<p class="western" align="right"></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><b>Massima</b></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>L’Amministrazione dispiega la propria, precipua funzione giusta perseguimento di specifici fini di interesse pubblico avvalendosi – nella più parte dei casi - del potere ad essa all’uopo affidato dalla legge; tale potere può essere esercitato in modo legittimo o, nei casi patologici, in modo illegittimo, con particolare riguardo alle ipotesi di “</i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;">violazione di legge</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>” che, proprio per la pertinente, intrinseca “</i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;">sostanza violativa</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>”, possono anche compendiare – globalmente riguardate - una condotta pubblica illecita. </i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>Si pone allora il problema di capire, sul crinale strutturale, fino a quale punto un provvedimento illegittimo è epifania (anche) di una condotta illecita; e, su quello funzionale, se e quando sia necessario rimproverare alla PA e, per essa, agli agenti dei quali si avvale, una volontà colpevole (che - a determinate “</i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;">dolose</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>” - condizioni, potrebbe financo escluderne la responsabilità), ovvero una imperita imprudenza o trascuratezza, potendo in taluni casi rivelarsi bastevole - a fini di imputazione pubblica dell’illecito (e di pertinenti eziogenesi risarcitorie nei confronti dell’interlocutore privato) - la semplice ed “</i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;">oggettiva</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>” violazione delle regole di un dato microsistema come, esemplificativamente, nel caso degli appalti pubblici.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><b>Crono-articolo</b></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1930</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, che vede la colpa disciplinata all’art.43, onde il delitto è <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/5789.html">colposo</a>, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia (c.d. colpa generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa specifica).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Di rilievo anche l’art.5, laddove si prevede che l’errore di diritto non scusa il soggetto agente in senso assoluto.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1942</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile) secondo la cui clausola generale sulla responsabilità civile ex art.2043 (risarcimento per fatto illecito) qualunque fatto <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2404.html">doloso</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2405.html">colposo</a>, che cagiona ad altri un <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2406.html">danno ingiusto</a>, obbliga colui che ha commesso il fatto a <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3912.html">risarcire</a> il danno, affiorando dunque con palmare evidenza le componenti soggettive dell’illecito civile, con particolare riguardo al dolo ed alla colpa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Importanti anche gli articoli 2727 e seguenti in tema di presunzioni nonché, più in generale, l’art.1176 che – rubricato “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>diligenza nell’adempimento</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” – scolpisce il canone onde nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1533.html">diligenza del buon padre di famiglia</a> <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-i/capo-ii/sezione-i/art1176.html#nota_2813">(comma 1)</a> e quando si tratti di adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata (comma 2).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Infine, nella materia dell’illecito aquiliano particolarmente importante è l’art.2049 sulla responsabilità dei padroni e committenti, alla cui stregua essi sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze cui sono adibiti; una norma cui fa da contraltare, sul crinale “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>contrattuale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, l’art.1228 onde, salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ausiliari</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1948</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, secondo il cui art.28 i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti (comma 1); in tali casi la responsabilità civile (non anche dunque quella penale e quella amministrativa) “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>si estende</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” allo Stato e agli enti pubblici.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Alla stregua poi del successivo art.97, comma 2, i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione: la riserva (relativa) di legge è dunque funzionale ad una PA della quale va scongiurato tanto il “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>cattivo andamento</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” (massime in termini di sviamento rispetto alla doverosa perseguibilità del pubblico interesse) quanto la “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>parzialità</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” o “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>disparità di trattamento</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1957</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 10 gennaio viene varato il D.p.R. n.3, recante testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, alla stregua del cui art.22 – rubricato “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>responsabilità verso i terzi</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” – l'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 e' personalmente obbligato a risarcirlo; l'azione di risarcimento nei relativi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato (comma 1). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L'Amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest'ultimo a norma degli articoli 18 e 19; contro l'impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l'azione dell'Amministrazione e' ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave (comma 2).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Alla stregua del successivo art.23 – rubricato “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>danno ingiusto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” - è per l’appunto danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilità piu' gravi previste dalle leggi vigenti (comma 1). La responsabilità personale dell'impiegato sussiste tanto se la violazione del diritto del terzo sia cagionata dal compimento di atti od operazioni, quanto se la detta violazione consista nella omissione o nel ritardo ingiustificato di atti od operazioni al cui compimento l'impiegato sia obbligato per legge o per regolamento (comma 2).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1988</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 24 marzo esce la nota sentenza della Corte costituzionale n.364 alla cui stregua, sulla scorta del principio di colpevolezza (e dello stesso principio di legalità), un errore di diritto non è sempre e comunque rimproverabile al soggetto agente in ambito penale, ai sensi e per gli effetti dell’art.5 c.p., stante la necessità di attribuire – all’opposto – efficacia scusante (con conseguente non punibilità) laddove il ridetto errore di diritto dipenda da una ignoranza della legge penale “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>inevitabile</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Si tratta di una nuova presa di posizione che si affianca a quella, tutta pretoria, orientata ad invocare la rilevanza della buona fede nelle contravvenzioni, laddove la norma incriminatrice sia oscura, ovvero si agitino intorno ad essa incertezze giurisprudenziali.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1991</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 24 maggio esce la sentenza della I sezione civile della Cassazione n.5883 alla cui stregua, e secondo una costante scia pretoria, al fine di ottenere l’affermazione di una responsabilità civile della PA al cospetto di una pertinente attività provvedimentale illegittima, il privato attore non è tenuto a dimostrare un contegno colposo (e, dunque, una colpa) del singolo funzionario, stante come la “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di un ente pubblico risulti di per sé ravvisabile nella violazione di una norma siccome consapevolmente operata con l’adozione o con l’esecuzione dell’atto amministrativo illegittimo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Da pronunce come questa affiora nondimeno, quand’anche </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in nuce</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, il concetto di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa apparato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, e dunque di colpa non già di questo o di quel funzionario, quanto piuttosto dell’apparato pubblico complessivamente inteso, che ha dato la stura ad un atto illegittimo dannoso.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 19 novembre esce la nota sentenza della Corte di Giustizia europea </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Francovich</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in cause riunite C-6/90 e C-9/90, onde il mancato, tempestivo recepimento di una <a>D</a>irettiva comunitaria entro la data ultima stabilita può implicare, a date condizioni, una condanna dello Stato membro ed un obbligo di risarcimento del cittadino che sia risultato leso da tale “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>inadempiente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” comportamento. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Le ridette condizioni per l’insorgere di un diritto al risarcimento del danno, siccome esplicitate dalla Corte, sono fondamentalmente 3, ovvero: il risultato prescritto dalla Direttiva deve implicare l’attribuzione di diritti a favore dei singoli; il contenuto di tali diritti deve essere chiaramente individuabile sulla base delle disposizioni della Direttiva non recepita; deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dello Stato e il danno subito dal soggetto leso. Nessun riferimento fa invece la Corte alla “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dello Stato, circostanza che fa propendere – sul crinale strutturale - per la natura “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>oggettiva</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della ridetta responsabilità.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1992</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 24 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.64 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), sollevata dal Tribunale di Catania, in riferimento all'art.28 della Costituzione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nell’occasione la Corte ribadisce la propria giurisprudenza (con richiami a Corte cost. n. 18 del 1989, n. 26 del 1987, n. 148 del 1983, n. 123 del 1972) onde l'art.28 Cost. stabilisce la responsabilità diretta per violazione di diritti tanto dei dipendenti pubblici per gli atti da essi compiuti, quanto dello Stato o degli enti pubblici, rimettendone la disciplina dei presupposti al legislatore ordinario, con la precisazione che (Corte cost. nn. 18 del 1989 e 88 del 1963) la responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico può esser fatta valere anteriormente o contestualmente a quella dei funzionari e dei dipendenti, non avendo carattere sussidiario. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1994</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 7 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3293 alla cui stregua, nel solco di un collaudato filone pretorio, la colpa della PA si ricava “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in re ipsa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dalla stessa illegittimità dell’atto amministrativo, siccome acclarata nel pertinente processo demolitorio; quella del provvedimento illegittimo si connota come una adozione che è giocoforza volontaria (la PA vuole quell’atto, che è illegittimo); da tale adozione dell’atto illegittimo – qualunque sia il vizio che lo inficia - e dalla relativa esecuzione affiora già di per sé la colpa dell’Amministrazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In sostanza, la responsabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>provvedimentale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della PA non è una responsabilità oggettiva, ma colposa e tuttavia, stante la difficoltà della prova di tale colpa in capo al singolo funzionario agente, per la Corte è sufficiente che l’atto sia stato annullato perché illegittimo da parte del GA per ritenere dimostrata tale colpa. Ciò in quanto l’atto amministrativo è giocoforza “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>volontario</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” da parte della PA, recando seco in modo indefettibile la colpa della medesima, onde potrebbe dirsi che dal dolo dell’atto la Corte fa discendere la colpa dell’apparato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1995</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 9 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6542 alla cui stregua, nel solco di un collaudato filone pretorio, la colpa della PA si ricava “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in re ipsa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dalla stessa illegittimità dell’atto amministrativo, siccome acclarata nel pertinente processo demolitorio; quella del provvedimento illegittimo si connota come una adozione che è giocoforza volontaria (la PA vuole quell’atto, che è illegittimo); da tale adozione dell’atto illegittimo – qualunque sia il vizio che lo inficia - e dalla relativa esecuzione affiora già di per sé la colpa dell’Amministrazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In sostanza, la responsabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>provvedimentale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della PA non è una responsabilità oggettiva, ma colposa e tuttavia, stante la difficoltà della prova di tale colpa in capo al singolo funzionario agente, per la Corte è sufficiente che l’atto sia stato annullato perché illegittimo da parte del GA per ritenere dimostrata tale colpa. Ciò in quanto l’atto amministrativo è giocoforza “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>volontario</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” da parte della PA, recando seco in modo indefettibile la colpa della medesima, onde potrebbe dirsi che dal dolo dell’atto la Corte fa discendere la colpa dell’apparato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1996</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 5 marzo esce la sentenza della Corte di Giustizia CE in cause riunite C-46/93 e C-48/93, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Brasserie du Pêcheur</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Factortame</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, alla cui stregua il riconoscimento di una responsabilità in capo alle Istituzioni comunitarie e alle singole PPAA degli Stati membri deve assumersi subordinato a 3 precise condizioni: 1) la violazione di una norma comunitaria che attribuisca una posizione giuridica di vantaggio in favore del privato interlocutore; 2) il carattere grave e manifesto della ridetta violazione; 3) il nesso di causalit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> fra violazione e danno patito. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In particolare, per i giudici sovranazionali la gravità della condotta reca seco un giudizio di valore in ordine alla rimproverabilità della ridetta condotta pubblica, che va condotto sulla scorta di una serie di indici sintomatici da identificarsi nel grado di chiarezza e precisione della norma violata, nell’ampiezza del potere discrezionale attribuito all’Autorità soggetto agente, nel carattere intenzionale o meno della violazione, nella presenza o meno di una giurisprudenza consolidata </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ratione materiae</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e nella eventuale novità della questione oggetto di intervento. Ciò che può scaturire da questa valutazione complessiva dell’operato pubblico è un errore scusabile che, come tale, esclude la responsabilità dell’Autorità agente di volta in volta considerata.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1997</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 23 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.13021 che ribadisce autorevolmente, nel solco di un collaudato filone pretorio, come la colpa della PA affiori “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in re ipsa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dalla stessa illegittimità dell’atto amministrativo, siccome acclarata nel pertinente processo demolitorio; quella del provvedimento illegittimo si connota come una adozione che è giocoforza volontaria (la PA vuole quell’atto, che è illegittimo); da tale adozione dell’atto illegittimo – qualunque sia il vizio che lo inficia - e dalla relativa esecuzione affiora già di per sé la colpa dell’Amministrazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In sostanza, la responsabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>provvedimentale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della PA non è una responsabilità oggettiva, ma colposa e tuttavia, stante la difficoltà della prova di tale colpa in capo al singolo funzionario agente, per la Corte è sufficiente che l’atto sia stato annullato perché illegittimo da parte del GA per ritenere dimostrata tale colpa. Ciò in quanto l’atto amministrativo è giocoforza “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>volontario</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” da parte della PA, recando seco in modo indefettibile la colpa della medesima, onde potrebbe dirsi che dal dolo dell’atto la Corte fa discendere la colpa dell’apparato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1999</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 22 luglio esce la nota sentenza delle SSUU della Cassazione n.500 onde, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ratione materiae</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, la nuova lettura dell'art. 2043 c.c. alla quale le medesime S.U. pervengono, impone di fornire alcune precisazioni circa i criteri ai quali deve attenersi il giudice di merito.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Qualora sia stata dedotta davanti al GO una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno riconducibile nello schema normativo delineato dall'art. 2043 c.c., dovrà procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) procederà quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla relativa incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell' interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma giuridicamente rilevante in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della P.A.; d) provvederà, infine, a stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A.; la colpa (unitamente al dolo) costituisce infatti componente essenziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.; e non sarà invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in re ipsa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Poiché tale principio, enunciato dalla giurisprudenza della Corte con riferimento all'ipotesi di attività illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c. (sent. n; 884/61; n. 814/67; n. 16/78; n. 5361/84; n.3293/94; n.6542/95), non è conciliabile con la più ampia lettura della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo, l'imputazione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato obbiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il GO dovrà per la Corte svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato (in tal senso, v. sent. n.5883/91, in una logica che verrà definitia “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>spersonalizzante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può svolgersi davanti al GO, non sembra ravvisabile per le SSUU la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, inaugurato dalle SSUU stesse, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">E l'autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor più netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da parte del giudice ordinario ai fini di cui all'art. 2043 c.c., di un criterio di imputazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimità dell'azione amministrativa (a differenza di quanto è avvenuto nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata e dichiarata dal GA, il GO ben potrà quindi per la Corte in ogni caso svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l'illecito, poiché l'illegittimità dell'azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., il cui accertamento viene appunto demandato al GO.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2001</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 14 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3169 alla cui stregua – sulla scorta della giurisprudenza europea - può certamente predicarsi (anche sul crinale soggettivo) una responsabilità della PA al cospetto di una violazione grave di norme giuridiche che ne affetta il provvedimento considerato. Il Collegio abbraccia dunque, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, una nozione di colpa tendenzialmente oggettiva, onde ad una illegittimità grave del provvedimento adottato corrisponde appunto una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione che lo ha posto in essere.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Se dunque la violazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> l'effetto di un errore scusabile dell'Autorit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, per il Collegio non si configura il requisito della colpa della PA; se, all’opposto,la violazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex parte publica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> appare grave e se matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'Amministrazione sono formulabili addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il ridetto requisito della colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dirsi sussistente.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 6 agosto esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4239 onde il riferimento alla violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione di cui alla sentenza 500.99 non è scevro da margini di ambiguità, stante l’attitudine di siffatta violazione ad implicare l’illegittimità dell’atto, con conseguente rischio di una sovrapposizione tra l’accertamento della colpa della PA e quello della illegittimità dell’atto amministrativo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Particolarmente pericoloso viene assunto il riferimento alla c.d. buona amministrazione, quale principio dalla cui violazione discenderebbe la colpa pubblica, stante la possibilità che una responsabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colposa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della PA possa discendere anche solo da un atto inopportuno, lambendo dunque il merito della discrezionalità amministrativa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Dal punto di vista poi del centro cui imputare la responsabilità, non appare ben definito il concetto di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>apparato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” amministrativo, dacché tale apparato può violare i principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione tanto a cagione di proprie disfunzionalità endogene (difettano controlli interni; viene mal gestito il personale), quanto per fattori di carattere esogeno e, dunque, esterni all’apparato pubblico stesso (assenza di indirizzi gestionali, carenze di organico etc.). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Onde se “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>apparato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” è il singolo organo pubblico che ha agito in violazione dei ridetti canoni, esso potrebbe essere del tutto incolpevole, mentre una colpa potrebbe semmai imputarsi all’”</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>apparato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” inteso come coacervo degli organismi pubblici coinvolti nell’esercizio di un determinato potere, del pari pubblico. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2004</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 12 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1261 alla cui stregua non è corretto limitare le fattispecie di configurabilità di una colpa della PA alle sole ipotesi di violazione grave da essa perpetrata, e ciò oltre che per la circostanza onde difetta una base normativa che giustifichi tale limitazione, anche per la considerazione per cui anche tipologie di vizio oggettivamente meno gravi possono talvolta far affiorare la ridetta colpa della PA.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Tale colpa va riferita per il Collegio al processo generativo dell’atto illegittimo, nonché alla relativa attitudine a pregiudicare gli affidamenti dei privati; non già alla eventuale difformità (più o meno consistente) del singolo provvedimento dai parametri normativi che governano l’esercizio del potere pubblico.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2005</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 10 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.32 che ribadisce la posizione espressa dalla sentenza delle SSUU 500.99 in ordine alla configurabilità in capo alla PA di una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa apparato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, laddove l’adozione e l’esecuzione di un atto illegittimo siano avvenute in violazione delle regole dell’imparzialità, della correttezza e della buona amministrazione, cui l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice (dopo la legge 205.00, ormai il GA) ben può sindacare, configurando limiti esterni alla discrezionalità della PA medesima.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 21 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.20358 che ribadisce la posizione espressa dalla sentenza delle SSUU 500.99 in ordine alla configurabilità in capo alla PA di una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa apparato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, laddove l’adozione e l’esecuzione di un atto illegittimo siano avvenute in violazione delle regole dell’imparzialità, della correttezza e della buona amministrazione, cui l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice (dopo la legge 205.00, ormai il GA) ben può sindacare, configurando limiti esterni alla discrezionalità della PA medesima.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2006</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 7 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Abruzzo, Pescara, n.691 alla cui stregua sussiste il requisito della colpa della PA, necessario per il risarcimento dei danni scaturenti dall’adozione di un provvedimento illegittimo, allorquando l’Amministrazione, quale organizzazione funzionale e qualificata, abbia violato, oltre ai canoni di buona gestione, uno specifico adempimento previsto dall’autoregolamentazione all’uopo datasi.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 9 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6607 onde – a differenza di altro orientamento pretorio alla cui stregua la grave violazione di legge perpetrata dalla P.A. assume valenza determinante per l'attribuzione de!la colpa, sicch</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">é</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> mai pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> configurarsi colpa in caso di violazione non grave - l'illegittimit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dell’atto costituisce piuttosto mero indice presuntivo di colpa, da valutarsi </span><span style="font-family: Times New Roman, serif;">—</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ai sensi degli artt. 2727 e 2729 </span><span style="font-family: Times New Roman, serif;">—</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">in concorso con altri fattori; consegue che la colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ritenersi sussistente anche in ipotesi di violazioni lievi o non macroscopiche.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2008</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 4 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.890 alla cui stregua va assunta interrotta l'imputazione giuridica dell'attività posta in essere da un organo della Pubblica Amministrazione nei casi di atti adottati in ambienti collusivi penalmente rilevanti.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 17 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5100 onde, massime al cospetto di illegittimit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> plateali </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex parte publica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, il privato danneggiato pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> anche solo limitarsi ad allegare l'illegittimit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dell'atto amministrativo, presuntivamente indicativa della violazione di parametri che, nella generalità dei casi, sono sintomatici della sussistenza di una colpa della PA, alla quale spetter</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> invece vincere e superare la presunzione cosi introdotta nel processo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, l’acclarata illegittimità (quand’anche non macroscopica) dell’atto amministrativo reca seco una presunzione relativa di colpa dell’Amministrazione alla quale incombe l’onere della prova contraria avente ad oggetto l’essere incorsa in un errore “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>incolpevole</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 24 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6538 alla cui stregua – sulla scorta della giurisprudenza europea - può certamente predicarsi (anche sul crinale soggettivo) una responsabilità della PA al cospetto di una violazione grave di norme giuridiche che ne affetti il provvedimento di volta in volta considerato. Il Collegio abbraccia dunque, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, una nozione di colpa tendenzialmente oggettiva, onde ad una illegittimità grave del provvedimento adottato corrisponde appunto una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione che lo ha posto in essere.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La valutazione di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>gravit</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>à</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” del contegno pubblico deve essere operata considerando i vizi che inficiano il provvedimento, le valutazioni discrezionali rimesse all'organo che lo ha adottato, i precedenti della giurisprudenza, le condizioni concrete che hanno circondato l’adozione del provvedimento medesimo e l'apporto che i privati abbiano eventualmente offerto nel pertinente procedimento.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2009</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 18 giugno viene varata la legge n.69, recante disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile, il cui art.7, comma 1, lettera c) inserisce nella legge 241.90 un articolo 2.bis rubricato “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, alla cui stregua (comma 1) le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono (genericamente e in modo, almeno all’apparenza, onnicomprensivo) tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e (comma 2) le pertinenti controversie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con prescrizione del pertinente diritto al risarcimento del danno fissata in 5 anni. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La norma – che richiama esplicitamente tanto il dolo quanto la colpa, assumendoli come elementi imprescindibili della fattispecie pertinente - sembra prevedere la risarcibilità anche del danno da “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>mero ritardo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, prodottosi in conseguenza della mancata adozione nei termini di un provvedimento della PA quale che sia, e dunque anche sfavorevole per il privato in termini di concreta spettanza dell’anelato bene della vita.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2010</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 16 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3672, che – con foggia generalizzante - assume l’ente pubblico committente di un appalto direttamente responsabile della condotta, quand’anche dolosa, dei propri organi che fanno luogo alla procedura di aggiudicazione e di approvazione del pertinente contratto, allorché ne scaturisca la violazione della normativa che disciplina la corretta determinazione del prezzo dei lavori di un’opera pubblica assegnata a mezzo licitazione privata.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, anche dinanzi a fenomeni concussivi o corruttivi, non può essere esclusa la sussistenza di un rapporto di occasionalità necessaria tra l’attività del dipendente e l’evento lesivo a danno del privato in presenza dell’eventuale abuso compiuto dal primo o dell’illegittimità anche penale del relativo operato, qualora la condotta del ridetto dipendente si innesti comunque nel meccanismo dell’attività complessiva dell’ente di appartenenza, sì che il riferimento della condotta del dipendente in parola alla PA può venir meno solo quando egli agisca come semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico ed il relativo comportamento non sia perciò diretto al conseguimento di fini istituzionali che, in quanto propri dell’Amministrazione, possono anche considerarsi propri dell’ufficio nel quale il dipendente stesso è inserito.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 12 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1467 alla cui stregua – con orientamento tutt’affatto minoritario – la responsabilità della PA si configura come “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>contrattuale da contatto sociale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”; ne consegue sul crinale probatorio che il privato che agisca per ottenere il risarcimento dei danni scaturenti da un atto illegittimo dell’Amministrazione deve solo provare, ai sensi dell’art.1218 c.c., il titolo del proprio diritto al risarcimento ed il danno che lo presuppone, dovendo solo allegare l’inadempimento della PA, la quale ultima sarà invece tenuta a provare che l’illegittimità del provvedimento non è dipesa da propria colpa, invocando particolari circostanze di assenza, oscurità o repentino mutamento dell’assetto normativo del quale ha fatto applicazione, ovvero di contrasti di giurisprudenza in ordine alla relativa interpretazione.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 27 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2384 alla cui stregua – pur dovendosi riaffermare la natura aquiliana della responsabilità della PA – l’onere probatorio gravante in capo al privato va limitato alla dimostrazione della illegittimità del pertinente provvedimento, quale elemento di prova che integra il principio dispositivo con onere acquisitivo, dovendosi rimettere alla PA l'onere di provare di essere esente da responsabilità, in considerazione dell'assenza, dell'oscurit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o della sovrabbondanza della normativa in materia, del repentino mutamento della stessa, dell'assenza di orientamenti giurisprudenziali univoci o della speciale complessit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della questione oggetto di spendita del pertinente potere.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, nuovo codice del processo amministrativo, il cui art.30 supera la c.d. pregiudiziale amministrativa sia con riguardo all’annullamento dell’atto (pregiudiziale, appunto, rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni prodotti dall’atto stesso), sia con riguardo alla illegittimità del “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>silenzio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione (rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni prodotti dal ritardo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex parte publica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che da quel “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>silenzio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” è scaturito). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L'art. 4, comma 1, n. 14) dell'Allegato 4 del codice abroga poi il comma 2 dell'art. 2-bis della legge 241.90, riaffermando la giurisdizione esclusiva del GA sui danni da ritardo all’art.133, comma 1, lettera a) n.1, che devolve appunto alla giurisdizione esclusiva del GA le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo, senza che tuttavia l’art.30 del medesimo codice riproduca anche il termine di prescrizione quinquennale per la domanda di risarcimento dei danni cagionati dal ritardo, già previsto dall’ormai integralmente abrogato art.2.bis, comma 2, della legge 241.90.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 30 settembre esce la sentenza della III sezione della Corte di Giustizia europea, causa C-314/09, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Stadt Graz / Austria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in tema di Direttiva 89/665/CEE (c.d. prima Direttiva Ricorsi), appalti pubblici, procedure di ricorso per risarcimento danni da aggiudicazione illegittima, e natura anti-europea della norma nazionale sulla responsabilità che si fondi su di una presunzione di colpevolezza dell’Amministrazione aggiudicatrice.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per la Corte, più nel dettaglio, la ridetta Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, se la direttiva 89/665 debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, qualora l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">A questo proposito, per la Corte occorre anzitutto rilevare che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire l’esistenza di procedure di ricorso efficaci e, in particolare, quanto più rapide possibili contro le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici che abbiano «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>violato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">» il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o le norme nazionali di trasposizione di quest’ultimo. Il terzo ‘</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>considerando’</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della citata direttiva sottolinea, per parte sua, la necessità che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>violazione</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">» del diritto o delle norme suddetti. Per quanto riguarda, in particolare, il mezzo di ricorso inteso ad ottenere il risarcimento dei danni, l’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 stabilisce che gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui all’art. 1 della medesima direttiva prevedano i poteri che permettano di accordare tale risarcimento ai soggetti lesi da una violazione. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Tuttavia, chiosa ancora la Corte, la direttiva 89/665 stabilisce solamente i requisiti minimi che le procedure di ricorso istituite negli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare al fine di garantire l’osservanza delle prescrizioni del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici (v., in particolare, sentenze 27 febbraio 2003, causa C‑327/00, Santex, e 19 giugno 2003, causa C‑315/01, GAT). In mancanza di una disposizione specifica in merito, spetta quindi all’ordinamento giuridico interno di ogni Stato membro determinare le misure necessarie per garantire che le procedure di ricorso consentano effettivamente di accordare un risarcimento ai soggetti lesi da una violazione della normativa sugli appalti pubblici (v., per analogia, sentenza GAT, cit., punto 46). Pertanto, se indubbiamente l’attuazione dell’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 rientra, in linea di principio, nell’autonomia procedurale degli Stati membri, delimitata dai principi di equivalenza e di effettività, occorre nondimeno verificare se la norma suddetta, interpretata alla luce del contesto e dell’obiettivo generali nei quali si inscrive il mezzo di ricorso inteso al riconoscimento di un risarcimento, osti a che una disposizione nazionale quale quella in questione nella causa principale subordini la concessione di tale risarcimento al carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’amministrazione aggiudicatrice.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">A questo proposito, prosegue la Corte, è importante rilevare, anzitutto, che il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, 5 e 6, nonché del sesto ‘</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>considerando’</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della direttiva 89/665 non indica in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una colpa, comprovata o presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilità. Tale analisi risulta corroborata dal contesto e dall’obiettivo generali del mezzo di ricorso inteso al riconoscimento di un risarcimento, previsto dalla direttiva 89/665. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, gli Stati membri, pur essendo tenuti a prevedere mezzi di ricorso che consentano di ottenere l’annullamento di una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice contraria alla normativa sugli appalti pubblici, sono legittimati, in vista dell’obiettivo di celerità perseguito dalla direttiva 89/665, a prevedere per questo tipo di ricorsi termini ragionevoli da osservarsi a pena di decadenza, e ciò per evitare che i candidati e gli offerenti possano in qualsiasi momento allegare violazioni della normativa suddetta, obbligando così l’amministrazione aggiudicatrice a riprendere l’intera procedura al fine di rimediare a tali violazioni (v. in tal senso, in particolare, sentenze 12 dicembre 2002, causa C‑470/99, Universale‑Bau e a.; Santex, cit., punti 51 e 52; 11 ottobre 2007, causa C‑241/06, Lämmerzahl, nonché 28 gennaio 2010, causa C‑406/08, Uniplex (UK).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Inoltre, l’art. 2, n. 6, secondo comma, della direttiva 89/665 riconosce agli Stati membri la facoltà di prevedere che, dopo la conclusione del contratto successiva all’aggiudicazione dell’appalto, i poteri dell’organo responsabile delle procedure di ricorso siano limitati alla concessione di un risarcimento. In tale contesto, il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 può costituire, se del caso, un’alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività, sotteso all’obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla citata direttiva [v. in tal senso, in particolare, sentenza Uniplex (UK), cit., punto 40], soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata – così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1 – alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Come rilevato dalla Commissione europea, prosegue ancora la Corte, poco importa al riguardo che, a differenza della normativa nazionale esaminata nella citata sentenza 14 ottobre 2004, Commissione/Portogallo, la disciplina in questione nel presente procedimento non faccia gravare sul soggetto leso l’onere della prova dell’esistenza di una colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, bensì imponga a quest’ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, limitando i motivi invocabili a tal fine. Infatti, quest’ultima normativa genera anch’essa il rischio che l’offerente pregiudicato da una decisione illegittima di un’amministrazione aggiudicatrice venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui l’Amministrazione suddetta riesca a vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante. Orbene, secondo quanto risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, e così come confermato dalle discussioni svoltesi all’udienza, una simile eventualità non risulta esclusa nel caso di specie, tenuto conto della possibilità per la Stadt Graz di invocare il carattere scusabile dell’errore di diritto da essa asseritamente commesso, a motivo dell’intervento della decisione 10 giugno 1999 del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Vergabekontrollsenat des Landes Steiermark</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, che ha rigettato il ricorso delle società Strabag e a.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Quanto meno, l’offerente suddetto corre il rischio, in virtù di questa stessa normativa, di ottenere un risarcimento soltanto tardivamente, considerata la lunghezza dei tempi che possono rendersi necessari per un procedimento civile inteso all’accertamento del carattere colpevole della violazione lamentata. Orbene, nell’uno e nell’altro caso, la situazione sarebbe contraria all’obiettivo della direttiva 89/665, enunciato all’art. 1, n. 1, ed al terzo ‘</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>considerando’</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di quest’ultima, consistente nel garantire l’esistenza di mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici in violazione della normativa sugli appalti pubblici.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Va poi sottolineato – chiosa ancora la Corte - che, anche supponendo che, nel presente caso, la Stadt Graz possa aver ritenuto, nel giugno 1999, di essere obbligata, in considerazione dell’obiettivo di efficacia inerente allo svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, a dare immediatamente esecuzione alla decisione 10 giugno 1999 del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Vergabekontrollsenat des Landes Steiermark</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, senza attendere la scadenza del termine previsto per l’impugnazione di tale decisione, resta il fatto che, come evidenziato dalla Commissione all’udienza, l’accertamento della fondatezza di una domanda di risarcimento proposta dall’offerente pretermesso a seguito dell’annullamento di tale decisione da parte di un giudice amministrativo non può, per parte sua, essere subordinato – in contrasto con il tenore, l’economia sistematica e la finalità delle disposizioni della direttiva 89/665 contemplanti il diritto ad ottenere tale risarcimento – ad una valutazione del carattere colpevole del comportamento dell’amministrazione aggiudicatrice chiamata in causa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione dichiarando che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata. Tenuto conto della risposta fornita alla prima questione, non è necessario risolvere le altre due questioni sollevate.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In sostanza dunque per la Corte di Giustizia il rimedio risarcitorio messo a disposizione del ricorrente (interlocutore pretermesso) deve essere realmente e concretamente alternativo a quello in forma specifica, massime in termini di relativa celerità ed effettività della pertinente tutela, ed </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>a fortiori</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dove nell’ordinamento del singolo Stato membro sia prevista la conservazione del contratto pur al cospetto della acclarata illegittimità della previa aggiudicazione al terzo; celerità ed effettività che finiscono con l’essere obliterate laddove il risarcimento del danno (tutela per equivalente, alternativa a quella in forma specifica) sia subordinato alla prova della colpa della PA o, comunque, alla possibilità per quest’ultima di provare il proprio difetto di colpa.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 22 dicembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.25982 alla cui stregua quando il danno inferto al privato derivi non già dall’adozione di un provvedimento illegittimo, quanto piuttosto e più in generale da un contegno della PA, globalmente inteso, di tipo negligente od omissivo, come nelle ipotesi di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>culpa in vigilando</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>culpa</i></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in eligendo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, con lesione del canone del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>neminem laedere</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in misura tutt’affatto sganciata dall’esercizio o dal mancato esercizio di un potere amministrativo a carattere obbligatorio ex art.30, comma 2, c.p.a., va dichiarato il difetto di giurisdizione del GA in ordine alla pertinente domanda del privato danneggiato giacché in simili ipotesi il pregiudizio discende non già dall’illegittimità di un atto amministrativo (adottato o non adottato) quanto piuttosto, per l’appunto, da un più generale contegno negligente della PA, da ricondursi alla figura della c.d. colpa generica.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2011</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 24 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1184 che si pone nel solco della giurisprudenza, ormai minoritaria dopo la presa di posizione della Corte di Giustizia UE, alla cui stregua anche in materia di appalti la PA incorre in responsabilità solo laddove ne affiori l’elemento soggettivo del pertinente illecito (segnatamente, la colpa).</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 24 novembre esce la sentenza della III sezione della Corte di Giustizia europea in causa C-379/10 </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Commissione / Repubblica italiana</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, che si occupa di verificare se la normativa italiana in tema di responsabilità dei magistrati – segnatamente, l’art.2 della legge 117.88 – sia o meno compatibile con il principio della responsabilità dello Stato membro in caso di violazione del diritto unionale da parte di magistrati di ultima istanza del ridetto Stato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per la Corte tale disciplina, laddove subordina la responsabilità dello Stato di appartenenza alla prova del dolo o della colpa grave del magistrato agente finisce col porsi in frizione con la nozione euro unitaria di responsabilità, cui è sotteso un criterio di imputazione rigorosamente oggettivo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Si tratta di una pronuncia importante laddove sembra “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>estendere</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” in qualche modo il principio della responsabilità oggettiva dello Stato apparato, e dunque anche della PA, al di fuori del limitato settore degli appalti pubblici.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2012</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 31 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.482 onde, anche se la giurisprudenza interna insiste nel voler rintracciare, nei casi di responsabilità della PA, anche l’elemento soggettivo della colpa (o del dolo), ciò non implica giocoforza una violazione dei pertinenti canoni del diritto unionale, avendo la giurisprudenza sovranazionale da sempre affermato che la responsabilità nei singoli casi concreti va accertata dal giudice nazionale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per questo motivo, per il Collegio è del tutto ragionevole che i principi elaborati dalla Corte in termini di irrilevanza strutturale della colpa debbano rimanere circoscritti al solo ambito degli appalti pubblici, non potendo essere estesi in generale alla responsabilità della PA anche in settori diversi, dacché è solo con riguardo agli appalti pubblici che il diritto unionale è in grado di condizionare, avendolo fatto esplicitamente, il giudice interno quanto a strutturale non imprescindibilità della colpa pubblica.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 28 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3149, onde l’accertata illegittimità dei provvedimenti adottati dalla PA non è elemento di per sé idoneo ad integrare gli estremi della colpa pubblica e del connesso obbligo risarcitorio, dovendo piuttosto intervenire uno scandaglio globale e complessivo del comportamento degli organi intervenuti nel procedimento, alla luce degli elementi qualificanti della fattispecie, al precipuo scopo proprio di individuare il comportamento colposo dell’Amministrazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, necessario presupposto dell’azione risarcitoria del privato è proprio quello della responsabilità per colpa della PA che non può essere ricondotto alla mera inosservanza di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>leggi, regolamenti, ordini e discipline</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” secondo la nozione scolpita all’art.43 c.p., quanto piuttosto alla violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione e dunque a negligenza, omissioni od errori interpretativi che non possono essere assunti “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>scusabili</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 31 maggio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3256 alla cui stregua – sulla scorta della giurisprudenza europea - può certamente predicarsi (anche sul crinale soggettivo) una responsabilità della PA al cospetto di una violazione grave di norme giuridiche che ne affetta il provvedimento considerato. Il Collegio abbraccia dunque, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, una nozione di colpa tendenzialmente oggettiva, onde ad una illegittimità grave del provvedimento adottato corrisponde appunto una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione che lo ha posto in essere.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La valutazione di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>gravit</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>à</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” del contegno pubblico deve essere operata considerando i vizi che inficiano il provvedimento, le valutazioni discrezionali rimesse all'organo che lo ha adottato, i precedenti della giurisprudenza, le condizioni concrete che hanno circondato l’adozione del provvedimento medesimo e l'apporto che i privati abbiano eventualmente offerto nel pertinente procedimento.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio occorre accedere ad una nozione oggettiva di colpa che tenga in debito conto i vizi che affettano il singolo provvedimento oltre che, in linea appunto con le indicazioni della giurisprudenza europea, della concreta gravità della violazione perpetrata dalla PA, oltre che degli altri indici testé menzionati (ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse nel caso di specie all’organo pubblico, precedenti della giurisprudenza, condizioni concrete che hanno fatto da cornice al provvedimento ed apporto dato dai privati al pertinente procedimento).</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 12 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3444 che ribadisce come se la violazione perpetrata dalla PA </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> l'effetto di un errore scusabile dell'Autorit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> competente, non si configura il requisito della colpa della PA medesima; se, all’opposto, la violazione appare grave e se matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'Amministrazione sono formulabili addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il ridetto requisito della colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dirsi sussistente.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 3 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3888 che ribadisce come se la violazione perpetrata dalla PA </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> l'effetto di un errore scusabile dell'Autorit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> competente, non si configura il requisito della colpa della PA medesima; se, all’opposto,la violazione appare grave e se matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'Amministrazione sono formulabili addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il ridetto requisito della colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dirsi sussistente.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 10 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4089 che si pone nel solco della giurisprudenza, ormai minoritaria dopo la presa di posizione della Corte di Giustizia UE, alla cui stregua - anche in materia di appalti - la PA incorre in responsabilità solo laddove ne affiori l’elemento soggettivo del pertinente illecito (segnatamente, la colpa).</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 31 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4337che ribadisce come se la violazione perpetrata dalla PA </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> l'effetto di un errore scusabile dell'Autorit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> competente, non si configura il requisito della colpa della PA medesima; se, all’opposto,la violazione appare grave e se matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'Amministrazione sono formulabili addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il ridetto requisito della colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dirsi sussistente.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*L’11 agosto esce la sentenza della sezione I del Tar Calabria, Reggio Calabria, n.536, alla cui stregua va assunta interrotta l'imputazione giuridica dell'attività posta in essere da un organo della Pubblica Amministrazione nei casi di atti adottati in ambienti collusivi penalmente rilevanti.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 19 settembre esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia, Lecce, n.1544 alla cui stregua la colpa della PA non può essere ricondotta </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tout court</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> alla mera "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" ex 43 c.p., compendiandosi piuttosto,ed in termini pi</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ù</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ampi, nella violazione dei canoni di imparzialit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, correttezza e buona amministrazione,ovvero in negligenze, omissioni o anche errori interpretativi di norme da assumersi non scusabili.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5686 alla cui stregua in materia di appalti pubblici la responsabilità della PA per avere adottato provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi ha carattere oggettivo ed è sottratta, come tale, ad ogni possibile esimente perché derivante dal principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore appunto degli appalti pubblici.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2013</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 16 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.240 che si inserisce nel filone pretorio orientato a raccogliere e far propria la posizione della giurisprudenza unionale in ordine alla natura sostanzialmente oggettiva della PA laddove il danno sia stato prodotto al privato (aspirante interlocutore) a valle di una violazione della disciplina in materia di appalti pubblici, e dunque in sostanza a valle di una gara per l’affidamento di un appalto pubblico.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 18 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.966 alla cui stregua in materia di appalti pubblici la responsabilità della PA per avere adottato provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi ha carattere oggettivo ed è sottratta, come tale, ad ogni possibile esimente perché derivante dal principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore appunto degli appalti pubblici.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 25 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3437 alla cui stregua la regola europea della responsabilità della PA in tema di appalti pubblici, stando alla quale ai fini del risarcimento del danno è indifferente che il provvedimento illegittimo sia o meno il precipitato di un dolo o di una colpa della PA medesima non può ritenersi applicabile ai soli appalti di rilevanza europea, dacché esso fa applicazione dei principi unionali in tema di effettività della tutela, dovendosi estendere all’intero settore degli appalti pubblici, compresi dunque quelli non a rilevanza europea.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 25 luglio esce la sentenza della Sezione I del Tar Sicilia, Catania, n.2166 alla cui stregua va assunta interrotta l'imputazione giuridica dell'attività posta in essere da un organo della Pubblica Amministrazione allorché il soggetto agente, legato alla P.A. da un rapporto di immedesimazione organica, abbia posto in essere il provvedimento amministrativo, frutto del reato contro la P.A., nell'ambito di un disegno criminoso e quindi perseguendo un interesse personale del tutto avulso dalle finalità istituzionali dell'Ente </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, in queste ipotesi il venir meno dell'imputabilità dell'atto all'Amministrazione, per interruzione del rapporto organico, determina la nullità dell'atto stesso, per mancanza di uno degli «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>elementi essenziali</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">» - ex art. 21 septies, I. n. 241 del 1990 - individuabile nel soggetto o per mancanza di volontà in capo alla stessa P.A., escludendosi che l'atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>de quo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> possa dirsi posto in essere da una P.A. nell'esplicazione di un'attività amministrativa. </span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 6 settembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.20571 alla cui stregua quando il danno inferto al privato derivi non già dall’adozione di un provvedimento illegittimo, quanto piuttosto e più in generale da un contegno della PA, globalmente inteso, di tipo negligente od omissivo, come nelle ipotesi di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>culpa in vigilando</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>culpa</i></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in eligendo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, con lesione del canone del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>neminem laedere</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in misura tutt’affatto sganciata dall’esercizio o dal mancato esercizio di un potere amministrativo a carattere obbligatorio ex art.30, comma 2, c.p.a., va dichiarato il difetto di giurisdizione del GA in ordine alla pertinente domanda del privato danneggiato giacché in simili ipotesi il pregiudizio discende non già dall’illegittimità di un atto amministrativo (adottato o non adottato) quanto piuttosto, per l’appunto, da un più generale contegno negligente della PA, da ricondursi alla figura della c.d. colpa generica.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2014</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 27 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1478 che si inserisce nel filone pretorio orientato a raccogliere e far propria la posizione della giurisprudenza unionale in ordine alla natura sostanzialmente oggettiva della PA laddove il danno sia stato prodotto al privato (aspirante interlocutore) a valle di una violazione della disciplina in materia di appalti pubblici, e dunque in sostanza a valle di una gara per l’affidamento di un appalto pubblico.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*L’8 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1672 che si inserisce nel filone pretorio orientato a raccogliere e far propria la posizione della giurisprudenza unionale in ordine alla natura sostanzialmente oggettiva della PA laddove il danno sia stato prodotto al privato (aspirante interlocutore) a valle di una violazione della disciplina in materia di appalti pubblici, e dunque in sostanza a valle di una gara per l’affidamento di un appalto pubblico.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 20 maggio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2590 che ribadisce come se la violazione perpetrata dalla PA </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> l'effetto di un errore scusabile dell'Autorit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> competente, non si configura il requisito della colpa della PA; se, all’opposto, la violazione appare grave e se matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'Amministrazione sono formulabili addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il ridetto requisito della colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dirsi sussistente.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 10 luglio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3526 che ribadisce come se la violazione perpetrata dalla PA </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> l'effetto di un errore scusabile dell'Autorit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> competente, non si configura il requisito della colpa della PA; se, all’opposto, la violazione appare grave e se matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'Amministrazione sono formulabili addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il ridetto requisito della colpa pu</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ò</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dirsi sussistente.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 14 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5600 alla cui stregua va assunta interrotta l'imputazione giuridica dell'attività posta in essere da un organo della Pubblica Amministrazione nei casi in cui siano posti in essere fatti di reato.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 4 dicembre esce la sentenza della sezione III ter del Tar Lazio n.12232 alla cui stregua – nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato – al fine di poter riconoscere la responsabilità civile della PA non è sufficiente l’illegittimità dell’azione amministrativa, dovendo anche accertarsi il nesso di causalità e l’elemento soggettivo, in termini di colpa o di dolo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, solo laddove il procedimento attenga all’aggiudicazione di appalti pubblici è possibile prescindere dall’elemento soggettivo, senza che il risarcimento del danno possa essere subordinato al carattere colpevole della violazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex parte publica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> delle norme che presidiano alla gara ed all’aggiudicazione, trattandosi di una deroga al generale principio della responsabilità colpevole siccome introdotta dalla Corte di Giustizia nel 2010 limitatamente appunto al settore dei contratti pubblici, alla quale non può riconoscersi veruna </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>vis expansiva</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in relazione ad ambiti diversi.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2015</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 20 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.143 che pare escludere la persistenza di un rapporto di immedesimazione organica con la PA di appartenenza – dovendolo all’opposto assumere interrotto – allorché sia stata accertata in via definitiva la responsabilità penale di un dipendente pubblico.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, sotto altro profilo, le condotte illecite – quand’anche penalmente rilevanti – di funzionari pubblici, poste in essere nell’esercizio delle loro funzioni, non producono automaticamente ed </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex se</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> la illegittimità degli atti amministrativi da questi adottati per “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>violazione di legge</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” nell’ambito del pertinente procedimento; può in simili fattispecie al limite affiorare un vizio di eccesso di potere per sviamento, purché tale vizio trovi una epifania negli atti impugnati, giusto affiorare di una o più delle relative figure sintomatiche.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 6 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.19883 che – con orientamento rigoroso – assume applicabile alla PA il canone della diligenza professionale di cui all’art.1176, comma 2, c.c., onde, quand’anche occorra accertare la colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>aquiliana</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione, essa va valutata stabilendo come si sarebbe ipoteticamente comportata – al ricorrere delle medesime circostanze di cui alla concreta fattispecie – una Amministrazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>diligente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” per poi procedere a confrontare tale prototipo astratto di condotta pubblica con quella in concreto tenuta dalla singola PA agente.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, il combinato disposto dell’art.97 Cost. e dell’art.1176, comma 2, c.c. disegnano un modello di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Amministrazione virtuosa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” perché “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>efficiente, zelante, solerte e che conosca ed applichi la legge</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, al quale va confrontata l’azione di ogni singola PA agente, quand’anche sul crinale provvedimentale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio in sostanza l’art.2043 stabilisce che ciascuno è responsabile del danno causato ad altri con una condotta colposa o dolosa; più nel dettaglio, la colpa civile di cui all’art.2043 c.c. consiste nella deviazione da una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>regola di condotta</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, intendendosi per tale non già solo una norma giuridica, ma anche qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante. Stabilire se questi abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è accertamento che va compiuto alla stregua dell’art.1176 c.c., da assumersi pacificamente applicabile anche alle fattispecie di responsabilità extracontrattuale, laddove impone al debitore di adempiere alla propria obbligazione con diligenza; tale diligenza è nozione che rappresenta l’inverso logico della nozione di colpa, onde è in colpa chi non è stato diligente, mentre in chi è stato diligente va esclusa la colpa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ne consegue per il Collegio che l’autore di un illecito non può essere assunto, per ciò solo, in colpa, sussistendo quest’ultima nel solo caso in cui il responsabile non solo abbia causato un danno, ma lo abbia fatto violando norme giuridiche o di comune prudenza, queste ultime non potendosi considerare le medesime per tutti.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Le norme di comune prudenza dalla cui violazione può scaturire una colpa civile – chiosa ancora la Corte - non sono uguali per tutti. Nel caso di inadempimento di obbligazioni comuni, ovvero di danni causati nello svolgimento di attività non professionali, il primo comma dell'art. 1176 c.c. impone di assumere a parametro di valutazione della condotta del responsabile il comportamento che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, il "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>cittadino medio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", ovvero il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>bonus paterfamilias</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: vale a dire la persona di normale avvedutezza, formazione e scolarità. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nel caso, invece, di inadempimento di obbligazioni professionali, ovvero di danni causati nell'esercizio d'una attività "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>professionale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" in senso ampio, il secondo comma dell'art. 1176 c.c. prescrive un criterio più rigoroso di accertamento della colpa. Il "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>professionista</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", infatti, è in colpa non solo quando tenga una condotta difforme da quella che, idealmente, avrebbe tenuto nelle medesime circostanze il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>bonus paterfamilias</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; ma anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto, al suo posto, un ideale professionista "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>medio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" (il c.d. </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>homo eiusdem generis et condicionis</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">). L'ideale "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>professionista medio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., nella giurisprudenza della Corte, non è un professionista "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>mediocre</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", ma è un professionista "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>bravo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">": ovvero serio, preparato, zelante, efficiente. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La regola di valutazione della colpa dettata dall'art. 1176, comma 2, c.c., si applica per il Collegio anche alla PA. Essa infatti è norma generale dell'intero sistema delle obbligazioni, e detta un criterio suscettibile di applicazione in qualsiasi ipotesi di inadempimento o di responsabilità aquiliana. Per stabilire, dunque, se una PA abbia o meno tenuto una condotta colposa, occorre confrontare la condotta da questa concretamente tenuta con la condotta che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto l'</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>homo eiusdem generis et condicionis</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: vale a dire una PA che: (a) rispetta la legge (art. 1, comma 1, I. 7.8.1990 n. 241); (b) agisce in modo efficiente e senza inutili aggravi per i cittadini (art. 1, commi 1 e 2, legge 7.8.1990 n. 241); (c) non perde tempo, non si balocca e agisce a ragion veduta (art. 97 cost.); (d) è composta di funzionari preparati, efficienti, prudenti e zelanti (art. 98 cost.). Questo, dunque, è il modello astratto di "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>pubblica amministrazione</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" e di "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>pubblico impiegato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" cui per il Collegio, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., la Corte d'appello avrebbe dovuto comparare nel caso di specie la condotta concretamente tenuta dal Comune di P. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La ridetta Corte d'appello ha accertato in fatto che il Comune di P. con provvedimento del 16.10.1982 annullò la concessione edilizia rilasciata a X e Y due anni prima, perché difforme dalle prescrizioni del Piano Regolatore. In seguito il GA accertò che all'epoca dell'adozione del provvedimento di annullamento della concessione edilizia, il Piano Regolatore non era ancora divenuto efficace, non essendosi esaurito il relativo procedimento di approvazione. Qualsiasi PA "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>efficiente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", ai sensi dell'art. 97 cost. e per i fini di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., non può non conoscere la legge. Se questa non ammette ignoranza da parte degli amministrati, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>a fortiori</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sarà l'ignoranza della legge intollerabile in un amministratore. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ora, appare sorprendente per la Corte che una amministrazione comunale possa non sapere se il Piano Regolatore che disciplina l'uso del proprio territorio sia vigente o meno, sia approvato o meno, sia conforme o meno alle concessioni edilizie che essa stessa rilascia; così come appare sorprendente che una PA, dopo avere rilasciato una concessione, attenda 2 anni e 4 mesi prima di avvedersi che essa non è conforme al Piano Regolatore. Pertanto, una volta accertato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in facto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che il Comune di P. aveva annullato la concessione edilizia per contrarietà ad un Piano Regolatore mai entrato in vigore, ne sarebbe dovuto seguire </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in iure</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> un giudizio di difformità della condotta del Comune di P. da quello che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, l'amministratore "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>medio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" di cui all'art. 1176, comma 2, c.c.. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Dunque la Corte d'appello, ritenendo "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>scusabile</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" che un Comune ignori l'esistenza e l'efficacia del Piano Regolatore del suo stesso territorio, ha per il Collegio effettivamente violato l'art. 1176 c.c. e, di conseguenza, l'art. 2043 c.c., avendo adottato un criterio di valutazione della colpa difforme da quello prescritto dalla legge. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Considerazioni analoghe – prosegue il Collegio - debbono essere svolte rispetto a quella parte della sentenza impugnata che ha ritenuto "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>non colposa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", da parte del Comune, l'adozione d'un provvedimento di decadenza dalla concessione edilizia, motivato con l'inutile decorso del termine ivi previsto per l'ultimazione dei lavori. Quel provvedimento fu ritenuto illegittimo dal GA in base al rilievo che il protrarsi dei lavori fu dovuto proprio ai provvedimenti di annullamento e sospensione adottati nei due anni precedenti dal Comune di P.. Cionondimeno, la Corte d'appello ha ritenuto scusabile la relativa adozione da parte della p.a., in base al rilievo in diritto che il provvedimento di decadenza dalla concessione doveva essere emesso per il solo fatto dello spirare del termine concesso per l'ultimazione dei lavori. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Anche questa affermazione è per il Collegio erronea in diritto. Il provvedimento di decadenza previsto dall'art. 4 legge 28.1.1977 n. 10 non prevedeva affatto che, decorso il termine per l'ultimazione dei lavori edili previsto nella concessione, il titolare di essa ne decadesse </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ipso facto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">. Quella norma infatti era stata sempre interpretata sia dalla Corte, sia dal Consiglio di stato, nel senso che la decadenza è subordinata a due presupposti: (a) il mancato completamento dei lavori; (b) l'inerzia colpevole del titolare della concessione. Inerzia che per definizione non sussiste quando sia stata proprio l'amministrazione ad inibire la prosecuzione delle opere (tra le tante, in tal senso, C. Stato, sez. V, 12-03-1996, n. 256; C. Stato, sez. V, 12-07-1996, n. 864; C. Stato, sez. V, 23-11-1996, n. 1414; C. Stato, sez. V, 06-10-1999, n. 1338; C. Stato, sez. V, 03-02-2000, n, 597). Nel caso di specie risulta essere stato lo stesso Comune di P. ad annullare la concessione prima (nel 1982), ed a sospenderla poi (nel 1983). Esso dunque non poteva ignorare che il ritardo nell'ultimazione dell'opera fosse stato concausato, quanto meno, dalla propria condotta. Anche in questo caso, pertanto, la Corte d'appello ha compiuto una falsa applicazione dell'art. 1176 c.c., ritenendo scusabile una condotta della PA che era invece difforme dal modello di amministrazione "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>diligente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" prescritto dalla norma appena ricordata. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Anche su questo punto, per il Collegio la sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Brescia, la quale nel riesaminare la vicenda viene dal Collegio medesimo chiamata ad applicare il seguente principio di diritto: la diligenza esigibile dalla pubblica amministrazione nel compimento dei propri atti, ivi compresa l'adozione di provvedimenti amministrativi, va valutata col criterio dettato dagli artt. 1176, comma 2, c.c., e 97 cost.: ovvero comparando la condotta tenuta nel caso concreto, con quella che - idealmente - avrebbe tenuto nelle medesime circostanze una amministrazione "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>media</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", per tale intendendosi non già una pubblica amministrazione "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>mediocre</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", ma una pubblica amministrazione efficiente, zelante, solerte e che conosca ed applichi la legge. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2016</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 22 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5621, epifania di quel filone giurisprudenziale che distingue i casi in cui in cui si configuri la violazione di norme espressamente previste a specifico presidio della legittimità dell’atto amministrativo (in termini, sostanzialmente, di colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>specifica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) rispetto alle diverse fattispecie in cui si sia al cospetto di atti dell’Amministrazione formalmente legittimi, e tuttavia adottati in violazione di norme di comune prudenza e diligenza che dovrebbero presiedere anche all’azione pubblica (in termini, sostanzialmente, di colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>generica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, pur dovendosi in ogni caso il fatto illecito imputare ad una PA a titolo (soggettivo) di dolo o di colpa, e pur quest’ultima non potendosi desumere astrattamente dalla mera illegittimità dell’atto amministrativo adottato, nondimeno – quando il provvedimento sia stato accertato illegittimo per violazione di legge, a cagione della mancata osservanza di specifiche disposizioni giuridiche senza che, sul crinale concreto, si ravvisino fatti capaci di escludere la colpa della PA – il giudice deve assumere provata la ridetta colpa (specifica).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ciò per la ragione onde, quando quell’elemento essenziale della fattispecie risarcitoria che è l’illegittimità del provvedimento risulti cagionato da un vizio di violazione di legge strettamente inteso, deve assumersi provata per l’appunto la colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>specifica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della PA, a meno che tale colpa specifica risulti positivamente esclusa da elementi in atti che non consentano di muovere all’Amministrazione verun rimprovero (neanche a titolo di colpa generica, come nel caso in cui non abbia fatto applicazione di determinate norme), ovvero a meno che risultino operare nel caso di specie talune cause di giustificazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Qui il provvedimento illegittimo (per violazione di legge) costituisce – a valle di uno scandaglio giudiziale semplificato – un peculiare indice presuntivo della colpa pubblica, salvo che la PA agente non provi il proprio errore scusabile o comunque la ridetta operatività di talune cause di giustificazione.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 5 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1808 alla cui stregua quando il danno inferto al privato derivi non già dall’adozione di un provvedimento illegittimo, quanto piuttosto e più in generale da un contegno della PA, globalmente inteso, di tipo negligente od omissivo, come nelle ipotesi di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>culpa in vigilando</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>culpa</i></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in eligendo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, con lesione del canone del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>neminem laedere</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in misura tutt’affatto sganciata dall’esercizio o dal mancato esercizio di un potere amministrativo a carattere obbligatorio ex art.30, comma 2, c.p.a., va dichiarato il difetto di giurisdizione del GA in ordine alla pertinente domanda del privato danneggiato giacché in simili ipotesi il pregiudizio discende non già dall’illegittimità di un atto amministrativo (adottato o non adottato) quanto piuttosto, per l’appunto, da un più generale contegno negligente della PA, da ricondursi alla figura della c.d. colpa generica.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2017</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 05 settembre esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.4195 alla cui stregua – pur dovendosi riaffermare la natura aquiliana della responsabilità della PA – l’onere probatorio gravante in capo al privato va limitato alla dimostrazione di illegittimità del pertinente provvedimento, quale elemento di prova che integra il principio dispositivo con onere acquisitivo, dovendosi rimettere alla PA l'onere di provare di essere esente da responsabilità, in considerazione dell'assenza, dell'oscurit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o della sovrabbondanza della normativa in materia, del repentino mutamento della stessa, dell'assenza di orientamenti giurisprudenziali univoci o della speciale complessit</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">à</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della questione oggetto di spendita del pertinente potere.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 17 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4803 che si inserisce nel filone pretorio orientato a raccogliere e far propria la posizione della giurisprudenza unionale in ordine alla natura sostanzialmente oggettiva della PA laddove il danno sia stato prodotto al privato (aspirante interlocutore) a valle di una violazione della disciplina in materia di appalti pubblici, e dunque - in sostanza - a valle di una gara per l’affidamento di un appalto pubblico.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 7 dicembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.29335 alla cui stregua il giudice adito in sede risarcitoria dal privato deve verificare se l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della PA, considerando come tale imputazione non possa avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento, richiedendosi piuttosto una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa dell’Amministrazione che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana e come tale non può reputarsi sussistente </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in re ipsa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2018</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’11 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.114 alla cui stregua – pur dovendosi riaffermare la natura aquiliana della responsabilità della PA – l’onere probatorio gravante in capo al privato va limitato alla dimostrazione di illegittimità del provvedimento, mentre per quanto riguarda l’elemento soggettivo del ridetto illecito aquiliano (dolo o colpa), il privato danneggiato può limitarsi ad invocare la illiceità della condotta tenuta dalla PA quale indice presuntivo della relativa colpa, mentre resta a carico dell’Amministrazione l’onere di provare di essere incorsa in errore scusabile.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 20 febbraio esce la sentenza della sezione I del Tar Puglia, Lecce, n.307 alla cui stregua l’errore scusabile che la PA può provare al fine di escludere la propria responsabilità civile – oltre che errore “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>di diritto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” – può anche essere un errore scusabile “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>di fatto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, massime nel caso in cui la fattispecie le abbia imposto la necessità di valutare dei “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>fatti complessi</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, affinché si possa predicare la presenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria nei confronti della PA non è sufficiente che essa abbia adottato un provvedimento illegittimo, risultando l’accoglimento della domanda risarcitoria subordinato alla verifica da parte del GA – sulla base della documentazione acquisita in atti – della rimproverabilità dell’Amministrazione, che va esclusa ogni qual volta l’illegittimità dell’atto possa essere ricondotta ad un errore scusabile, come nel caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, laddove si tratti di interpretare una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore o, ancora, nelle ipotesi in cui l’illegittimità del provvedimento derivi da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata e così via.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 6 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.3 alla cui stregua un soggetto privato che sia stato attinto da informativa interdittiva antimafia non è come tale “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>capace</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di ricevere un risarcimento del danno, quand’anche abbia avuto successo in un contenzioso con la PA in materia di appalti, laddove è sufficiente la violazione della pertinente normativa per ottenere il risarcimento medesimo senza necessità di provare la colpa pubblica.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Per il Collegio, allorché sia intervenuto un simile provvedimento ai sensi dell’art.67 del decreto legislativo 159.11, il privato che ne sia attinto diventa automaticamente “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>incapace </i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ex lege”, e dunque insuscettibile di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive attive nei confronti della PA, ivi compreso il diritto al risarcimento del danno, stante la onnicomprensiva formulazione dell’art.67 in parola alla cui stregua gli è vietato ricevere contributi, finanziamenti, mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee per lo svolgimento di attività imprenditoriali.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Si tratta di una disposizione che per il Collegio va interpretata estensivamente, ricomprendendo in sé anche somme eventualmente dovute dalla PA a titolo di risarcimento del danno patito, dovendosi impedire ogni e qualsivoglia esborso di matrice pubblicistica in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali. Onde in questa eventualità anche la maggiore facilità di ottenere il risarcimento del danno nella materia degli appalti, giusta non imprescindibilità strutturale della colpa dell’Amministrazione aggiudicatrice, finisce con l’essere sterilizzata dal provvedimento di informativa interdittiva antimafia, che vieta qualsivoglia pertinente esborso.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2019</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 16 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.13246 che si occupa della responsabilità civile della PA e, in particolare, del “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>nesso di occasionalità necessaria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” in una fattispecie di responsabilità del Ministero della Giustizia “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>preponente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” per i danni cagionati dal delitto di peculato del cancelliere che abbia violato i propri doveri di ufficio con finalità egoistiche.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Pertinenti per la risoluzione della questione odiernamente sottoposta alle SSUU – in tema di responsabilità del Ministero della Giustizia per i danni cagionati dal delitto di peculato perpetrato da un cancelliere che abbia violato i propri doveri d’ufficio – sono per il Collegio: </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">- l'art. 28 della Costituzione, per il quale, com'è noto: «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">»; </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">- l'art. 2049 cod. civ., rubricato «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>responsabilità dei padroni e dei committenti</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">», per il quale «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">». </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Sostanzialmente neutri – chiosa ancora il Collegio - ai fini che qui interessano, per il rinvio espresso che operano ai principi ed alle norme vigenti, si rivelano invece alcuni articoli del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), in particolare gli artt. 22 e 23, i cui rispettivi primi commi prevedono: - «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>l'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo. L'azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">»; - «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>è danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">». </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">È noto, prosegue la Corte, l'ampio dibattito, soprattutto in dottrina e all'indomani dell'entrata in vigore della Carta fondamentale, sulla reale portata dell'art. 28 della Costituzione: superate le prime tesi sulla natura meramente sussidiaria della responsabilità di Stato od ente pubblico rispetto a quella dell'agente, è invalso il riconoscimento della natura concorrente o solidale delle due responsabilità, ricostruita quella dello Stato od ente pubblico come diretta, in forza dei principi sull'immedesimazione organica, dovendo escludersi che l'attività posta in essere al di fuori dei compiti istituzionali dal pubblico funzionario o dipendente potesse imputarsi allo Stato o ente pubblico. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Non ha incontrato il favore degli interpreti la ricostruzione della responsabilità della Pubblica Amministrazione per l'illecito del proprio dipendente quale responsabilità indiretta (o per fatto altrui, dovendo la Pubblica Amministrazione sopportare i rischi delle conseguenze dannose degli atti posti in essere da coloro che agiscono per suo conto), né altra tesi eclettica, che ha prospettato la natura composita di quella stessa responsabilità, dovendo l'Amministrazione rispondere in via diretta per i danni causati nello svolgimento dell'attività provvedimentale (l'unica rispetto alla quale si configurerebbe un'immedesimazione organica, in quanto esplicazione della funzione diretta al perseguimento del pubblico interesse e posta in essere da funzionari dotati del potere rappresentativo - organi in senso stretto - attraverso cui l'Ente esprime la propria volontà ed agisce nei rapporti esterni) ed in via indiretta per i danni causati nell'espletamento di ogni altra attività, tra cui quella materiale. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nella prevalente dottrina pubblicistica la tesi della responsabilità diretta da rapporto organico in funzione limitativa si fonda sulla tesi del contenimento dell'innovazione portata dalla norma costituzionale: questa non starebbe nell'immutazione della natura della responsabilità dell'Ente, che andrebbe sempre qualificata, come nel sistema anteriore all'entrata in vigore della Costituzione, in termini di responsabilità diretta o per fatto proprio; essa invece starebbe nella previsione, accanto alla responsabilità diretta della Pubblica Amministrazione, di una concorrente responsabilità, sempre diretta, del funzionario o del dipendente, che invece, nel sistema previgente, poteva essere chiamato a rispondere, in solido con l'Ente di appartenenza, solo ove tale responsabilità solidale fosse prevista da specifiche disposizioni di legge; la norma costituzionale avrebbe cioè disegnato un sistema fondato su due responsabilità concorrenti e solidali, entrambe dirette, spettando esclusivamente al danneggiato la scelta se far valere l'una o l'altra od entrambe. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La giurisprudenza amministrativa – precisa a questo punto la Corte - è ferma nel ritenere interrotta l'imputazione giuridica dell'attività posta in essere da un organo della Pubblica Amministrazione nei casi in cui siano posti in essere fatti di reato (Cons. Stato, Sez. 6, 14/11/2014, n. 5600), o di atti adottati in ambienti collusivi penalmente rilevanti (Cons. Stato, Sez. 5, 04/03/2008, n. 890; TAR Reggio Calabria, Sez. 1, 11 agosto 2012, n. 536), o comunque allorché il soggetto agente, legato alla P.A. da un rapporto di immedesimazione organica, abbia posto in essere il provvedimento amministrativo, frutto del reato contro la P.A., nell'ambito di un disegno criminoso e quindi perseguendo un interesse personale del tutto avulso dalle finalità istituzionali dell'Ente (TAR Sicilia-Catania 25/07/2013, n. 2166, per il quale il venir meno dell'imputabilità dell'atto all'Amministrazione, per interruzione del rapporto organico, determina la nullità dell'atto stesso, per mancanza di uno degli «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>elementi essenziali</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">» - ex art. 21 septies, I. n. 241 del 1990 - individuabile nel soggetto o per mancanza di volontà in capo alla stessa P.A., escludendosi che l'atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>de quo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> possa dirsi posto in essere da una P.A. nell'esplicazione di un'attività amministrativa). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La Corte costituzionale ha reiteratamente statuito (tra le altre: Corte cost. n. 64 del 1992, con richiami a Corte cost. n. 18 del 1989, n. 26 del 1987, n. 148 del 1983, n. 123 del 1972) che l'art.28 Cost. stabilisce la responsabilità diretta per violazione di diritti tanto dei dipendenti pubblici per gli atti da essi compiuti, quanto dello Stato o degli enti pubblici, rimettendone la disciplina dei presupposti al legislatore ordinario, con la precisazione che (Corte cost. nn. 18 del 1989 e 88 del 1963) la responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico può esser fatta valere anteriormente o contestualmente a quella dei funzionari e dei dipendenti, non avendo carattere sussidiario. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il codice civile – prosegue la Corte - regola la responsabilità dei padroni e committenti, mutuandola pedissequamente dalla previsione del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Code civil</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> francese (ed in particolare dal relativo, originario art. 1384, che oggi corrisponde all'art. 1242, in forza dell'</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Ordonnance</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> n. 2016-31 del 10/02/2016, in vigore dal 01/10/2016), a mente del quale «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>les maitres et les commettants ... sont solidairement responsables du dommage causé ... par leurs domestiques et préposés dans les fonctions auxquelles ils les ont employés</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">»; in tale fattispecie si conferma, analogamente ad altre ipotesi di responsabilità civile senza colpa, la deroga al principio “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ohne Schuld keine Haftung</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, che permea sia l'altro ordinamento cardine dei sistemi romanisti (quello tedesco in punto di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Deliktsrecht</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, benché in via di graduale superamento e solo in determinati settori, mediante la ricostruzione di obblighi derivanti direttamente, prima della riforma del 2002, dalla norma sulla buona fede e, poi, dalla novella del BGB sulla sussistenza di obblighi di protezione più ampi rispetto a quelli di prestazione, tali da riverberare i loro effetti anche a favore di chi non è parte del contratto), sia il sistema originario di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>common law</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (in cui la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Tort Law</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> presuppone appunto ed almeno in linea generale un difetto di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>due diligence</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il concetto di padrone o committente, in origine riferito ad economie rudimentali e connotate da rapporti assai stretti di preposizione, è stato via via ampliato in forza di un'interpretazione evolutiva, per essere esteso a molte figure di soggetti che, per conseguire i propri fini, si avvalgono dell'opera di altri a loro legati in forza di vincoli di varia natura (e non necessariamente di dipendenza: su tale specifico punto, tra le prime, v. Cass. 16/03/2010, n. 6325); si è, al riguardo, superata l'originaria configurazione della responsabilità in esame come soggettiva o per fatto proprio, quando questo si identificava almeno in una colpa </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in eligendo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in vigilando</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: il testo normativo non concede al responsabile alcuna prova liberatoria, cosicché il ricorso alla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>fictio</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della presunzione assoluta di colpa si risolve nell'introduzione artificiosa nella norma di un presupposto che le è irrilevante; al contrario (benché in dottrina si parli anche di responsabilità diretta o per il fatto proprio di essere il preponente), si è dinanzi ad una responsabilità oggettiva per fatto altrui. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Si tratta (per tutte: Cass. 09/06/2016, n. 11816, ove ulteriori richiami giurisprudenziali; più di recente: Cass. ord. 12/10/2018, n. 25373; Cass. 14/02/2019 n. 4298; quanto al rapporto tra ente pubblico concedente e concessionario, Cass. 20/02/2018, n. 4026, espressamente fonda la responsabilità del primo sull'inserimento del secondo nell'apparato organizzativo della P.A.) di un'applicazione moderna del principio </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>cuius commoda eius et incommoda</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in forza del quale l'avvalimento, da parte di un soggetto, dell'attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l'attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell'ambito dei poteri conferitigli; ma una tale appropriazione di attività deve comportarne l'imputazione nel relativo complesso e, così, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli: un simile principio risponde ad esigenze generali dell'ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui è riconosciuto di avvalersi dell'operato di altri (poco importa se per scelta od utilità, come nel caso delle persone fisiche, o per necessità, come in ogni altro caso, in cui è indispensabile il coinvolgimento di persone fisiche ulteriori e distinte per l'imputazione di effetti giuridici ad entità sovraindividuali). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Dalla correlazione di tale specifica forma di responsabilità ai vantaggi che sia lecito per il preponente attendersi dall'avvalimento dell'altrui operato la giurisprudenza civile di legittimità per i rapporti privatistici di preposizione e quella più recente penale di legittimità hanno ricavato la necessità di un nesso di occasionalità necessaria tra esercizio delle incombenze e danno al terzo (quale ultimo elemento costitutivo della fattispecie, oltre al rapporto di preposizione ed all'illiceità del fatto del preposto): nesso che è stato ritenuto sussistente non solamente se il fatto dannoso derivi dall'esercizio delle incombenze, ma pure nell'ipotesi in cui tale esercizio si limiti ad esporre il terzo all'ingerenza dannosa del preposto ed anche se questi abbia abusato della relativa posizione od agito per finalità diverse da quelle per le quali le incombenze gli erano state affidate. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Alla stregua di tale elaborazione, il nesso di occasionalità necessaria (e la responsabilità del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (tra molte: Cass. 24/09/2015, n. 18860; Cass. 25/03/2013, n. 7403); alla condizione però che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un'attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all'espletamento delle relative incombenze (Cass. 11816/16, cit.).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Non ha infatti giuridico fondamento – prosegue la Corte - accollare a chicchessia le conseguenze dannose di condotte del preposto in alcun modo collegate alle ragioni, anche economiche, della preposizione, ove cioè non riconducibili al novero delle normali potenzialità di sviluppo di queste - anche sotto forma di deviazione dal fine perseguito o di contrarietà ad esso o di eccesso dall'ambito dei poteri conferiti - secondo un giudizio oggettivo di probabilità di verificazione; l'appropriazione dei risultati delle altrui condotte deve, in definitiva, essere correlata (e, corrispondentemente, limitata) alla normale estrinsecazione delle attività del preponente e di quelle oggetto della preposizione ad esse collegate, sia pure considerandone le violazioni o deviazioni oggettivamente probabili: sicché chi si avvale dell'altrui operato in tanto può essere chiamato a rispondere, per di più senza eccezioni e senza rilevanza del proprio elemento soggettivo, delle relative conseguenze dannose in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell'organizzazione dei propri rischi; e così risponde di quelle identificate in base ad un giudizio oggettivizzato di normalità statistica, cioè riferita non alle peculiarità del caso, ma alle ipotesi in astratto definibili come di verificazione probabile o - secondo i principi di causalità adeguata elaborati dalla Corte fin da Cass. Sez. U. 11/01/2008, n. 576 - «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>più probabile che non</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">», in un dato contesto storico. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Deve constatarsi una non piena coerenza tra le impostazioni ermeneutiche della Corte di legittimità: una prima, propria della prevalente odierna giurisprudenza civilistica e di quella preponderante penalistica più risalente (e, per la verità, anche quella amministrativa), per la quale la responsabilità dello Stato (o degli enti pubblici) per il fatto illecito dei propri dipendenti (o funzionari) è diretta e sussiste, in forza di criteri pubblicistici, esclusivamente in caso di attività corrispondente ai fini istituzionali, quando cioè, in virtù del rapporto organico, quella vada imputata direttamente all'ente; una seconda, propria soprattutto della giurisprudenza penalistica più recente e di parte di quella civilistica (ora più remota e poi superata, ora minoritaria, ora riferita in prevalenza a rapporti di preposizione privatistici), in base alla quale sussiste la responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico in applicazione di criteri privatistici, corrispondenti sostanzialmente a quelli in tema di responsabilità del preponente ai sensi dell'art. 2049 cod. civ., sol che sussista un nesso di occasionalità necessaria tra condotta illecita e danno. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ritengono le Sezioni Unite di dover comporre la disomogeneità tra dette impostazioni rilevando che nessuna ragione giustifichi più, nell'odierno contesto socio-economico, un trattamento differenziato dell'attività dello Stato o dell'ente pubblico rispetto a quello di ogni altro privato, quando la prima non sia connotata dall'esercizio di poteri pubblicistici: e che, così, vada riconsiderato il preponderante orientamento civilistico dell'esclusione della responsabilità in ipotesi di condotte contrastanti coi fini istituzionali o sorrette da fini egoistici. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In particolare, prosegue il Collegio, deve ammettersi la coesistenza dei due sistemi ricostruttivi, quello della responsabilità diretta soltanto in forza del rapporto organico e quello della responsabilità indiretta o per fatto altrui: entrambi sono validi, poiché il primo non esclude il secondo ed ognuno viene in considerazione a seconda del tipo di attività della P.A. di volta in volta posta in essere. Infatti, il comportamento della P.A. che può dar luogo, in violazione dei criteri generali dell'art. 2043 cod. civ., al risarcimento del danno (secondo la compiuta definizione di Cass. Sez. U.22/07/1999, n. 500) o si riconduce all'estrinsecazione del potere pubblicistico e cioè ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali (sulla distinzione, determinante prima di tutto in materia di giurisdizione, v. da ultimo Cass. Sez. U. ord. 13/12/2018, n. 32364; tra le altre più remote, v. Cass. Sez. U. 25/11/1982, n. 6363). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Orbene, chiosa ancora la Corte, nel primo caso (attività provvedimentale o, se si volesse generalizzare, istituzionale in quanto estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà), l'immedesimazione organica - di regola - pienamente sussiste e bene è allora ammessa la sola responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all'ente; del resto, con l'introduzione dell'art. 21 septies legge n. 241 del 1990 pure la carenza di un elemento essenziale - in genere esclusa se l'atto integra l'elemento oggettivo di un reato - comporta la mera nullità e non più l'inesistenza dell'atto, come invece voleva la dottrina tradizionale (col che potrebbe forse sostenersi l'attribuibilità all'ente dell'atto nullo poiché delittuoso, sia pure a certe condizioni); nel secondo caso, di attività estranea a quella istituzionale o comunque materiale, ove pure vada esclusa l'operatività del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull'attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all'ente (questione non immediatamente rilevante ai fini che qui interessano e che si lascia impregiudicata), non può però negarsi l'operatività di un diverso criterio: non vi è alcun motivo per limitare la responsabilità extracontrattuale dello Stato o dell'ente pubblico - se correttamente ricostruita, pure ad evitarne strumentali distorsioni o improprie sconsiderate dilatazioni - al di fuori dell'esercizio di una pubblica potestà quando ricorrano gli altri presupposti validi in caso di avvalimento dell'operato di altri. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ogni diversificazione di trattamento, per di più nel senso di evidente favore, si risolverebbe in un ingiustificato privilegio dello Stato o dell'ente pubblico, in palese contrasto con il principio di uguaglianza formale di cui all'art. 3, comma primo, Cost. e col diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost. e riconosciuto anche a livello sovranazionale dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo (firmata a Roma il 04/11/1950, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla G.U. n. 221 del 24/09/1955 ed entrata in vigore il 10/10/1955) e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (adottata a Nizza il 07/12/2000 e confermata con adattamenti a Strasburgo il 12/12/2007; pubblicata, in versione consolidata, sulla G.U. dell'U.E. del 30/03/2010, n. C83, pagg. 389 ss.; efficace dalla data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona - ratificato in Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130 - e cioè 01/12/2009): poiché escluderebbe quella più piena tutela risarcitoria, invece perseguibile con la concorrente responsabilità del preponente. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ed una tale diversificazione neppure potrebbe difendersi in base a generiche esigenze finanziarie pubbliche, poiché la tutela dei diritti non può mai a queste essere - se non altro </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sic et simpliciter</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o in linea di principio - sacrificata (come, in campo sovranazionale, riconosce da sempre, perfino in tema di esecuzione coattiva contro lo Stato, la Corte di Strasburgo: da ultimo, Corte eur. dir. Uomo 14/11/2017, IV sez., Spahie e aa. c. Bosnia-Erzegovina, in ric. n. 20514/15 e altri) e poiché in ogni caso va garantita, affinché possa dirsi apprestato un rimedio effettivo, almeno un'adeguata tutela risarcitoria in caso di violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione, incombendo il relativo onere a ciascuno Stato ed ai relativi organi, primi fra tutti quelli giurisdizionali (per tutte, sui relativi principi generali: Corte eur. dir. Uomo 11/06/2010, Grande Camera, GMgen c/ Germania, ric. 22978/05, pp. 115 a 119). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Non può più accettarsi, perché in insanabile contrasto con i principi fondamentali interni, internazionali e sovranazionali, e da superarsi con una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, la conclusione che, quando gli atti illeciti sono posti in essere da chi dipende dallo Stato o da un ente pubblico (e cioè da chi è legittimo attendersi una particolare legalità della condotta), la tutela risarcitoria dei diritti della vittima sia meno effettiva rispetto al caso in cui questi siano compiuti dai privati per mezzo di loro preposti. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Si tratta, riprendendo una tesi non ignota alla stessa dottrina pubblicistica, della ricostruzione sistematica di un regime di responsabilità articolato, corrispondente alla composita natura delle condotte dello Stato e degli enti pubblici: a seconda che cioè esse siano poste in essere nell'esercizio, pur se eccessivo o illegittimo, delle funzioni conferite agli agenti ed oggettivamente finalizzate al perseguimento di scopi pubblicistici, oppure che siano poste in essere da costoro quali singoli, ma approfittando della titolarità o dell'esercizio di quelle funzioni (o poteri o attribuzioni), sia pur piegandole al perseguimento di fini obiettivamente estranei o contrari a quelli pubblicistici in vista dei quali erano state conferite. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nel primo caso, riprende il Collegio, l'illecito è riferito direttamente all'Ente e questi ne risponderà, altrettanto direttamente, in forza del generale principio dell'art. 2043 cod. civ.; nel secondo caso, con le precisazioni di cui appresso, la responsabilità civile dell'Ente deve invece dirsi indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall'art. 2049 cod. civ. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Tale conclusione comporta che debba prescindersi in modo rigoroso da ogni colpa del preponente anche pubblico e lascia intatta la concorrente e solidale responsabilità del funzionario o dipendente (salvo eventuali limitazioni espressamente previste indotte dalla peculiarità di determinate materie, come nel caso del personale scolastico - ex art. 61 cpv. legge 11 luglio 1980, n. 312, su cui v. Corte cost. n. 64 del 1992 - o dei magistrati ex lege 113/87, su cui v. tra le altre Corte cost. n. 18 del 1989); e ad essa, beninteso, deve farsi eccezione quando vi sia un'esplicita diversa previsione normativa che, ad esempio per la peculiarità della specifica materia, mandi esente da responsabilità l'Ente pubblico e mantenga esclusivamente quella dell'agente o viceversa. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ritengono le Sezioni Unite che debba superarsi la rigida alternatività, con rapporto di mutua esclusione, fra i criteri di imputazione pubblicistico o diretto e privatistico o indiretto: l'art. 28 Cost. non preclude l'applicazione della normativa del codice civile, piuttosto essendo finalizzata all'esclusione dell'immunità dei funzionari per gli atti di esercizio del potere pubblico ed alla contemporanea riaffermazione della responsabilità della P.A.; ne consegue che la concorrente responsabilità della P.A. e del proprio dipendente per i fatti illeciti posti in essere da quest'ultimo al di fuori delle finalità istituzionali di quella deve seguire, in difetto di deroghe normative espresse, le regole del diritto comune. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Del resto, più non osta all'applicabilità dell'art. 2049 cod. civ. l'originaria relativa ricostruzione come estrinsecazione di una colpa </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in eligendo vel in vigilando</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, la quale sarebbe esclusa in tesi nel rapporto organico in forza della predeterminazione normativa dei criteri di selezione e di un sistema pubblicistico di controlli, entrambi estrinsecazione di poteri discrezionali: infatti, la norma in esame prescinde, nella propria corrente ricostruzione, da ogni profilo di colpa. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nemmeno l'ontologica differenza tra rapporto di preposizione institoria e rapporto organico tra Stato od ente pubblico e proprio funzionario o dipendente osta alla generalizzazione del principio dell'art. 2049 cod. civ., poiché questo è solamente espressione di un generale criterio di imputazione di tutti gli effetti, non solo favorevoli ma anche pregiudizievoli, dell'attività non di diritto pubblico dei soggetti di cui ci si avvale; e che la P.A. possa rivestire la qualità di parte lesa nel procedimento penale avente ad oggetto la condotta del dipendente infedele non muta la responsabilità della prima nei confronti dei terzi, soltanto rilevando nei rapporti interni con quello. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ancora, solo in caso di responsabilità indiretta è pienamente coerente col sistema generale (se non derogato da discipline speciali) di imputazione, nei rapporti interni, del carico dell'obbligazione risarcitoria l'attribuzione (talora normativamente prevista: v. ad es. l'art. 22, cpv., del richiamato d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) di questo per intero al dipendente colpevole (in armonia con il sistema appunto di cui all'art. 2049 cod. civ.: da ultimo, Cass. 05/07/2017, n. 16512), salva per quest'ultimo la prova della colpa pure dell'Aamministrazione. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Alla puntualizzazione dell'ambito di operatività del criterio di imputazione ricondotto ai principi dell'art. 2049 cod. civ. va premesso – per la Corte - un richiamo ai principi in tema di causalità nel diritto civile. A partire dalla fondamentale elaborazione delle Sezioni Unite di cui alle sentenze nn. 576 ss. del dì 11/01/2008 (alla cui esauriente motivazione, tuttora valida e meritevole di piena condivisione, qui basti un richiamo), ai fini della definizione della causalità materiale nell'ambito della responsabilità extracontrattuale va fatta applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>condicio sine qua non</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Tuttavia, il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'art. 41 cod. pen. (per il quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova un temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se quest'ultima risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle regolari linee di sviluppo della serie causale già in atto. Al contempo, neppure è sufficiente tale relazione per dar luogo ad una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> idonee a determinare l'evento secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale: quest'ultima, a propria volta, individua come conseguenza normale imputabile quella che - secondo l'</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>id quod plerumque accidit</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e così in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> - integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento originario (ivi compresa la condotta umana), che ne costituisce l'antecedente necessario e sufficiente. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">E, sempre secondo i citati precedenti delle Sezioni Unite, la sequenza costante deve essere prevedibile non da un punto di vista soggettivo, cioè da quello dell'agente, ma in base alle regole statistiche o scientifiche (se non proprio, in sostanza, di empiria reiterata e verificata) e quindi per così dire oggettivizzate, da cui inferire un giudizio di probabilità di verificazione dell'evento. Il principio della regolarità causale, rapportato ad una valutazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra evento generatore del danno ed evento dannoso (nesso causale), da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale va più propriamente ad iscriversi entro l'elemento soggettivo dell'illecito (la colpevolezza), ove questo per l'ordinamento rilevi; ma non potendo escludersi una loro efficienza peculiare nel senso dell'elisione, a certe condizioni, del nesso causale tra l'illecito ed il danno, come precisato dalle sezioni semplici della Corte (su cui vedi, per tutte, Cass. ord. 01/02/2018, nn. 2478, 2480 e 2482). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Non è questa la sede – chiosa ancora il Collegio - per esaminare le differenze tra causa ed occasione o concausa, né per sanare la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>contradictio in adiecto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della nozione di occasionalità necessaria: infatti, basta qui rilevare che questa coinvolge una peculiare specie di relazione di causalità, visto che, nella concreta elaborazione che finora se ne è operata e con le precisazioni di cui appresso, una tale occasionalità necessaria si identifica con quella peculiare relazione tra l'uno e l'altro tale per cui la verificazione del danno-conseguenza non sarebbe stata possibile senza l'esercizio dei poteri conferiti da altri, che assurge ad antecedente necessario anche se non sufficiente; ma qui va affermata la necessità che tale valutazione di impossibilità sia operata in base ai principi della causalità adeguata appena riassunti e così ad un giudizio controfattuale, oggettivizzato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, di regolarità causale atta a determinare l'evento, vale a dire di normalità - in senso non ancora giuridico, ma naturalistico-statistico - della relativa conseguenza. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ne consegue che il preponente pubblico, con tale espressione potendo descrittivamente identificarsi lo Stato o l'ente pubblico nella fattispecie di interesse, risponde del fatto illecito del proprio funzionario o dipendente ogni qual volta questo non si sarebbe verificato senza l'esercizio delle funzioni o delle attribuzioni o dei poteri pubblicistici: e ciò a prescindere dal fine soggettivo dell'agente (non potendo dipendere il regime di oggettiva responsabilità dalle connotazioni dell'atteggiamento psicologico dell'autore del fatto), ma in relazione all'oggettiva destinazione della condotta a fini diversi da quelli istituzionali o - a maggior ragione - contrari a quelli per i quali le funzioni o le attribuzioni o i poteri erano stati conferiti. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La conseguenza per le SSUU è l'integrale applicazione della disciplina della responsabilità extracontrattuale, che implica a propria volta un'adeguata delimitazione di tale conclusione: in primo luogo, valgono i principi e le regole in tema di accertamento del nesso causale secondo le regole sopra ricordate; in secondo luogo, vige l'elisione del nesso in ipotesi di fatto naturale o del terzo o del danneggiato che sia di per sé solo idoneo a determinare l'evento; in terzo luogo, si applica la regola generale dell'art. 1227 cod. civ. in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato (su cui v., tra le altre, le già richiamate Cass. ord. nn. 2478, 2480 e 2482 del 2018). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Soprattutto, però, è insito nel concetto stesso di causalità adeguata che la sequenza tra premesse e conseguenze sia rigorosa e riferita a quelle tra queste che appaiano, con giudizio controfattuale di oggettivizzazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della probabilità o di regolarità causale, come sviluppo non anomalo, anche se implicante violazioni o deviazioni od eccessi in quanto anch'esse oggettivamente prevenibili, di attività rese possibili solo da quelle funzioni, attribuzioni o poteri. In tanto può giustificarsi, infatti, la scelta legislativa di far carico al preponente degli effetti delle attività compiute dai preposti, in quanto egli possa raffigurarsi </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> quali questi possano essere e possa prevenirli o tenerli in adeguata considerazione nell'organizzazione della propria attività quali componenti potenzialmente pregiudizievoli: e quindi in quanto possa da lui esigersi di prefigurarsi gli sviluppi che possono avere le regolari (in quanto non anomale od oggettivamente improbabili) sequenze causali dell'estrinsecazione dei poteri (o funzioni o attribuzioni) conferiti al proprio preposto, tra i quali rientra la violazione aperta del dovere di ufficio la cui cura è stata affidata, non per nulla quello essendo circondato di garanzie o meccanismi di salvaguardia anche interni alla stessa organizzazione del preponente (come rileva Cass. pen. n. 13799 del 2015 cit.). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ne deriva che quest'ultimo andrà esente dalle conseguenze dannose di quelle condotte, anche omissive, poste in essere dal preposto in estrinsecazione dei poteri o funzioni o attribuzioni conferiti, che fosse inesigibile prevenire o raffigurarsi oggettivamente come sviluppo non anomalo, secondo un giudizio controfattuale oggettivizzato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex ante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, di quell'estrinsecazione, quand'anche distorta o deviata o vietata: in tanto assorbita od a tanto ricondotta, almeno quanto alla sola qui rilevante fattispecie dei danni causati dall'illecito del pubblico funzionario, ogni altra conclusione sull'occasionalità necessaria, tra cui l'estensione alla mera agevolazione della commissione del fatto. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Occorre postulare una natura composita della responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico per il fatto illecito del dipendente o funzionario, per applicare i principi della responsabilità indiretta elaborati per l'art.2049 cod. civ. all'attività non provvedimentale (o istituzionale) della pubblica amministrazione; e, in base ad essi, affermarne la concorrente e solidale responsabilità per i danni causati da condotte del preposto pubblico definibili come corrispondenti ad uno sviluppo oggettivamente non improbabile delle normali condotte di regola inerenti all'espletamento delle incombenze o funzioni conferite, anche quale violazione o come sviamento o degenerazione od eccesso, purché anche essi prevenibili perché oggettivamente non improbabili. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Sono pertanto fonte di responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purché: - si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell'estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa - e quindi, quale relativa conseguenza, il danno ingiusto - non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta; nonché - si tratti di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo dell'esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o ad esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Infine, adeguata protezione del preponente dal rischio di rispondere del fatto del proprio ausiliario o preposto al di là dei generali principi in tema di risarcimento del danno extracontrattuale si ravvisa nell'applicazione anche in materia di danni da attività non provvedimentale della P.A. dei principi in tema di elisione del nesso causale in ipotesi di caso fortuito o di fatto del terzo o della vittima di per sé solo idoneo a reciderlo e di quelli in tema di riduzione del risarcimento in caso di concorso del fatto almeno colposo di costoro. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Lo Stato o l'ente pubblico – conclude dunque la Corte - risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell'amministrazione di appartenenza, purché la relativa condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o i poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa - e, quale relativa conseguenza, il danno ingiusto a terzi - non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo. </span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 18 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.7082 alla cui stregua, l</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">a responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione va negata laddove il pregiudizio sia stato cagionato all’interlocutore privato da un’attività amministrativa ascrivibile ad errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto che ha fatto da sfondo all’esercizio del potere pubblico.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Quando poi alla configurabilità della colpa (o della “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>rimproverabilità</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) dell’Amministrazione, occorre per il Collegio avere riguardo al carattere della regola di azione violata, onde se la stessa è chiara, univoca e cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella relativa violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa può essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità, l’errore scusabile palesandosi ravvisabile in presenza dell’incertezza del pertinente quadro normativo di riferimento.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Questioni intriganti</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Cosa occorre rammentare in generale del c.d. elemento soggettivo dell’illecito imputabile ad una PA?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’unica norma “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>pubblicistica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” che, con riguardo alla responsabilità della PA, prevede in modo espresso una componente soggettiva in termini di dolo o colpa (pubblica) è l’art.30 del c.p.a., laddove – pur discorrendosi in genere di condanna della ridetta PA al risarcimento del danno (anche in rapporto all’azione c.d. demolitoria) – l’inosservanza “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>dolosa o colposa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” riguarda solo il termine di conclusione del procedimento, e dunque il danno derivante da silenzio o da ritardo;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">per quanto riguarda tutti gli altri illeciti pubblici, occorre allora verificare se occorra o meno una componente soggettiva in termini di dolo o di colpa, ovvero se sia sufficiente il mero nesso di causalità tra un contegno (provvedimentale o materiale) imputabile alla PA ed il pregiudizio che ne è scaturito all’interlocutore (per lo più) privato;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la tesi maggioritaria assume la responsabilità della PA come “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>aquiliana</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, ritraendo tale conclusione, sul crinale letterale, proprio dall’art.30 del c.p.a. laddove si esprime in termini di danno “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ingiusto</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” che, come tale, presuppone un dolo o quanto meno una colpa in capo al soggetto (pubblico) agente, dovendosi all’opposto escludere in radice qualunque diversa opzione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>oggettivistica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, come tale basata sul mero nesso di causalità; recenti prese di posizione della Corte di Giustizia UE e delle SSUU della Cassazione sospingono tuttavia nel senso di una possibile responsabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>oggettiva</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Cosa occorre rammentare in particolare della colpa della PA e, specificamente, della c.d. “</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>colpa apparato</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>”?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">se ne rinviene un autorevole avallo nel contesto letterale della sentenza delle SSUU 500.99, in riferimento all’attività provvedimentale pubblica;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">stando a tale impostazione, l'imputazione dell’illecito alla PA non può avvenire sulla base del mero dato obbiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, il giudice dovendo svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">quest’ultima è configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla pertinente discrezionalità;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la colpa della PA viene dunque riguardata secondo una logica “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>spersonalizzante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” e per lo più legata alla disorganizzazione, la quale da un lato è difficile da provare per il privato attore – che, per le SSUU 500.99 deve provare la colpa pubblica, almeno se si qualifica la responsabilità della PA di natura aquiliana ex art.2043 c.c., non potendo più assumerla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in re ipsa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sulla scorta della mera illegittimità del provvedimento - e, dall’altro, potrebbe non essere la più autentica causa dell’illecito e del danno cagionato al privato nel singolo caso di specie;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">dottrina e giurisprudenza hanno allora proposto 2 differenti ed alternative opzioni ermeneutiche: e.1) per aversi colpa apparato, occorre che l’illegittimità che affetta l’atto sia particolarmente grave, come previsto in sede sovranazionale con riferimento alla responsabilità delle Istituzioni europee e delle singole PPAA nazionali; rilevante su questo crinale il carattere, vincolato ovvero discrezionale, dell’attività svolta </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex parte publica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, palesandosi più ampiamente configurabili presunzioni semplici di colpevolezza laddove la discrezionalità sia totalmente assente e consistentemente ridotta (attività vincolata), ed occorrendo al contrario un più incisivo sforzo probatorio da parte del privato – ad esempio in termini di relativo difetto di partecipazione al procedimento imputabile all’Amministrazione, ovvero di mancata valutazione da parte della medesima degli apporti al privato riconducibili - laddove difettino specifici elementi presuntivi e campeggi piuttosto una ampia discrezionalità della PA agente; su questo crinale, è l’errore scusabile ad escludere la colpa della PA, che è invece presente laddove l’errore ridetto non sia scusabile, come palesato nel singolo caso di specie dalla gravità della violazione perpetrata e dalla conseguente ragionevolezza degli addebiti mossi all’Amministrazione in termini di difetto di diligenza e di imperizia; si tratta di una tesi che è stata contestata </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in primis</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sulla scorta della considerazione onde mancherebbe una base normativa che giustifichi una limitazione della responsabilità della PA (in termini di configurabilità della pertinente colpa) alle sole ipotesi di violazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>grave</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, peraltro in un’ottica più “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sanzionatoria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” per l’Amministrazione che “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>risarcitoria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” per il privato che ha visto conculcata la propria posizione giuridica soggettiva; e.2) se l’atto è illegittimo, ciò non reca seco giocoforza la colpa pubblica, costituendone piuttosto un mero indice presuntivo da valutarsi non già isolatamente, quanto piuttosto globalmente e nel concorso con altri fattori, ivi compresa la inspiegabilità della illegittimità che inficia l’atto e nella quale è di volta in volta incorsa la PA adottante; muovendo da questo presupposto, nondimeno, anche una violazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>non grave</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” può far affiorare, nel concorso con altri fattori, la colpa della PA;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">dal punto di vista del riparto dell’onere probatorio, la tendenza della giurisprudenza maggioritaria e di parte della dottrina è quella di muovere comunque dalla natura aquiliana della responsabilità della PA, addossando tuttavia al privato il solo onere di dimostrare l’illegittimità del provvedimento dal quale è scaturito il danno, mentre spetta alla PA dimostrare la propria “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>assenza di colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” in termini di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>errore scusabile</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, riconducibile ad una pertinente normativa oscura, sovrabbondante ovvero, all’opposto, assente o repentinamente mutata, ovvero ancora al difetto di orientamenti della giurisprudenza univoci, ovvero alla speciale complessità della questione (anche di fatto) nel caso di specie oggetto di spendita del pertinente potere; una posizione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>strutturalmente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” condivisa da quella giurisprudenza, assolutamente minoritaria, e da quella dottrina che invece scorgono nella responsabilità della PA una fattispecie di responsabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>contrattuale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” da contatto sociale ex art.1218 c.c., con conseguente, “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>strutturale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” inversione dell’onere della prova della “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”; interessante poi, sul piano terminologico, come la PA venga chiamata a provare non già la relativa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, quanto piuttosto un proprio “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>errore scusabile</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, onde si è parlato in dottrina, in luogo di una vera e propria responsabilità aquiliana, di una sorta di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>responsabilità soggettiva aggravata</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della parte pubblica; si tratta di una presa di posizione che fa perno sulla rimproverabilità del comportamento pubblico al cospetto di un provvedimento illegittimo onde - analogamente a quanto accade nelle fattispecie penalistiche contravvenzionali caratterizzate dalla buona fede del soggetto agente, o di quelle delittuose in cui l’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ignorantia iuris</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del ridetto soggetto agente si atteggi ad “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>inevitabile</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” – è ben possibile che la norma della quale la PA ha fatto applicazione nel caso concreto lascia affiorare nel concreto non lievi margini di ambiguità, con connessa, pertinente incertezza interpretativa; </span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">dal punto di vista dei rapporti tra colpa – aquiliana o “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>contrattuale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” – e diligenza, un recente orientamento pretorio della Cassazione assume applicabile alla PA il canone della diligenza professionale di cui all’art.1176, comma 2, c.c., onde, quand’anche occorra accertare la colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>aquiliana</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’Amministrazione, essa va valutata stabilendo come si sarebbe ipoteticamente comportata – al ricorrere delle medesime circostanze di cui alla concreta fattispecie – una Amministrazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>diligente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” per poi procedere a confrontare tale prototipo astratto di condotta pubblica con quella in concreto tenuta dalla singola PA agente; su questo crinale, il combinato disposto dell’art.97 Cost. e dell’art.1176, comma 2, c.c. disegnano un modello di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Amministrazione virtuosa</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” perché “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>efficiente, zelante, solerte e che conosca ed applichi la legge</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, al quale va confrontata l’azione di ogni singola PA agente, quand’anche sul crinale provvedimentale; in sostanza l’art.2043 stabilisce che ciascuno è responsabile del danno causato ad altri con una condotta colposa o dolosa; più nel dettaglio, la colpa civile di cui all’art.2043 c.c. consiste nella deviazione da una “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>regola di condotta</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, intendendosi per tale non già solo una norma giuridica, ma anche qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante. Stabilire se questi abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è accertamento che va compiuto alla stregua dell’art.1176 c.c., da assumersi pacificamente applicabile anche alle fattispecie di responsabilità extracontrattuale, laddove impone al debitore di adempiere alla propria obbligazione con diligenza; tale diligenza è nozione che rappresenta l’inverso logico della nozione di colpa, onde è in colpa chi non è stato diligente, mentre in chi è stato diligente va esclusa la colpa; ne consegue che l’autore di un illecito non può essere assunto, per ciò solo, in colpa, sussistendo quest’ultima nel solo caso in cui il responsabile non solo abbia causato un danno, ma lo abbia fatto violando norme giuridiche o di comune prudenza, queste ultime non potendosi considerare le medesime per tutti. In particolare, la regola di valutazione della colpa dettata dall'art. 1176, comma 2, c.c., si applica per il Collegio anche alla PA., trattandosi di norma generale dell'intero sistema delle obbligazioni che detta un criterio suscettibile di applicazione in qualsiasi ipotesi di inadempimento o di responsabilità aquiliana: per stabilire se una PA abbia o meno tenuto una condotta colposa, occorre confrontare la condotta da questa concretamente tenuta con la condotta che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto l'</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>homo eiusdem generis et condicionis</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: vale a dire una PA che: (a) rispetta la legge (art. 1, comma 1, I. 7.8.1990 n. 241); (b) agisce in modo efficiente e senza inutili aggravi per i cittadini (art. 1, commi 1 e 2, legge 7.8.1990 n. 241); (c) non perde tempo, non si balocca e agisce a ragion veduta (art. 97 cost.); (d) è composta di funzionari preparati, efficienti, prudenti e zelanti (art. 98 cost.); si tratta di un modello astratto di "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>pubblica amministrazione</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" e di "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>pubblico impiegato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" cui, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., va comparata in ciascun caso di specie la condotta concretamente tenuta dalla singola PA agente;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">parte della dottrina muove dalla “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>colpa penale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di cui all’art.43 del c.p., applicandola all’apparato amministrativo di volta in volta complessivamente considerato che, quando viola le norme che presidiano la legittimità dell’atto (adottando dunque un atto illegittimo, massime se per violazione di legge), incorre in colpa c.d. “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>specifica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, mentre allorché si pone in frizione con i canoni di diligenza, prudenza e perizia, incorre in colpa c.d. “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>generica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”; da questo punto di vista, il giudice deve accertare la colpa dell’Amministrazione giusta giudizio articolantesi in una doppia fase successiva onde se in un primo segmento va acclarata la violazione di una norma cautelare (scritta o non scritta), in un secondo va verificato se il comportamento tenuto dal funzionario agente si sia o meno conformato a quello del c.d. </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>homo eiusdem condicionis et professionis</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in caso negativo dovendosi giocoforza concludere nel senso onde l’illecito sarebbe stato evitabile secondo i parametri tipicamente penalistici della evitabilità / prevedibilità, con conseguente colpa della PA che di quel funzionario si sia avvalsa; si tratta di una tesi criticata da chi (massime in giurisprudenza) – pur non ripudiando la distinzione tra colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>generica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” e colpa “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>specifica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, con differente atteggiarsi del pertinente accertamento giudiziale - assume tutt’affatto peculiare l’atteggiamento soggettivo della PA, circostanza che implica l’impossibilità di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>importare</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tout court</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in ambito amministrativo i caratteri propri della colpa, in particolare, penale, dovendosi piuttosto fare riferimento ai più ampi canoni della imparzialità, della correttezza e della buona amministrazione dal cui conculcamento, laddove non scusabile, discende la ridetta colpa pubblica.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Cosa occorre rammentare in particolare del dolo della PA?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">il singolo agente pubblico, quale persona fisica, può ben trovarsi in una situazione di dolo, nel senso di consapevolmente volere la produzione dell’illecito in capo al privato che sia destinatario della pertinente azione, ai sensi dell’art.2043 c.c.;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">allorché tale illecito aquiliano consapevole e volontario venga perpetrato dalla persona fisica che sia dipendente della PA nell’esercizio dei poteri di cui essa dispone proprio in quanto tale (dipendente pubblico), esso va – almeno teoricamente - imputato alla PA di appartenenza in forza del c.d. rapporto di immedesimazione organica, onde l’organo “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>è</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” in qualche modo l’ente del quale è strumento di azione;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art.28 Cost. consente peraltro al privato danneggiato di agire in modo indifferente tanto nei confronti del dipendente che della PA alla quale esso appartiene e per la quale esso ha agito, configurandosi tra persona fisica “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>organo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” e persona giuridica “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” una relazione di solidarietà passiva;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">nondimeno, dinanzi ad una attività provvedimentale dolosa del dipendente pubblico, come tale orientata consapevolmente a perpetrare un illecito nei confronti del privato destinatario del pertinente provvedimento, occorre distinguere: d.1) non è mancato in passato (tesi più remota e ormai recessiva) chi ha fatto rilevare come tale specifica volontà illecita, massime quando fa luogo ad una fattispecie criminosa, sia idonea a recidere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tout court</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> il rapporto organico con la PA di appartenenza, con conseguente imputabilità dell’illecito ridetto al solo soggetto agente quale persona fisica, anche in termini di pertinenti conseguenze risarcitorie; d.2) ci si attesta oggi (tesi più recente e maggioritaria, esplicitata dalle SSUU nel 2019) sulla considerazione onde, al cospetto della giurisprudenza formatasi sull’art.2049 c.c. in tema di responsabilità dei c.d. padroni e committenti, allorché il dipendente ponga in essere la propria condotta dolosa in una situazione di c.d. “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>occasionalità necessaria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” con le proprie attribuzioni, per l’appunto, di dipendente pubblico, ciò solo consente di imputarne “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>indirettamente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” la condotta illecita e dannosa all’Ente pubblico di appartenenza, dacché tale condotta illecita e dannosa ha trovato la “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>necessaria occasione</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, venendovi agevolata, dallo svolgimento delle mansioni nell’interesse della PA di appartenenza; solo nel caso in cui l’illecito ed il danno conseguente siano stati scaturigine di una condotta tutt’affatto anomala, improbabile ed estranea alle attribuzioni che la PA gli abbia conferito, il dipendente pubblico risponde in via esclusiva senza impegnare, ad un tempo, la responsabilità della PA medesima di appartenenza; ciò, per chi porta la tesi alle estreme conseguenze, implica responsabilità dell’Amministrazione anche nel caso in cui il funzionario si sia fatto (doloso) concussore abusando della propria posizione di supremazia pubblica, ovvero abbia (dolosamente) partecipato all’accordo corruttivo con il privato.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Si configurano casi di responsabilità “</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>oggettiva</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>” della PA?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">se ne rinviene una specifica fattispecie quando la PA sia Amministrazione aggiudicatrice di un appalto pubblico;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">laddove da tale procedura affiorino danni per un aspirante interlocutore privato, la responsabilità della competente PA prescinde dalla colpa, che dunque non costituisce elemento costitutivo (e strutturale) del pertinente illecito;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ciò a partire dal 30 settembre del 2010, quando una nota pronuncia la Corte di Giustizia europea – con riguardo ad una fattispecie austriaca – ha escluso che una normativa nazionale possa dirsi compatibile con la c.d. prima Direttiva Ricorsi del 1989 (89/665/CEE) laddove appunto la prima subordini la tutela risarcitoria dell’interlocutore privato che abbia subito danni dalla violazione da parte della PA della disciplina sugli appalti pubblici al carattere colpevole di tale violazione, quand’anche sulla base di una colpa meramente presunta;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la responsabilità delle Amministrazioni aggiudicatrici si atteggia dunque ormai – </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ratione materiae</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> - a vera e propria responsabilità oggettiva, siccome fondata sul mero nesso causale tra violazione della normativa in materia di appalti pubblici e danni subiti dall’aspirante interlocutore privato;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">il problema che si pone è allora quello di verificare se tale rigorosa disciplina possa estendersi anche oltre la circoscritta materia degli appalti pubblici a rilevanza europea; su questo crinale, la giurisprudenza ha già ammesso l’estensione agli appalti pubblici “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>interni</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” non a rilevanza europea;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">in misura vieppiù ampia, si pone la questione se la irrilevanza – sul crinale strutturale – della colpa nelle fattispecie di responsabilità della PA possa predicarsi con riguardo a qualsivoglia procedimento, e dunque anche laddove il potere sia dall’Amministrazione esercitato in sequenze procedurali diverse dalle gare di appalto; si giustappongono in materia due opzioni ermeneutiche dottrinali: f.1) al di fuori dell’orbita degli appalti pubblici, non può predicarsi una responsabilità oggettiva della PA, che è figura eccezionale per la quale occorre uno specifico addentellato normativo rinvenibile, quanto appunto alle gare per l’affidamento di appalti pubblici, nelle Direttive Ricorsi siccome interpretate dalla Corte di Giustizia sovranazionale; la responsabilità civile “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>oggettiva</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” si pone per questa tesi in contrasto con i principi che sottendono la figura dell’illecito, e non può come tale trovare generalizzata applicazione al di fuori delle ipotesi espressamente normate dal legislatore interno o europeo; parte della dottrina esclude la stessa recepibilità nell’ordinamento interno delle indicazioni che sul punto (irrilevanza strutturale della colpa e connessa responsabilità oggettiva) arrivano dalla Corte di Giustizia europea in tema di appalti pubblici; f.2) va riconosciuta una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>vis espansiva</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> all’orientamento, di ascendenza sovranazionale, onde la PA risponde a prescindere da una imputazione soggettiva del pertinente illecito a titolo di colpa, dovendosi ripensare la stessa struttura dell’illecito nostrano alla luce di quella responsabilità degli Stati che, per l’ordinamento europeo, è da sempre a “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>coloritura</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” oggettiva e dunque, per l’appunto, scevra da profili di colpa, come dimostra – con riguardo alla responsabilità dello Stato Legislatore – la nota sentenza </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Francovich</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del 1991;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">un deciso impulso alla configurabilità di una responsabilità oggettiva della PA - con specifico riferimento all’attivita materiale, quand’anche dolosa, posta in essere dai soggetti persone fisiche delle quali essa si avvale – affiora dalla recente presa di posizione delle SSUU della Cassazione (2019), alla cui stregua va applicato l’art.2049 c.c. in tema di fatto illecito dei dipendenti e preposti – che, nell’interpretazione più accreditata della stessa Corte, prescinde dalla colpa del soggetto proponente (c.d. “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>padroni e committenti</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) – allorché sussista un nesso c.d. di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>occasionalità necessaria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” tra le funzioni attribuite al funzionario danneggiante e la relativa condotta pregiudizievole, potendosi escludere in simili fattispecie una responsabilità della PA preponente solo allorché possa assumersi reciso il pertinente nesso causale (condotta anomala ed improbabile del funzionario agente, che escluda la rilevanza causale, non “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>adeguata</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, della relativa preposizione all’ufficio di appartenenza; fatto del terzo; fatto, anche solo concorrente, del danneggiato; caso fortuito e così via), con conseguente natura per l’appunto “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>oggettiva</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” (e non colposa) della responsabilità pubblica.</span></p> </li> </ol>