<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Con la sentenza n. <strong>46895 del 2019, la Suprema Corte si è pronunciata in relazione alla configurabilità della scriminante di cui all’art. 50 c.p., laddove la vittima abbia prestato il consenso alle lesioni personali –al fine di truffare l’assicurazione- </strong><strong>materialmente causate dal ricorrente</strong> che la colpiva con una mazza di ferro alla caviglia, determinando la frattura scomposta del malleolo e del perone, con una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a giorni 40. Il tribunale del riesame, rileva la Corte, ha escluso la rilevanza scriminante dell’ipotizzato consenso a norma dell’art. 5 c.c., perché, al di là dell’assenza di conseguenze invalidanti derivanti dalle lesioni ancorché gravi, ha ritenuto che <strong>il consenso prestato in cambio di un corrispettivo economico, al preciso fine di realizzare un programma criminoso dell’associazione e di commettere il delitto di cui all’art. 642 c.p., non possa avere efficacia scriminante per contrarietà all’ordine pubblico interno e perché in violazione degli artt. 2 e 3 Cost.</strong><strong> </strong>È bene ricordare, infatti, che a norma dell’art. 5 c.c.: "gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume". <strong> </strong>A seguito dell’approvazione della Carta costituzionale, il tradizionale approccio normativo, che conduceva a fare del corpo un "oggetto di diritti", in quanto attributo della persona ed espressione della personalità, è stato abbandonato a favore di una visione sociale e funzionale dell’essere umano, sulla base dei principi ricavabili dagli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost. <strong> </strong>Il punto di partenza di tale percorso è rappresentato, infatti, dalla parallela espansione del concetto di "salute", che si differenzia dalla mera integrità fisica, e di quello di "libertà personale": la salute dell’uomo, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Preambolo della Costituzione OMS-WHO approvato in data 22 luglio 1946, recepito con D.Lgs. n. C.p.S. n. 1068 del 1947), è una condizione di perfetto benessere fisico, mentale e sociale e non significa soltanto assenza di malattia, sicché una disciplina che presuppone la coincidenza tra integrità fisica e salute risulta non più adeguata a proteggere l’individuo nel suo diritto fondamentale. In questo senso, del diritto alla salute, che trova nel rispetto della persona umana il suo limite e fine, può apprezzarsi tanto un contenuto negativo (come non intrusione da parte di terzi nella propria sfera corporea), quanto l’aspetto positivo (inteso come diritto di libertà) che trova riconoscimento specifico nell’attribuzione al singolo del potere di disporre del proprio corpo. Non meno rilevante appare, con specifico riguardo agli atti dispositivi, il contributo offerto dalla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, sottoscritta ad Oviedo il 4 aprile 1997 (ratificata con L. n. 145 del 2001), che conduce a una ridefinizione dello "statuto del corpo"; l’art. 21 di detta Convenzione pone un generale divieto di fare del corpo umano o delle parti che lo compongono "una fonte di profitto"; lo stesso precetto si trova poi riprodotto all’art. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali, sottoscritta dal Consiglio d’Europa a Nizza il 7 dicembre 2000, il cui valore normativo è stato riconosciuto nel Trattato dell’Unione Europea (art. 1, punto 8, del Trattato di Lisbona), ove, in via generale, si afferma il diritto di ogni individuo all’integrità fisica e psichica della propria persona. In conclusione, si può affermare che, in forza dei richiamati principi, il problema degli atti di disposizione del proprio corpo non può essere impostato nei termini di un potere di disporre, bensì quale libertà di disporre di sé e sul presupposto del valore unitario e inscindibile della persona. Si rende perciò necessaria una rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 5 c.c., che ha condotto la dottrina e la giurisprudenza a mettere in disparte quelle diminuzioni permanenti dell’integrità fisica finalizzate al mantenimento o al ristoro della salute (mutamento di sesso), all’autodeterminazione procreativa (sterilizzazione) o di solidarietà disinteressata (donazioni di organi e tessuti), intesa quale benessere complessivo dell’individuo. In definitiva, assume particolare rilievo la funzione sociale e (economicamente) disinteressata dalla menomazione fisica che costituisce la ragione giustificatrice della libertà dispositiva in una visione costituzionalmente orientata. Infatti, una parte della dottrina ha evidenziato, con riguardo all’ipotesi di auto-lesione, che tali atti dovrebbero considerarsi illeciti quantomeno nel caso in cui vadano a ledere gli interessi di terzi estranei, come ad esempio accade nel caso di auto-lesione procuratasi per evitare il servizio militare o per frodare un’assicurazione contro gli infortuni. In tale ottica, la dottrina ha ricordato che "l’ordine pubblico" richiamato dall’art. 5 c.c., rappresenta una clausola generale soggetta a continue evoluzioni e condizionamenti storici e quindi avente contenuto relativo, tanto che è proprio tale elasticità che ne fa uno strumento in grado di garantire l’ordinata e coerente forza di coesione che unisce diversi istituti di uno stesso ordinamento giuridico in funzione dei generali e fondamentali interessi della collettività. Pur non rinvenendosi particolari riflessioni sul punto in dottrina e giurisprudenza, si deve concludere per l’affermazione di una "versione mite" della predetta clausola generale che, perciò, non pone limiti ai diritti fondamentali dell’individuo in funzione delle superiori esigenze dello Stato, ma pone limiti all’autonomia dei privati per il rispetto di diritti fondamentali dell’individuo e del consesso sociale. L’art. 5 c.c., - che, in ottica costituzionale, fa assurgere al rango di "libertà" il potere di disporre del proprio corpo - diviene espressione, in ragione della funzione sociale dell’individuo e della necessità di tutelare i fondamentali diritti costituzionali della libertà personale e della salute, del generale divieto dell’abuso del diritto, tanto che la clausola dell’ordine pubblico, insieme a quella del buon costume, operano come ostacolo a quegli atti dispositivi che risultino inaccettabili dal punto di vista dei parametri costituzionali perché mercificano il corpo umano, mediante la promessa o la corresponsione di denaro per la menomazione fisica, ovvero di tale corpo abusano per un fine di illecito vantaggio, essendo, dunque, la menomazione finalizzata a compiere un atto illecito e fraudolento.</p> <p style="text-align: justify;">Così chiariti i limiti propri del diritto di libertà di disporre del proprio corpo ex art. 5 c.c., <strong>non resta che escludere</strong>, così come ha correttamente fatto il tribunale del riesame, <strong>la rilevanza scriminante del consenso prestato ex art. 50 c.p.,</strong> da dalla vittima alla grave lesione personale infertagli allo scopo di frodare l’assicurazione. Il consenso, nel caso di specie, è stato fornito non validamente, cioè in presenza di un divieto di legge, sicché non ha capacità scriminante, nè può l’agente essere ritenuto in errore circa l’efficacia del consenso eventualmente prestato dalla vittima perché gli era ben nota la complessiva illiceità del progetto fraudolento in cui tale consenso s’inseriva.</p> <p style="text-align: justify;"><em>Domiziana Pinelli</em></p>