolinea - l’art. 1102 c.c., pone in evidenza un aspetto strutturale della comunione, il godimento, aspetto che, secondo un’opinione ampiamente accolta, non sarebbe suscettibile di subire modificazioni, beninteso sostanziali.</p> <p style="text-align: justify;">Nel tentativo di supportare sia il dato giurisprudenziale, formatosi anteriormente a Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, sia la prassi, si indica ancora in dottrina, come più rilevante appiglio, pur senza tacere le controindicazioni, l’art. 1126 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">È stato affermato, inoltre, che un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprietà, suscettibile quindi di trascrizione, potrebbe rinvenirsi nel D.Lgs. 20 maggio 2005, n. 122, art. 6, comma 2, lett. b), che impone al costruttore di indicare nel contratto relativo ad una futura costruzione le parti condominiali e le "<em>pertinenze esclusive</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Secondo altri, dopo alcune perplessità sull’utilizzazione del termine "<em>uso</em>", tale da evocare il diritto reale di cui all’art. 1021 c.c., sarebbe stata superata ogni esitazione definendo tali diritti con l’espressione "<em>uso esclusivo</em>", senza alcuna altra precisazione, ma nella consapevolezza che esso discenderebbe da un rapporto di servitù. Il fondo servente sarebbe costituito dal cortile, nella parte asservita; il fondo dominante sarebbe l’unità immobiliare a cui favore l’area è asservita; il peso imposto consisterebbe nella facoltà esclusiva per il condomino a cui favore è costituita la servitù di godere del cortile.</p> <p style="text-align: justify;">Non osterebbe alla configurabilità di una servitù a favore del bene di proprietà esclusiva di un condomino ed a carico del condominio (o viceversa) il principio <em>nemini res sua servit</em> in quanto l’intersoggettività del rapporto sarebbe garantita dal concorso di altri titolari sul bene comune.</p> <p style="text-align: justify;">L’"<em>uso esclusivo</em>" di cui si discute in ogni caso, prosegue la Corte analizzando la dottrina pertinente, non potrebbe essere ricondotto alla previsione dell’art. 1021 c.c.. Difatti, l’"<em>uso</em>" ivi previsto è manifestazione del diritto, per il titolare, di servirsi di una cosa (e, se fruttifera, di raccoglierne i frutti) per quanto occorra ai bisogni suoi e della sua famiglia. Inoltre, secondo l’art. 1024 c.c., il diritto d’uso non si può cedere o dare in locazione, e la durata dello stesso, secondo l’art. 979 c.c., richiamato dall’art. 1026 c.c., non può eccedere la vita del titolare, se persona fisica, o trenta anni, se persona giuridica.</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva che, per lo più, la locuzione "<em>uso esclusivo</em>" attiene alla destinazione del bene, e non alla qualificazione del diritto, sussumibile entro l’ambito di applicazione dell’art. 1021 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Vi è infine da rammentare, chiosa ancora la Corte, più in generale, che parte della dottrina ammette la creazione per contratto di diritti reali atipici, il che, se fosse vero, farebbe cadere ogni ostacolo al sorgere del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Ritengono a questo punto le Sezioni Unite che il tema del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale debba essere inquadrato nei termini che seguono.</p> <p style="text-align: justify;">Nell’art. 1102 c.c., rubricato "<em>uso della cosa comune</em>", dettato per la comunione ma applicabile al condominio per il tramite dell’art. 1139 c.c., il vocabolo "<em>uso</em>" si traduce nel significato del "<em>servirsi della cosa comune</em>". Nell’art. 1117 c.c., che apre il capo dedicato al condominio, ricorre per tre volte, in ciascuno dei numeri in cui la norma si suddivide, l’espressione "<em>uso comune</em>", che ripete e sintetizza la previsione dell’art. 1102 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Nella locuzione "<em>servirsi della cosa comune</em>" si riassumono le facoltà ed i poteri attraverso i quali il partecipante alla comunione, ovvero il condomino, ritrae dalla cosa le utilità di cui essa è capace, entro i limiti oggettivi della relativa "<em>destinazione</em>", cui pure si riferisce l’art. 1102 c.c.. L’"<em>uso</em>", quale sintesi di facoltà e poteri, costituisce allora parte essenziale del contenuto intrinseco, caratterizzante, del diritto di comproprietà, come, ovviamente, di quello di proprietà, a tenore del dettato dell’art. 832 c.c.. L’uso è cioè (non diritto, bensì) uno dei modi attraverso i quali può esercitarsi il diritto, e forma parte intrinseca e caratterizzante, nucleo essenziale, del relativo contenuto.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 1102 c.c., ribadisce ulteriormente il carattere intrinseco e caratterizzante dell’"<em>uso della cosa comune</em>" laddove istituisce l’obbligo del partecipante di non impedire agli altri "<em>di farne parimenti uso secondo il loro diritto</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Nella formula "<em>parimenti uso</em>" – precisa la Corte - si riassumono i connotati, per così dire normali, dell’uso della cosa comune nell’ambito della comunione e del condominio, uso in linea di principio, ed almeno in potenza, per l’appunto indistintamente paritario, promiscuo e simultaneo.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò non esclude la possibilità di un "<em>uso</em>" più intenso da parte di un condomino rispetto agli altri (Cass. 30 maggio 2003, n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007, n. 4617; Cass. 21 ottobre 2009, n. 22341; Cass. 16 aprile 2018, n. 9278), tanto più che l’art. 1123 c.c., comma 2, contempla espressamente la possibile esistenza di cose destinate a servire i condomini "<em>in misura diversa</em>", regolando il riparto delle spese in proporzione dell’uso, previsione che trova ulteriore specificazione nel successivo art. 1124 c.c., con riguardo alla manutenzione e sostituzione di scale e ascensori.</p> <p style="text-align: justify;">L’uso della cosa comune può assumere inoltre – precisa ancora il Collegio - caratteri differenziati rispetto alla regola della indistinta paritarietà, tuttavia pur sempre mantenuta ferma mediante un congegno di reciprocità: così, entro limiti che qui non occorre approfondire, per l’uso frazionato (Cass. 14 luglio 2015, n. 14694; Cass. 11 aprile 2006, n. 8429; Cass. 14 ottobre 1998, n. 10175; Cass. 28 gennaio 1985, n. 434; Cass. 6 dicembre 1979, n. 6338) e per l’uso turnario (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29747; Cass. 19 luglio 2012, n. 12485; Cass. 3 dicembre 2010, n. 24647; Cass. 4 dicembre 1991, n. 13036), ipotesi, quest’ultima, ricorrente nel caso della destinazione di cortili a posti auto in numero insufficiente a soddisfare simultaneamente le esigenze di tutti i condomini.</p> <p style="text-align: justify;">È inoltre ben vero che l’art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, i cui limiti non possano essere resi più severi dal regolamento condominiale (Cass. 20 luglio 1971, n. 2369). Se però, chiosa la Corte, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, resta fermo che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. 29 gennaio 2018, n. 2114; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27233).</p> <p style="text-align: justify;">Questo essendo il quadro, il c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" va evidentemente a collocarsi al di là dell’osservanza della regola del "<em>farne parimenti uso</em>", pur declinata nelle forme particolari di cui si è detto: uso frazionato e uso turnario. Nel caso dell’"<em>uso esclusivo</em>", proprio perché esclusivo, cioè, si elide - rimanendo da verificare se ed in che limiti ciò sia giuridicamente fattibile - il collegamento tra il diritto ed il relativo contenuto, concentrandosi l’uso in capo ad uno o alcuni condomini soltanto: tant’è che si è parlato in proposito, come già accennato, di uso <em>""</em>quasi<em>"uti dominus</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Qualora l’esegesi dell’atto induca a ritenere che l’attribuzione abbia effettivamente riguardato, secondo la volontà delle parti, non la proprietà, sia pure in veste "<em>mascherata</em>", ma il c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" su una parte comune, ferma la titolarità della proprietà di essa in capo al condominio, è da escludere per la Corte che un simile diritto, con connotazione di realità, possa trovare fondamento sull’art. 1126 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">La norma stabilisce che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.</p> <p style="text-align: justify;">Nella propria giurisprudenza, rammenta la Corte, sembra rinvenirsi un unico precedente in cui l’uso esclusivo ivi menzionato è espressamente qualificato come diritto reale di godimento, come tale usucapibile. Si afferma cioè essere esatto che i lastrici solari, necessari all’uso comune dell’edificio, del quale svolgono la funzione di copertura, non possono in generale essere usucapiti, mentre possono essere ceduti in proprietà ad un solo condomino. Si rammenta, difatti, che l’usucapione non può aver luogo in ordine ai lastrici solari, per i quali sono concettualmente insopprimibili le utilità tratte dagli altri partecipi della comunione, per effetto della connaturata destinazione di tali cose alla copertura ed alla protezione del fabbricato. Ma si aggiunge che l’art. 1126 c.c., prevede espressamente che uno dei condomini possa avere l’uso esclusivo del calpestio del lastrico e dunque possa usucapire il diritto di calpestio esclusivo. E si ricorda che la dottrina definisce tale uso esclusivo di calpestio come diritto reale equivalente ad una servitù, perfettamente usucapibile.</p> <p style="text-align: justify;">Sicché nulla esclude l’acquisto per usucapione non della proprietà del lastrico solare, ma, appunto, del diritto esclusivo di calpestio, che si presenta oggettivamente come autonomo dal diritto di proprietà (così Cass. 17 aprile 1973, n. 1103).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò detto, la previsione dettata dall’art. 1126 c.c., è riferita ad una situazione del tutto peculiare, quale quella dei lastrici solari, che, pur svolgendo una funzione necessaria di copertura dell’edificio, e costituendo come tali parti comuni, possono però essere oggetto di calpestio, per la loro conformazione ed ubicazione, soltanto da uno o alcuni condomini, sicché l’uso esclusivo nel senso sopra descritto non priva gli altri condomini di alcunché, perché essi non vi potrebbero comunque di fatto accedere.</p> <p style="text-align: justify;">Dalla previsione dell’art. 1126 c.c., allora, può semmai desumersi a contrario che non sono configurabili ulteriori ipotesi di uso esclusivo, le quali, in violazione della regola generale stabilita dal già richiamato art. 1102 c.c., nonché dei principi, di cui si parlerà più avanti, del <em>numerus clausus</em> e di quello di tipicità dei diritti reali (principi secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali nuovi rispetto a quelli riconosciuti dalla legge, né mutarne il contenuto essenziale), sottraggano a taluni condomini il diritto di godimento della cosa comune loro spettante.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 1126 c.c., avuto riguardo ai menzionati principi, non si presta dunque a fungere da punto d’appoggio per la costruzione di un più ampio "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>" delle parti comuni, ma, tutt’al più, ove ne ricorrano i presupposti, ad una cauta applicazione estensiva, come per le terrazze che fungano da copertura di un edificio, le quali rispetto al lastrico offrono utilità ulteriori, ovverosia il comodo accesso e la possibilità di trattenersi (la distinzione è evidenziata p. es. da Cass. 22 novembre 1996, n. 10323).</p> <p style="text-align: justify;">Neppure rileva che la riforma del condominio del 2012 abbia introdotto talune ipotesi di concessione a singoli condomini di un godimento apparentemente non paritario, giacché, pur volendo tralasciare che tali previsioni, per la loro eccezionalità, non possono concorrere alla costruzione di un principio generale, è da escludere che esse comportino modificazioni strutturali alla comproprietà delle parti comuni in favore del titolare dell’uso.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 1122 c.c., comma 1, prevede che nelle parti normalmente destinate all’uso comune che sono state destinate all’"<em>uso individuale</em>" il condomino non può eseguire opere che determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Al riguardo, è agevole osservare che la norma neppure fa riferimento univoco ad un ipotetico "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", mentre essa ben può essere riferita al caso, già ricordato, dell’uso frazionato delle parti comuni.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 1120 c.c., comma 2, n. 2, poi, consente, tra l’altro, che i condomini, con una maggioranza meno rigorosa di quella prevista per le innovazione in genere, possono disporre opere ed interventi per la realizzazione di parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari. E tuttavia la norma non chiarisce se i posti auto realizzati debbano essere attribuiti in proprietà esclusiva, costituendo in tal caso pertinenze delle singole unità immobiliari, o in godimento frazionato in favore dei proprietari di tali unità immobiliari:</p> <p style="text-align: justify;">-) nel primo caso si tratterebbe di attribuzione in proprietà (la qual cosa si è già accennato essere pienamente compatibile con la regola generale dettata dall’art. 1117 c.c., che, riferendosi al "<em>titolo diverso</em>", consente di assegnare in proprietà esclusiva porzioni dell’edificio che altrimenti ricadrebbero nelle parti comuni) e non del c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>";</p> <p style="text-align: justify;">-) nel secondo caso si rientrerebbe nell’ipotesi di uso frazionato già considerata.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 1122 bis c.c., comma 2, ancora, consente la installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità immobiliari del condominio sul lastrico solare e su ogni altra idonea superficie comune. In base al comma 3 l’assemblea provvede, su richiesta degli interessati, a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto.</p> <p style="text-align: justify;">Anche qui – precisa la Corte - non emerge la configurabilità di un "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>". Ed anzi, il fatto che il godimento venga concesso a maggioranza dall’assemblea esclude che possa ricorrere una ipotesi di modificazione del contenuto del diritto di comproprietà.</p> <p style="text-align: justify;">È parimenti priva di fondamento la tesi, talora affermata, secondo cui un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprietà, potrebbe desumersi dal D.Lgs. 20 maggio 2005, n. 122, art. 6, comma 2, lett. b), che obbliga il costruttore a indicare nel contratto relativo a futura costruzione le parti condominiali e le "<em>pertinenze esclusive</em>".</p> <p style="text-align: justify;">È già risolutivo osservare che si tratta di una norma eccezionale, dalla quale non potrebbe in ogni caso desumersi l’istituzione di un generale "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>". Ma, al di là di questo, la norma parla di pertinenze, e dunque ancora una volta di attribuzione in proprietà, secondo quanto si è già visto compatibile con l’assetto condominiale.</p> <p style="text-align: justify;">Posto che l’art. 1102 c.c., come si diceva applicabile al condominio, stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, è da escludere per il Collegio che, così come talune parti altrimenti comuni, alla stregua dell’art. 1117 c.c., possono essere attribuite in proprietà esclusiva ad un singolo condomino, a maggior ragione esse possano essere attribuite, con caratteri di realità, ad un singolo condomino, in uso esclusivo.</p> <p style="text-align: justify;">L’impiego dell’argomento <em>a fortiori</em> è difatti in tal caso un artificio retorico volto a dare per dimostrato ciò che doveva invece dimostrarsi: ossia che possa configurarsi una sostanzialmente totale compressione del godimento spettante ai condomini sulla cosa comune, con la speculare creazione di un atipico diritto reale di godimento, il diritto di uso esclusivo, in favore di uno o alcuni, di essi. Ed è parimenti un artificio retorico quello insito nell’affermazione secondo cui il c.d. "<em>diritto di uso esclusivo</em>" non sarebbe in realtà davvero esclusivo, poiché agli altri condomini rimarrebbe (nient’altro che) la possibilità di prendere aria e luce, nonché di esercitare la veduta in appiombo.</p> <p style="text-align: justify;">Un diritto reale di godimento di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell’edificio, privando gli altri condomini del relativo godimento, e cioè riservando ad essi un diritto di comproprietà svuotato del relativo nucleo fondamentale, determinerebbe, invece, un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprietà, come della comproprietà: salvo, naturalmente, che la separazione del godimento dalla proprietà non sia il frutto della creazione di un diritto reale di godimento normativamente previsto.</p> <p style="text-align: justify;">Siffatto c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", chiosa a questo punto la Corte, non è inquadrabile tra le servitù prediali.</p> <p style="text-align: justify;">Si è già visto che non esiste un orientamento giurisprudenziale in tal senso. All’inquadramento non osta il principio <em>nemini res sua servit</em>, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacché in tal caso l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. 6 agosto 2019, n. 21020, e già Cass. 27 luglio 1984, n. 4457; Cass. 24 giugno 1967, n. 1560; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003).</p> <p style="text-align: justify;">Vi osta la conformazione della servitù, che può sì essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilità del proprietario del fondo dominante, ma non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso, ancora una volta, nel relativo nucleo fondamentale.</p> <p style="text-align: justify;">Ed è perciò che questa Corte ha da lungo tempo affermato, ad esempio, che, essendo requisiti essenziali della nozione di servitù il carattere di peso e l’utilità del rapporto di dipendenza tra i due fondi, deve ritenersi contraria all’ordine pubblico, ove non rientri negli schemi dell’uso, dell’usufrutto o dell’abitazione, la convenzione, con la quale il proprietario del c.d. fondo servente si riserva la sola utilizzazione del legname per uso di carbonizzazione e la facoltà di compiere soltanto lavori attinenti alla propria industria di produzione di energia elettrica, e concede al proprietario del c.d. fondo dominante il diritto di far proprio ogni altro prodotto (Cass. 31 maggio 1950, n. 1343); ed ha ribadito che la costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, se pur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente.</p> <p style="text-align: justify;">Al proprietario, pertanto, del fondo gravato da una servitù di passaggio, non può essere inibito di chiudere il fondo, purché lasci libero e comodo l’ingresso a chi esercita la servitù di passaggio o lasci, comunque, al di fuori della recinzione la zona del fondo, sulla quale, a tenore del titolo, la servitù deve esercitarsi (Cass. 22 aprile 1966, n. 1037).</p> <p style="text-align: justify;">Ora, è del tutto evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitù l’"<em>uso esclusivo</em>" di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla, se non un vuoto simulacro.</p> <p style="text-align: justify;">Resta da chiedersi se la creazione di un atipico "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà, possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale. Il che per la Corte è da escludere, essendovi di ostacolo il principio, o i principi, sovente in dottrina tenuti distinti, sebbene in gran parte sovrapponibili, del <em>numerus clausus</em> dei diritti reali e della tipicità di essi: in forza del primo solo la legge può istituire figure di diritti reali; per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito.</p> <p style="text-align: justify;">Parte della dottrina, certo minoritaria, predica non solo in Italia, rammenta il Collegio, il vanificarsi del dogma - così talora definito, in alternativa ad altre qualificazioni in termini di mistero od enigma - del <em>numerus clausus</em> e della tipicità dei diritti reali. Contro di esso si invoca, in breve, una sorta di pari dignità dei diritti reali e dei diritti di credito, riguardati nella prospettiva dell’autonomia privata, che, dall’uno e dall’altro versante, non incontrerebbe altro limite, se non quello derivante dalla contrarietà all’ordine pubblico, dall’illiceità del contratto e dalla meritevolezza dell’interesse perseguito.</p> <p style="text-align: justify;">Di guisa che i privati potrebbero così dar vita per contratto ad ogni genere di diritto, di natura reale od obbligatoria, purché nel rispetto dei principi inderogabili dell’ordinamento giuridico. Si è osservato, sotto altro aspetto, che nessuno meglio delle parti stesse potrebbe rispondere, tempestivamente, alle sempre nuove esigenze che il traffico giuridico pone, mentre il legislatore non riuscirebbe a garantire eguale tempestività, né completezza di strumenti.</p> <p style="text-align: justify;">Dall’angolo visuale dell’analisi economica del diritto si è detto che i principi in discorso determinerebbero diseconomie, sulle quali per la Corte non è il caso qui di soffermarsi. E può aggiungersi che l’atteggiamento di disfavore verso i menzionati principi ha avuto qualche riscontro in giurisprudenza, a partire dal 2012, con l’<em>arret Maison de poesie</em>, proprio laddove essi si sono riaffermati con la codificazione ottocentesca, dopo una parentesi - come è stato detto - di oltre otto secoli.</p> <p style="text-align: justify;">In questo noto caso, in forza di una clausola contenuta in un contratto di vendita immobiliare (stipulato nel 1932), la fondazione venditrice ha riservato per sé il diritto di godimento e l’occupazione esclusiva di un locale facente parte dell’immobile venduto. In particolare, il contratto autorizza l’acquirente ad esigere la restituzione del locale solo a seguito della messa a disposizione gratuita, in favore della venditrice, di una porzione di immobile avente lo stesso volume e le medesime caratteristiche.</p> <p style="text-align: justify;">Dopo un lungo periodo di pacifica occupazione del locale da parte della venditrice, l’acquirente dell’immobile agisce in giudizio per chiedere la restituzione e il pagamento di un’indennità di occupazione, sostenendo che il diritto del venditore si era estinto, stante il decorso del termine trentennale previsto per il diritto di uso e di abitazione conferito a una persona giuridica, a norma del combinato disposto degli artt. 625 e 619 del Code civil.</p> <p style="text-align: justify;">E’ evidente la peculiarità del caso, in quanto il diritto di godimento costituito a favore della venditrice su una porzione dell’immobile non ha i caratteri dei diritti reali tipizzati dal legislatore: non si tratta di una servitù, perché non vi è né fondo dominante, né fondo servente; non si tratta di una garanzia reale, perché il godimento del bene è stato attribuito in modo del tutto autonomo.</p> <p style="text-align: justify;">In omaggio al tradizionale principio del <em>numerus clausus</em>, la Corte di appello di Parigi accoglie la domanda e ordina la restituzione del locale all’acquirente, facendo leva sul duplice rilievo che le parti non avevano mai costituito un diritto reale tipico e che, comunque, esso non avrebbe potuto eccedere la durata di trenta anni.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, la <em>Cour de cassation</em> inaspettatamente – nell’ottobre del 2021 - riforma la sentenza dei giudici di merito e afferma il principio secondo cui il proprietario, nel rispetto delle regole dell’ordine pubblico, può costituire in favore dell’altra parte un diritto reale che attribuisce il beneficio di un godimento speciale del proprio bene.</p> <p style="text-align: justify;">Ora, riprende la Corte, ad evidenziare quanto fallace sia l’idea di diritti reali creati per contratto, dovrebbe essere sufficiente osservare che le situazioni reali si caratterizzano per la sequela, per l’opponibilità ai terzi: i diritti reali, cioè, si impongono per forza propria ai successivi acquirenti della cosa alla quale essi sono inerenti, che tali acquirenti lo vogliano o non lo vogliano: creare diritti reali atipici per contratto vorrebbe dire perciò incidere non solo sulle parti, ma, al di fuori dei casi in cui la legge lo consente, anche sugli acquirenti della cosa: ed in definitiva, paradossalmente, vincolare terzi estranei, in nome dell’autonomia contrattuale, ad un regolamento eteronimo.</p> <p style="text-align: justify;">Quando si afferma, allora, che i principi in discorso non sarebbero espressione di una norma positivamente codificata, ma tutt’al più si radicherebbero semplicemente nella tradizione, in vista di un generico scopo di certezza dei traffici giuridici - scopo, occorre aggiungere, che peraltro basterebbe da solo a rendere ragione dei principi medesimi -, sicché nulla osterebbe a far sorgere dall’autonomia contrattuale diritti reali atipici, non si tiene nella necessaria considerazione che una espressa disposizione in tal senso sarebbe stata superflua, in un sistema che, dopo aver minuziosamente tipizzato e regolato gli <em>iura in re aliena</em> (cosa già di per sé scarsamente comprensibile, ove potessero crearsene di atipici in numero infinito), pone al centro della disciplina del contratto, come la dottrina ha da assai lungo tempo evidenziato, l’art. 1372 c.c., che limita gli effetti di esso alle parti, con la precisazione che solo la legge può contemplare la produzione di effetti rispetto ai terzi: escludendo così in radice che il contratto, se non sia la legge a stabilirlo, possa produrre effetti destinati a riflettersi nella sfera di soggetti estranei alla negoziazione.</p> <p style="text-align: justify;">Tale impianto del codice civile, di per sé autosufficiente, si rafforza poi – chiosa ancora la Corte - nel quadro costituzionale, in applicazione dell’art. 42 Cost., laddove esso pone una riserva di legge in ordine ai modi di acquisto e, per l’appunto, di godimento, oltre che ai limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, senza che la funzionalizzazione della proprietà offra alcun sensato argomento che spinga nel senso della configurabilità di diritti reali limitati creati per contratto.</p> <p style="text-align: justify;">Il principio del <em>numerus clausus</em> e della tipicità infine, precisa la Corte, non incontra ostacoli nell’ordinamento Eurounitario, giacché l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea lascia "<em>del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri</em>".</p> <p style="text-align: justify;">A rincalzo delle raggiunte conclusioni, può ulteriormente osservarsi per le SSUU:</p> <p style="text-align: justify;">-) che l’art. 1322 c.c., colloca nel comparto contrattuale il principio dell’autonomia;</p> <p style="text-align: justify;">-) che l’ordinamento mostra di guardare sotto ogni aspetto con sfavore a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprietà, in particolare connotate da perpetuità, finanche tra le stesse parti, come si desume dalla disposizione dell’art. 1379 c.c., con riguardo alle condizioni di validità del divieto convenzionale di alienare (v. per la portata generale della regola Cass. 17 novembre 1999, n. 12769; Cass. 11 aprile 1990, n. 3082; e da ult. Cass. 20 giugno 2017, n. 15240, in relazione al vincolo perpetuo di destinazione imposto dal testatore con clausola modale);</p> <p style="text-align: justify;">-) che l’art. 2643 c.c., contiene un’elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione, il che ineluttabilmente conferma trattarsi di <em>numerus clausus</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto all’adempimento della formalità della trascrizione, del resto, essa vale a risolvere i conflitti tra successivi acquirenti a titolo derivativo (sugli acquisti a titolo originario, in relazione al rilievo della trascrizione, v. <em>ex multis</em> Cass. 3 febbraio 2005, n. 2161; Cass. 10 luglio 2008, n. 18888, con riguardo alla servitù acquistata per usucapione), ma, essendo dotata di efficacia meramente dichiarativa (Cass. 19 agosto 2002, n. 12236), non incide sulla validità ed efficacia di essi, ed è quindi priva di efficacia sanante dei vizi di cui sia affetto l’atto negoziale, ed inidonea ad attribuirgli la validità di cui esso sia altrimenti privo (Cass. 14 novembre 2016, n. 23127).</p> <p style="text-align: justify;">E dunque, prosegue la Corte, ammesso e non concesso che una simile trascrizione sia oggi tecnicamente possibile, non ha cittadinanza nel diritto vigente una regola generale che faccia discendere dalla trascrizione - se non sia il legislatore, ovviamente, a stabilirlo - l’efficacia <em>erga omnes</em> di un diritto che non abbia già in sé il carattere della realità. Ciò - sia detto per inciso - a tacere del rilievo, rimanendo alla trascrizione, che il c.d. "<em>diritto reale di uso esclusivo</em>", ove inteso come prodotto della atipica modificazione negoziale del diritto di comproprietà, non sarebbe comunque trascrivibile, dal momento che l’art. 2643 c.c., contempla al numero 14 la trascrizione delle sentenze, non degli atti negoziali, che operano la modificazione di uno dei diritti precedentemente elencati dalla norma.</p> <p style="text-align: justify;">Ecco dunque, chiosa ancora il Collegio, che nella propria giurisprudenza il principio della tipicità del diritti reali, con quello sovrapponibile del <em>numerus clausus</em>, è fermo. E cioè, non è configurabile la costituzione di diritti reali al di fuori dei tipi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 26 marzo 1968, n. 944). Difatti, "<em>la proprietà non deve essere asservita per ragioni privatistiche in modo tale da rendersi quasi illusoria e priva di contenuto, inetta quindi a realizzare i propri fini essenziali, convergenti da un lato alla integrazione e allo sviluppo della personalità individuale e dall’altro al benessere e al progresso della comunità attraverso l’incremento della produzione e l’attivazione degli scambi. Di qui la necessità di non abbandonare all’autonomia privata la materia dei diritti reali (iura in re aliena) e di mantenere la loro creazione entro schemi inderogabili fissati da esigenze di ordine pubblico</em>" (Cass. 31 maggio 1950, n. 1343).</p> <p style="text-align: justify;">È stata così rimarcata la differenza dal punto di vista sostanziale e contenutistico, del diritto reale d’uso e del diritto personale di godimento, che va colta proprio nella ampiezza ed illimitatezza del primo, conformemente al canone di tipicità dei diritti reali delineato dalla legge, rispetto alla multiforme atteggiabilità del secondo, che proprio in ragione della natura obbligatoria e non reale del rapporto giuridico prodotto, può essere diversamente regolato dalle parti nei relativi aspetti di sostanza e di contenuto.</p> <p style="text-align: justify;">Sicché, è da tener fermo che "<em>il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali... si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge, nè possono modificarne il regime. Ciò comporta che i poteri che scaturiscono dal singolo diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere validamente modificati dagli interessati</em>" (Cass. 26 febbraio 2008, n. 5034; richiamata da ultimo da Cass. 3 settembre 2019, n. 21965).</p> <p style="text-align: justify;">Nello stesso senso si osservato che la potenziale estensione delle facoltà dell’usuario a tutte le possibilità di uso diretto della cosa è connotato distintivo del diritto di uso, e se, quindi, può ammettersi che il titolo costitutivo restringa il contenuto del diritto con l’esclusione di talune facoltà in esso naturalmente comprese, deve, al contrario, ritenersi che l’attribuzione di una soltanto tra le facoltà di uso consentite dalla natura del bene - tanto più se trattisi di un’utilità del tutto speciale ed estranea alla destinazione fondamentale della cosa - possa dar vita ad un rapporto obbligatorio, ma non possa configurarsi come costitutiva di un diritto reale di uso, che sarebbe essenzialmente diverso da quello previsto dalla legge e come tale inammissibile nel nostro ordinamento nel quale e mantenuto il principio della tipicità dei diritti reali (Cass. 12 novembre 1966, n. 2755).</p> <p style="text-align: justify;">In applicazione del principio di tipicità dei diritti reali di godimento è stato stabilito che non è configurabile un rapporto di così detto dominio utile, corrispondente a uno <em>ius in re aliena</em>, cioè un diritto di godere di un fondo altrui in perpetuo, non essendo consentiti, al di fuori dei casi previsti alla legge, rapporti di natura perpetua, in quanto contrari a interessi di natura pubblicistica (Cass. 26 settembre 2000, n. 12765).</p> <p style="text-align: justify;">E si è ripetuto che le obbligazioni <em>propter rem</em>, come pure gli oneri reali, sono caratterizzati dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge (Cass. 4 dicembre 2007, n. 25289; Cass. 11 marzo 2010, n. 5888; Cass. 26 febbraio 2014, n. 4572; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25673; Cass. 2 gennaio 1997, n. 8; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003; <em>contra</em> isolatamente e senza specifici argomenti Cass. 6 marzo 2003, n. 3341, ove tuttavia si riconosce che "<em>al principio di tipicità sono vincolati i diritti reali</em>").</p> <p style="text-align: justify;">Ciò sulla scia di Cass. 18 gennaio 1951, n. 141, secondo cui oneri reali e obbligazioni <em>propter rem</em> "<em>non possono avere un’applicazione generale e illimitata, ma costituiscono figure ammissibili soltanto nei casi previsti dalla legge</em>". La qual cosa, a parte l’obbliettiva difficoltà di guardare al c.d. "<em>diritto di uso esclusivo</em>" come ad una obbligazione <em>propter rem</em>, esclude anche la possiblità di tale ricostruzione.</p> <p style="text-align: justify;">Atteso il principio di tipicità dei diritti reali la trascrizione della donazione modale non fa acquisire all’onere carattere reale (Cass. 9 giugno 2014, n. 12959). Nè, "<em>stante il principio di tipicità dei diritti reali, è possibile rimettere tout court alla scelta dei privati la creazione di figure di proprietà che presentino uno sdoppiamento tra la titolarità formale e quella sostanziale dei beni o forme di dissociazione tra titolarità e legittimazione</em>" (Cass. 10 febbraio 2020, n. 3128).</p> <p style="text-align: justify;">D’altronde, la tematica delle c.d. servitù irregolari muove proprio dal principio di tipicità dei diritti reali, potendo così esse dar vita esclusivamente a rapporti obbligatori, nel quadro di applicazione del principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. (Cass. 11 marzo 1981, n. 1387; Cass. 4 febbraio 2010, n. 2651, e, da ult. Cass. 9 ottobre 2018, n. 24919).</p> <p style="text-align: justify;">In definitiva, va affermato per la Corte il principio che segue: "<em>La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. "</em>diritto reale di uso esclusivo<em>" su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi</em>". Restando ovviamente riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi.</p> <p style="text-align: justify;">Esclusa la validità della la costituzione di un diritto reale di uso esclusivo di una parte comune dell’edificio, in ambito condominiale, sorge il problema della sorte del titolo negoziale che, invece, tale costituzione abbia contemplato.</p> <p style="text-align: justify;">Una volta ricordato che l’art. 1117 c.c., nel porre una presunzione di condominialità, consente l’attribuzione ad un solo condomino della proprietà esclusiva di una parte altrimenti comune, occorre anzitutto approfonditamente verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se le parti, al momento della costituzione del condominio, abbiano effettivamente inteso limitarsi alla attribuzione dell’uso esclusivo, riservando la proprietà all’alienante, e non abbiano invece voluto trasferire la proprietà.</p> <p style="text-align: justify;">Vero è che l’art. 1362 c.c., richiama al comma 1, il senso letterale delle parole, senso che, nel caso dell’impiego della formula "<em>diritto di uso esclusivo</em>", depone senz’altro contro l’interpretazione dell’atto come diretto al trasferimento della proprietà; ma anche vero è – rammenta la Corte - che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è mai, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione <em>prima facie</em> chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (p. es. Cass. 1 dicembre 2016, n. 24560; Cass. 11 gennaio 2006, n. 261).</p> <p style="text-align: justify;">In tale prospettiva può leggersi, a esempio, la decisione della Corte in un caso in cui il regolamento condominiale richiamato in un preliminare di vendita contemplava "<em>l’uso esclusivo dei balconcini esistenti nei ripiani intermedi a favore dei condomini proprietari di alloggi non aventi prospicenza diretta verso il cortile</em>": è stato in tal caso affermato che il regolamento condominiale contrattuale può contenere la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio altrimenti comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, ed in tal caso il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, con l’ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di proprietà esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di proprietà esclusiva, a cui favore sia previsto l’uso esclusivo di una parte comune, può essere considerato sufficiente ai fini dell’indicazione della consistenza della frazione stessa venduta o promessa in vendita (Cass. 4 giugno 1992, n. 6892, sulla scia di Cass. 29 marzo 1982, n. 1947; nella stessa linea più di recente, Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).</p> <p style="text-align: justify;">Non è escluso che il diritto di uso esclusivo, sussistendone i presupposti normativamente previsti, possa altresì essere in realtà da ricondurre nel diritto reale d’uso di cui all’art. 1021 c.c., se del caso attraverso l’applicazione dell’art. 1419 c.c., comma 1.</p> <p style="text-align: justify;">Rimane poi aperta – conclude la Corte - la verifica della sussistenza dei presupposti per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo, in applicazione art. 1424 c.c., in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (perpetuo <em>inter partes</em>, ovviamente) di natura obbligatoria. Ciò sia dal versante della meritevolezza, sia quanto all’accertamento se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, queste avrebbero voluto il diverso contratto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2021</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 aprile esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.11211 alla cui stregua L'art. 31 delle legge n. 47 del 1985:</p> <ul style="text-align: justify;"> <li>mentre al primo comma prevede che "<em>possono, su loro richiesta, conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria i proprietari di costruzioni e di altre opere che risultino essere state ultimate entro la data del 1 0 ottobre 1983 ed eseguite: a) senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse; b) in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero</em> <em>nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa</em>";</li> <li>al successivo terzo comma, invocato specificamente dalla ricorrente, dispone poi che: "a<em>lla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che hanno titolo, ai sensi della L. 28 gennaio 1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l'autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima</em>."</li> </ul> <p style="text-align: justify;">Il richiamo all'art. 31, operato dal successivo articolo 37 della medesima legge, consente quindi – puntualizza la Corte - di identificare nei soggetti di cui al primo ed al terzo comma quelli tenuti al versamento delle somme dovute a titolo di oneri di concessione, come peraltro vale anche per le somme da corrispondere a titolo di oblazione, stante il rinvio operato sempre all'art. 31 dall'art. 34.</p> <p style="text-align: justify;">La tesi della ricorrente di cui al caso si specie si fonda – riprende il Collegio - sul fatto che tale previsione normativa consentirebbe di affermare che, anche nel caso di successiva alienazione del bene, l'originario proprietario resti tenuto al pagamento degli oneri della procedura di condono sebbene abbia nelle more e successivamente alla presentazione della domanda di condono, provveduto al trasferimento della titolarità del bene da condonare.</p> <p style="text-align: justify;">Trattasi però – precisa la Corte - di affermazione che non trova conferma nel dettato delle norme, le quali, come esplicitato dal tenore letterale delle stesse, identificano quali obbligati al pagamento degli oneri coloro che sono proprietari dei beni al momento del conseguimento della sanatoria, senza che possa portare ad opinare diversamente la previsione di cui al terzo comma che consente la rivalsa nei confronti del proprietario (da intendersi come colui che rivesta tale qualità sempre alla data del conseguimento della sanatoria) da parte dei soggetti diversi dal proprietario ai quali la legge comunque riconosca l'interesse al conseguimento della sanatoria (identificabili in via esemplificativa, nell'inquilino, nel creditore, nel titolare della concessione edilizia, nel committente delle opere, o ancora nel costruttore o nel direttore dei lavori, come affermato nella giurisprudenza amministrativa da Tar Ancona, Marche 12 maggio 2004 n. 297).</p> <p style="text-align: justify;">Nella fattispecie, è pur vero che gli attori avevano inizialmente presentato la domanda di condono, ma il perfezionamento dell'iter amministrativo è avvenuto allorquando la titolarità del bene era passata in capo alla società ricorrente, che per l'effetto era il proprietario, tenuto al pagamento dei relativi oneri, e nei cui confronti è possibile avanzare la richiesta di rivalsa da parte degli interessati che abbiano conseguito la sanatoria, previa presentazione della relativa istanza, come appunto esplicitato dalla previsione di cui all'art. 31.</p> <p style="text-align: justify;">La riconducibilità dell'obbligazione in oggetto a colui che sia attualmente proprietario del bene soggetto a sanatoria – chiosa ancora la Corte - ha portato la giurisprudenza amministrativa a configurare tale obbligazione come una sorta di obbligazione <em>propter rem</em>, connessa alla proprietà del bene (Tar Napoli 8 marzo 2013 n. 1379), e ciò attesa la stretta connessione sussistente tra la titolarità di un immobile e gli obblighi e i benefici derivanti dalla concessione in sanatoria (Tar Bari sez. II, 4 giugno 2010 n. 2250, che in motivazione assume che la presentazione della domanda di sanatoria ex art. 31, I. n. 47 del 1985 implica, in caso di vendita dell'immobile, il subentro del nuovo acquirente negli obblighi derivanti dalla sanatoria, a fronte del fatto che egli sarà anche beneficiario dei diritti conseguenti al rilascio della sanatoria, aggiungendo che l'alienazione dell'immobile comporta l'automatico subentro dell'acquirente nella posizione del venditore - richiedente la sanatoria, il quale, correlativamente, perde la disponibilità della relativa posizione).</p> <p style="text-align: justify;">La critica alla sentenza impugnata di parte ricorrente, quanto all'affermazione dell'inesistenza di un'obbligazione <em>propter rem</em>, non si confronta con il reale contenuto della decisione stessa, la quale ha escluso che tale qualifica dovesse essere attribuita, non già all'obbligo di pagamento degli oneri economici del condono in capo al successivo acquirente del bene, ma alla diversa obbligazione, specificamente invocata dalla ricorrente, del primo proprietario del bene, ed autore dell'illecito, di tenere indenne il proprio avente causa dalle conseguenze economiche derivanti dal dover far fronte nei confronti del Comune agli oneri concessori e di oblazione.</p> <p style="text-align: justify;">Correttamente è stato quindi escluso per la Corte, in assenza di una specifica pattuizione contenuta nel contratto intervenuto tra la prima acquirente e la ricorrente, che i primi venditori del bene potessero essere chiamati a rispondere nei confronti dell'ultima avente causa, che materialmente aveva fatto fronte alle obbligazioni correlate alla procedura di condono, dovendosi escludere che tale impegno effettivamente assunto nel primo atto di alienazione potesse automaticamente trasferirsi in favore di tutti i successivi acquirenti del bene in assenza di un espresso impegno contrattuale in tal senso.</p> <p style="text-align: justify;">A tal fine deve essere richiamata per la Corte la propria giurisprudenza onde (Cass. n. 3464/2012) l'art. 1489 cod. civ., sulla vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di terzi, non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico edilizia, dei quali il venditore abbia fatto menzione nell'atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto (in senso conforme Cass. n. 1084/2020, non massimata, che però riconosce la validità di una clausola contrattuale che impegni il venditore a farsi carico degli oneri economici derivanti dal successivo perfezionamento della procedura di condono).</p> <p style="text-align: justify;">La corretta interpretazione delle norme invocate dalla ricorrente impone quindi di affermare che l'individuazione come soggetto obbligato al pagamento degli oneri economici legati al condono di colui che rivesta la qualità di proprietario alla data di conseguimento del provvedimento di sanatoria (e rispetto al quale è possibile la rivalsa da parte degli altri soggetti cui la legge riconosce l'interesse a presentare la domanda di condono), esclude che gli attori rivestano ancora la qualità di (co)obbligati rispetto al credito dedotto in giudizio, potendo la loro responsabilità solo derivare da una esplicita pattuizione contrattuale, il che esclude anche la correttezza del richiamo alla previsione di cui all'art. 1203 n. 3 c.c., in quanto non può assegnarsi alla ricorrente la qualità di soggetto tenuto con altri o per altri al soddisfacimento del debito verso il Comune.</p> <p style="text-align: justify;">Deve essere pertanto data per la Corte continuità alla propria giurisprudenza laddove già in passato ha affermato che (Cass. n. 11322/1997) gli acquirenti di un bene immobile edificato in difformità dalla concessione edilizia, che abbiano chiesto (ed ottenuto) la sanatoria di cui all'art. 31 della legge n. 47 del 1985 in qualità di proprietari del bene, possono agire in giudizio per la riduzione del prezzo, giusta il disposto degli artt. 1490 e 1492 (e quindi nei confronti del loro diretto dante causa), ma non anche esercitare il diritto di rivalsa di cui all'art. 6 della legge citata, qualora le lamentate difformità non risultino essenziali o totali rispetto alla rilasciata concessione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per obbligazioni “<em>propter rem</em>” e cosa occorre rammentare in proposito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una figura che si colloca nel mezzo tra i c.d. diritti “<em>in re aliena</em>”, o diritti “<em>reali</em>” (sempre che tale categoria possa davvero avere una consistenza non soltanto evocativa e terminologica), e i diritti “<em>relativi</em>” o di credito;</li> <li>la titolarità di un bene consente infatti di identificare il debitore di questo tipo di obbligazione, che è strettamente avvinta al bene medesimo e, quasi, “<em>insiste</em>” su esso;</li> <li>in sostanza, da una situazione di appartenenza – in termini di proprietà o di titolarità di altro diritto reale – si evince <em>per relationem</em> il debitore di una data prestazione, che esiste perché esiste quel bene e, dal punto di vista soggettivo, quella data situazione di appartenenza che insiste su di esso;</li> <li>si tratta dunque di una obbligazione “<em>propter rem</em>” perché accessoria ad una data <em>res</em>;</li> <li>la caratteristica principale di questa figura obbligatoria è la relativa ambulatorietà: essa circola assieme alla proprietà (o al diritto reale) sul bene, anche se il cedente nulla dice e l’acquirente nulla sa in proposito al momento del pertinente acquisto, stante per l’appunto la stretta accessorietà dell’obbligo (e della prestazione dovuta) al bene medesimo;</li> <li>si tratta di fattispecie che non trovano una sistemazione codicistica precisa ma che, sulla scorta della dottrina, appaiono concretamente riconoscibili negli articoli: f.1) 888 c.c. in tema di comproprietà del muro divisorio e connesso obbligo di concorrere alle spese di pertinente conservazione; f.2) 1070 c.c. in tema di fondo servente ed obbligo del relativo proprietario di pagare le spese necessarie per l’uso o la conservazione della servitù; f.3) 1104 c.c., in tema di comunione e di obbligo del comunista, in quanto tale, di contribuire alle spese per la conservazione della cosa comune;</li> <li>proprio perché l’obbligo <em>propter rem</em> risulta strettamente avvinto ad una situazione di appartenenza di un dato bene, l’abbandono di tale bene costituisce normalmente un modo tutt’affatto peculiare di liberarsi di tale obbligo; si parla in simili fattispecie di “<em>abbandono liberatorio</em>”, come nel caso classico del fondo gravato da una servitù (fondo servente: art.1070 c.c.), che può essere abbandonato a vantaggio del proprietario del fondo dominante, o nella fattispecie della comunione (art.1104 c.c.), laddove l’abbandono ridetto avvantaggia per “<em>accrescimento</em>” gli altri condomini;</li> <li>sul crinale della natura giuridica si fronteggiano 3 distinte opzioni ermeneutiche: h.1) si tratta di una natura “<em>reale</em>”, stante la stretta inerenza dell’obbligazione alla situazione di appartenenza di un dato bene (dottrina minoritaria); h.2) si tratta di una natura “<em>personale</em>”, dacché il fulcro di un obbligo <em>propter rem</em>, come quello di qualunque altra obbligazione, va rinvenuto nella prestazione – di fare o di dare - da porre in essere nell’interesse di un dato creditore, all’inerenza dovendosi riconoscere la sola funzione di individuare chi sia il soggetto debitore della prestazione stessa (tesi maggioritaria); h.3) si tratta di una natura “<em>personale</em>” che è tuttavia connotata da precisi elementi di “<em>realità</em>, stante l’impossibilità di svincolare la prestazione obbligatoria dall’appartentenza di un dato bene (tesi mista).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per oneri reali e cosa occorre rammentare in proposito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>occorre partire, ancora una volta, da una situazione di appartenenza, e dunque da un soggetto che è proprietario di un dato bene;</li> <li>tale appartenenza implica per il soggetto titolare l’obbligo di far luogo a prestazioni periodiche di dare a favore di un altro soggetto;</li> <li>si è al cospetto di una figura propria del diritto intermedio (medioevale), della quale residuerebbero tuttavia esempi anche nel diritto contemporaneo, come nel caso – esemplificativamente - dei contributi di bonifica ex art.860 c.c., dei contributi consortili ex art.864 c.c. e del canone enfiteutico ex art.960 c.c.;</li> <li>si tratta dunque di un peso che grava su di un bene – tradizionalmente, su di un fondo – al quale inerisce; occorre distinguere tuttavia: d.1) la servitù, laddove ad essere soddisfatta è una utilità prediale, con vantaggio che perviene ad un altro terreno e, con esso, al relativo titolare (proprietario del fondo dominante); nella servitù si assiste inoltre ad un peso continuativo su di un dato bene, che viene sopportato dal titolare di tale bene attraverso un passivo “<em>pati</em>” (sopportazione) o “<em>non facere</em>”; d.2) l’onere reale, laddove ad essere soddisfatto è direttamente un interesse personale del soggetto creditore della prestazione; nell’onere reale campeggia non già un peso continuativo sul bene, quanto l’obbligo di una prestazione periodica “<em>attiva</em>” in campo al relativo titolare;</li> <li>come l’obbligazione <em>propter rem</em>, anche l’onere reale è “<em>ambulatorio</em>” e circola dunque assieme al bene al quale inerisce;</li> <li>a differenza dell’obbligazione <em>propter rem</em>, l’obbligazione accessoria all’onere reale: f.1) è sempre necessariamente periodica, e non anche <em>una tantum</em>; f.2) può avere ad oggetto solo un dare, e non anche un <em>facere</em>; f.3) è un vincolo che grava non tanto sul proprietario del bene considerato, ma sul bene stesso, tanto è vero che – secondo l’opzione dottrinale più accreditata – il creditore della prestazione periodica di dare (<em>accipiens</em>) vanta una garanzia reale sul bene ridetto, potendo in caso di inadempimento vendere il bene e soddisfarsi sul ricavato di tale vendita con prelazione rispetto agli eventuali altri creditori dell’obbligato ed “<em>onerato</em>”, normalmente attraverso il meccanismo del privilegio; f.4) espone il proprietario-debitore ad una responsabilità patrimoniale, in qualche modo, “<em>limitata</em>” al valore economico del fondo sul quale l’onere “<em>reale</em>” grava, senza che scatti la classica responsabilità patrimoniale omnicomprensiva ed <em>ultra vires</em> ex art.2740 c.c., che come noto impegna tutti i beni presenti e futuri del debitore (anche laddove il debitore sia tale “<em>propter rem</em>”);</li> <li>sul crinale della natura giuridica, si distinguono varie tesi: g.1) ha natura reale: esso inerisce infatti ad un dato bene, come nelle altre fattispecie di diritti reali (dottrina tradizionale); g.2) ha natura personale: esso compendia un diritto di credito che si presenta assistito da una garanzia reale (dottrina più recente), differenziandosi tanto dalla servitù – stante il vantaggio personale che ne ritrae il creditore <em>accipiens</em>, quand’anche non proprietario di un fondo dominante – quanto dall’ipoteca, che pure accede ad un credito (di norma, immobiliarmente) garantito, ma che ha un proprio titolo costitutivo autonomo rispetto a quello di “<em>dominicale</em>”, mentre nell’onere reale tale autonomo e distinto titolo non si configura;</li> <li>data la particolare intensità che connota l’onere reale al bene cui esso inerisce, la dottrina maggioritaria tende ad applicare la disciplina del c.d. abbandono liberatorio – siccome esplicitamente prevista dal codice civile per le singole figure di obbligazioni <em>propter rem</em> - anche al titolare di un onere reale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problematiche specifiche pongono tanto le obbligazioni “<em>propter rem</em>” quanto gli oneri reali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>una prima questione – afferente in particolare alle obbligazioni <em>propter rem</em> - investe il tema della tipicità; più nel dettaglio: a.1) si tratta per giurisprudenza costante di obbligazioni “<em>tipiche</em>” e dunque non ammissibili al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, potendo dunque solo quest’ultima determinare i casi ed i contenuti “<em>spendibili</em>” dall’autonomia privata, massime attraverso lo strumento del contratto; ciò anche al fine di non limitare oltremodo la libera circolazione dei beni (soprattutto immobili), sol che si consideri come un acquirente – laddove si ammettesse la configurabilità di una obbligazione propter rem “<em>atipica</em>” – potrebbe non conoscerne <em>ex ante</em> l’esistenza a cagione della non trascrivibilità dei vincoli meramente obbligatori; a.2) non manca tuttavia giurisprudenza civile e amministrativa che, muovendo dalla necessaria recessività del principio di libera circolazione dei beni dinanzi al perseguimento di interessi socialmente rilevanti, tende ad ammettere obbligazioni “<em>reali atipiche</em>” idonee a vincolare anche l’eventuale ignaro acquirente, facendo l’esempio degli obblighi nascenti da convenzioni di lottizzazione;</li> <li>una seconda questione concerne la responsabilità per quelle obbligazioni c.d. “<em>reali</em>” che – in presenza di una cessione del bene cui ineriscono - siano rimaste inadempiute dal cedente; b.1) per quanto concerne gli oneri reali, dacché le obbligazioni che le compendiano ineriscono assai intensamente al bene di volta in volta considerato, concordemente si assume in dottrina che, in caso di cessione, l’acquirente deve rispondere anche delle obbligazioni che siano sorte prima della cessione e non siano state adempiute dal cedente, dacché egli acquista il bene con tutti i consistenti “<em>pesi obbligatori</em>” che vi ineriscono, qualunque sia il relativo stadio esecutivo; b.2) per quanto invece concerne le obbligazioni <em>propter rem</em>, si contendono il campo due diverse opzioni ermeneutiche: b.2.1) laddove il bene venga ceduto, l’alienante deve assumersi rimanere obbligato per le obbligazioni sorte prima della cessione, quand’anche divenute esigibili posteriormente; si tratta di una obbligazione che è già attuale (e non più solo potenziale) prima della cessione, essendo per l’appunto sorta prima che il bene venisse alienato, onde deve risponderne l’alienante; ciò in quanto la c.d. ambulatorietà dell’obbligazione reale va riferita alla “<em>possibilità</em>” del relativo sorgere e non all’obbligazione in quanto tale (circola la “<em>potenzialità obbligatoria</em>”, non l’obbligo), onde quando l’obbligazione è già sorta, non può che risponderne per l’appunto l’alienante; lo dimostrerebbero le norme su comunione e condominio e, <em>in primis</em>, l’art.1104,, comma 3, c.c., alla cui stregua, in via eccezionale, viene prevista la espressa responsabilità solidale dell’acquirente per le obbligazioni già sorte prima del pertinente acquisto: ciò implica, <em>a contrario</em>, che in generale nelle obbligazioni <em>propter rem</em> risponde, per le ridette obbligazioni già sorte, il solo alienante; b.2.2) laddove il bene venga ceduto, tutte le obbligazioni che vi ineriscono, ivi comprese quelle già sorte, si trasferiscono – come nel caso degli oneri reali - in campo all’acquirente (circola l’obbligo, non già la mera “<em>potenzialità obbligatoria</em>” della <em>res</em>); ad essere ambulatoria, stando a questo diverso punto di vista, non è la sola “<em>possibilità</em>” che il bene faccia nascere obbligazioni, ma le obbligazioni stesse, in qualunque tempo esse siano sorte, le quali circolano in ogni caso con il bene medesimo, come dimostrano, in guisa di principio generale, proprio le norme in materia di comunione e condominio;</li> <li>infine, di rilievo anche il problema della relativa “<em>atipicità</em>”; parte della dottrina e della giurisprudenza sembrerebbero “<em>aprire</em>” un varco in questo senso, ma resta “<em>granitico</em>” l’orientamento maggioritario – ribadito anche dalla SSUU del 2020 in tema di diritti di uso esclusivo a favore di un condomino – nel senso della tipicità dei “<em>pesi reali</em>”, stante anche l’efficacia solo inter partes del contratto, siccome cristallizzata all’art.1372 c.c.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali peculiari curiosità circondano gli oneri reali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>in Italia, l’onere reale non è più un istituto “<em>tipico</em>” a partire dal codice civile del 1865, quantunque talune situazioni giuridiche, sul crinale tanto genetico quanto effettuale, si prestino ad essere sussunte in qualche modo nella pertinente categoria;</li> <li>non è mancato <em>in primis</em> chi ha visto nel soggetto attivo dell’onere reale il titolare tanto di un’azione reale sul fondo, quanto di un’azione personale nei confronti del pertinente titolare, inverando una sorta di “<em>contaminazione</em>” tra garanzia patrimoniale (onnicomprensiva) e garanzia reale;</li> <li>secondo una tesi dottrinale, in caso di cessione del fondo, per le prestazioni maturate prima della cessione e non adempiute, risponde il cedente con tutti i propri beni presenti e futuri (garanzia patrimoniale generica) mentre il cessionario risponderebbe solo nei limiti del valore del fondo di inerenza (garanzia reale specifica);</li> <li>ancora, secondo una tesi l’onere reale non sarebbe più configurabile nel nostro ordinamento: il fatto che in talune fattispecie chi subentra – con acquisto a titolo derivativo e particolare – nel godimento di un bene sia responsabile con riguardo ad obblighi sorti in precedenza a carico del cedente fa luogo ad una mera “<em>tecnica legislativa</em>” intesa a rafforzare la garanzia del creditore delle pertinenti prestazioni, senza che sia necessario evocare ancora la figura, per l’appunto ormai superata, dell’”<em>onere reale</em>”; tale opzione ermeneutica sembra tuttavia smentita, almeno dal punto di vista terminologico, dalla legislazione in materia ambientale e di rifiuti che, sin dal 1997 e, da ultimo, con il codice del 152.06 (art.253), parla invece esplicitamente (e proprio) di “<em>onere reale</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p>