<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La categoria dei regolamenti, unitariamente considerata, si profila tanto variegata e multiforme quanto sostanzialmente ibrida, potendo essa compendiare – a diversi livelli ordinamentali –“</em>normativa pura<em>” in taluni casi e “</em>prodotto amministrativo attizio<em>” (seppure di livello generale) in altri; con precipitati del pari diversi, massime in termini di tutela attivabile da chi se ne assuma leso in via immediata e diretta, ovvero a cagione degli atti (successivi) che ne fanno concreta applicazione a casi singoli.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Già le Istituzioni di Gaio del II sec.. d.C. (I, 2) si occupano delle c.d. fonti del diritto: gli ordinamenti giuridici del popolo romano sono per Gaio costituiti da leggi, plebisciti, senatoconsulti, costituzioni dei principi, editti dei magistrati competenti, responsi dei giuristi (<em>Constant autem iura populi romani ex legibus, plebiscitis, senatoconsultis, constitutionibus principum edictis eorum qui ius edicendi habent, responsis prudentium</em>). Importante la distinzione, in epoca imperiale, tra le costituzioni generali – che pongono norme giuridiche in senso proprio – e che si compendiano negli <em>edicta</em> e nei <em>mandata</em>, e le costituzioni particolari (dette <em>decreta</em>, <em>rescripta</em> ed <em>epistulae</em>) che invece risolvono un caso concreto sottoposto all’Imperatore. Particolarmente significativa poi, quanto alle costituzioni generali, la distinzione tra gli <em>edicta</em>, fondati sull’<em>imperium proconsulare maius et infinitum</em> del Princeps quale strumento istituzionalmente predisposto per porre norme generali ed astratte, e i <em>mandata</em> che si compendiano piuttosto in istruzioni date dall’Imperatore ai propri funzionari sulla base del rapporto gerarchico che avvince il primo ai secondi: mentre infatti i primi (gli <em>edicta</em>, definiti nel tardo antico <em>leges generales</em>) sono in qualche modo assimilabili alle moderne leggi ed ai regolamenti, i secondi (<em>mandata</em>) sembrano piuttosto più assimilabili alle moderne circolari.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo viene varata la legge n.2248 il cui allegato E (c.d. L.A.C.), all’art.5, prevede il potere del GO di disapplicare i regolamenti, tanto generali quanto locali, che contrastino con le leggi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, codice penale, che all’art.43, nel definire il delitto colposo, o contro l’intenzione, lo assume tale quando l’evento-inadempimento che lo compendia, anche se preveduto (c.d. colpa con previsione), non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, o imprudenza o imperizia (c.d. colpa generica), ovvero ancora per inosservanza, oltre che di leggi, ordini e discipline, anche di regolamenti (c.d. colpa specifica).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, codice civile, le cui disposizioni preliminari (c.d. Preleggi) disciplinano le fonti del diritto. In particolare all’art.1 tali fonti vengono elencate, compendiandosi nelle leggi, nei regolamenti, nelle norme corporative e negli usi. Al successivo art.3 viene previsto il potere regolamentare del Governo (disciplinato da leggi di carattere costituzionale) e quello di “<em>altre autorità</em>”, esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità dalle leggi particolari che lo disciplinano. All’art.4 si dichiara che i regolamenti governativi non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi; quelli delle “<em>altre autorità</em>” (non governativi), non possono neppure dettare norme contrarie rispetto a quelle dei regolamenti governativi. Venendo al codice civile in senso stretto, ai sensi del relativo art.871, comma 1, le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite, oltre che dalla legge speciale, anche dai regolamenti edilizi e comunali, ai quali viene dunque operato un rinvio mobile; stando poi al successivo art.872, comma 1, le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle leggi speciali e dei regolamenti edilizi comunali in materia di costruzioni sono stabilite da leggi speciali, fermo restando (comma 2) che chi per effetto di tale violazione ha subito danno deve essere risarcito (tutela per equivalente, che verrà ricondotta ad un caso di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo), potendo anche chiedere la riduzione in pristino (tutela in forma specifica) quando siano violate contemporaneamente le norme sulle distanze, ovvero quelle che siano da queste richiamate. All’art.873 viene previsto che le costruzioni su fondi finitimi, laddove non unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non inferiore a 3 metri, ma è possibile per i regolamenti locali stabilire una distanza maggiore. Infine, alla stregua dell’art.879, comma 2, alle costruzioni realizzate in confine con piazze o vie pubbliche non si applicano le norme sulle distanze, ma devono comunque osservarsi, oltre alle leggi, anche i regolamenti che le riguardano.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana secondo il cui art.64, comma 1, ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti: si tratta dei c.d. regolamenti parlamentari. Al successivo art.87, comma 5, tra le competenze del Presidente della Repubblica viene annoverata quella di promulgare le leggi e di emanare i decreti aventi valore di legge ed i regolamenti. Di rilievo anche l’art.117 laddove prevede il riparto di competenze, dal punto di vista normativo, tra Stato e Regione: la dottrina lo interpreterà nel senso onde, se da un lato lo Stato può emanare regolamenti (statali) in ambiti di competenza regionale, dall’altro la legge regionale trova il solo limite nei “<em>principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato</em>”, e non dunque anche nei (meri) regolamenti statali. L’art.121, comma 2, si occupa poi dei regolamenti regionali, disponendo che è il Consiglio regionale ad esercitare le potestà (legislative e) regolamentari regionali (oltre alle altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi). Infine, l’art.134 contingenta lo scandaglio di legittimità affidato alla Corte costituzionale alle sole leggi ed agli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, escludendo i regolamenti che, come tali, non possono dunque essere sottoposti alla Corte costituzionale in termini di sindacato di costituzionalità dei medesimi; un regolamento può tuttavia giungere in Corte costituzionale laddove sia impugnato nella diversa sede dei conflitti di attribuzione tra poteri.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1951</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile viene firmato a Parigi il Trattato CECA l’art.14; non fa menzione dei Regolamenti, ma parla di Decisioni (individuali o generali), di Raccomandazioni e di Pareri.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1956</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 luglio esce la sentenza della Corte di Giustizia prevista dal Trattato CECA, C-8/55, caso <em>Fédéchar</em>, che assume le Decisioni generali (a differenza di quelle individuali) avere un valore normativo del tutto analogo ad un regolamento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1957</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo viene firmato a Roma il Trattato CEE secondo il quale i Regolamenti costituiscono lo strumento più importante di normazione nell’ambito della Comunità Economica Europea e sono previsti dall’art.189 come prima fonte rispetto alle Direttive, alle Decisioni, alle Raccomandazioni e ai Pareri assumendo connotati tipici quali la portata generale, la obbligatorietà in tutti i loro elementi e soprattutto la immediata applicabilità in tutti gli Stati membri. Nel corso degli anni muterà – col sovrapporsi dei Trattati integrativi – il numero di riferimento del pertinente articolo, ma non la ridetta disciplina siccome sinteticamente descritta. Quel giorno viene firmato a Roma anche il Trattato Euratom, che prevede analoghi Regolamenti all’art.161.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1958</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno esce la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee C-13/57, <em>Wirtschaftvereinigung Eisen und Stahlindustrie</em>, che ribadisce le Decisioni generali CECA (a differenza di quelle individuali) avere un valore normativo del tutto analogo ad un Regolamento CEE o Euratom.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1959</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 luglio viene varata la legge n.741, che delega il Governo ad emanare norme giuridiche, aventi forza di legge al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria. Nella emanazione di tali norme è previsto che il Governo debba uniformarsi a tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni sindacali anteriormente alla data di entrata in vigore della legge medesima. In sostanza il Governo viene invitato a recepire in una fonte primaria le clausole dei contratti collettivi di lavoro al fine di renderli efficaci <em>erga omnes</em>, stante la mancata attuazione dell’art.39 della Costituzione sulla registrazione dei sindacati, che avrebbe comportato lo stesso effetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre viene varato il D.p.R. n.1199 in tema di ricorsi amministrativi, il cui art.14 definisce i regolamenti (oggetto appunto di possibile ricorso amministrativo) quali “atti generali amministrativi a contenuto normativo”, in qualche modo cristallizzandone la natura ibrida a metà strada tra l’atto amministrativo (quand’anche generale), a destinatari determinati o determinabili, e l’atto normativo, a destinatari indeterminabili. La stessa norma al comma 3 prevede poi che qualora a valle del ricorso straordinario sia annullato un atto normativo, di tale annullamento va data comunicazione nelle medesime forme di pubblicazione dell’atto annullato, cristallizzando una sorta di principio del “contraius actus” che fa pensare ad una efficacia erga omnes dell’annullamento dei regolamenti non già solo in conseguenza del ricorso amministrativo in parola, quanto piuttosto anche quando esso venga annullato in sede giurisdizionale, con conseguente efficacia per l’appunto erga omnes del giudicato di annullamento, attesa da un lato la alternatività tra i due rimedi (amministrativo e giurisdizionale) e dall’altro la affinità che li avvince.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 giugno viene varata la legge n.93, legge quadro sul pubblico impiego, il cui articolo 6 prevede dei decreti del Presidente della Repubblica che recepiscono gli accordi collettivi di lavoro dei pubblici dipendenti: in dottrina taluno li addita quali regolamenti atipici; altri ritengono invece che si tratti di fonti normative primarie, sul modello di quanto accade nel settore privato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 agosto viene varata la legge n.400, recante disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che in particolare all’art.17 prevede i regolamenti governativi nelle varie tipologie in cui essi si articolano.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.465 che si inserisce nel solco della giurisprudenza onde non è consentito allo Stato emanare regolamenti (statali, appunto) in ambiti di competenza regionale, neppure <em>sub specie</em> di regolamenti delegati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio esce la storica sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.154, alla cui stregua è consentito al GA disapplicare un regolamento che sia rilevante nel giudizio sottopostogli anche qualora esso non sia stato tempestivamente impugnato dal ricorrente. La fattispecie è del tutto peculiare e verrà tradotta schematicamente nel c.d. “<em>rapporto di antipatia</em>”: in sostanza l’atto applicativo è contrastante con il regolamento presupposto, e tuttavia quest’ultimo è illegittimo perché contrastante con la legge (fonte primaria) alla quale invece l’atto applicativo si conforma. Per il Consiglio di Stato, laddove il GA non potesse in simili ipotesi disapplicare il regolamento illegittimo (non tempestivamente impugnato), si troverebbe costretto ad annullare l’atto applicativo pur pienamente legittimo e conforme a legge, perché “<em>illegittimo</em>” sul crinale del regolamento che esso presuppone. In queste ipotesi allora il regolamento va disapplicato ed il ricorso avverso l’atto applicativo va respinto, essendo tale atto applicativo <em>ab origine</em> conforme a legge, quand’anche in frizione con un regolamento illegittimo (che viene tuttavia disapplicato).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.799 che si occupa del c.d. “<em>rapporto di simpatia</em>”, cui si assiste quando l’atto applicativo è conforme al regolamento, e tuttavia questo è illegittimo perché in frizione con la legge, rendendo illegittimo lo stesso atto applicativo che ne discende: anche in questo caso, per il Collegio, può essere disapplicato il regolamento (illegittimo), stavolta con accoglimento del ricorso ed annullamento dell’atto applicativo, non conforme alla legge (come del resto non lo è il regolamento presupposto, che viene disapplicato). Ciò tuttavia solo quando si tratti di una controversia affidata alla giurisdizione esclusiva del GA, a tutela di diritti soggettivi e non anche di interessi legittimi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1332 la quale per la prima volta afferma la disapplicabilità dei regolamenti non tempestivamente impugnati, quand’anche in rapporto di simpatia con l’atto applicativo tempestivamente gravato, anche nelle materie di giurisdizione generale di legittimità, e non solo in quelle di giurisidizione esclusiva. Il Collegio muove dall’art.4 delle Preleggi, e dal principio di gerarchia delle fonti in esso consacrato, onde il GA può disapplicare il regolamento e tutti gli altri atti-fonte di normazione secondaria laddove essi contrastino con la legge (normativa primaria), tanto a tutela di diritti soggettivi che di interessi legittimi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.222 che si occupa ancora una volta del c.d. “<em>rapporto di simpatia</em>” tra regolamento illegittimo ed atto applicativo, del pari illegittimo: fa il suo ingresso sulla scena pretoria il concetto di “<em>invalidazione</em>” che viene messo in relazione con quello, diverso, di “<em>disapplicazione</em>”. Il Collegio muove dall’ipotesi in cui sia varato dalla PA un atto amministrativo non immediatamente lesivo di un interesse legittimo, che come tale non deve dunque essere impugnato nei termini, come è appunto il caso di un regolamento. Quando viene adottato l’atto successivo, viene innanzi tutto in rilievo il possibile rapporto di presupposizione tra i due atti, onde l’atto presupposto (il regolamento) “<em>invalida</em>” l’atto successivo presupponente, che può essere annullato proprio perché “<em>invalidato</em>” dal regolamento illegittimo, che gli trasmette il proprio vizio e che può essere annullato a propria volta (venendo caducato quando esso trasferisce il vizio all’atto applicativo, facendo sorgere il pertinente interesse a ricorrere). Diversa dalla “<em>invalidazione</em>” è invece la “<em>disapplicazione</em>” tecnicamente intesa, che ha luogo quando – impugnato l’atto applicativo – viene in rilievo in via pregiudiziale il regolamento che, laddove riconosciuto illegittimo, viene disapplicato limitatamente al caso deciso dal GA: in questa ipotesi non è un rapporto di presupposizione a rilevare quanto, piuttosto, un rapporto di pregiudizialità, nel cui contesto non si verifica in realtà alcuna trasmissione di vizi, ed il regolamento viene considerato, limitatamente al caso deciso, <em>tamquam non esset</em>. Anche dunque quando il regolamento non è presupposto (e, come tale, non invalidante) rispetto all’atto applicativo, venendo piuttosto in rilievo solo sul crinale della pregiudizialità, esso può dunque essere posto nel nulla giusta disapplicazione “<em>normativa</em>”, a tutela tanto di diritti soggettivi quanto di interessi legittimi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 novembre viene varata la legge costituzionale n.1, che modifica l’art.121 della Costituzione onde il Consiglio regionale esercita ormai solo le potestà legislative regionali, mentre il Presidente della Giunta promulga le leggi “<em>ed emana</em>” i regolamenti regionali (anziché limitarsi solo a promulgarli come nell’originaria versione della norma). La dottrina ne evincerà il “<em>passaggio</em>” del potere normativo regolamentare, in termini di competenza, dal Consiglio regionale alla Giunta, sia perché gli atti di normazione secondaria (a differenza di quelli di normazione primaria) sono in genere appannaggio dell’organo esecutivo che, in ambito regionale, è appunto la Giunta (ex art.121, comma 3, Cost.), non avendo ad un tempo il Consiglio interesse alla ridetta competenza per avere già attribuita quella avente ad oggetto la normazione primaria (leggi regionali); sia perché il fatto che il Presidente della Giunta “<em>emana</em>” i regolamenti regionali (mentre le leggi regionali continua meramente a promulgarle) implica una forma di partecipazione del Presidente stesso, e della Giunta che egli rappresenta, nel procedimento di elaborazione del regolamento che alfine viene da lui emanato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.427 alla cui stregua – uniformandosi a propria costante giurisprudenza – la questione di legittimità costituzionale di norme aventi natura regolamentare eccede i limiti della giurisdizione della Corte stessa secondo la definizione che di tale <em>potestas iudicandi</em> fornisce l’art.134 della Carta, laddove la limita al caso della illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre viene varata la legge n.340 che – modificando l’art.20, comma 2, della legge n.59.97 – prevede la possibilità per lo Stato, in via sostitutiva, di emanare regolamenti di delegificazione in ambiti di competenza regionale, ma solo appunto in via suppletiva laddove la Regione non abbia ancora introdotto una propria disciplina.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.87 che si occupa del novellato art.121 della Costituzione e del potere regolamentare regionale in esso inscritto. La Corte va in contrario avviso rispetto alla dottrina maggioritaria, affermando che, se da un lato il potere regolamentare non è più del Consiglio regionale, ciò non significa che esso sia stato automaticamente attribuito in via esclusiva alla Giunta regionale; in sostanza, la legge costituzionale 1.99 ha previsto come non più obbligatorio il fatto che i regolamenti regionali siano approvati dal Consiglio regionale, facendo venire meno la relativa competenza esclusiva in materia, potendo le Regioni – in sede di revisione del pertinente statuto – operare una scelta organizzativa di ordine diverso, attribuendo la competenza alla Giunta, senza che tuttavia ciò sia costituzionalmente imposto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3296 che esclude che dinanzi ad un regolamento possano configurarsi dei controinteressati. La pronuncia parte dal c.d. rapporto processuale amministrativo, che come tale coinvolge – deve coinvolgere – soggetti precisamente individuati o comunque agevolmente individuabili sulla scorta dell’atto che viene di volta in volta sottoposto al sindacato giurisdizionale; simile rapporto processuale amministrativo, proprio in quanto tale, coinvolge dunque soggetti specifici o comunque agevolmente individuabili, non già “<em>categorie</em>” di soggetti. Muovendo da questo presupposto, la legittimazione a ricorrere – sul crinale attivo – presuppone una posizione qualificata e differenziata in capo ad un soggetto ben definito che assume l’atto lesivo di un proprio interesse immediato e concreto che in quella posizione trova il proprio fondamento; la legittimazione a resistere o a contraddire – sul crinale passivo – è del pari da riconoscersi in capo ad un soggetto che nell’atto da terzi gravato in sede giurisdizionale radica un proprio interesse legato alla conservazione dell’atto stesso. Un soggetto che sia titolare di un autonomo interesse a contraddire deve allora intendersi legittimato all’intervento nel processo amministrativo per opporsi all’annullamento di un atto da altri impugnato, dal momento che dalla conservazione del ridetto atto gli derivano dei vantaggi; ma la titolarità di tale autonomo interesse a contraddire non è ancora idonea a forgiare un “<em>controinteressato</em>” in senso tecnico, e va tenuto conto per il Consiglio che solo a tale controinteressato tecnicamente inteso va notificato il ricorso a pena di inammissibilità. E’ controinteressato in senso tecnico non già solo colui che è titolare di un interesse analogo e contrario rispetto a quello che legittima la proposizione del ricorso, ma chi è anche nominativamente individuato o comunque facilmente individuabile attraverso l’atto medesimo, ed è proprio questo che normalmente difetta al cospetto di un regolamento, che dunque in genere non è capace di lasciar affiorare dei controinteressati.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre viene varata la legge costituzionale n.3 di riforma del Titolo V della Costituzione che incide sull’art.117 della Carta riformulandolo, anche in tema di potestà regolamentare e livelli di Governo, con particolare riguardo agli ambiti di competenza regionale ed infra-regionale. Il potere regolamentare dello Stato ne risulta eroso. Di rilievo in particolare il nuovo comma 6 della disposizione, alla cui stregua non sono ammissibili regolamenti statali di delegificazione nelle materie affidate alla potestà legislativa regionale, potendo lo Stato esercitare il proprio potere regolamentare nelle sole materie affidate alla relativa legislazione esclusiva. <em>A fortiori</em> lo Stato non può intervenire con regolamento nelle materie affidate alla legislazione esclusiva delle Regioni. Per quanto riguarda le materie a legislazione concorrente, lo Stato può solo fissare – ai sensi del nuovo art.117, comma 3 - i relativi “<em>principi</em>”, sia che lo faccia con legge, sia che lo faccia con regolamento: l’autonomia regionale non può invece essere invasa o lambita per quanto concerne la disciplina di dettaglio, che è affidata alle Regioni stesse (o agli enti territoriali di livello inferiore). Importante anche il nuovo comma 5 dell’art.117, alla cui stregua le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza; potere sostitutivo che potrà concretarsi anche nell’emanazione di norme regolamentari cedevoli.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio esce il parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n.2 secondo il quale, nelle materie di competenza regionale, lo Stato può adottare regolamenti laddove ciò occorra ad assicurare il recepimento di Direttive comunitarie non tempestivamente trasposte dalle Regioni: in forza dell’art.117, comma 5, Cost., siccome novellato nel 2001, per l’attuazione delle Direttive comunitarie nelle materie di legislazione esclusiva o concorrente delle Regioni (o delle Provincie autonome) la competenza appartiene appunto alle Regioni (o alle Provincie autonome), ma laddove esse non vi provvedano tempestivamente, sussiste il potere sostitutivo dello Stato attraverso le proprie fonti normative, al fine di rispettare i vincoli comunitari, potendo lo Stato stesso intervenire (in via sostituiva appunto) tanto con legge quanto con regolamento. Peraltro in simili fattispecie, poiché il potere sostitutivo dello Stato opera solo in presenza di una inadempienza regionale (o provinciale), la norma statale sostitutiva deve intendersi spiegare effetti solo a partire dalla scadenza del termine di attuazione della Direttiva alla stregua del correlato (ed inattuato) obbligo comunitario, e nei confronti delle sole Regioni inadempienti, divenendo successivamente inapplicabile qualora la Regione inadempiente eserciti il proprio potere di attuazione della Direttiva, dovendo dunque la norma statale “<em>sostitutiva</em>” contenere la c.d. “<em>clausola di cedevolezza</em>” rispetto alla eventuale norma regionale (attuativa della Direttiva) che dovesse sopravvenire.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile esce il parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n.1 che si occupa di una legge statale che sia stata emanata prima della riforma dell’art.117 Cost., quando essa preveda un potere regolamentare dello Stato in materie in cui – secondo il nuovo assetto costituzionale – non vi è più potestà legislativa esclusiva dello Stato, con conseguente sopravvenuta possibilità di incidere sulla potestà legislativa della Regione. Per il Consiglio di Stato, quando una materia è divenuta, per effetto della nota riforma costituzionale, di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, come nel caso delle “<em>professioni sanitarie</em>”, le norme che in questa materia attribuivano competenza regolamentare al Ministero della sanità (ormai della “<em>salute</em>”) devono assumersi colpite da inefficacia sopravvenuta, proprio per il fatto che la riforma costituzionale addita le materie ridette, “<em>salute</em>” e “<em>professioni</em>”, quale oggetto di competenza concorrente, così precludendo allo Stato la possibilità di dettare l’intera disciplina di dette materie, massime se con atto-fonte regolamentare. Si tratta dell’ipotesi in cui il potere regolamentare, pur previsto dalla normativa primaria anteriore alla riforma costituzionale, non sia stato ancora esercitato dallo Stato; diverso il caso in cui un regolamento sia stato già emanato dallo Stato in materie poi “<em>uscite</em>” dall’area della relativa legislazione esclusiva, fattispecie in relazione alla quale la giurisprudenza si orienta invece nel senso di assumerne la vigenza e continuità operativa, pur non potendo ovviamente lo Stato medesimo emanare nella materia in parola regolamenti di nuovo conio, che gli sono ormai preclusi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.376, che torna ad occuparsi dei rapporti tra normativa regolamentare statale e legislativa regionale; chiamata a valutare la legittimità costituzionale della legge n.340.00 la Corte chiarisce come la delegificazione a mezzo regolamento possa riguardare – oltre che, come è ovvio, disposizioni di leggi statali con oggetto precettivo attribuito a qualsiasi titolo alla competenza dello Stato – anche quelle disposizioni di legge statale assunte in una materia regionale che abbiano il carattere delle norme cedevoli, potendo spiegare efficacia solo in difetto di legislazione regionale. Le norme regolamentari statali di delegificazione peraltro, non rivestendo carattere di norme di principio (e dunque non essendo vincolanti per le Regioni), non sono per la Corte idonee a prevalere sulle disposizioni di legge regionale, anche nel vigore del testo costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V. Si è dunque al cospetto di regolamenti statali di delegificazione di leggi statali cedevoli, e come tali (di leggi) di dettaglio e suppletive, operative solo in difetto di una corrispondente legislazione regionale, che non ne risulta vincolata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre esce il parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n.5, onde lo Stato – <em>post</em> riforma del Titolo V della Costituzione – non può più esercitare il proprio potere normativo regolamentare in (né estendere detto potere a) materie che non appartengano più alla propria legislazione esclusiva, quand’anche lo Stato medesimo fondi il ridetto potere su una normativa primaria anteriore alla ridetta riforma costituzionale (che deve assumersi ormai inefficace). Ciò in quanto la riforma costituzionale deve assumersi avere “<em>estinto</em>” il potere regolamentare dello Stato nelle materie che non sono più di relativa spettanza (in via esclusiva).</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.35 che ribadisce il potere del GA di disapplicare i regolamenti illegittimi laddove in frizione con fonti superiori (c.d. disapplicazione normativa), sia in sede di giurisdizione di legittimità che esclusiva ed a tutela tanto di interessi legittimi che di diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio esce il parere del Consiglio di Stato, sezione atti normativi, n.335 alla cui stregua eventuali intese tra Stato e Regioni non possono comunque incidere sull’assetto delle competenze normative regolamentari siccome ridisegnato dalla riforma costituzionale del 2001, trattandosi di una disciplina non disponibile proprio perché dettata direttamente dal nuovo Titolo V della Costituzione; anche quando, in sede di Conferenza Stato-Regioni, una simile intesa sia raggiunta, essa non può valere di per sé a fondare l’esercizio della potestà regolamentare dello Stato su materie non riservate alla relativa competenza legislativa esclusiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4206 che si colloca nel solco della giurisprudenza maggioritaria onde - dinanzi ad un regolamento - non si configurano dei controinteressati, e ciò compendiando esso un atto normativo dai precetti generali ed astratti, tale dunque da impedire l’identificazione di soggetti che se ne possano avvantaggiare in via immediata e diretta (difetta dunque il requisito sostanziale del “<em>controinteressato</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.303 che conferma come, specie dopo la riforma del Titolo V della Carta e la connessa riformulazione dell’art.117, comma 6, Cost., non sono ammissibili regolamenti statali di delegificazione in materie affidate alla competenza legislativa regionale; si tratta per la Corte di un riparto di potestà normativa rigidamente strutturato, nel cui contesto la fonte secondaria statale (il regolamento di delegificazione) non può in alcun modo vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale, né incidere su disposizioni regionali preesistenti (viene richiamata anche la precedente sentenza della Corte n.22 del medesimo anno); né per la Corte i principi di sussidiarietà e di adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al relativo valore, ovvero quella di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario (e, dunque, le leggi regionali).</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.313 che si occupa del novellato art.121 della Costituzione e del potere regolamentare regionale in esso inscritto. La Corte – andando in contrario avviso rispetto alla dottrina maggioritaria – ribadisce che, se da un lato il potere regolamentare non è più del Consiglio regionale, ciò non significa che esso sia stato automaticamente attribuito in via esclusiva alla Giunta regionale; in sostanza, la legge costituzionale 1.99 ha previsto come non più obbligatorio il fatto che i regolamenti regionali siano approvati dal Consiglio regionale, facendo venire meno la relativa competenza esclusiva in materia, potendo le Regioni – in sede di revisione del pertinente statuto – operare una scelta organizzativa di ordine diverso, attribuendo la competenza alla Giunta, senza che tuttavia ciò sia costituzionalmente imposto. In sostanza, non si può ammettere una alternativa concettualmente rigida onde la competenza regolamentare regionale o appartiene sempre e solo al Consiglio o sempre e solo alla Giunta per cui, non assegnandola più il novellato art.121 della Costituzione al Consiglio, essa sarebbe – implicitamente ma necessariamente - sempre e solo della Giunta. Si tratta infatti per la Corte di due scelte organizzative radicali all’interno delle quali è rinvenibile tutta una variegata gamma di possibili soluzioni rimesse all’autonomia statutaria della singola Regione: così, ciascun statuto regionale potrebbe riconoscere al legislatore regionale la facoltà di disciplinare il potere regolamentare, organizzandolo in funzione delle singole materie da regolare ed in funzione, altresì, dell’ampiezza di scelta che la legge regionale medesima lascia di volta in volta aperta all’apprezzamento discrezionale espresso attraverso il regolamento. Del pari, lo stesso statuto regionale potrebbe prendere in considerazione direttamente le materie oggetto di potere regolamentare e la relativa ampiezza, al fine di regolare la competenza pertinente e di disciplinarne le diverse modalità di esercizio. In sostanza, poiché la Costituzione siccome novellata nel 1999 in realtà tace sulla spettanza del potere regolamentare (mentre in precedenza lo affidava certamente al Consiglio), si è per la Corte al cospetto di un vuoto normativo che è la Regione a dover colmare nell’esercizio della propria autonomia statutaria, senza che debba necessariamente predicarsi la competenza regolamentare esclusiva della Giunta.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 29 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.324 che si occupa del novellato art.121 della Costituzione e del potere regolamentare regionale in esso inscritto. La Corte va in contrario avviso rispetto alla dottrina maggioritaria, affermando che, se da un lato il potere regolamentare non è più del Consiglio regionale, ciò non significa che esso sia stato automaticamente attribuito in via esclusiva alla Giunta regionale; in sostanza, la legge costituzionale 1.99 ha previsto come non più obbligatorio il fatto che i regolamenti regionali siano approvati dal Consiglio regionale, facendo venire meno la relativa competenza esclusiva in materia, potendo le Regioni – in sede di revisione del pertinente statuto – operare una scelta organizzativa di ordine diverso, attribuendo la competenza alla Giunta, senza che tuttavia ciò sia costituzionalmente imposto. In sostanza, non si può ammettere una alternativa concettualmente rigida onde la competenza regolamentare regionale o appartiene sempre e solo al Consiglio o sempre e solo alla Giunta per cui, non assegnandola più il novellato art.121 della Costituzione al Consiglio, essa sarebbe – implicitamente ma necessariamente - sempre e solo della Giunta. Si tratta infatti per la Corte di due scelte organizzative radicali all’interno delle quali è rinvenibile tutta una variegata gamma di possibili soluzioni rimesse all’autonomia statutaria della singola Regione: così, ciascun statuto regionale potrebbe riconoscere al legislatore regionale la facoltà di disciplinare il potere regolamentare, organizzandolo in funzione delle singole materie da regolare ed in funzione, altresì, dell’ampiezza di scelta che la legge regionale medesima lascia di volta in volta aperta all’apprezzamento discrezionale espresso attraverso il regolamento. Del pari, lo stesso statuto regionale potrebbe prendere in considerazione direttamente le materie oggetto di potere regolamentare e la relativa ampiezza, al fine di regolare la competenza pertinente e di disciplinarne le diverse modalità di esercizio. In sostanza, poiché la Costituzione siccome novellata nel 1999 in realtà tace sulla spettanza del potere regolamentare (mentre in precedenza lo affidava certamente al Consiglio), si è per la Corte al cospetto di un vuoto normativo che è la Regione a dover colmare nell’esercizio della propria autonomia statutaria, senza che debba necessariamente predicarsi la competenza regolamentare esclusiva della Giunta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 gennaio esce la sentenza della Corte costituzionale n.2 che si occupa del novellato art.121 della Costituzione e del potere regolamentare regionale in esso inscritto. La Corte va in contrario avviso rispetto alla dottrina maggioritaria, affermando che, se da un lato il potere regolamentare non è più del Consiglio regionale, ciò non significa che esso sia stato automaticamente attribuito in via esclusiva alla Giunta regionale; in sostanza, la legge costituzionale 1.99 ha previsto come non più obbligatorio il fatto che i regolamenti regionali siano approvati dal Consiglio regionale, facendo venire meno la relativa competenza esclusiva in materia, potendo le Regioni – in sede di revisione del pertinente statuto – operare una scelta organizzativa di ordine diverso, attribuendo la competenza alla Giunta, senza che tuttavia ciò sia costituzionalmente imposto.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 4 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.367 che ribadisce il potere del GA di disapplicare i regolamenti illegittimi laddove in frizione con fonti superiori (c.d. disapplicazione normativa), sia in sede di giurisdizione di legittimità che esclusiva ed a tutela tanto di interessi legittimi che di diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 luglio esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia, che si occupa della fattispecie in cui, avendo previsto il legislatore l’emanazione di un regolamento, ad esso non vi provveda l’Autorità competente: per il Tar si può in questo caso attivare la tutela avverso il c.d. “<em>silenzio della PA</em>” ai sensi degli articoli 31 e 117 c.p.a.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 ottobre esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.11000 che ribadisce il potere del GA di disapplicare i regolamenti illegittimi laddove in frizione con fonti superiori (c.d. disapplicazione normativa), sia in sede di giurisdizione di legittimità che esclusiva ed a tutela tanto di interessi legittimi che di diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.123 che conferma come il GA abbia il potere (accogliendo il ricorso) di disapplicare i regolamenti illegittimi anche nelle fattispecie c.d. di rapporto di simpatia, allorché cioè l’atto applicativo tempestivamente impugnato sia conforme al regolamento che presuppone, ed entrambi siano tuttavia in frizione con la normativa primaria.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.155 che conferma come il GA abbia il potere (accogliendo il ricorso) di disapplicare i regolamenti illegittimi anche nelle fattispecie c.d. di rapporto di simpatia, allorché cioè l’atto applicativo tempestivamente impugnato sia conforme al regolamento che presuppone, ed entrambi siano tuttavia in frizione con la normativa primaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio viene varata la legge n.11, c.d. legge Buttiglione, la quale – dando seguito sul crinale normativo alla giurisprudenza dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato del 2002 – consente esplicitamente al Governo (art.11, comma 8) di adottare regolamenti anche nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Provincie autonome, laddove ciò serva per porre rimedio all’inerzia eventuale dei ridetti enti nel dare attuazione a norme comunitarie; in simili ipotesi, i regolamenti statali si applicano a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della pertinente normativa comunitaria, perdendo comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna Regione e provincia autonoma; tali regolamenti “<em>sostitutivi</em>” recano inoltre l’esplicita indicazione, per l’appunto, della relativa natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 aprile esce il parere del Consiglio di Stato, sezione atti normativi, n.11996 che si occupa della potestà regolamentare dello Stato nelle materie di potestà legislativa concorrente ai sensi dell’art.117, comma 3, Cost., siccome riformato nel 2001; in tali materie lo Stato può solo dettare norme costituenti principi fondamentali, non potendo invece dettare disposizioni di dettaglio, neppure di natura cedevole; le disposizioni statali di dettaglio previgenti restano in vigore, ma divengono cedevoli, fino a che non vengano emanate norme da parte del soggetto ormai competente a legiferare, vale a dire la Regione: si tratta dunque di disposizioni (statali) di dettaglio cedevoli, e lo Stato non può innovarle, potendo solo svolgere una attività di natura ricognitiva delle medesime.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 883 che, inserendosi nel solco di una costante giurisprudenza, afferma come la sentenza costitutiva che annulla un regolamento, investendo un atto generale ed astratto, ne implica l’eliminazione dall’ordinamento con effetti <em>erga omnes</em> ed <em>ex tunc</em>; ciò implica una deroga all’art.2909 c.c. alla cui stregua la sentenza fa stato (solo) tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, e non dunque anche per i terzi, come invece avviene proprio quando viene annullato un regolamento, con effetti anche nei confronti di coloro che non ne hanno chiesto la demolizione e che non hanno partecipato al pertinente processo caducatorio.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 3457 che, inserendosi nel solco di una costante giurisprudenza, afferma come la sentenza costitutiva che annulla un regolamento, investendo un atto generale ed astratto, ne implica l’eliminazione dall’ordinamento con effetti <em>erga omnes</em> ed <em>ex tunc</em>; ciò implica una deroga all’art.2909 c.c. alla cui stregua la sentenza fa stato (solo) tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, e non dunque anche per i terzi, come invece avviene proprio quando viene annullato un regolamento, con effetti anche nei confronti di coloro che non ne hanno chiesto la demolizione e che non hanno partecipato al pertinente processo caducatorio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.354 che si occupa dell’ipotesi in cui una legge sia sottoposta al sindacato di costituzionalità della Corte stessa per come tale legge è stata specificata da un regolamento. Per la Corte, il fatto che non le siano sottoponibili questioni di legittimità costituzionale investenti in via immediata e diretta un regolamento non esclude tuttavia la possibilità di censurare, piuttosto, una legge ordinaria le cui disposizioni attribuiscano il potere regolamentare in frizione con quanto previsto dalla Costituzione; la normativa primaria può essere sottoposta a vaglio di legittimità della Corte anche quando compendia – assieme ai regolamenti che la specificano – una normativa che sia scaturigine della legge stessa e dei regolamenti da essa espressamente richiamati (che dunque giungono in tal modo, seppure indirettamente e per il tramite della fonte primaria, dinanzi alla Corte costituzionale).</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6520 che si occupa della fattispecie in cui sia stato impugnato un atto presupposto (come è appunto il caso di un regolamento), ma non del pari tempestivamente i relativi atti applicativi presupponenti che siano intervenuti <em>medio tempore</em>. Per il Consiglio di Stato quello che conta al fine di verificare se l’annullamento dell’atto presupposto spiega effetti caducanti (e non già meramente vizianti) sui ridetti atti applicativi presupponesti è l’intensità del rapporto di consequenzialità tra il primo ed i secondi: laddove si tratti di un rapporto immediato, diretto e necessario onde l’atto applicativo si pone, nell’ambito della pertinente (e medesima) sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza di quello presupposto anteriore (che in qualche modo contiene già la “<em>scelta di campo</em>”), senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi anche in relazione ad eventuali soggetti terzi, l’effetto è da intendersi caducante, e non già meramente viziante; al contrario quando, emanato l’atto presupposto, l’atto successivo – pur appartenendo alla medesima sequenza procedimentale – non ne costituisce una conseguenza inevitabile dal momento che la relativa adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, massime se coinvolgenti soggetti terzi, anche laddove sia stato impugnato tempestivamente l’atto presupposto (come ad esempio un regolamento) ciò non esclude la necessità di impugnare anche l’atto (successivo) applicativo presupponente, dovendosi assumere in caso contrario improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo ricorso avverso l’atto presupponente ridetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1169 alla cui stregua l’orientamento pretorio favorevole alla disapplicazione da parte del GA dei regolamenti illegittimi, quand’anche non ritualmente (e tempestivamente) impugnati deriva dalla natura sostanzialmente normativa del regolamento medesimo oltre che dalla necessità – laddove norme di rango diverso entrino tra loro in frizione – di garantire il pieno rispetto della gerarchia delle fonti lasciando prevalere quella di rango superiore (legge o altro atto normativo primario) rispetto a quella di rango inferiore (normativa secondaria) che va invece resa inoperativa. Secondo il Consiglio di Stato tale orientamento più recente ha superato quello tradizionale che sopravvalutava il carattere formale (più che sostanziale) del regolamento assumendolo quale atto amministrativo: ne va invece privilegiata la natura oggettiva e sostanziale di fonte del diritto, la conseguente funzione normativa ed il ruolo svolto nel complessivo quadro (normativo appunto) che fa da cornice alla singola controversia di volta in volta sottoposta al GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4351 che si occupa della fattispecie in cui, avendo previsto il legislatore l’emanazione di un regolamento, ad esso non vi provveda l’Autorità competente: per il Consiglio non si può in questo caso attuare la tutela avverso il c.d. “<em>silenzio della PA</em>” ai sensi degli articoli 31 e 117 c.p.a., poiché l’azione avverso il silenzio non è esperibile laddove difetti un destinatario dell’azione amministrativa specifico e individuato, quand’anche questa debba poi spiegarsi con atti rivolti a determinate categorie di soggetti; è proprio ciò che accade nel caso degli atti normativi, quali sono i regolamenti, che presentano disposizioni generali ed astratte e si rivolgono alla collettività ovvero, comunque, a categorie generiche ed astratte di soggetti destinatari (quand’anche categorialmente determinati).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 24 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Sicilia, Catania, n.1583 che ribadisce come, avendo previsto il legislatore l’emanazione di un regolamento, e laddove non vi provveda l’Autorità competente, non si possa in questo caso attuare la tutela avverso il c.d. “<em>silenzio della PA</em>” ai sensi degli articoli 31 e 117 c.p.a., poiché l’azione avverso il silenzio non è esperibile laddove difetti un destinatario dell’azione amministrativa specifico e individuato, quand’anche questa debba poi spiegarsi con atti rivolti a determinate categorie di soggetti; è proprio ciò che accade nel caso degli atti normativi, quali sono i regolamenti, che presentano disposizioni generali ed astratte e si rivolgono alla collettività ovvero, comunque, a categorie generiche ed astratte di soggetti destinatari (quand’anche categorialmente determinati).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.8243 che si occupa della fattispecie in cui sia stato impugnato un atto presupposto (come è appunto il caso di un regolamento), ma non del pari tempestivamente i relativi atti applicativi presupponenti che siano intervenuti <em>medio tempore</em>. Per il Consiglio di Stato quello che conta al fine di verificare se l’annullamento dell’atto presupposto spiega effetti caducanti (e non già meramente vizianti) sui ridetti atti applicativi presupponesti è l’intensità del rapporto di consequenzialità tra il primo ed i secondi: laddove si tratti di un rapporto immediato, diretto e necessario onde l’atto applicativo si pone, nell’ambito della pertinente (e medesima) sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza di quello presupposto anteriore (che in qualche modo contiene già la “<em>scelta di campo</em>”), senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi anche in relazione ad eventuali soggetti terzi, l’effetto è da intendersi caducante, e non già meramente viziante; al contrario quando, emanato l’atto presupposto, l’atto successivo – pur appartenendo alla medesima sequenza procedimentale – non ne costituisce una conseguenza inevitabile dal momento che la relativa adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, massime se coinvolgenti soggetti terzi, anche laddove sia stato impugnato tempestivamente l’atto presupposto (come ad esempio un regolamento) ciò non esclude la necessità di impugnare anche l’atto (successivo) applicativo presupponente, dovendosi assumere in caso contrario improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo ricorso avverso l’atto presupponente ridetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1114 che si occupa della fattispecie in cui sia stato impugnato un atto presupposto (come è appunto il caso di un regolamento), ma non del pari tempestivamente i relativi atti applicativi presupponenti che siano intervenuti <em>medio tempore</em>. Per il Consiglio di Stato quello che conta al fine di verificare se l’annullamento dell’atto presupposto spiega effetti caducanti (e non già meramente vizianti) sui ridetti atti applicativi presupponesti è l’intensità del rapporto di consequenzialità tra il primo ed i secondi: laddove si tratti di un rapporto immediato, diretto e necessario onde l’atto applicativo si pone, nell’ambito della pertinente (e medesima) sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza di quello presupposto anteriore (che in qualche modo contiene già la “<em>scelta di campo</em>”), senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi anche in relazione ad eventuali soggetti terzi, l’effetto è da intendersi caducante, e non già meramente viziante; al contrario quando, emanato l’atto presupposto, l’atto successivo – pur appartenendo alla medesima sequenza procedimentale – non ne costituisce una conseguenza inevitabile dal momento che la relativa adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, massime se coinvolgenti soggetti terzi, anche laddove sia stato impugnato tempestivamente l’atto presupposto (come ad esempio un regolamento) ciò non esclude la necessità di impugnare anche l’atto (successivo) applicativo presupponente, dovendosi assumere in caso contrario improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo ricorso avverso l’atto presupponente ridetto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1408 che conferma la possibilità per il GA di disapplicare i regolamenti illegittimi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.2761 che esclude che un regolamento possa essere sottoposto a sindacato di costituzionalità da parte della Corte costituzionale, essendo tale scandaglio ammesso solo per le leggi e per gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art.134 Cost.)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.812 che si occupa – inserendosi in un orientamento pretorio tradizionale - della impugnabilità dei regolamenti; secondo la Sezione, anche se il regolamento è atto soggettivamente amministrativo, la relativa natura normativa (sul crinale oggettivo) ed il conseguente carattere generale ed astratto delle disposizioni che lo compendiano ne fanno un atto immediatamente impugnabile solo laddove esso si palesi immediatamente ed effettivamente lesivo, in caso contrario dovendosi tempestivamente gravare il relativo, specifico provvedimento attuativo, quando ne lascia affiorare la concreta lesività.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 maggio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.9 alla cui stregua un regolamento illegittimo (nel caso di specie, sotto il profilo procedurale) può essere disapplicato.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 9 maggio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2677 che esclude che un regolamento possa essere sottoposto a sindacato di costituzionalità da parte della Corte costituzionale, essendo tale scandaglio ammesso solo per le leggi e per gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art.134 Cost.)</p> <p style="text-align: justify;">*Il 4 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.7516 onde - dinanzi ad un regolamento - non si configurano dei controinteressati, e ciò compendiando esso un atto normativo dai precetti generali ed astratti, tale dunque da impedire l’identificazione di soggetti che se ne possano avvantaggiare in via immediata e diretta (difetta dunque il requisito sostanziale del “<em>controinteressato</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 dicembre viene varata la legge n.234, che – nell’abrogare la c.d. legge Buttiglione del 2005 – ne ripropone la disciplina all’art.41. Si consente dunque esplicitamente al Governo di adottare regolamenti anche nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Provincie autonome, laddove ciò serva per porre rimedio all’inerzia eventuale dei ridetti enti nel dare attuazione a norme comunitarie; in simili ipotesi, i regolamenti statali si applicano a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della pertinente normativa comunitaria, perdendo comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna Regione e provincia autonoma; tali regolamenti “<em>sostitutivi</em>” recano inoltre l’esplicita indicazione, per l’appunto, della relativa natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. E’ prevista la previa informativa agli enti interessati (Regioni; Provincie autonome), competenti per l’attuazione della normativa europea, da parte del Presidente del Consiglio ovvero del Ministro competente, che assegna ai predetti enti un termine per provvedere chiedendo, ove necessario, che la questione sia sottoposta all’esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome, al fine di concordare le iniziative da assumere. Solo in caso di mancato, tempestivo adeguamento da parte dei suddetti enti (competenti), il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per gli Affari europei propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, comma 5 e 120, comma 2, della Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 febbraio esce il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n.677 che ribadisce quanto già affermato in sede giurisdizionale dalla IV Sezione nel 2012 onde,– inserendosi in un orientamento pretorio tradizionale in tema di impugnabilità dei regolamenti - anche se il regolamento è atto soggettivamente amministrativo, la relativa natura normativa (sul crinale oggettivo) ed il conseguente carattere generale ed astratto delle disposizioni che lo compendiano ne fanno un atto immediatamente impugnabile solo laddove esso si palesi immediatamente ed effettivamente lesivo, in caso contrario dovendosi tempestivamente gravare il relativo, specifico provvedimento attuativo, quando ne lascia affiorare la concreta lesività.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 giugno esce il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n.677 che ribadisce quanto già affermato in sede giurisdizionale dalla IV Sezione nel 3014 onde,– inserendosi in un orientamento pretorio tradizionale in tema di impugnabilità dei regolamenti - anche se il regolamento è atto soggettivamente amministrativo, la relativa natura normativa (sul crinale oggettivo) ed il conseguente carattere generale ed astratto delle relative disposizioni lo rende immediatamente impugnabile solo laddove esso si palesi immediatamente ed effettivamente lesivo, in caso contrario dovendosi tempestivamente gravare il relativo, specifico provvedimento attuativo, quando ne lascia affiorare la concreta lesività.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4778 che ribadisce il potere del GA di disapplicare i regolamenti illegittimi laddove in frizione con fonti superiori (c.d. disapplicazione normativa), sia in sede di giurisdizione di legittimità che esclusiva ed a tutela tanto di interessi legittimi che di diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1361 onde, riprendendo gli insegnamenti della Corte costituzionale, la normativa primaria può essere sottoposta a vaglio di legittimità della Corte medesima quando compendia – assieme ai regolamenti che la specificano – una normativa che sia scaturigine della legge stessa e dei regolamenti da essa espressamente richiamati (che dunque giungono in tal modo, seppure indirettamente e per il tramite della fonte primaria, dinanzi alla Corte costituzionale).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 luglio esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n.1611 che conferma la possibilità per il GA di disapplicare i regolamenti illegittimi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.36 che dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Veneto, nei confronti dello Stato, in relazione all’art. 5, comma 1, del d.P.R. 12 settembre 2016, n. 194 (regolamento recante norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, a norma dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124), laddove ha definito le modalità di esercizio del potere sostitutivo nei casi di inerzia regionale e locale, «<em>in assenza di adeguati meccanismi di raccordo con la Regione interessata</em>», nell’ambito di un regolamento di delegificazione volto alla semplificazione e all’accelerazione di determinati procedimenti amministrativi. Con riferimento a taluni procedimenti amministrativi, la lettera d) dell'art. 4 della legge n. 124 del 2015 ha attribuito al Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei Ministri (cui, secondo il regolamento censurato, sono chiamati a partecipare i Presidenti delle Regioni interessate), un potere sostituivo, lasciando al regolamento il compito di prevedere, per i procedimenti in cui siano coinvolte amministrazioni delle Regioni e degli enti locali, idonee forme di raccordo per l'esercizio dei menzionati poteri sostitutivi (art. 4, lettera e); da ciò la Corte desume che le censure della Regione avrebbero dovuto appuntarsi, “<em>a monte</em>”, nei confronti della norma legislativa – laddove essa ha affidato il potere sostituivo allo Stato, e per esso, al Presidente del Consiglio - posto che l'impugnato regolamento “<em>a valle</em>” è, sul punto, meramente riproduttivo della legge di delegificazione. La Corte cita in proposito la propria costante giurisprudenza che ha ritenuto inammissibili ricorsi per conflitto intersoggettivo avverso atti meramente consequenziali (esecutivi, confermativi o meramente riproduttivi) di altri atti precedentemente non impugnati (<em>ex plurimis</em>, vengono menzionate le sentenze n. 260, n. 103 e n. 104 del 2016 e n. 144 del 2013); una presa di posizione che per la Corte va <em>a fortiori</em> ribadita al cospetto di atti regolamentari riproduttivi di precedenti norme legislative: in tali casi viene, infatti, a determinarsi la decadenza dall'esercizio dell'azione (per conflitto di attribuzione), dal momento che non può essere consentita, attraverso l'impugnazione dell'atto meramente consequenziale della norma non impugnata, la contestazione di quest'ultima, in ordine alla quale è già inutilmente spirato il termine fissato dalla legge (vengono richiamate le recenti sentenze n. 77 del 2016 e n. 144 del 2013). Ciò significa che se le competenze normative della Regione sono invase da un regolamento che riproduce una previa legge di delegificazione, la mancata tempestiva impugnazione della seconda (legge di delegificazione) da parte della Regione incisa rende inattaccabile il primo (regolamento) che si limita a riprodurla.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.809 alla cui stregua - ai sensi del combinato disposto degli articoli 78 e 79 del d.P.R. n. 380/2001 (in aggiunta, nella specie, all’art. 19 della legge regionale Lombardia n. 6/89), le opere dirette all’abbattimento delle barriere architettoniche possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile con la conseguenza onde non risulta ad esse applicabile l’art. 9 del d.m. n. 1444/1968.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, n. 2690, che chiarisce quando il contraddittorio, nel processo amministrativo, debba essere integrato nei confronti del c.d. controinteressato. Il giudice amministrativo chiarisce che nel giudizio amministrativo, la figura del controinteressato in senso formale ricorre soltanto nel caso in cui l’atto – sul quale è richiesto il controllo giurisdizionale di legittimità – si riferisce direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già acquistato una posizione giuridica di vantaggio. Per definizione, tale figura non è ravvisabile nei riguardi di un atto generale, atteso che esso non riguarda specifici destinatari, che<em> a priori</em> non sono individuabili</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza n. 6323 della sezione III del Tar Lazio che ribadisce la distinzione, a livello dogmatico, tra la categoria dell’atto normativo e quello amministrativo generale. E’ atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti (nel caso concreto, viene considerata ascrivibile alla seconda categoria, pertanto impugnabile ed illegittima, la deliberazione del Senato Accademico dell’Università di Torino dell’11 maggio 2017 concernente il numero di studenti iscrivibili al primo anno del corso di laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche ed i conseguenti atti, con i quali l’Università stessa ha disposto che l’accesso al predetto Corso di laurea, per l’anno accademico 2017-2018, fosse a numero programmato; invero, pur a fronte dell’autonomia universitaria, non è possibile prefigurare un potere degli Atenei di istituire corsi di laurea a numero programmato al di fuori delle ipotesi poste dall’art. 2 della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1671">legge n. 264 del 1999</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce l’ordinanza della sezione III civile della Corte di Cassazione, n. 15406, la quale si pronuncia su un ricorso per cassazione proposto da un privato con il quale si tendeva a censurare la sentenza di merito per non aver riconosciuto, in violazione delle norme vigenti – in specie dell’art. 2043 c.c.- la denunciata responsabilità della P.A. per aver rilasciato un permesso a costruire illegittimo, conforme alle norme di legge vigenti ma in spregio della successiva evoluzione giurisprudenziale, in materia edilizia. La Corte dichiara inammissibili entrambi i motivi di ricorso proposti e, incidentalmente, rilevante è il passo della parte motiva della sentenza ove la Corte sostiene che “va rilevato che, gli appellanti sostengono che la diligenza dell'uno e dell'altro convenuto (e correlativamente la valutazione circa l'imputabilità a colpa del comportamento tenuto nella fattispecie) avrebbe dovuto essere valutata tenendo presente le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza prevalente al momento in cui fu rilasciato il permesso di costruire. Tesi censoria evidentemente inconferente rispetto alle considerazioni poste a fondamento della decisione impugnata secondo cui: a) il funzionario tecnico non era proprio tenuto a valutare ex se la legittimità o meno della norma del regolamento comunale che consentiva le sopraelevazioni di fabbricati esistenti a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 9, D.M. cit., essendo al contrario proprio e solo tenuta a dare attuazione alla previsione regolamentare; b) il comportamento del Comune può essere sindacato soltanto con riferimento all'emanazione della detta norma regolamentare e quindi avuto riguardo alla interpretazione della norma quale ricavabile dai formanti giuridici presenti in quel momento, non già alla successiva evoluzione giurisprudenziale invocata a parametro dagli appellanti” (in tal senso, viene ritenuta legittima la decisione di merito di secondo grado, che statuiva nel senso che, con riferimento poi alla posizione dell'ente comunale, gli appellanti si sono limitati a ribadire il consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia di sopraelevazione quale vigente al momento in cui fu emesso il permesso a costruire, tanto da imputare all'ente il fatto di non aver adeguato tempestivamente la normativa urbanistica al sopravvenuto consolidamento della giurisprudenza in materia di nuova costruzione. Ha però al riguardo rilevato che tale assunto non è accettabile dato che, posta la legittimità del regolamento vigente, la consapevolezza della intervenuta modifica della giurisprudenza prevalente al momento del rilascio del permesso a costruire non poteva che far carico alla diligenza dei richiedenti e dei loro professionisti, di modo che "gli appellanti non possono ascrivere al Comune il loro affidamento sulla legittimità dell'intervento, ma alla loro negligente valutazione della evoluzione giurisprudenziale in materia", escludendo per contro che questa imponesse "necessariamente un adeguamento dell'ente in assenza di una modifica legislativa... trattandosi in ogni modo di interpretazioni variabili e non del tutto omogenee").</p> <p style="text-align: justify;">***</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la rilevante pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 9, alla quale la sezione sesta C.d.S. aveva rimesso, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., la decisione della questione di diritto così sintetizzabile, ovvero se il giudice amministrativo possa ex officio, anche quando non sia stato oggetto di specifica censura delle parti, disapplicare il regolamento amministrativo, in esecuzione del quale è stato adottato poi l’atto amministrativo ritenuto lesivo, che si rilevi in contrasto con le norme dell’Unione Europea. Nel caso concreto, il ricorrente aveva impugnato, innanzi al Tar, i provvedimenti con cui il MIBACT aveva conferito ai controinteressati gli incarichi di direttore del Palazzo Ducale di Mantova e di direttore della Galleria Estense di Modena. Il Tar annullava i provvedimenti censurati (in particolare, il primo Giudice – dopo aver dichiarato sussistente la giurisdizione del Giudice amministrativo – ha dichiarato l’illegittimità degli atti impugnati per le ragioni qui sinteticamente richiamate: a) non sarebbe stata congruamente motivata l’assegnazione dei punteggi; b) i colloqui finali si sarebbero svolti ‘a porte chiuse’, in violazione del principio per il quale le prove orali di un concorso devono essere pubbliche; c) quanto alla nomina relativa al «Palazzo Ducale di Mantova», non si sarebbe potuto inserire nella terna il signor Peter Assmann perché non in possesso della cittadinanza italiana). Proponeva appello il Ministero soccombente in primo grado. Con la sentenza in parte definitiva e in parte parziale, con contestuale ordinanza di trasmissione all’Adunanza plenaria n. 677 del 2 febbraio 2018, la Sesta Sezione remittente ha rimesso alla Plenaria la risoluzione di tre fondamentali questioni di diritto, ovvero: 1. previo esame della portata del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (specie in sede d’appello), venga valutato “se si possa accogliere in questa sede un motivo della Amministrazione statale, di per sé infondato (perché ha dato una lettura di una disposizione regolamentare, opposta a quella corretta), quando con esso non sia stata prospettata alcuna censura contro un regolamento, mentre poi nel corso del giudizio di secondo grado l’Amministrazione chieda la riforma della sentenza impugnata sulla base di una ratio decidendi diversa e di una impostazione opposta (secondo cui sarebbe illegittima e disapplicabile la norma regolamentare, all’ opposto inizialmente invocata con l’atto d’appello)”: 2. la Sezione ha chiesto alla Adunanza Plenaria di chiarire se sussistano o meno i presupposti per disapplicare in parte qua il d.P.C.M. 7 febbraio 1994, n. 174 (per la parte in cui riserva ai soli cittadini italiani i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo) e il d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 (il quale ha espressamente ribadito e richiamato le limitazioni di cui al d.P.C.M. 174, cit.), previa valutazione di coerenza della richiamata normativa secondaria nazionale con gli artt. 51 e 54 della Costituzione e con la normativa eurounitaria; 3. la Sezione ha chiesto all’Adunanza Plenaria di chiarire se, in presenza di una norma di apparente interpretazione autentica, quale l’articolo 22, comma 7-bis del decreto-legge 24 aprile 2017 – per come introdotto dalla relativa legge di conversione - la quale, con effetti retroattivi, verrebbe ad incidere su giudizio in corso, ponendosi la stessa in potenziale contrasto con l’art. 117 Cost., con gli articoli 6 e 13 della CEDU e con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte EDU, sia possibile definire il giudizio non applicando la norma medesima, ovvero se sia necessario sollevare sul punto una questione di legittimità costituzionale. Rilevante appare la risoluzione data, in specie, alla prima delle prospettate questioni, ritenuta preliminare rispetto alle altre, nel punto 4.3 della motivazione in diritto, ove si legge che: Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto rilevato sub 4.1 e 4.2, il Collegio osserva che, almeno per il caso - che qui rileva – di regolamenti in contrasto con il diritto eurounitario, non risulta predicabile alcuna preclusione per il Giudice amministrativo nel rilevare la non applicabilità della disposizione in contrasto con il diritto UE. E’ noto al riguardo che la giurisprudenza costituzionale ha ammesso la disapplicazione ex officio della norma interna (anche di fonte regolamentare) in contrasto con il diritto UE, conformemente – del resto – a consolidati orientamenti della Corte di giustizia dell’UE. Ne consegue che il problema dei limiti alla disapplicazione officiosa del regolamento illegittimo risulti al più confinato alle ipotesi – che qui non ricorrono - in cui il profilo di illegittimità derivi da profili diversi dal contrasto con il diritto UE. In particolare, con la sentenza 10 novembre 1994, n. 384 la Corte costituzionale ha chiarito che “[le] norme contrarie al diritto comunitario (…) dovrebbero comunque essere disapplicate dai Giudici e dalla P.A.”. Con la successiva sentenza 7 novembre 1995, n. 482 la Corte costituzionale ha inoltre stabilito che le norme comunitarie muovono su un piano diverso da quello proprio delle norme nazionali (anche di rango regolamentare). Conseguentemente, “il rapporto tra le due fonti è di competenza e non di gerarchia o di successione nel tempo, con l'effetto che la norma nazionale diviene non applicabile se e nei limiti in cui contrasti con le disposizioni comunitarie precedenti o sopravvenute (sentenze nn. 389 del 1989 e 170 del 1984)”. In definitiva, la piena applicazione del principio di primauté del diritto eurounitario comporta che, laddove una norma interna (anche di rango regolamentare) risulti in contrasto con tale diritto, e laddove non risulti possibile un’interpretazione di carattere conformativo, resti comunque preclusa al Giudice nazionale la possibilità di fare applicazione di tale norma interna. I princìpi appena richiamati risultano tanto più pregnanti nelle ipotesi in cui – come nel caso in esame - non solo il Giudice nazionale debba astenersi dal dare applicazione nell’ordinamento interno a una disposizione in contrasto con il diritto UE, ma per di più possa (e anzi, debba) riconoscere diretta applicazione a una disposizione chiara e di fatto autoapplicativa quale il paragrafo 3 dell’articolo 45 del TFUE (il quale, come si avrà modo di rilevare, limita la possibilità di derogare al generale principio della libertà di circolazione dei lavoratori ad ipotesi nel complesso residuali).</p> <p style="text-align: justify;">***</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno 2018 esce la sentenza n. 1460 della sez. III del Tar Sicilia – Palermo, che si pronuncia in tema di obbligo della pubblica amministrazione di concludere il procedimento, attraverso l’adozione di un provvedimento espresso, di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990. Nel caso concreto, il giudice amministrativo ritiene illegittimo il silenzio serbato dalla Regione (nella specie si trattava della Regione Sicilia), in ordine ad un istanza avanzata da due dipendenti aventi qualifica di funzionario direttivo-avvocato, in servizio presso l’Ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione, tendente ad ottenere l’adozione del regolamento previsto dall’art. 9 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2694">D.L. n. 90/2014</a>, sulla disciplina dei compensi da corrispondere agli avvocati pubblici a seguito di sentenze favorevoli per la P.A.; infatti, con il suddetto regolamento sono stabilite le modalità e la misura attraverso le quali sarà possibile procedere alla corresponsione dei compensi professionali nelle ipotesi indicate dalla norma primaria; e la norma primaria “…<em>disciplina il rapporto tra regolamenti degli enti e contrattazione collettiva e la devoluzione agli stessi dei criteri di riparto fra il personale delle avvocature dei compensi professionali, nonché dei criteri di riparto degli affari consultivi o contenziosi</em>…”. Ne consegue che la mancata adozione del regolamento costituisce un chiaro inadempimento del precetto legislativo contenuto nell’art. 9, co. 8, sopra citato; e che, in applicazione dell’art. 2 della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241/1990</a>, grava in capo all’Amministrazione l’obbligo di avviare e concludere il relativo procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio 2018 esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Civili, n. 17535, la quale si pronuncia in tema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro contrattualizzati (sottostanti all’applicazione dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001). Nel caso specifico, la Corte chiarisce che rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. una controversia con la quale un agente del Corpo forestale ha chiesto nei confronti della Regione da cui è dipendente – previa disapplicazione del decreto con il quale era stato disposto il proprio inquadramento nel Corpo Forestale – di essere inquadrato, nell’ambito del personale regionale, sulla base del criterio funzionale, come guardia scelta forestale, in relazione al titolo di studio posseduto e all’anzianità di servizio, essendo le relative mansioni equivalenti a quelle proprie dell’agente scelto, da ultimo svolte nel Corpo Forestale dello Stato. Infatti, in linea generale l’art. 63, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001, devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, “<em>tutte</em>” le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni indicate nell’articolo 1, comma 2, dello stesso d.lgs. per ogni fase dei rapporti stessi, “<em>incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali</em>“, senza che abbia alcuna incidenza sulla giurisdizione del giudice ordinario la circostanza che nel giudizio vengano in questione “<em>atti amministrativi presupposti</em>“, che se riconosciuti illegittimi possono essere disapplicati. Differentemente, sempre secondo la Suprema Corte, sono escluse dalla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario e alla previsione della citata norma, spettando quindi alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, soltanto le controversie nelle quali si contestano frontalmente gli atti recanti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, adottati dalle Amministrazioni ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001, i cui “<em>diretti</em>” effetti pregiudizievoli siano messi in discussione a tutela di una posizione soggettiva di interesse legittimo suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all’esito della rimozione del provvedimento di macro-organizzazione (che è pur sempre atto presupposto, rispetto agli atti di gestione dei rapporti di lavoro, ma rispetto al quale, in questi casi, non può operare il potere di disapplicazione del giudice ordinario, visto che esso presuppone che il giudizio investa direttamente atti di gestione del rapporto, anche dirigenziale, in relazione ai quali i suddetti provvedimenti di autoregolamentazione costituiscono solamente atti presupposti di sfondo, che, in quanto tali, ai sensi dell’ art. 63, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001, possono essere disapplicati dal giudice ordinario, se illegittimi, “<em>quando siano rilevanti ai fini della decisione</em>“).</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio esce la sentenza n. 146 del 2018 della Corte Costituzionale, la quale si pronuncia nell’ambito di un conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Puglia contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri ( la Regione Puglia aveva sollevato conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo alla Corte Costituzionale di dichiarare «che non spetta allo Stato – e per esso al Ministero dello sviluppo economico – l’adozione del decreto 22 dicembre 2015, di conferimento del permesso di ricerca alla Società Petroceltic Italia S.r.l.», e di annullare lo stesso decreto, in quanto «lesivo delle attribuzioni costituzionali della Regione Puglia riconosciute dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003»). La Corte dichiara che inammissibili i ricorsi per conflitto intersoggettivo avverso atti meramente consequenziali (esecutivi, confermativi o meramente riproduttivi) di altri atti precedentemente non impugnati. Ciò vale, a maggior ragione, nei confronti di atti riproduttivi di precedenti norme legislative: in tali casi viene, infatti, a determinarsi la decadenza dall’esercizio dell’azione, dal momento che non può essere consentita, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente consequenziale della norma non impugnata, la contestazione di quest’ultima, in ordine alla quale è già inutilmente spirato il termine fissato dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 settembre 2018 esce la sentenza n. 5156 del Consiglio di Stato, la quale si pronuncia dichiarando l’illegittimità del regolamento comunale, concernente il servizio di ristorazione scolastica, nella parte in cui prevede il divieto di consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica, non avendo il Comune alcuna competenza ad imporre prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 settembre esce la sentenza n. 5567 della sezione V del Consiglio di Stato, la quale si pronuncia circa dies a quo per il decorso del termine di impugnazione degli atti amministrativi generali, chiarendo che essi devono essere impugnati entro 60 giorni dalla pubblicazione nell’albo pretorio. Nel caso concreto, il Supremo Consesso dichiara quindi irricevibile, per tardività, un ricorso giurisdizionale proposto avverso una deliberazione adottata dal Comune, di classificazione delle strade comunali e di compilazione dei relativi elenchi, poiché il ricorso era stato notificato dopo il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della deliberazione nell’albo pretorio e/o nelle forme di legge; la suddetta deliberazione, infatti, deve ritenersi rientrante nel novero degli atti amministrativi generali che non sono assoggettati a notifica individuale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 dicembre esce l’ordinanza della sezione VI del Consiglio di Stato, n. 6885, con la quale viene rimessa all’Adunanza Plenaria – in materia di graduatorie ad esaurimento nella scuola - la risoluzione delle seguenti questioni di diritto: a) quale deve essere la definizione normativa dei decreti ministeriali che dispongono gli aggiornamenti delle graduatorie ad esaurimento e se la sopravvenienza ora per allora di un titolo legittimante l’iscrizione imponga al MIUR la piena delibazione di legittimità sulla relativa domanda, al di là sia della forma materiale (informatica, o no di essa), sia dell’eventuale adizione del giudice ordinario, in funzione di Giudice del lavoro, da parte dello stesso titolare; b) se la definizione dei decreti ministeriali, in base a quanto indicato dalla Corte regolatrice e chiarito dianzi, quali atti generali per l’esecuzione della legge implichi, in caso di reiterati annullamenti giurisdizionali, la rimessione in termini dei soggetti, che intendano far valere il titolo legittimante, per far constare, ai sensi degli artt. 30 e 114 c.p.a., la nullità del decreto ministeriale che, in sede di riemanazione, replichi tal quale il vizio di legittimità che ha determinato l’annullamento del precedente provvedimento; c) se di conseguenza l’indicazione della Corte regolatrice induca a superare, in corretta applicazione del principio d’effettività della tutela, ogni ipotesi di decadenza connessa a vicende pregresse e se, quindi, un atto amministrativo generale e nullo sia in grado di definire rapporti comunque inerenti all’acquisizione di posizioni di status connessi al valore legale del titolo di studio; d) se la natura abilitante del diploma magistrale, così definito dalle norme regolatrici del valore legale del titolo conseguito in esito ad un corso di studi nel periodo transitorio indicato da siffatte norme ed in attesa della definitiva trasformazione delle procedure abilitanti per gli aspiranti docenti, dovendosi collegare tali disposizioni al sistema del reclutamento di questi ultimi che però ne resta distinto, essendo stato (e per certi versi essendo tuttora) disciplinato a sua volta come sistema misto, ossia concorsuale o per titoli di servizio mediante attingimento dalle graduatorie ad esaurimento fino al loro esaurirsi, con conseguente minor enfasi sul concorso pubblico e con maggior attenzione sulla formazione in continuo divenire del docente, anche attraverso esperienze certificate sul campo; e) se il limite temporale del predetto regime transitorio, ormai cessato per legge, determini, esso sì, decadenze e si riverberi sull’attualità dell’interesse azionato; f) se si possa escludere, come sopra argomentato, ogni conflitto attuale o potenziale tra la presente controversia ed i regimi di reclutamento straordinario indicati nell’art. 4, d.l. 12 luglio 2018, n. 87.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio 2019 esce la sentenza n. 500 della III sezione del Tar Lazio – Roma, la quale, principalmente, ribadisce l’impossibilità di impugnare – con lo speciale rito del silenzio – inadempimento, la mancata adozione, da parte degli organi titolari del relativo potere, di atti normativi (leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti), venendo in rilievo ambiti nei quali l’Amministrazione esprime scelte di natura politica. In particolare, il rito del silenzio-inadempimento non può essere utilizzato per costringere le Amministrazioni pubbliche alla adozione di un decreto ministeriale, cui fa riferimento una disposizione normativa, costituendo anch’esso un atto di natura normativa (più precisamente, regolamentare). Nella fattispecie concreta, il giudice amministrativo riconosce legittimazione ad agire, ai sensi degli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, delle Associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale anche in un ambito territoriale ben circoscritto (le previsioni normative citate hanno introdotto un criterio di legittimazione “legale” “aggiuntivo”, e non “sostitutivo”, rispetto ai criteri elaborati precedentemente dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. “interessi diffusi”). In secondo luogo, viene dichiarato l’obbligo del Ministero dell’Ambiente, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ciascuno per il proprio ambito di competenza, di provvedere, in attuazione di quanto disposto dall’art. 10 della l. n. 36/2001, ad adottare una campagna informativa, rivolta alla intera popolazione, avente ad oggetto la individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e l’informazione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un uso improprio di tali apparecchi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è la natura in generale dei regolamenti, e che tipi di problemi pongono?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>hanno <strong>natura “<em>ibrida</em>”</strong>, circostanza che incide sui <strong>vari modelli di tutela</strong>, di tipo <strong>alternativo</strong>, esperibili <strong>nei relativi confronti</strong>;</li> <li>dal punto di vista <strong>formale</strong>, si tratta di <strong>atti amministrativi</strong>, giacché essi promanano da <strong>organi del potere esecutivo</strong>; dando la <strong>prevalenza</strong> a questo aspetto, la tutela non può che atteggiarsi a “<strong><em>amministrativo-demolitoria</em></strong>”;</li> <li>dal punto di vista <strong>sostanziale</strong>, si tratta di <strong>atti normativi</strong>, compendiandosi in <strong>norme generali ed astratte</strong> idonee, come tali, ad <strong>innovare</strong> l’ordinamento giuridico; dando la <strong>prevalenza</strong> a questo aspetto, la tutela non può che atteggiarsi a “<strong><em>normativo-disapplicativa</em></strong>”;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi in particolare pongono i regolamenti regionali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di capire come funziona la <strong>potestà regolamentare delle Regioni</strong>, quale ne sia il <strong>fondamento</strong> e se tale fondamento debba rinvenirsi in una <strong>apposita legge regionale</strong> che disciplini l’<strong><em>an</em></strong> ed il <strong><em>quomodo</em></strong> del ridetto potere regolamentare regionale;</li> <li>chi attribuisce rilievo allo <strong>statuto regionale</strong>, laddove esso definisce <strong>l’assetto della forma di governo</strong> della singola Regione, assume che sia <strong>proprio il detto statuto</strong> a modulare il <strong>potere normativo regionale</strong>, potendone <strong>prevedere e disciplinare</strong> anche la <strong>forma regolamentare</strong> (oltre a quella legislativa);</li> <li>laddove lo statuto regionale <strong>nulla preveda</strong>, si ritiene <strong>direttamente operativo l’art.117 della Costituzione</strong> che – con l’attribuire allo <strong>Stato</strong> la <strong>potestà regolamentare</strong> nelle <strong>materie di legislazione esclusiva statale</strong> (salvo <strong>delega alle Regioni</strong>: <strong>comma 6</strong>) ed alle <strong>Regioni</strong> la <strong>potestà regolamentare in ogni altra materia</strong> (<strong>comma 7</strong>) – è da assumersi quale <strong>fondamento immediato e diretto</strong> del <strong>potere regolamentare regionale</strong>, senza necessità di una <strong>legge regionale intermedia</strong>;</li> <li>in ogni caso, laddove la <strong>Costituzione</strong> attribuisce alla <strong>Regione</strong> il <strong>potere regolamentare</strong>, occorre distinguere: d.1) la fattispecie della <strong>potestà legislativa regionale esclusiva:</strong> il potere regolamentare regionale si configura in dottrina come <strong>particolarmente ampio</strong>, potendo la singola Regione <strong>financo varare una legge regionale</strong> sul modello della <strong>legge statale n.400 del 1988</strong> che operi una <strong>catalogazione precisa</strong> dei vari <strong>tipi di regolamento emanabili</strong> dalla Regione medesima; d.2) la fattispecie della <strong>potestà legislativa regionale concorrente</strong> con la potestà legislativa <strong>statale:</strong> nella pertinente <strong>materia</strong>, una volta che lo Stato ha dettato con propria legge i <strong>principi fondamentali</strong>, si discute se la Regione possa procedere a dettare la <strong>disciplina di dettaglio</strong> di propria competenza <strong>anche direttamente con regolamento</strong> ovvero vi sia bisogno di una <strong>legge regionale</strong> che <strong>rinvii</strong> ad un regolamento regionale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare del regolamento inteso come atto soggettivamente amministrativo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>come ogni altro <strong>atto della PA</strong>, esso <strong>è impugnabile</strong>, con conseguente possibile <strong>tutela di tipo caducatorio</strong>;</li> <li>sulla <strong>natura soggettivamente amministrativa</strong> rifluisce tuttavia la <strong>natura oggettivamente normativa</strong>, che ne connota le <strong>previsioni</strong> quali <strong>generali ed astratte</strong>;</li> <li>va impugnato allora <strong>normalmente</strong> – in via <strong>tempestiva</strong> - il <strong>provvedimento che attua</strong> il regolamento e che <strong>ne palesa la effettiva lesività</strong>, mentre l’impugnazione <strong>diretta</strong> del regolamento è <strong>ammessa solo</strong> ove esso <strong>sia già, in sé stesso, immediatamente lesivo</strong> delle ragioni del ricorrente;</li> <li>dal punto di vista dei <strong>rapporti con la legge che lo prevede</strong>, la dottrina distingue: d.1) il regolamento <strong>“<em>lacunoso assoluto</em>”</strong>, o <strong>“<em>non regolamento</em>”</strong>, quando pur dovendolo essere su indicazione del legislatore, esso <strong>non viene tuttavia emanato</strong> dall’Autorità competente; qui si pone il problema se sia possibile <strong>sollecitare la PA emanante</strong> giusta <strong>azione contro il c.d. “<em>silenzio</em>”</strong> di cui agli articoli <strong>31 e 117</strong>p.a., evenienza tuttavia <strong>negata</strong> dalla più recente <strong>giurisprudenza</strong>; d.2) il regolamento “<strong><em>lacunoso relativo</em></strong>”, quello cioè che pur essendo stato <strong>ritualmente emanato</strong> dall’Autorità competente, si palesa <strong>in qualche modo incompleto</strong>: qui si pone il problema se, <strong>impugnato il regolamento</strong> innanzi al <strong>GA</strong>, possa il GA stesso <strong>completare il regolamento</strong> con <strong>sentenza “<em>manipolativa</em>”</strong> o non debba, piuttosto, limitarsi ad <strong>annullarlo globalmente</strong> per consentire alla PA, in sede di <strong>ottemperanza</strong> alla sentenza, di <strong>riformularlo privo di lacune</strong>;</li> <li>quando un regolamento <strong>è stato emanato e non presenta lacune</strong>, la dottrina distingue: e.1) il regolamento quale <strong>volizione preliminare</strong>: esso reca <strong>previsioni generali ed astratte</strong> che <strong>non incidono in via immediata e diretta</strong> sulla situazione giuridica soggettiva dei relativi destinatari, cosa che <strong>accadrà solo</strong> quando verrà <strong>adottato</strong> il <strong>successivo provvedimento attuativo</strong>, <strong>l’unico</strong> in grado di produrre <strong>tale lesione</strong> e di far insorgere <strong>l’interesse al ricorso</strong> in capo al relativo <strong>destinatario</strong>; ne consegue che il <strong>termine di decadenza</strong> per il gravame <strong>decorre</strong> da quando <strong>viene adottato</strong> (o comunque <strong>viene conosciuto</strong> nella relativa lesività) <strong>l’atto applicativo</strong> <strong>lesivo</strong>, con un giudizio la cui consistenza paleserà <strong>geometria variabile,</strong> potendo esso investire <strong>direttamente l’atto applicativo</strong> in parola, laddove il vizio denunciato sia <strong>proprio</strong> di quest’ultimo ovvero, unitamente, <strong>anche il regolamento presupposto</strong> laddove il vizio riscontrato nell’atto applicativo “<strong><em>derivi</em></strong>” da un vizio del regolamento medesimo inteso quale <strong>volizione preliminare</strong>, da esso <strong>mutuandolo</strong> e fungendo da <strong>strumento</strong> che <strong>ne palesa la concreta lesività</strong> nei confronti del soggetto ricorrente inciso (c.d. “<strong><em>doppia impugnativa</em></strong>” del <strong>regolamento “<em>lesivo indiretto</em>”</strong> e del pertinente <strong>atto applicativo “<em>lesivo diretto</em>”</strong>); e.2) il regolamento quale <strong>volizione-azione</strong>, le cui previsioni <strong>non sono generali ed astratte</strong> ma, piuttosto, <strong>direttamente incisive</strong> della sfera giuridica del destinatario, con conseguente <strong>insorgenza immediata</strong> in capo al destinatario medesimo <strong>dell’interesse a ricorrere</strong> ed <strong>onere di impugnazione diretta e tempestiva</strong> nel <strong>termine decadenziale</strong> del regolamento in parola, termine decorrente dalla relativa <strong>pubblicazione in Gazzetta Ufficiale</strong> (o su <strong>altri strumenti di pubblicità analoghi</strong>, come il foglio degli annunzi legali), <strong>senza</strong> possibilità di <strong>posticipare l’impugnativa</strong> per spiccarla nei confronti dell’atto applicativo, mutuando quest’ultimo il proprio vizio (lesivo) proprio dal <strong>regolamento volizione-azione</strong> che lo presuppone; e.3) il <strong>regolamento misto</strong>, che reca <strong>congiuntamente</strong> volizioni-<strong>preliminari</strong> e volizioni-<strong>azione</strong>, <strong>non sempre ben distinguibili</strong> tra loro, con conseguente <strong>regime di impugnativa differenziato</strong> a seconda del <strong>differente modello regolamentare</strong> che viene di volta in volta in rilievo;</li> <li>emanato un <strong>regolamento</strong>, si pone il problema di capire se, in sede di <strong>relativa impugnativa</strong>, siano <strong>configurabili controinteressati</strong>, ovvero soggetti che – dal punto di vista <strong>sostanziale</strong> – ritraggono un <strong>vantaggio</strong> dal regolamento medesimo e sono <strong>interessati alla relativa conservazione</strong>, palesandosi ad un tempo, appunto “<strong><em>controinteressati</em></strong>” alla relativa <strong>caducazione</strong>; e – dal punto di vista <strong>formale</strong> – sono <strong>identificati nominativamente</strong> dal regolamento stesso, ovvero sono <strong>agevolmente identificabili</strong> sulla scorta del regolamento medesimo; si contendono il campo <strong>due orientamenti</strong> della giurisprudenza: f.1) per <strong>l’orientamento minoritario</strong>, si configurano <strong>controinteressati</strong> al cospetto di un <strong>regolamento “<em>volizione-azione</em>”</strong>, palesandosi tali i <strong>soggetti che ricevono un beneficio immediato e diretto</strong> dal regolamento medesimo; ovvero, al cospetto di un <strong>regolamento “<em>volizione-preliminare</em>”</strong>, coloro che sono interessati alla <strong>conservazione dell’atto applicativo “<em>a valle</em>”</strong> del regolamento medesimo, dovendosi dunque procedere in entrambi i casi alla <strong>notifica del ricorso</strong> spiccato avverso il regolamento <strong>a pena di inammissibilità</strong>; talvolta il <strong>numero non definito di destinatari</strong> rende <strong>difficile</strong> individuare <strong>soggetti effettivamente avvantaggiati</strong> dal regolamento ma ciò, per l’orientamento minoritario in parola, <strong>non deve sospingere</strong> nel senso di <strong>non attivare l’ordinaria diligenza</strong> per verificare se <strong>taluni di tali soggetti</strong> siano <strong>in concreto identificabili</strong>, compendiando dei <strong>controinteressati</strong> cui il ricorso <strong>va notificato</strong> a pena di inammissibilità; f.2) per l’<strong>orientamento maggioritario</strong>, al contrario, dinanzi ad un regolamento <strong>non si configurano dei controinteressati</strong>, e ciò per il relativo compendiare <strong>un atto normativo</strong> dai <strong>precetti generali ed astratti</strong>, tale dunque da <strong>impedire la identificazione</strong> di soggetti che se ne possano <strong>avvantaggiare in via immediata e diretta</strong> (difetta dunque il <strong>requisito sostanziale</strong> del “<strong><em>controinteressato</em></strong>”);</li> <li><strong>annullato</strong> un <strong>regolamento</strong> in sede <strong>giurisdizionale</strong>, il <strong>giudicato di annullamento</strong> – dal punto di vista <strong>soggettivo</strong> – : g.1) per la <strong>giurisprudenza</strong>, si <strong>estende <em>ultra partes</em></strong> (<strong>limiti soggettivi</strong> del <strong>giudicato</strong> di annullamento); ciò si evince tanto dall’<strong>14, comma 3, del D.p.R. 1199.71</strong>, laddove prevede che <strong>l’annullamento</strong> – a valle di un <strong>ricorso straordinario al Presidente della Repubblica</strong> – di un <strong>atto normativo</strong> va <strong>pubblicizzato</strong> nelle <strong>stesse forme di pubblicazione</strong> dell’atto (normativo) <strong>annullato</strong>, previsione che <strong>si spiega</strong> proprio con <strong>l’efficacia della pronuncia demolitoria</strong> (anche giurisdizionale) <strong>oltre</strong> le <strong>specifiche parti</strong> della singola vicenda contenziosa; quanto dalla natura <strong>inscindibile</strong> del regolamento, che è <strong>atto generale</strong> a <strong>destinatari indeterminabili</strong> con conseguente <strong>non frazionabilità</strong> del relativo <strong>contenuto</strong>, che non potrebbe assumersi <strong>efficace per taluni</strong> e ad un tempo <strong>non efficace per altri</strong>; quanto, ancora, dal canone della <strong>certezza del diritto</strong>, sulla cui scorta la PA <strong>non può applicare</strong> un regolamento - <strong>dichiarato illegittimo</strong> <strong>su istanza di talune parti</strong> ed annullato <strong>nei relativi confronti</strong> – ad <strong>altri soggetti</strong> destinatari della relativa <strong>efficacia potenziale</strong>, ma che <strong>non hanno partecipato</strong> al <strong>pertinente giudizio</strong>, dovendosi comunque assumere il regolamento medesimo come <strong>atto di natura unitaria</strong> ed appunto <strong>inscindibile</strong>; g.2) per <strong>parte della dottrina</strong>, <strong>non</strong> si estende <strong>oltre le parti del giudizio</strong> che ne ha prodotto l’annullamento, dovendosi assumere in primo luogo <strong>non applicabile l’art.14, comma 3</strong>, del D.p.R. n.1199.71 <strong>anche</strong> ai <strong>ricorsi giurisdizionali</strong>, dacché trattasi di <strong>previsione specifica</strong> per il ricorso amministrativo al Capo dello Stato; in secondo luogo, vi è <strong>difetto di parallelismo</strong> tra <strong>l’interesse a ricorrere</strong> sulla base del quale il regolamento <strong>viene condotto a caducazione </strong>e gli eventuali <strong>effetti “<em>allargati</em>”</strong> di questa caducazione che altri vorrebbero <strong>ritrarne</strong>;</li> <li><strong>annullato</strong> un <strong>regolamento</strong> in sede <strong>giurisdizionale</strong>, il <strong>giudicato di annullamento</strong> – dal punto di vista <strong>oggettivo</strong> – <strong>travolge senz’altro</strong> l’<strong>atto applicativo successivo</strong> <strong>impugnato assieme</strong> al regolamento che lo presuppone, <strong>mutuandone</strong> il <strong>vizio invalidante</strong> ed alfine <strong>caducante</strong>; diverso invece il regime per gli <strong>atti applicativi</strong> che vengano adottati <strong>in epoca successiva</strong> alla emanazione del <strong>regolamento</strong> e che <strong>non vengano tempestivamente impugnati</strong>, distinguendosi in proposito <strong>due diverse</strong> opzioni ermeneutiche: h.1) per la <strong>tesi minoritaria</strong> dell’effetto “<strong><em>viziante e caducante</em></strong>”, (specie quando si assista ad un <strong>rapporto di consequenzialità</strong> particolarmente <strong>intenso</strong>) <strong>non occorre impugnare l’atto applicativo</strong> nei termini in quanto l’eventuale <strong>annullamento <em>ex tunc</em></strong> del <strong>regolamento</strong> che lo presuppone – laddove quest’ultimo sia stato <strong>tempestivamente impugnato</strong> - spiega su di esso <strong>efficacia caducante</strong> <strong>travolgendolo</strong> senza appunto la necessità di una relativa, <strong>specifica e tempestiva impugnazione</strong>; h.2) per la <strong>tesi maggioritaria</strong> dell’effetto “<strong><em>viziante ed invalidante</em></strong>”, ma <strong>non anche caducante</strong>, laddove sopravvengano <strong><em>medio tempore</em></strong> <strong>atti applicativi</strong> del regolamento a suo tempo tempestivamente impugnato, essi vanno <strong>a loro volta impugnati nel termine di decadenza</strong>, divenendo in caso contrario <strong>inoppugnabili</strong> e potendo essere a quel punto <strong>rimossi solo su iniziativa della PA</strong> in sede di <strong>autotutela</strong>, laddove ragioni di <strong>interesse pubblico</strong> sospingano appunto nel senso dell’<strong>annullamento di un atto applicativo</strong> ormai inoppugnabile, ma scaturigine di un <strong>regolamento dichiarato illegittimo</strong> e <strong>caducato dal GA</strong>;</li> <li>compendiando un <strong>atto amministrativo</strong>, seppur <strong>generale</strong> ed a <strong>natura normativa</strong>, esso è stato <strong>tradizionalmente assunto non disapplicabile</strong>, ma <strong>solo annullabile</strong> laddove <strong>impugnato</strong> nel <strong>tradizionale termine di decadenza</strong>; ciò sulla scorta di tutta una serie di argomentazioni: i.1) <strong>non esiste</strong> una <strong>disposizione di legge</strong> che, al pari di quanto accade con <strong>l’art.5 della c.d. L.A.C.</strong> in riguardo al <strong>GO</strong>, <strong>autorizza espressamente il GA</strong> a disapplicare, tenuto anche conto del fatto che quest’ultimo gode del <strong>più pervasivo potere</strong> di <strong>annullamento degli atti amministrativi</strong>, del quale <strong>è invece </strong>(seppur con delle <strong>rilevanti eccezioni</strong>) <strong>privo il GO</strong>, con conseguente <strong>inestensibilità analogica</strong> al primo del potere di <strong>disapplicare in via incidentale</strong> garantito dalla legge al secondo; i.2) accertare che <strong>il regolamento è illegittimo</strong> e tuttavia <strong>disapplicarlo</strong> limitatamente al <strong>caso concreto sottoposto al GA</strong>, e dunque limitatamente ad <strong>uno o più dei relativi destinatari</strong>, implica che esso <strong>continua a spiegare vigenza ed efficacia</strong> nei confronti di <strong>tutti gli altri destinatari</strong>, compromettendo la <strong>certezza del diritto</strong>; i.3) <strong>disapplicare</strong> il regolamento <strong>in via incidentale</strong> si pone <strong>in frizione</strong> con il <strong>principio della domanda</strong> scolpito all’<strong>112 c.p.c.</strong> (applicabile anche al processo amministrativo), alla cui stregua occorrono <strong>specifici motivi di censura</strong> per ottenere la <strong>anelata tutela</strong> che, in linea di principio, non è invece erogabile <strong>d’ufficio dal giudice</strong>, essendo strettamente avvinta all’<strong>interesse a ricorrere</strong> estrinsecato, per l’appunto, in <strong>apposite e specifiche censure</strong>; ciò <em>a fortiori</em> laddove il ricorso si sia appuntato sul <strong>provvedimento che attua</strong> il regolamento, laddove le censure del ricorrente siano state per l’appunto formulate avverso il ridetto provvedimento attuativo “<strong><em>a valle</em></strong>” ed il ricorrente medesimo <strong>chieda al GA</strong>, in via <strong>incidentale</strong>, di <strong>disapplicare il regolamento presupposto</strong>, aggirando il pertinente <strong>termine decadenziale</strong> di impugnativa.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare del regolamento inteso come atto oggettivamente normativo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>trattandosi di una <strong>fonte del diritto</strong>, esso soggiace al <strong>principio di gerarchia delle fonti</strong> onde – secondo una prospettiva <strong>più recente</strong> abbracciata dalla <strong>giurisprudenza</strong> – anche in sede di <strong>giurisdizione di legittimità </strong>a tutela di (soli) interessi legittimi <strong>il GA</strong>, oltre a <strong>poterlo (tradizionalmente) annullare </strong>su ricorso spiccato nel <strong>termine decadenziale</strong>, può anche <strong>disapplicarlo in ogni tempo</strong> laddove esso (il gravato regolamento) si ponga <strong>in frizione</strong> con una <strong>fonte gerarchicamente superiore</strong>, e dunque con la <strong>Costituzione</strong> o con la <strong>normativa primaria</strong> (leggi, decreti legge, decreti legislativi);</li> <li>in sede di <strong>giurisdizione esclusiva</strong>, che investe <strong>diritti soggettivi</strong>, tale disapplicazione è peraltro <strong>pacificamente ammessa</strong>, trattandosi di una giurisdizione che <strong>ha ad oggetto</strong> il <strong>rapporto</strong> assai più dell’<strong>atto</strong>, con conseguente <strong>non necessità di una aggressione</strong> dell’atto medesimo <strong>nei termini di decadenza</strong>;</li> <li>anche dunque quando si tratti di invocare <strong>tutela di un interesse legittimo</strong> – <strong>normalmente subordinata</strong> all’osservanza di un <strong>termine di decadenza</strong> per spiccare il <strong>pertinente ricorso</strong> – , laddove il gravame abbia ad oggetto <strong>un regolamento</strong>, compendiando esso una <strong>fonte del diritto</strong>, può anche <strong>essere disapplicato</strong> allorché il termine di relativa impugnazione <strong>sia già spirato</strong> e ciò in quanto, stante il principio di <strong>gerarchia delle fonti</strong>, il GA è tenuto a privilegiare la <strong>fonte del diritto gerarchicamente superiore</strong>, rendendo <strong>non operativa</strong> la fonte regolamentare che con essa <strong>contrasti</strong>;</li> <li>sotto altro profilo, configurando il regolamento una <strong>fonte del diritto</strong>, esso soggiace al principio “<strong><em>iura novit curia</em></strong>”, onde anche laddove non siano presenti <strong>specifiche censure</strong> nel ricorso di <strong>chi ne risulti vulnerato</strong>, il giudice <strong>deve</strong> comunque <strong>disapplicarlo d’ufficio</strong> essendo <strong>tenuto a conoscere</strong> – in quanto tale – <strong>tutte le norme vigenti</strong> nel sistema ed i relativi <strong>rapporti di forza</strong>, con necessaria prevalenza ancora una volta della <strong>fonte gerarchicamente sovraordinata</strong>;</li> <li>non sembra peraltro che, <strong>disapplicando un regolamento</strong>, ne risulti <strong>realmente violato l’art.112 c.p.c.</strong> ed il principio di piena <strong>corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato</strong> che vi è scolpito; quello che <strong>il GA incidentalmente scandaglia</strong> ed <strong>eventualmente disapplica</strong> non è infatti <strong>l’intero regolamento</strong> ma solo le <strong>relative disposizioni</strong> che siano <strong>rilevanti</strong> nella controversia <strong>che è chiamato a dirimere</strong>, palesandosi tali in quanto <strong>attuate</strong> dal <strong>successivo provvedimento</strong> (attuativo, per l’appunto) <strong>impugnato</strong> dal ricorrente giusta <strong>specifiche censure</strong>;</li> <li>del resto – così come in qualche modo era (almeno teoricamente) <strong>intrinseco alla disapplicazione del GO</strong> disciplinata <strong>dall’art.5 della L.A.C.</strong> – il fatto che il GA <strong>disapplichi un regolamento</strong> dovrebbe <strong>sollecitare l’autotutela della PA</strong> emanante, chiamata ad <strong>annullarlo con effetti <em>erga omnes</em></strong> anche al fine di garantire la <strong>certezza del diritto</strong> (anelito peraltro sovente <strong>non confortato</strong> dal concreto atteggiamento dell’Amministrazione, tradizionalmente riottosa a porre autonomamente nel nulla i propri atti);</li> <li><strong>ammessa la disapplicabilità</strong> del regolamento illegittimo, si pone la questione di vedere se <strong>residua, o meno</strong>, <strong>anche una tutela di annullamento</strong> del regolamento stesso, giustapponendosi sul tema in dottrina e giurisprudenza <strong>2 distinte opinioni</strong>: g.1) l’<strong>unico rimedio esperibile</strong> è la <strong>disapplicazione</strong>, <strong>non</strong> essendo più percorribile la strada della <strong>caducazione</strong>, dovendosi tenere conto del fatto che il regolamento ha <strong>natura sostanzialmente normativa</strong> e <strong>solo formalmente amministrativa</strong> onde, come <strong>una legge</strong>, esso non può essere <strong>annullato “<em>principaliter</em>”</strong>, ma <strong>solo incidentalmente disapplicato</strong> dal giudice che lo scandaglia, che <strong>non ha il potere di eliminarlo</strong> dal <strong>sistema</strong> quanto piuttosto solo di <strong>disapplicarlo limitatamente al caso deciso</strong>; peraltro laddove la PA adotti un <strong>atto applicativo</strong> di un <strong>regolamento</strong> che il GA <strong>ha disapplicato</strong> assumendolo <strong>illegittimo</strong>, tale atto applicativo <strong>deve intendersi nullo</strong> perché adottato in <strong>carenza di potere</strong> (alla maniera del <strong>provvedimento violativo del giudicato</strong> amministrativo); g.2) sono percorribili <strong>alternativamente</strong> sia il rimedio della <strong>disapplicazione</strong> che quello della <strong>caducazione</strong>, quest’ultimo dovendosi assumere <strong>tuttora operativo</strong>, qualora prescelto dal ricorrente, sia perché <strong>è immanente nel sistema</strong> il <strong>potere del GA di annullare</strong> i regolamenti (quali <strong>atti amministrativi</strong>, seppure peculiari), sia perché la <strong>tutela caducatoria</strong> appare <strong>maggiormente satisfattiva</strong> laddove <strong>impedisce in radice</strong> alla PA di procedere ad adottare <strong>ulteriori atti applicativi</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>