<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per anni la Pubblica Amministrazione, nel contesto dello Stato liberale, ha rappresentato il Potere “</em>che toglie<em>”, o meglio che “</em>può togliere<em>” ai privati; questo almeno fino a quando, giusta lenta ma inesorabile metamorfosi, lo Stato è diventato “</em>sociale<em>” (o del Welfare), atteggiandosi a Servizio “</em>che dà<em>”, anche in ottica di eguaglianza e di redistribuzione delle risorse pubbliche, specie nei settori in cui i privati non troverebbero conveniente operare; proprio per questo, lo studio dei “</em>servizi pubblici<em>” – ovvero, nella sostanza, di prestazioni erogate (con prototipo imprenditoriale) dal “</em>pubblico<em>” al “</em>privato<em>”, si palesa cruciale al fine di individuare e riconoscere la più moderna cifra della Pubblica Amministrazione; e massime - stante il principio di sussidiarietà interna e sovranazionale, declinato in termini tanto verticali quanto orizzontali - di quella Pubblica Amministrazione (i Comuni, le Provincie, le Città metropolitane) maggiormente “</em>vicina<em>” a cittadini ed utenti, vale a dire ai destinatari “</em>localmente<em>” primi delle ridette prestazioni; le quali ultime, per la relativa connotazione “</em>economica<em>” e per ciò solo avvinta al “</em>mercato<em>”, intersecano la materia della concorrenza e della pertinente tutela, oltre che il tema dell’accessibilità “</em>eguale<em>”, dello sviluppo omogeneo e della coesione sociale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1903</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo viene varata la legge n.103, su disegno di legge presentato dal Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti; si tratta, per il Regno d’Italia, della prima normativa sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni, scaturigine anche di sollecitazioni di natura sociale, avvertendosi la necessità di perseguire – giusta appunto “<em>municipalizzazione</em>” dei pubblici servizi - una risposta efficace alla crescente intensificazione della vita urbana, legata non solo al progressivo ingrandimento della città, ma anche alla moltiplicazione dei bisogni collettivi, cui occorre giustapporre adeguati “<em>mezzi sociali</em>”. La legge in parola si preoccupa tuttavia anche, su diverso crinale, di porre un argine alla tendenza dei Comuni a concedere indiscriminatamente gli impianti e l'esercizio dei servizi municipali ad imprenditori privati: una scelta politica in parte obbligata dagli investimenti ingenti - come tali difficilmente sopportabili dalle finanze comunali - che, massime nelle grandi città, l’organizzazione e la gestione di tali servizi impongono, con l’effetto tuttavia di scaricare ineludibilmente il costo del pertinente servizio sull’utenza.</p> <p style="text-align: justify;">La legge medesima si pone anche un obiettivo politico più generale, vale a dire il controllo da parte dello Stato del fenomeno della municipalizzazione; un numero sempre maggiore di amministrazioni comunali, sulla base di disposizioni legislative che, per taluni settori espressamente indicati, consentono l’assunzione diretta del servizio, hanno infatti attuato un sistema di municipalizzazione di tipo surrettizio, facendo luogo ad una situazione di fatto sempre meno controllabile sul piano giuridico e politico. Ciò sollecita l’intervento appunto del legislatore statale che detta minuziose prescrizioni in materia con il duplice obiettivo di regolare l'assunzione diretta dei pubblici servizi, in risposta alle crescenti esigenze economico sociali dell’epoca, e d’introdurre un sistema complesso che in un certo senso contenga e dia un assetto ordinato allo sviluppo, fino ad ora confuso e disomogeneo, del pertinente fenomeno. Lo Stato, nel tentativo di razionalizzare e uniformare sul territorio i servizi pubblici, si rende protagonista di uno sforzo finanziario notevole per sottrarre la gestione dei servizi pubblici alle concessioni private, trasferendole progressivamente ai Comuni, anche con l’aspettativa che la gestione tramite le municipalizzate si confermi “<em>fonte di equi profitti, a sollievo dei contribuenti</em>”, secondo una prassi che in Inghilterra ha dato buona prova di sé. Non fanno tuttavia difetto i critici della municipalizzazione, che assumono improbabile un'azienda pubblica poter essere gestita con criteri ed efficienza imprenditoriali (seppure anche per i più scettici la crescente domanda di servizi renda ormai non più rinviabile un intervento il più possibile organico e diretto da parte degli enti pubblici, ed in particolare dello Stato e dei Comuni).</p> <p style="text-align: justify;">La legge in parola non definisce tuttavia il “<em>servizio pubblico</em>”, né ne delinea i connotati essenziali a fini di pertinente individuazione, scolpendo soltanto le condizioni ed i presupposti necessari per procedere alla relativa assunzione da parte dei Comuni giusta cristallizzazione di tutta una serie di regole amministrative ed organizzative finalizzate alla gestione “<em>diretta</em>” dei servizi di primaria necessità, in alternativa alla concessione ai privati. L'art. 1, più in specie, enumera in modo non tassativo la maggior parte dei servizi pubblici che i Comuni possono gestire direttamente tramite la costituzione di un’azienda speciale distinta dall'amministrazione comunale, con bilanci e conti dell’azienda stessa che devono essere separati rispetto a quelli del Comune. Si tratta di un elenco, per l’appunto, almeno formalmente non tassativo ed anzi meramente dimostrativo, che rimarrà, peraltro invariato nella successiva disciplina legislativa, rappresentando la diretta conseguenza delle difficoltà, derivanti dai contrasti politici fra gli orientamenti che ne avevano accompagnato la nascita, di fornire una definizione esatta del servizio pubblico. La legge configura tuttavia, nella sostanza, un sistema che qualifica pubblico il servizio nel momento in cui questo viene “<em>municipalizzato</em>” con la conseguenza onde – proprio a cagione del <em>deficit</em> di determinatezza che soffre il concetto generale di servizio pubblico - l'elenco “<em>dimostrativo</em>” dell'art. 1 finisce paradossalmente con l’assumere un valore tassativo, limitando di conseguenza per il futuro le possibilità di espandere l’oggetto della municipalizzazione stessa. Importante l’art.16 del provvedimento, che introduce nel sistema il modello del c.d. servizio “<em>in economia</em>”, gestito direttamente dal pertinente Comune.</p> <p style="text-align: justify;">Dal punto di vista del <em>management</em>, le nuove aziende municipalizzate sono rette da una Commissione amministrativa e presiedute da un Direttore: il consiglio comunale è competente per l'assunzione diretta del pubblico servizio e per il regolamento speciale dell'azienda, i cui bilanci richiedono l’approvazione della Commissione amministrativa e, messi a disposizione degli elettori, sono poi deliberati dal consiglio comunale e approvati dalla giunta provinciale amministrativa. Gli utili netti accertati vanno devoluti al bilancio ordinario del comune mentre le eventuali perdite vanno coperte con la parte straordinaria della spesa di bilancio comunale. Il legislatore, preoccupato già allora dal verificarsi di fenomeni di distrazione e di clientelismo, sottopone poi le aziende municipalizzate al controllo prefettizio in caso di gravi e persistenti irregolarità per le quali può disporsi financo il decreto di revoca. I servizi di non grande rilevanza possono essere riuniti e svolti da un’unica azienda; più Comuni possono poi consorziarsi per gestire i servizi pubblici dei loro territori.</p> <p style="text-align: justify;">La legge 103 si pone dunque degli obiettivi fondamentali, primo fra tutti quello di consentire ai Comuni di assumere per via ordinaria la gestione diretta dei servizi pubblici, tramite l'istituzione all’uopo di aziende speciali; altro obiettivo è quello di promuovere, più a monte, l'assunzione di responsabilità da parte dei Comuni nella valutazione della convenienza economica della gestione diretta dei servizi pubblici (assunzione di responsabilità peraltro estesa ai cittadini, chiamati a pronunciarsi in merito – art.13 - mediante un istituto molto simile al <em>referendum</em>, per la prima volta utilizzato in Italia). Altro obiettivo della legge è quello di prevedere il controllo da parte delle autorità comunali, ed anche governative, sul funzionamento e sull'andamento di gestione delle municipalizzate, favorendo peraltro l'assunzione da parte dei Comuni della gestione diretta dei servizi pubblici giusta introduzione di specifiche agevolazioni finanziarie (anche nel particolare caso di riscatto di un servizio pubblico dato in concessione, successivamente revocata).</p> <p style="text-align: justify;">Il servizio pubblico prende dunque ad assumere <em>ex lege</em> una propria, autonoma dimensione, benché sia ancora difficile distinguerlo dalla funzione pubblica, in quanto la linea di confine tra i comportamenti di spettanza pubblica necessaria e quelli indispensabili per il benessere della collettività non viene tracciata (né del resto lo sarà mai a livello normativo ed ordinamentale). Non a caso, il problema viene affrontato più che sul piano teorico della ripartizione dei compiti pubblici, su quello operativo degli strumenti giuridici utilizzati per realizzarli, giungendo alla conclusione che, mentre per organizzare la gestione e l’erogazione dei servizi pubblici è necessario ricorrere a moduli e mezzi mutuati dalle scienze tecno-aziendalistiche, per il disimpegno di funzioni pubbliche campeggiano piuttosto modelli ispirati alle scienze burocratico-amministrative</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1904</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 marzo viene varato il R.D. n.108, recante regolamento per l'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1923</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre viene varato il R.D. n.3047 che, seppure entro precisi limiti, consente anche alle Provincie l’assunzione di taluni pubblici servizi; lo stesso provvedimento autorizza poi il Governo a riunire e coordinare in un testo unico l'intera disciplina della materia dei servizi pubblici “<em>municipalizzati</em>”, anche con riguardo a norme dettate eventualmente in via successiva.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1925</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre viene varato il R.D. n.2578, testo unico sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province, che per decenni, anche dopo la caduta del regime, costituirà la disciplina fondamentale della materia, ferme restando le norme di esecuzione ancora contenute nel regolamento del 1904. Secondo il testo unico, l’assunzione da parte del Comune di determinate attività di prestazione (i “<em>servizi</em>” appunto), il cui esercizio sia giudicato di interesse pubblico, è da assumersi libera qualora il servizio debba essere condotto in regime concorrenziale alle imprese private, mentre è da assumersi soggetta a limiti se debba invece svolgersi in regime di monopolio: in tale ultima evenienza, la possibilità di assumere il servizio con diritto di privativa comporta difatti una evidente compressione dei diritti privati, dovendo dunque avere luogo per legge; in particolare per gli enti pubblici minori (Comuni e Province) l’assunzione in monopolio può avvenire per deliberazione degli organi dell’ente soltanto per quei servizi per il quale la legge formale espressamente prevede questa possibilità.</p> <p style="text-align: justify;">Viene confermato il carattere semplicemente “<em>dimostrativo</em>” dell’indicazione dei servizi “<em>pubblici</em>” dei quali i Comuni possono assumere la gestione diretta, con pertinente elenco dunque dal valore esemplificativo e non tassativo, stante la sostanziale “<em>evanescenza</em>” della nozione di pubblico servizio, massime se riguardata proprio agli effetti della c.d. “<em>municipalizzazione</em>”. I servizi municipalizzati possono poi essere amministrati dagli enti pubblici territoriali o in regime di “<em>gestione diretta</em>”, vale a dire a cura degli stessi organi dell’Ente, ovvero giusta concessione erogata a privati. La gestione diretta, più in specie, può svolgersi “<em>in economia</em>” ovvero con la costituzione di apposite “<em>aziende speciali</em>”, il servizio in economia palesandosi ammesso - di regola - per taluni servizi (espressamente contemplati all’art. 1) ovvero per altri di minore importanza in ambito comunale; la gestione in economia viene inoltre assunta preferibile rispetto alla costituzione di un’azienda speciale per quei servizi che non rivestano carattere prevalentemente industriale; per taluni servizi di non grande importanza o di tale natura da potersi “<em>riunire convenientemente</em>”, può poi essere costituita un’unica azienda speciale, mantenendo tuttavia separata le contabilità relativa a ciascuno dei servizi riuniti.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto concerne ancora il servizio in economia, secondo l’art.15 del T.U. e a formale garanzia del pubblico interesse nel caso dei servizi comunali, per la relativa assunzione è prevista una complessa procedura, poi semplificata durante il periodo fascista dall’ordinamento c.d. “<em>podestarile</em>” laddove non si configurino situazioni di incompatibilità; i comuni possono assumere la gestione di alcuni dei servizi in regime di monopolio (trasporti funebri, macelli pubblici e mercati; distribuzione del latte) ovvero, di fatto, di quei servizi che richiedono l’uso di beni del demanio comunale, mentre tra i servizi non indicati espressamente nei testi legislativi che più di frequente i Comuni tendono ad assumere va rammentato, per importanza, quello dell’istruzione elementare e secondaria. La municipalizzazione del servizio si ottiene attraverso una delibera del consiglio comunale ed è soggetta al controllo di merito del comitato regionale di controllo, ai sensi dell’art. 19 del T. U.. Particolari indennizzi sono poi previsti all’art.24 per i casi in cui si incida sui diritti di precedenti concessionari.</p> <p style="text-align: justify;">Le aziende speciali vengono disegnate quali titolari della capacità di compiere tutti i negozi giuridici necessari per il raggiungimento del loro fine, oltre che del potere di stare in giudizio per le azioni che ne conseguono; vengono assoggettate alla vigilanza del consiglio comunale, che ne scandaglia l'andamento gestionale. Esse sono rette da regolamenti speciali e godono di un regime analogo a quello delle aziende autonome statali onde, pur facendo parte dell’organizzazione del Comune di riferimento e pur non essendo persone giuridiche, vengono dotate di una considerevole autonomia amministrativa, il difetto di personalità giuridica comportando peraltro la responsabilità del Comune per le eventuali passività maturate; gli utili netti dell'azienda, accertati dal conto approvato e detratto quanto si assume di destinare al miglioramento ed allo sviluppo della azienda stessa, oltre che a ridurre le tariffe dei servizi, vengono devoluti al bilancio comunale nei modi e nei tempi stabiliti dai regolamenti speciali delle singole aziende; alle perdite si fa fronte col fondo di riserva e, in caso di relativa insufficienza, con appositi stanziamenti nella parte straordinaria della spesa del bilancio comunale. Le aziende speciali sono governate da una commissione amministratrice eletta dal consiglio comunale ed hanno quale organo esecutivo un direttore, impiegato nominato dalla commissione con pubblico concorso, per un triennio e con possibilità di rinnovo del pertinente rapporto; i bilanci e le deliberazioni relative alle spese vengono assoggettate alle verifiche del consiglio comunale e del comitato regionale di controllo, che ha il potere di annullare le deliberazioni eventualmente illegittime.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, secondo il cui art.357, agli effetti della legge penale, sono considerati <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3153.html">pubblici ufficiali</a> tutti coloro che esercitano una pubblica <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4846.html">funzione legislativa</a>, <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4847.html">giudiziaria</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4848.html">amministrativa</a> (comma 1), mentre agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4849.html">norme di diritto pubblico</a> e da <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4850.html">atti autoritativi</a>, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3672.html">pubblica amministrazione</a> o dal suo svolgersi per mezzo di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4851.html">poteri autoritativi</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4852.html">certificativi</a>. Stando poi al successivo art.358, agli effetti della legge penale, sono <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4853.html">incaricati di un pubblico servizio</a> – che dunque si distingue da una pubblica funzione - coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio (comma 1), e per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2434.html">mansioni</a> di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4857.html">ordine</a> e della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4853.html">prestazione di opera meramente materiale</a>. La distinzione è importante anche in considerazione del fatto che talune fattispecie sanzionano penalmente entrambe le categorie di soggetti (pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio), mentre altre si limitano a punire i soli pubblici ufficiali, con esclusione dunque di chi presti un pubblico servizio (e non una pubblica funzione).</p> <p style="text-align: justify;">Su altro crinale, l’art.330 punisce l’abbandono collettivo di pubblici uffici, impieghi, servizi o lavori; il successivo art.331 punisce l’interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità, onde è punito chi, esercitando <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4322.html">imprese</a> di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4854.html">servizi pubblici</a> o di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4859.html">pubblica necessità</a>, <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4762.html">interrompe il servizio</a>, ovvero sospende il lavoro nei propri stabilimenti, uffici o aziende, in modo da <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4796.html">turbare la regolarità</a> del servizio, con pene aggravate per i <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4765.html">capi</a>, <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4438.html">promotori</a> od organizzatori e per chi commette il fatto per fine politico ovvero determinando dimostrazioni, tumulti o sommosse popolari. Ancora, il successivo art.332 punisce il pubblico ufficiale o il dirigente un servizio pubblico o di pubblica necessità, che, in occasione di alcuno dei delitti preveduti dai due articoli precedenti, ai quali non abbia preso parte, rifiuta od omette di adoperarsi per la ripresa del servizio a cui è addetto o preposto, ovvero di compiere ciò che è necessario per la regolare continuazione del servizio, mentre l’art.333 incrimina l’abbandono individuale di un pubblico ufficio, servizio o lavoro.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1938</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno viene varata la legge n.851, recante norme per l'impianto ed il funzionamento delle «<em>centrali del latte</em>».</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, il cui art.1679, rubricato “<em>pubblici servizi di linea</em>” e dettato in tema di contratto di trasporto, prevede significativamente che coloro i quali in forza di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2053.html">concessione amministrativa</a> esercitano <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2054.html">servizi di linea</a> per il trasporto di persone o di cose sono obbligati a accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell'impresa, secondo le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2055.html">condizioni generali</a> stabilite o autorizzate nell'atto di concessione e rese note al pubblico (comma 1); inoltre, i trasporti devono eseguirsi secondo l'ordine delle richieste, ed in caso di più richieste simultanee, deve essere preferita quella di percorso maggiore (comma 2); se poi le condizioni generali ammettono speciali concessioni, il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2052.html">vettore</a> è obbligato ad applicarle a parità di condizioni a chiunque ne faccia richiesta (comma 3) e, salve le speciali concessioni ammesse dalle condizioni generali, qualunque deroga alle medesime è nulla, e alla clausola difforme è sostituita la norma delle condizioni generali. Dalla norma affiora prepotente il principio della pari accessibilità dell’utenza al servizio pubblico di trasporto, che costituirà uno dei cardini della disciplina dei servizi pubblici, specie locali. Da rammentare anche il disposto dell’art.2951, secondo il cui comma 4 si prescrivono in un anno dalla richiesta del trasporto (prescrizione breve) i diritti vantati verso gli <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3458.html">esercenti i pubblici servizi di linea</a> indicati dall'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iii/capo-viii/sezione-i/art1679.html">1679</a>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, il cui art.5 – inserito tra i principi fondamentali – prevede che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali ed attua, nei servizi che dipendono dallo Stato, il più ampio decentramento amministrativo (adeguando i principî ed i metodi della propria legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento).</p> <p style="text-align: justify;">Per il successivo art.43, a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali (oltre che a fonti di energia o a situazioni di monopolio) e che abbiano carattere di preminente interesse generale.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua poi dell’art.110, ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministero della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1957</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo viene firmato a Roma il Trattato istitutivo della CEE, secondo il cui art.90, in primo luogo, gli Stati membri non emanano ne mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 7 e da 85 a 94 inclusi (comma 1), in materia dunque di concorrenza; nondimeno, le imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del Trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, (solo) nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata, lo sviluppo degli scambi non dovendo essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità (comma 2); la Commissione viene infine incaricata di vigilare sull'applicazione delle disposizioni di questo articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri opportune direttive o decisioni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1969</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 dicembre viene varata la legge n.1042, recante disposizioni concernenti la costruzione e l'esercizio di ferrovie metropolitane.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1970</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio viene varata la legge n.308, recante modifica dell'articolo 5 del testo unico 15 ottobre 1925, n. 2578, sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, alla cui stregua ad ogni rinnovo del consiglio comunale viene modificata la commissione amministratrice eletta dal consiglio comunale stesso per governare ciascuna azienda speciale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1982</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio viene varata la legge n.51, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, recante disposizioni in materia di finanza locale. Viene aggiunto all’originario decreto legge, tra gli altri, un articoli 27 <em>nonies</em> onde, a partire dall'esercizio 1982, il conto consuntivo delle aziende pubbliche locali va sottoposto all'esame di un collegio di revisori dei conti nominato dal Consiglio dell'ente locale e composto di 3 membri scelti fra gli iscritti agli ordini professionali provinciali dei dottori commercialisti e ragionieri e tra persone di comprovata esperienza tecnico-amministrativa. Il collegio elegge poi nel proprio seno un presidente. Tali revisori dei conti possono essere invitati alle sedute della commissione amministratrice dell'azienda senza diritto di voto ed al collegio dei revisori spetta di vigilare sulla regolarità contabile ed in generale sulla gestione economico-finanziaria dell'azienda, nonché di attestare la corrispondenza del rendiconto alle risultanze delle scritture contabili, redigendo apposita relazione nella quale siano evidenziate le corrette valutazioni di bilancio ed in particolare degli ammortamenti, accantonamenti, ratei e risconti. Nelle aziende pubbliche locali con almeno 100 dipendenti o con un volume di ricavi superiore a 5 miliardi di lire, il collegio, affiancato da tre esperti del settore, o da certificatori o da una società di certificazione, scelti dall'ente proprietario, oltre ad esercitare le funzioni ridette, ogni triennio redige una relazione per il Consiglio dell'ente locale, in cui sono quantificati in termini economici i dati della gestione aziendale e le possibili soglie ottimali di rendimento, in riferimento a parametri nazionali elaborati dalle associazioni nazionali di categoria.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno viene varata la legge n.142, recante ordinamento delle autonomie locali, il cui art.22, rubricato “<em>Servizi pubblici locali</em>” prevede – inaugurando, <em>ratione materiae</em> e nell’ambito di una profonda revisione della pertinente disciplina, la c.d. Fase 1 - che i comuni e le province, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali (comma 1). I servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge (comma 2), ed essi possono gestire i servizi pubblici (comma 3) nelle seguenti forme: a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati. L’Ente pubblico locale viene dunque chiamato a scegliere la forma di gestione dei servizi pubblici parametrando tale scelta alla natura del singolo servizio, con valutazioni ampiamente discrezionali che si calibrano sugli obiettivi programmati in ottica di migliore perseguimento dell’interesse pubblico che al singolo servizio è sotteso; quando tale servizio si compendia in una attività di tipo imprenditoriale, quale attività economica orientata alla produzione e allo scambio di beni o servizi, l’Ente pubblico locale può esternalizzarlo affidandolo in concessione, ovvero gestirlo attraverso una “<em>azienda speciale</em>” ovvero ancora giusta costituzione di una società per azioni a prevalente capitale pubblico locale.</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi al successivo art.23, rubricato “<em>aziende speciali ed istituzioni</em>”, mentre l'azienda speciale e' ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal Consiglio comunale o provinciale (comma 1), l'istituzione e' organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale (comma 2). Organi dell'azienda e dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale; le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell'ente locale (comma 3). L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti (comma 4). Nell'ambito della legge (comma 5), l'ordinamento ed il funzionamento delle aziende speciali sono disciplinati da uno statuto e da regolamenti propri di ciascuna azienda speciale; quelli delle istituzioni sono disciplinati dallo statuto e dai regolamenti dell'Ente locale da cui dipendono. L'Ente locale conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli eventuali costi sociali (comma 6). Infine, il collegio dei revisori dei conti dell'ente locale esercita le proprie funzioni anche nei confronti delle istituzioni, mentre lo statuto dell'azienda speciale – dotata di maggiore autonomia rispetto all’istituzione - prevede un apposito organo di revisione, nonché forme (per l’appunto) autonome di verifica della gestione (comma 7).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 giugno viene varata la legge n.146, recante norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati ed istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Il relativo art.11 abroga gli articoli 330 e 333 del codice penale, con dubbia residua applicabilità alla fattispecie, ancora punita, di interruzione di pubblico servizio ex art.331 c.p., dell’aggravante di cui all’ultimo comma dell’art.330, dalla medesima legge invece abrogato e riguardante la circostanza in cui il fatto venga commesso per fine politico ovvero determinando dimostrazioni, tumulti o sommosse popolari.,</p> <p style="text-align: justify;">Il successivo art.12 istituisce appunto la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge, al fine di valutare l'idoneità delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio viene firmato a Maastricht il Trattato che trasforma la CEE in CE, e che si occupa - in particolare all’art.86 (ex art.90) del TCE (ex TCEE) – dei servizi d'interesse economico generale (SIEG). Essi sono più nel dettaglio menzionati in 2 disposizioni: 1) <a href="https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/AUTO/?uri=OJ:C:1997:340:TOC">l'articolo 16 del Trattato CE</a>, che affida alla Comunità e agli Stati membri la responsabilità di assicurare, attraverso le loro politiche, che i servizi d'interesse economico generale possano assolvere i loro compiti: la norma enuncia un importante principio senza tuttavia fornire alla Comunità alcuno strumento d'azione specifico; 2) <a href="https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/AUTO/?uri=OJ:C:1997:340:TOC">l'articolo 86, paragrafo 2 del Trattato CE</a>, che riconosce implicitamente agli Stati membri il diritto di imporre specifici obblighi di servizio pubblico agli operatori economici: esso stabilisce un principio fondamentale garantendo che i servizi di interesse economico generale (SIEG) possano continuare ad essere prestati e sviluppati nel mercato comune; i prestatori di servizi di interesse generale sono esentati dal rispetto delle norme del Trattato nella misura in cui ciò sia strettamente necessario per l'assolvimento della loro missione di interesse generale, onde, in caso di controversia, l'assolvimento di una missione di servizio pubblico può effettivamente prevalere sull'applicazione delle norme comunitarie, comprese quelle in materia di mercato interno e concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varata la legge n.498, recante interventi urgenti in materia di finanza pubblica, il cui art.12 apporta consistenti modificazioni all’art.22 della legge 142.90, con particolare riguardo a quella peculiare forma di gestione del servizio pubblico locale compendiatesi nella costituzione di una s.p.a. mista, che non deve più necessariamente essere a prevalente capitale pubblico, potendo dunque la pertinente maggioranza anche essere in mano a privati.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio viene varata la legge n.127, il cui art. 17, comma 58, modifica l'art. 22, comma 3, lettera e) della legge 142.90, onde la gestione dei servizi pubblici locali da parte dei Comuni e delle Provincie può avvenire anche a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati: in sostanza, lo strumento societario può essere anche una s.r.l. (oltre ad una s.p.a.), e tuttavia la società – quale che essa sia - va costituita o partecipata dall’Ente (pubblico) titolare del pubblico servizio, vedendo così la luce il fenomeno delle c.d. società miste, con partecipazione pubblico-privata, per la gestione di un servizio pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varata la legge n.205, recante delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario, il cui art.18 abroga l’art.332 del codice penale in tema di omissione di doveri di ufficio in occasione di abbandono di un pubblico ufficio o di interruzione di un pubblico servizio.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio viene varato il decreto legislativo n.286, recante riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Particolarmente importante il Capo III dedicato alla qualità dei servizi pubblici e alle carte dei servizi: l’art.11, al comma 1, afferma significativamente che i servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile viene varata la legge n.83, il cui art.15, comma 1, introduce nella legge 146.90 un nuovo art.20 bis alla cui stregua contro le deliberazioni della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali in materia di sanzioni è ammesso ricorso al giudice del lavoro</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 settembre viene varata la Comunicazione della Commissione europea sui servizi di interesse economico generale (c.d. SIEG), che li definisce significativamente come quell’insieme di “<em>prestazioni</em>” che si distinguono dalle altre attività di impresa sul presupposto onde l’Autorità pubblica ritiene che esse debbano essere fornite anche laddove il mercato non scorga sufficienti ragioni per assumerne la produzione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 agosto viene varato il decreto legislativo n.267, recante Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (c.d. TUEL), il cui art.112, al comma 1, afferma significativamente che gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali di riferimento. Il successivo comma 2 afferma poi che i servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge, scolpendo dunque un principio di “<em>tipicità</em>” dei servizi pubblici locali “<em>riservati</em>”. Infine, alla stregua del comma 3 ai servizi pubblici locali si applica il capo III del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, relativo alla qualità dei servizi pubblici locali e alle carte dei servizi. Importante anche l’art.113 del TUEL, nel quale confluisce la disciplina di cui all’abrogato art.22 della legge 142.90.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 dicembre viene proclamata a Nizza la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea o Carta di Nizza (CDFUE), secondo il cui articolo 36 l'Unione riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione stessa.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 settembre esce la sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n.4586 che si occupa delle società miste e della possibilità per le stessi di svolgere attività “<em>extra moenia</em>” rispetto alla gestione del servizio pubblico a favore della collettività di riferimento della quale è esponenziale l’Ente locale che ha istituito la singola società mista e che partecipa al pertinente capitale sociale. Per il Consiglio non è possibile in modo rigido assimilare la società mista né all’azienda speciale, pubblicisticamente votata alla propria collettività di riferimento, né ad un qualunque operatore imprenditoriale privato in grado - come tale - di operare senza alcun vincolo territoriale rispetto alla funzionalizzazione pubblicistica che ne ha costituito la scaturigine istitutiva con riguardo ad una specifica collettività territorialmente localizzata. Diversamente da quanto accade per una azienda speciale, al cospetto di una società mista il vincolo funzionale non può a priori compendiare una ragione ostativa all’assunzione (anche) di attività <em>extra moenia</em>, massime quando tali attività siano compatibili con quella istituzionalmente disimpegnata dalla società mista in favore del “<em>proprio</em>” Ente locale di riferimento, che in quanto socio può a determinate condizioni vedersi garantito un ritorno del capitale investito da tale gestione extraterritoriale, capace di giovare alla stessa gestione del servizio pubblico locale “<em>di partenza</em>”. Su questo crinale, deve assumersi pienamente ammissibile per il Collegio che una società mista riferita ad un Ente locale A possegga una partecipazione finanziaria di minoranza in altra società mista riferita ad un diverso Ente locale B, dacché simile fattispecie non implica una rilevante distrazione di mezzi e di risorse a discapito della collettività territoriale di originario riferimento (A), e non fa dunque luogo a quel paventato depauperamento dell’organizzazione societaria operante a servizio del Comune istitutore (A).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre viene varata la legge costituzionale n.3, il cui art.3 – nel quadro della riforma del Titolo V della Costituzione – muta l’art.117 della Costituzione, riservando in particolare alla legislazione esclusiva dello Stato (comma 2, lettera m) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/460.html">diritti civili</a> e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 dicembre viene varata la legge n.448 (legge finanziaria per l’anno 2002), il cui art.35, comma 12, lettera c) abroga il comma 2 dell’art.112 del TUEL (decreto legislativo 267.00) sui servizi pubblici locali c.d. riservati. Più in generale, l’art.35 innova profondamente il quadro normativo di riferimento in tema di servizi pubblici locali, varando una vera e propria Fase 2 in materia, giusta riformulazione dell’art.113 del TUEL e contestuale introduzione di un nuovo art.113 bis, distinguendo i servizi pubblici locali a rilevanza industriale da quelli non a rilevanza industriale.</p> <p style="text-align: justify;">Quando un servizio pubblico ha rilevanza industriale, alla stregua dell’art.113, comma 5 la relativa erogazione, da svolgere in regime “<em>competitivo</em>” di concorrenza, avviene secondo le discipline di settore, con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica, rendendosi dunque obbligatoria la competizione (e la connessa “<em>evidenza pubblica</em>”) per individuare il pertinente gestore del servizio, superandosi il precedente regime che consentiva l’affidamento diretto a società miste con partecipazione pubblica da parte dell’Ente locale.</p> <p style="text-align: justify;">Allorché invece un servizio pubblico locale non abbia rilevanza industriale, la norma di riferimento è il nuovo art.113 bis del TUEL alla cui stregua, in generale, esso viene affidato e gestito secondo un modello che non è la società di capitali selezionata a valle di una gara: è piuttosto ammissibile l’affidamento diretto a favore di istituzioni, aziende speciali e società di capitali costituite o partecipate da Enti locali e disciplinate dal codice civile.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 marzo viene varata la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche Comunitarie, alla cui stregua l’affidamento e la gestione di un servizio pubblico, quantunque non siano fenomeni regolati dalle Direttive in materia di appalti, soggiace in ogni caso ai canoni della concorrenza e del confronto competitivo che possono assumersi evincibili direttamente dal Trattato europeo. Per la Circolare occorre peraltro distinguere gli appalti pubblici di servizi dall’affidamento di pubblici servizi, in quest’ultimo prevalendo (a differenza del primo, nel quale è assente) la diretta funzionalizzazione dell’attività svolta dal titolare ed affidatario del servizio al soddisfacimento di bisogni dell’utenza, sulla base di una attività di gestione del servizio medesimo i cui proventi remunerano i pertinenti costi di erogazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio viene varato il Libro verde della Commissione europea sui servizi di interesse generale (c.d. SIG). La Commissione precisa che l’espressione “<em>servizi di interesse generale</em>” non è presente nel Trattato, ma nella prassi comunitaria compendia una derivazione dall’espressione “<em>servizi di interesse economico generale</em>”, che è invece presente nel Trattato. Si tratta di una espressione più ampia di quella di “<em>servizi di interesse economico generale</em>” e riguarda tanto i servizi di mercato quanto quelli non di mercato, che le Autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. Per la Commissione i servizi d'interesse generale sono parte dei valori condivisi da tutte le società europee e costituiscono un tratto essenziale del modello europeo di società; il loro ruolo è fondamentale per migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini e per superare l'emarginazione e l'isolamento sociali.</p> <p style="text-align: justify;">Ne costituiscono una sottocategoria, per l’appunto, i servizi d'interesse economico generale che sono citati in tre disposizioni: 1) <a href="https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/AUTO/?uri=OJ:C:1997:340:TOC">l'articolo 16 del Trattato CE</a>, che affida alla Comunità e agli Stati membri la responsabilità di assicurare, attraverso le loro politiche, che i servizi d'interesse economico generale possano assolvere i loro compiti; tale articolo enuncia peraltro solo un principio, ma non fornisce alla Comunità alcuno strumento d'azione specifico; 2) <a href="https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/AUTO/?uri=OJ:C:1997:340:TOC">l'articolo 86, paragrafo 2 del Trattato CE</a>, che riconosce implicitamente agli Stati membri il diritto di imporre specifici obblighi di servizio pubblico agli operatori economici; esso stabilisce un canone fondamentale che garantisce che i servizi di interesse economico generale possano continuare ad essere prestati e sviluppati nel mercato comune; i prestatori di servizi di interesse generale sono esentati dal rispetto delle norme del Trattato nella misura in cui ciò sia strettamente necessario per l'assolvimento della loro missione di interesse generale onde, in caso di controversia, l'assolvimento di una missione di servizio pubblico può effettivamente prevalere sull'applicazione delle norme comunitarie, comprese quelle in materia di mercato interno e concorrenza; 3) l'articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, secondo il quale l'Unione riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione stessa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 settembre viene varato il decreto legge n.269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, che inaugura la Fase 3 in tema di servizi pubblici locali. Ciò giusta nuova formulazione dell’art.113 del TUEL, operata dall’art.14 del decreto legge, con superamento della distinzione tra servizi pubblici locali a rilevanza industriale e non industriale e relativa sostituzione con quella tra servizi pubblici locali “<em>a rilevanza economica</em>” e “<em>non a rilevanza economica</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Per l’affidamento di un servizio pubblico locale a rilevanza economica occorre di regola indire e svolgere una gara ad evidenza pubblica orientata ad individuare la società di capitali alla quale, per l’appunto, affidare tale servizio; si tratta di una regola che nondimeno, alla stregua del novellato art.113, comma 5, del TUEL, soffre due rilevanti eccezioni, non essendo richiesta la gara (con conseguente possibilità di addivenire ad affidamento diretto del servizio) quando l’interlocutore individuato per la gestione sia una società a capitale misto pubblico privato nella quale il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure di evidenza pubblica, che abbia dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; nonché quando sempre l’interlocutore privato individuato per la gestione sia una società a capitale interamente pubblico, a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del pertinente capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti pubblici che la controllano (c.d. <em>in house providing</em>).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre viene varata la legge n.326 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.269.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio esce l’importante sentenza della Corte costituzionale n.272, che si occupa del riparto tra lo Stato e le Regioni della potestà legislativa in materia di servizi pubblici locali. La Corte dichiara incostituzionale – per invasione della sfera di competenza legislativa regionale - l’art.113 del TUEL (decreto legislativo 267.00), ed in particolare il relativo comma 7 in tema di disciplina dei criteri per lo svolgimento delle gare per l’affidamento dei servizi pubblici locali, nonché l’art.113 bis del ridetto TUEL in tema di disciplina delle modalità di affidamento dei servizi pubblici non economici.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Consulta, la materia dei servizi pubblici locali non va ricondotta alle funzioni fondamentali degli Enti locali, tenuto conto della circostanza onde la gestione di tali servizi non può assumersi esplicazione, per l’appunto, di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale; la medesima materia (servizi pubblici locali) non è neppure riconducibile alla determinazione dei livelli minimi inerenti le prestazioni essenziali a tutela dei diritti civili e sociali (giacché concerne precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non riguarda la determinazione, per l’appunto, di pertinenti “<em>livelli essenziali</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta piuttosto di un ambito da ricondursi all’altra materia, a connotazione “<em>trasversale</em>”, di “<em>tutela della concorrenza</em>” ex art.117, comma 2, lettera e) della Costituzione, dunque di legislazione statale esclusiva, dovendo peraltro accogliersi una ermeneusi ampia della nozione “<em>tutela della concorrenza</em>”, che come tale facoltizza il legislatore statale ad intervenire per promuovere, per l’appunto, situazioni di concorrenza. Si può in proposito isolare una nozione di tutela della concorrenza in senso statico, quale garanzia di interventi di regolazione e di ripristino di un equilibrio concorrenziale ormai perduto, ed una nozione di tutela della concorrenza in senso dinamico, di ascendenza sovranazionale, capace come tale di legittimare interventi pubblici orientati a ridurre squilibri e a favorire le condizioni per un adeguato sviluppo del mercato, oltre che a instaurare assetti concorrenziali.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio muovendo da questi presupposti, vanno per la Corte assunte legittime le disposizioni di cui all’art.14 del decreto legge 269.03, orientate a creare situazioni di concorrenzialità all’interno di un mercato pure in larga parte monopolistico, come tali riconducibili alla materia della tutela e della promozione della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale; sempre per la Corte va invece assunta contraria a Costituzione la disciplina di cui all’art.113, comma 7, del TUEL, laddove vengono indicati i criteri per lo svolgimento delle gare finalizzate ad affidare servizi pubblici locali in modo puntuale e con tecnica auto-applicativa, attraverso una disciplina così dettagliata da ledere, invadendola, la competenza legislativa delle Regioni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 aprile viene varato il decreto legislativo n.152, c.d. codice dell’ambiente, il cui art.154, comma 1, si occupa della tariffa del c.d. servizio idrico integrato. Si tratta di una tariffa che costituisce appunto il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità di ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “<em>chi inquina paga</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio viene varato il D.L. n.223 (c.d. Decreto Bersani), secondo il cui art.13 - al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori - le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate da Amministrazioni pubbliche regionali o locali per la produzione di beni o servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non potendo svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti. Il tenore equivoco della disposizione fa nascere la questione se il divieto di attività <em>extra moenia</em> espressamente sancito dal ridetto art.13 riguardi le sole società c.d. strumentali rispetto all’attività dell’Ente locale, e dunque preposte a fornire beni o servizi all’Ente stesso che ne detiene in tutto o in parte il capitale azionario, ovvero riguardi anche le società che gestiscono servizi pubblici, e che dunque dispiegano la relativa attività a favore della cittadinanza dell’Ente locale di riferimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varata la legge n.248 che converte con modificazioni il decreto legge n.223.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.7369 alla cui stregua la genericità dell’art.112 TUEL si spiega con la circostanza onde gli enti locali, ed il Comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria (art.3 TUEL), nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni ed attività, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento, assumere come doverose. Proprio muovendo da questo presupposto, vanno qualificate “<em>servizio pubblico locale</em>” quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile – scopi, come tali, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento - e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto dei rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico. In sostanza, ciascun ente locale può dunque per il Consiglio autonomamente valutare – parametrandola con lo specifico contesto socio economico e territoriale di riferimento – la decisione di assumere un servizio, decisione che tuttavia può ritenersi giustificata solo allorché la pertinente attività si orientata al soddisfacimento di bisogni fondamentali affioranti per l’appunto dalla comunità locale di riferimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre viene firmato a Lisbona il Trattato che trasforma la CE in UE, e che prevede all’art.106 del TFUE (ex TCE) come le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale siano sottoposte alle norme del TFUE appunto, ed in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varato il decreto legge n.112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, con il cui noto art.23 bis si apre la Fase 4 in materia di servizi pubblici locali, orientata a far invalere nel pertinente settore l’imprescindibile applicazione dei principi sovranazionali in materia di tutela del mercato e della concorrenza e di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi da parte di tutti gli operatori economici del settore, coniugandola con la garanzia per gli utenti della universalità dei servizi pubblici locali e della relativa accessibilità, stante anche l’art.117, comma 2, rispettivamente, lettera e) in materia di tutela della concorrenza e lettera m) in tema di livello essenziale delle prestazioni da erogarsi. Secondo l’art.23 bis occorre distinguere una modalità ordinaria di affidamento della gestione del servizio pubblico locale (comma 2), giusta procedure competitive ad evidenza pubblica nel rispetto del Trattato e dei principi generali in tema di contratti pubblici; ed una (tipologicamente generica) modalità in deroga (comma 3), laddove ricorrano situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato, purché comunque rispettose dei principi della disciplina comunitaria, dovendo in simili casi l’Ente locale erogante (comma 4) dare adeguata pubblicità alla scelta giusta motivazione sulla base di una analisi di mercato e contestuale trasmissione di una relazione sugli esiti di tale verifica all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e alle Autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere, da parte di queste ultime, entro 60 giorni dalla ricezione della relazione dell’Ente. I tre prototipi di affidamento del pubblico servizio locale di cui all’art.113, comma 5, del TUEL diventano ora due, uno ordinario ed uno, per l’appunto, in deroga.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto viene varata la legge n.133 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.112.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.246, alla cui stregua – <em>expressis verbis</em> – il servizio idrico integrato, in quanto destinato ad inserirsi in uno specifico e peculiare mercato, deve assumersi servizio con rilevanza economica in relazione al quale va riconosciuta la competenza legislativa esclusiva dello Stato, trattandosi della materia “<em>tutela della concorrenza</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre viene varato il decreto legge n.135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee (c.d. decreto legge “<em>salva-infrazioni</em>”), che porta a compimento la Fase 4 in materia di servizi pubblici locali laddove, con il relativo art.15, cerca di scongiurare la eccessiva genericità dell’art.23 bis del d.l. n.112.08 quanto ai c.d. affidamenti “<em>in deroga</em>”, chiarendo in primo luogo, espressamente, che tra le ridette modalità derogatorie di affidamento va annoverato il modello del c.d. <em>in house providing</em>, al quale può ricorrersi in situazioni ora specificamente definite “<em>eccezionali</em>” che – giusta peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento – non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato. Proprio perché la deroga con ricorso all’<em>in house</em> va assunta eccezionale, occorre che l’Ente locale che intende ricorrervi la pubblicizzi adeguatamente e la motivi sulla base di una analisi di mercato che renda evidenti le condizioni che ne legittimano la scelta, con necessità di un parere preventivo dell’AGCM sulla base degli esiti della verifica, siccome consacrati nella relazione all’uopo trasmessale dall’Ente locale, con possibilità nondimeno – decorsi i 60 giorni dalla ricezione della relazione senza un pronunciamento espresso dell’Autorità – della formazione di un silenzio assenso. Muta anche la disciplina dell’affidamento a società miste, giusta novellazione dell’art.23 bis, comma 2, del d.l. n.112.08, venendone esplicitata l’ammissibilità e, tuttavia, tra le modalità ordinarie (e non già derogatorie) di affidamento di un servizio pubblico locale, al medesimo livello dunque della ordinaria procedura di gara per la selezione del pertinente affidatario e senza necessità di motivare particolarmente la scelta, operata dall’Ente, di affidare il servizio ad una s.p.a. mista., con la precisazione che occorre la previa gara sia per individuare il socio privato della ridetta società mista che, poi, per affidarle il servizio, mettendola dunque in competizione con altri operatori del settore e sconfessando quell’orientamento inteso ad assumere necessaria la gara solo “<em>a monte</em>”, per la selezione del socio privato. Sempre in tema di affidamento “<em>ordinario</em>” a società miste, il nuovo comma 2 dell’art.23 bis prevede una lettera b) alla cui stregua il socio privato deve indefettibilmente possedere almeno il 40% del capitale della società mista pertinente, così palesandosi l’intenzione del Legislatore di aprire alla concorrenza il mercato dei servizi pubblici locali.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre viene varata la legge n.166 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.135.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 settembre viene varato il D.p.R. n.168, recante regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133. Si tratta del c.d. regolamento di attuazione dell’art.23 bis, il cui obiettivo disciplinare è quello di meglio attuare in tema di servizi pubblici locali i principi eurounitari sulle attività economiche, la tutela della concorrenza e le libertà fondamentali delle imprese, sorvegliati dall’azione della Commissione europea, come palesa il relativo art.2 (“<em>misure di liberalizzazione</em>”) che definisce eccezionale l’affidamento di tipo diretto e senza gara: gli Enti locali devono piuttosto verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando l'attribuzione di diritti di esclusiva, ove non diversamente previsto dalla legge, ai casi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale ed efficienza, a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità, e liberalizzando in tutti gli altri casi le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del pertinente servizio (comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">All'esito della verifica, l'Ente adotta una delibera quadro che illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, i fallimenti del sistema concorrenziale e, viceversa, i benefici per la stabilizzazione, lo sviluppo e l'equità all'interno della comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio (comma 2), dando alla ridetta delibera adeguata pubblicità ed inviandola all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (comma 3). La verifica ridetta va effettuata dall’Ente locale entro 1 anno dalla data di entrata in vigore del regolamento e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa deve comunque essere effettuata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi (comma 4). Gli enti locali, precisa ancora la norma (comma 5), per assicurare agli utenti l'erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e le attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, devono definire, ove necessario, gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo le eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilità di bilancio destinata allo scopo.</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del successivo art.4, comma 1, gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere di cui all'articolo 23-bis, comma 4, se il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento supera la somma complessiva di 200.000,00 euro annui; parere che la dottrina tenderà ad assumere come obbligatorio ma non vincolante, potendo l’Ente locale discostarsene, seppure adeguatamente motivando.</p> <p style="text-align: justify;">Importante l’art. 3 del Regolamento, recante le norme applicabili in via generale per l’affidamento del servizio pubblico locale, secondo il cui primo comma le procedure competitive ad evidenza pubblica, di cui all'articolo 23-bis, comma 2, sono indette dagli Enti locali nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti. Le società a capitale interamente pubblico possono inoltre partecipare (comma 2) alle procedure competitive ad evidenza pubblica di cui all'articolo 23-bis, comma 2, lettera a), sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge. Al fine di promuovere e proteggere l'assetto concorrenziale dei mercati interessati, alla stregua del comma 3 il bando di gara o la lettera di invito: a) esclude che la disponibilità a qualunque titolo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali non duplicabili a costi socialmente sostenibili ed essenziali per l'effettuazione del servizio possa costituire elemento discriminante per la valutazione delle offerte dei concorrenti; b) assicura che i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara siano proporzionati alle caratteristiche e al valore del servizio e che la definizione dell'oggetto della gara garantisca la più ampia partecipazione e il conseguimento di eventuali economie di scala e di gamma; c) indica, ferme restando le discipline di settore, la durata dell'affidamento commisurata alla consistenza degli investimenti in immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara a carico del soggetto gestore. In ogni caso la durata dell'affidamento non puo' essere superiore al periodo di ammortamento dei suddetti investimenti; d) può prevedere l'esclusione di forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l'aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un'oggettiva e motivata analisi che tenga conto di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento; e) prevede che la valutazione delle offerte sia effettuata da una commissione nominata dall'ente affidante e composta da soggetti esperti nella specifica materia; f) indica i criteri e le modalità per l'individuazione dei beni di cui all'articolo 10, comma 1 (beni strumentali alla gestione del servizio affidato), e per la determinazione dell'eventuale importo spettante al gestore al momento della scadenza o della cessazione anticipata della gestione ai sensi dell'articolo 10, comma 2; g) prevede l'adozione di carte dei servizi al fine di garantire trasparenza informativa e qualità del servizio. Fermo restando quanto appena detto, nel caso di procedure aventi ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di gara o la lettera di invito assicura – ai sensi del comma 4 - che: a) i criteri di valutazione delle offerte basati su qualità e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie; b) il socio privato selezionato svolga gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso e che, ove ciò non si verifichi, si proceda a un nuovo affidamento ai sensi dell'articolo 23-bis, comma 2; c) siano previsti criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre esce la deliberazione 129/PAR/2010 della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo Regione Puglia, che pone in dubbio la prevalenza dell’art.23 bis, comma 1, del decreto legge 112.08 – in termini di norma “<em>generale</em>” – sulle diverse discipline speciali di settore (di fonte primaria) in tema di affidamento e gestione di servizi pubblici locali.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 novembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.325, alla cui stregua la nozione di servizio pubblico locale siccome affiorante dal decreto legislativo 267.00 deve assumersi sostanzialmente omogenea rispetto a quella unionale di SIEG, “<em>servizio di interesse economico generale</em>”, entrambe facendo riferimento ad un servizio che, da un lato, viene erogato mediante una attività economica – nella forma dell’impresa pubblica o privata – intesa in senso ampio, quale attività compendiantesi nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato; dall’altro, fornisce prestazioni considerate necessarie in quanto dirette a realizzare (anche) “<em>fini sociali</em>” nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle particolari condizioni in cui ciascuno di essi versa. Si tratta di due nozioni omologhe, per la Corte, non già solo dal punto di vista concettuale ma anche e soprattutto sul crinale funzionale, assolvendo esse l’identica funzione, per l’appunto, di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive di evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 gennaio esce la sentenza della Corte costituzionale n.24, che dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare – dichiarata legittima, con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione e rubricata con il n. 1 – per l’abrogazione dell’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a séguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale. Per la Corte, più in specie, nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza della Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 – sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (meno restrittiva rispetto a quella oggetto di <em>referendum</em>) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica. Ne deriva per la Corte l’ammissibilità del quesito per l’insussistenza di impedimenti di natura comunitaria. La Corte richiama anche la propria precedente sentenza n. 325 del 2010, laddove si è espressamente escluso che l’art. 23-bis costituisca applicazione necessitata del diritto dell’Unione europea e si è affermato che esso integra solo «<em>una delle diverse discipline possibili della materia che il legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare</em>» il «<em>primo comma dell’art. 117 Cost</em>.»; la stessa sentenza 325.10 ha precisato che l’introduzione, attraverso il suddetto art. 23-bis, di regole concorrenziali (come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici) più rigorose di quelle minime richieste dal diritto dell’Unione europea non è imposta dall’ordinamento comunitario «<em>e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost.</em> […], <em>ma neppure si pone in contrasto</em> […] <em>con la</em> […] <em>normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Con la medesima pronuncia la Corte costituzionale dichiara invece inammissibile il quesito referendario orientato all’abrogazione dell’art.150 del decreto legislativo 152.06, Codice dell’ambiente; ciò sulla scorta della considerazione (di carattere formale) onde ciascuno dei quesiti proposti deve essere valutato - per la Corte - indipendentemente dagli altri e, in particolare, degli effetti che l’esito degli altri referendum potrebbe avere sulla c.d. normativa di risulta.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio viene varato il decreto legge n.70 (c.d. decreto sviluppo) il cui art.10, comma 11, istituisce l’Agenzia Nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, alla quale spetta in particolare il compito di definire un nuovo metodo per la definizione delle tariffe del settore idrico, in vista della cessazione delle c.d. AATO (Autorità di Ambito Territoriale Ottimale), che sono state soppresse giusta art.2, comma 186 bis, della legge 191.09 (legge finanziaria del 2010).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 e 13 giugno si tiene una consultazione referendaria che abroga l’art.23 bis del decreto legge 112.08, inaugurando la Fase 5 in tema di servizi pubblici locali. All’indomani del ridetto decreto legge, e sull’onda della evoluzione normativa che gli è succeduta, si è infatti innescato un dibattito sulla intervenuta, draconiana “<em>privatizzazione</em>” dei servizi pubblici locali – seppure in un quadro di promozione della concorrenza e della liberalizzazione - dal ridetto provvedimento introdotta, peraltro giusta decreto legge e senza un intervento di respiro organico e sistematico nella pertinente materia, con sostanziale marginalizzazione delle imprese pubbliche che, non potendo più essere rese affidatarie senza gara in quanto tali, si sono viste costrette ad aprire le porte ai privati, quanto meno in termini di partecipazione specificamente operativa di un socio privato, altrimenti rimanendo escluse dal pertinente mercato competitivo, con forte sbilanciamento a favore, per l’appunto, del settore privato a discapito di quello pubblico. Il problema è dunque quello dell’equilibrio tra la presenza del pubblico, assunta da più parti ineludibile, e le logiche del mercato concorrenziale, con particolare riguardo al settore idrico integrato, in relazione al quale si invoca una nuova “<em>ripubblicizzazione</em>” che ha condotto per l’appunto al referendum abrogativo del 12 e 13 giugno; esso sortisce esito positivo, con conseguente abrogazione dell’art.23 bis del decreto legge 112.08 e connesso vuoto normativo per subentrato difetto di qualsivoglia normativa a disciplinare la materia, specie in termini di modalità di gestione dei servizi pubblici locali, che risulta ormai normata solo (e direttamente) dal diritto unionale, senza mediazione di una normativa nazionale.</p> <p style="text-align: justify;">Abrogato il menzionato art.23 bis, norma che assume eccezionale per gli Enti locali affidare i servizi pubblici a soggetti <em>in house</em>, ciascun Ente locale ritrova la propria libertà di autoorganizzazione che gli è stata riconosciuta dal Trattato UE e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, potendo dunque scegliere se ricorrere o meno alla autoproduzione del servizio pubblico di volta in volta considerato, quand’anche nel quadro dei vincoli sovranazionali. Non si produce tuttavia – come peraltro già avvertito dalla Corte costituzionale in sede di declaratoria di ammissibilità della pertinente consultazione referendaria – una “<em>nuova vita</em>” effettuale per il vecchio art.113 del TUEL, con conseguente possibilità di porre sullo stesso livello le tre diverse modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali ivi previste. Su altro crinale, l’art.23 bis ormai abrogato, al comma 1 dichiarava di dettare una disciplina prevalente rispetto a quella delle discipline di settore con esso incompatibili (escluse quelle in materia di servizio ferroviario regionale, farmacie comunali, gas ed energia elettrica), con conseguente riespansione – a valle della intervenuta abrogazione per via referendaria – di tutte le normative speciali in tema di affidamento e gestione di servizi pubblici locali, essendo venuta meno per l’appunto la norma “<em>generale</em>” e come tale fino ad ora prevalente. Ancora, il comma 8 dell’art.23 bis prevedeva un regime transitorio in tema di affidamenti diretti onde occorreva – una volta entrato in vigore il Regolamento del 2010 – far luogo alla cessazione della pertinente gestione entro specifiche scadenze: anche questo regime transitorio viene meno per effetto dell’esito caducatorio referendario; analogamente, decadono i limiti di cui al comma 9 dell’art.23 bis, prescritti per le società già affidatarie di servizi pubblici locali <em>in house</em> ed aventi ad oggetto l’ottenimento – direttamente o con gara – di ulteriori servizi (ovvero di servizi in ambiti territoriali diversi dal proprio), onde a seguito della tornata referendaria le società <em>in house</em> soggiacciono ormai ai meno stringenti limiti previsti in sede di normativa europea. Ancora, nell’ottica di un riequilibrio dei rapporti tra “<em>pubblico</em>” e “<em>privato</em>” a favore del primo, cade l’obbligo di attribuire al socio privato, nelle società miste, una partecipazione almeno pari al 40% del capitale della pertinente società mista.</p> <p style="text-align: justify;">L’abrograzione dell’art.23 bis comporta anche che la disciplina del servizio idrico integrato ritorna ad essere quella, settoriale, di cui alla Parte III del decreto legislativo 152.06, c.d. codice dell’ambiente, nel quale è confluita la precedente normativa di cui alla c.d. Legge Galli n.36.94. Di tale codice dell’ambiente viene tuttavia parzialmente abrogato l’art.154, comma 1, laddove reca i criteri di determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, onde il canone dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito esce dalle voci che contribuiscono a determinare (quale componente) la pertinente tariffa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.17, alla cui stregua il divieto di fornire prestazioni a terzi (c.d. <em>extra moenia</em>) siccome scolpito all’art.13 del d.l. 223.06 (decreto Bersani) riguarda le sole società pubbliche “<em>strumentali</em>” alle Amministrazioni regionali o locali, le quali esercitano attività amministrativa in forma privatistica e costituiscono una <em>longa manus</em> dell’Amministrazione pubblica cui sono avvinte (e per le quali in via esclusiva operano), ma non anche le società destinate a gestire servizi pubblici locali, che esercitano attività di impresa di enti pubblici e che si rivolgono non all’Amministrazione pubblica che le partecipa, ma al pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 agosto viene varato il decreto legge n.138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, che porta a compimento la Fase 5 in tema di servizi pubblici locali, dando seguito alla consultazione referendaria abrogativa del giugno del medesimo anno e colmando il vuoto normativo da essa posto in essere giusta abrogazione dell’art.23 bis del decreto legge 112.08, col dettare nuovamente una disciplina sistematica dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, il relativo art.4 non fa che riproporre la disciplina di cui all’art.23 bis del decreto legge 112.08 (e del pertinente regolamento di attuazione 168.10), sottraendo tuttavia dal relativo orizzonte applicativo taluni servizi pubblici locali peculiari e, più nel dettaglio, il servizio idrico integrato (che aveva dato la stura al referendum, in tema di “<em>acqua</em>”), il servizio di distribuzione di gas naturale (decreto legislativo 164.00), quello di distribuzione di energia elettrica (decreto legislativo 79.99 e legge 239.04), il servizio di trasporto ferroviario regionale (decreto legislativo 422.97) ed il servizio di gestione delle farmacie comunali (legge 475.68). Per il ridetto art.4 gli Enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, sono chiamati a verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con liberalizzazione di tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del servizio; negli altri casi, l’attribuzione dei diritti di esclusiva va limitata alle ipotesi in cui, sulla base di un’analisi di mercato, la libera iniziativa privata si palesa non idonea a garantire un servizio (e, dunque, delle prestazioni) capaci di realizzare i bisogni della comunità territoriale di riferimento; proprio con riguardo a queste fattispecie sottratte alla liberalizzazione, l’Ente locale deve motivare le ragioni della pertinente decisione ed i benefici che la comunità territoriale di riferimento ritrae dal mantenimento di un regime (pubblico) di esclusiva del servizio in parola.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 settembre viene varata la legge n.148 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.138.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 novembre viene varata la legge n.183, c.d. legge di stabilità per il 2012, il cui art.9 interviene in tema di affidamento di servizi pubblici locali, proponendosi <em>expressis verbis</em> il fine di realizzare un sistema liberalizzato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica attraverso la piena concorrenza nel mercato, oltre che di perseguire obiettivi di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici in parola e di assicurare – giusta sistema, varato all’uopo, di <em>benchmarking</em> – il progressivo miglioramento della qualità e dell’efficienza della pertinente gestione. Secondo questa nuova presa di posizione del legislatore, gli Enti locali sono tenuti a valutare l’opportunità di procedere all’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali, nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varato il decreto legge n.201, il cui art.21, comma 13, sopprime l’Agenzia Nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, con contestuale trasferimento (comma 19) delle funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici all’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 dicembre viene varata la legge n.214 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.201.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio viene varato il decreto legge n.1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (c.d. decreto liberalizzazione), il cui art.25, rubricato “<em>promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali</em>”, novella il decreto legge 138.11. In particolare, viene modificato il comma 13 dell’art.4 del ridetto decreto legge 138.11, onde la soglia dell’affidamento diretto e senza gara a società pubbliche controllate in via totalitaria dall’Ente locale viene abbassata dagli originari 900 mila Euro annui alla ben più modesta somma di 200 mila Euro annui, in funzione di promozione della concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo viene varata la legge n.27 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.1.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno viene varato il decreto legge n.83, (c.d. decreto cresci-Italia), il cui art.53, comma 1, lettera b) novella ancora l’art.2 del decreto legge 138.11. Il pacchetto normativo di cui a tale decreto legge unitamente al precedente decreto legge “<em>liberalizzazione</em>”, si propone lo scopo di agevolare ed incentivare la crescita, dal punto di vista dimensionale, delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici locali. Proprio muovendo da questo intento, l’affidamento può avvenire in deroga – per la gestione in house del pertinente servizio pubblico locale – a favore di una unica società <em>in house</em> per l’appunto, quale compagine risultante dall’integrazione operativa di preesistenti gestioni in affidamento diretto e gestioni in economia, così da configurare un unico gestore del servizio pertinente ad un livello di ambito o di bacino territoriale ottimale la cui dimensione deve, di norma, essere non inferiore almeno a quella del territorio di una Provincia. Le Regioni, anche su proposta dei Comuni, possono tuttavia individuare specifici bacini territoriali di diverso dimensionamento rispetto a quello provinciale, motivando la pertinente scelta sulla scorta di criteri di differenziazione territoriale e socio-economica ed in base ai canoni di proporzionalità, di adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio considerato. Le società affidatarie di un servizio pubblico locale <em>in house</em> vengono tuttavia assoggettate al patto di stabilità interno, sulla cui osservanza vigila l’ente locale o l’ente di governo locale dell’ambito o del bacino.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio viene varato il decreto legge n.95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, il cui art.4 interviene in tema di affidamenti diretti nei servizi pubblici locali (c.d. decreto <em>spending review</em>). Più in specie, il comma 1 prevede lo scioglimento entro il 31 dicembre 2013 delle società controllate direttamente o indirettamente da PPAA che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazioni di servizi a favore di Pubbliche Amministrazioni superiore al 90%, ovvero in via alternativa l’alienazione delle pertinenti partecipazioni giusta procedure di evidenza pubblica entro il 30 giugno 2013. Alla stregua del comma 2 poi, laddove non si proceda in uno dei due modi alternativamente previsti dal comma 1, la società interessata – a partire dal 01 gennaio 2014 - non può comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, né può beneficiare del rinnovo di affidamenti di cui sia già titolare. Infine, importante il comma 3 dell’art.4 che, nella sostanza, innesta nuovamente nel sistema quanto a suo tempo disposto in via derogatoria ed eccezionale dall’art.4 del decreto legge 138.11, lasciando dunque in vita società pubbliche affidatarie dirette di servizi locali allorché, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale di riferimento, non sia possibile per la PA locale pertinente e controllante il ricorso al mercato, prescrivendo ad un tempo l’obbligatorietà di una analisi di mercato e la trasmissione di una relazione all’AGCM onde acquisirne un parere vincolante da comunicare dipoi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; sempre secondo il ridetto comma 3, i servizi già prestati dalle società, laddove non vengano prodotti (in economia) dall’Amministrazione locale stessa avvalendosi della propria struttura, devono essere gestiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale, e dunque affidandoli a terzi a valle di procedure di evidenza pubblica. Importante anche il comma 7, onde al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nel rispetto dell'articolo 2, comma 1 del citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.199, che dichiara costituzionalmente illegittimo l’art.4 del decreto legge 138.11, inaugurando la Fase 6 in tema di servizi pubblici locali. Per la Corte l’art.4 richiamato non fa che riprodurre, talvolta testualmente e talaltra nei relativi principi di fondo, talune delle disposizioni di cui all’art.23 bis del decreto legge 112.08 o del relativo regolamento di attuazione 168.10, introducendo solo poche novità che finiscono con l’accentuare la riduzione molto consistente di affidamenti diretti (a società <em>in house</em>) dei servizi pubblici locali e, dunque, la relativa consistenza “<em>pubblica</em>”, in modo non conforme alla volontà referendaria popolare espressasi nel giugno del 2011, dalla quale è affiorato un intento abrogativo espressamente riferibile a pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica investiti dalla disciplina dell’art.23 bis caducato, onde non può assumersi per la Corte che la sola esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa giusta consultazione popolare, con conseguente rotta di collisione rispetto all’art.75 Cost. in tema appunto di <em>referendum</em> abrogativo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.134 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.83.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 7 agosto viene varata la legge n.135 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.95. La legge di conversione interviene in particolare sull’art.4 del decreto legge “<em>spendig review</em>”, anche al fine di adeguarsi al pronunciamento, <em>medio tempore</em> intervenuto, della Corte costituzionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno viene varato il decreto legge n.69, c.d. decreto del fare, il cui art.49, comma 1, lettera a) e lettera b) proroga i termini per l’alienazione delle partecipazioni pubbliche dalle società miste affidatarie di servizi pubblici locali dal 30 giugno 2013 (termine originario) al 31 dicembre 2013, nonché i termini a decorrere dai quali la società inadempiente non può più ricevere affidamenti diretti di servizi, né beneficiare del rinnovo di affidamenti di cui sia già titolare, dal 01 gennaio 2014 (termine originario) al 01 luglio 2014.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.229, che dichiara costituzionalmente illegittimi i comma 1, 2, 3, secondo periodo, 3 sexies e 8 dell’art.4 del decreto legge 95.12, nella parte in cui si applicano alle Regioni a statuto ordinario.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte, deve assumersi senz’altro consentito porre limiti alla spesa degli Enti pubblici regionali a condizione, tuttavia, che ci si ponga un obiettivo di riequilibrio della spesa in parola, in termini di transitorio contenimento complessivo, quantunque non generale, in particolare della spesa corrente; ed a condizione che non siano previsti in modo preciso ed esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento di tali obiettivi, onde deve assumersi quale legittimo modo di esercizio dell’autonomia organizzativa delle Regioni il fatto che queste possano scegliere quale sia la migliore modalità di svolgimento dei servizi strumentali alle proprie finalità istituzionali.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre viene varata la legge n.147, legge di stabilità per il 2014, il cui art.1, comma 562, lettera a) abroga – a decorrere dal 01 gennaio 2014 – i comma 1, 2 e 3 dell’art.4 del decreto legge 95.12, già dichiarati incostituzionali dalla Consulta con la sentenza n.229.13.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 settembre viene varato il decreto legge n.133, c.d. Sblocca-Italia, il cui art.7, comma 1, in tema di servizio idrico integrato, da un lato sostituisce – nella Parte III del decreto legislativo 152.06 – l’espressione “<em>autorità di ambito</em>”, ormai soppresse, con “<em>enti di governo di ambito</em>”; dall’altro, modifica in misura consistente l’art.147 del medesimo decreto legislativo (codice dell’ambiente), giusta novellazione del relativo comma 1 ed innesto del termine perentorio, fissato al 31 dicembre 2014, entro il quale le Regioni sono tenute ad emanare un delibera che individua gli enti di governo di ambito ottimale. Gli Enti locali sono poi obbligatoriamente chiamati a partecipare, laddove ubicati nel relativo ambito ottimale, all’ente di governo siccome individuato dalla Regione, ente di governo al quale viene trasferito l’esercizio delle competenze spettanti agli Enti locali in materia di gestione delle risorse idriche, tra le quali la programmazione delle infrastrutture idriche.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre incidendo sull’art.147, vi viene introdotto un comma 1 bis, onde il Presidente della Regione viene munito di poteri sostitutivi laddove gli Enti locali si rendano inadempienti giusta mancata adesione agli enti di governo di ambito. Quanto poi all’affidamento del servizio idrico integrato, viene abrogato l’art.150 del codice dell’ambiente, rubricato “<em>scelta delle forme di gestione e procedure di affidamento</em>”, con contestuale introduzione di un nuovo art.149 bis secondo il cui comma 1 l’ente di governo di ambito, nel rispetto del piano previsto dall’art.149 e del canone della unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, delibera la forma di gestione tra quelle previste dall’ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all’affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L’affidamento può avvenire a favore di società in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione <em>in house</em>, partecipate esclusivamente e direttamente da enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale.</p> <p style="text-align: justify;">Viene poi riformulato l’art.151 del codice dell’ambiente, onde il rapporto tra l’ente di governo di ambito ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato è regolato da una convenzione predisposta dall’ente di governo di ambito sulla base delle convenzioni tipo, e relativi disciplinari, adottate dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico; il contenuto di tali convenzioni tipo viene peraltro integrato dall’art.7 del decreto legge (art.151, comma 2, del codice dell’ambiente), onde esse devono prevedere anche le opere che l’affidatario del servizio idrico integrato è tenuto a realizzare durante la gestione del servizio, siccome individuate dal pertinente bando di gara. Infine, viene abrogato l’art.151, comma 7, del codice dell’ambiente, laddove consente all’affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso dell’autorità di ambito, la gestione di altri servizi pubblici compatibili con quello idrico, quand’anche non estesi all’intero ambito territoriale ottimale: l’affidatario del servizio idrico integrato non può dunque più gestire altri servizi di natura diversa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 ottobre esce la sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n.5080, onde è legittimo l’affidamento del servizio idrico integrato ad una società consortile per azioni il cui Statuto e connessa convenzione, anche in deroga alla disciplina civilistica delle società per azioni, consentano alle PPAA partecipanti – ancorché non ne abbiano la maggioranza azionaria – di svolgere un controllo effettivo sull’attività della società pertinente. Peraltro, nel caso di specie la società considerata svolge anche l’attività prevalente in favore degli Enti pubblici che partecipano al relativo capitale, onde per il Collegio sussistono entrambi i requisiti essenziali richiesti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE per l’affidamento di un servizio “<em>in house</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre viene varata la legge n.164 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.133.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varata la legge n.190 (legge di stabilità 2015), il cui art.1, comma 615, interviene sull’art.149 bis, comma 1, secondo periodo del decreto legislativo 152.06 (codice dell’ambiente), onde le società a favore delle quali può avvenire l’affidamento diretto del servizio idrico integrato devono essere interamente pubbliche e comunque partecipate dagli Enti locali che ricadono nell’ambito territoriale ottimale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge 124, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, che apre la Fase 7 in tema di servizi pubblici locali ed i cui articoli 16, 18 e 19 conferiscono al Governo la delega al riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale e di partecipazione societaria delle PPAA. Il Legislatore si pone il fine di varare – delegando all’uopo il Governo – un testo organico orientato alla semplificazione normativa, con promozione del ruolo dei Comuni e delle Città metropolitane nell’individuazione dei servizi economici di interesse generale necessari per il soddisfacimento dei bisogni della pertinente collettività, giusta strumenti idonei a favorire un assetto del mercato di tipo concorrenziale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Liguria n.606, secondo la quale deve assumersi assente nella legislazione italiana un obbligo di esclusiva in capo alle società <em>in house</em> in relazione all’Ente territoriale di riferimento. A tal riguardo l’art. 13 d.l. 4 luglio 2006 n. 223 convertito nella l. 4 agosto 2006 n. 248 per il Collegio non positivizza simile obbligo con correlativo divieto di operazioni <em>extra moenia</em>. La norma, al comma uno, stabilisce: “<em>1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti</em>”. La norma introduce bensì un obbligo di esclusiva a carico delle società pubbliche ma tale obbligo investe esclusivamente “<em>le società costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività</em>” ed esclude espressamente quelle destinate allo svolgimento di servizi pubblici locali.</p> <p style="text-align: justify;">Anche la sentenza del Consiglio di Stato VI 8 maggio 2014 n. 2362, prosegue il Collegio, ammette che le società <em>in house</em> costituite per lo svolgimento di servizi pubblici locali possono svolgere servizi per enti diversi da quelli costituenti, partecipanti o affidanti purché si tratti di soggetti erogatori di servizi pubblici locali; “<em>i predetti servizi potrebbero, di conseguenza, essere svolti anche a favore di soggetti diversi da quelli "</em>costituenti, partecipanti o affidanti<em>", sempre però che si tratti di soggetti erogatori degli stessi, quali sono, appunto, i Comuni, …(cfr. Cons. Stato, IV, 15 marzo 2008, n. 946; V, 7 luglio 2009, n. 4346, 5 marzo 2010, n. 1282, 10 settembre 2010, n. 6527, 1 aprile 2011, n. 2012</em>).”. La normativa UE – prosegue ancora il Collegio - è intervenuta sul problema, prevedendo all’art. 12 della direttiva 24/2014 che la società <em>in house</em> deve svolgere più dell’80% della propria attività a favore dell’amministrazione controllante (si cfr. Parere C.S. Commissione speciale 21 aprile 2016 n. 968), conseguendone <em>a contrario</em> che è legittima nei limiti sopraindicati la attività <em>extra moenia</em> di una società <em>in house</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 agosto viene varato il decreto legislativo n.175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, il cui art.28 abroga, tra gli altri, l’art.13 del d.l. Bersani n.223.06 sul divieto di attività <em>extra moenia</em> per le società miste c.d. strumentali.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre viene approvato dal Governo uno schema di decreto legislativo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, così attuando la legge delega n.124.15. I servizi pubblici locali di interesse economico generale, o servizi di interesse economico generale di ambito locale, vengono definiti – in sostanziale recepimento della nozione eurounitaria di SIEG - come quei servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che i comuni e le città metropolitane, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale. Il cittadino assume dunque una posizione di fulcro con riguardo all’organizzazione, alla produzione e alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, venendo peraltro contestualmente promossi modelli di partecipazione attiva della cittadinanza di pertinenza all’organizzazione e alla gestione dei servizi in parola, dovendo l’assunzione, la gestione e la regolazione dei ridetti servizi ispirarsi ai principi di efficienza della gestione, efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini, produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati, applicazione di tariffe orientate ai costi standard, promozione di investimenti in innovazione tecnologica, concorrenza nell’affidamento dei servizi medesimi, sussidiarietà anche orizzontale e trasparenza. Funzione fondamentale appannaggio dei Comuni e delle Città metropolitane viene additata quella di individuare, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, talune attività di produzione di beni e servizi di interesse economico generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali in condizioni di paritaria accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione e ai migliori livelli di qualità e di sicurezza, onde garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale.</p> <p style="text-align: justify;">Di particolare rilievo l’art.7 in tema di gestione e affidamento dei servizi in parola che – sulla scia dell’impostazione sovranazionale – colloca in misura equiordinata le tre forme pertinenti, vale a dire la gara ad evidenza pubblica, l’affidamento a società miste e l’affidamento a enti o società <em>in house</em>, dovendo tuttavia motivare la scelta in ordine alle ragioni ed alla sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di gestione di volta in volta prescelta. Per quanto più in specie concerne l’affidamento <em>in house</em> del servizio, coerentemente con quanto previsto all’art.192 del decreto legislativo 50.16 (codice dei contratti pubblici), il provvedimento dell’Ente locale deve espressamente motivare in ordine alle ragioni di mancato ricorso al mercato, spiegando perché tale scelta non sia comparativamente più svantaggiosa per i cittadini, tenuto anche conto dei costi standard del servizio in parola siccome definiti dalle Autorità indipendenti di settore; la motivazione deve anche investire specificamente, in positivo (art.7, comma 3), i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, massime tenuto conto degli obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità e ottimo impiego delle risorse pubbliche.</p> <p style="text-align: justify;">Fatto salvo quanto eventualmente stabilito da singole discipline di settore, la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali per l’erogazione servizi pubblici in parola può essere affidata, al fine di favorire la tutela della concorrenza, in via separata rispetto all’affidamento della gestione del servizio, dovendosi tuttavia garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle risorse in parola da parte di tutti i soggetti legittimati all’erogazione del pertinente servizio; resta ferma la possibilità per l’Ente locale competente di stabilire la gestione unitaria delle predette risorse, per ragioni di efficienza ovvero comunque in funzione di maggior beneficio per gli utenti del territorio di riferimento.</p> <p style="text-align: justify;">Le Autorità indipendenti di regolazione settoriale predispongono poi schemi di bandi di gara e contratti tipo, così provvedendo il legislatore delegato a organizzare ed allocare i poteri di regolazione, di vigilanza e di controllo sui servizi pubblici in parola; in particolare, la rinominata Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA, già Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico) si vede attribuiti poteri di regolazione del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani ed assimilati, mentre l’Autorità dei trasporti vede a propria volta ampliata la propria gamma di competenze.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 novembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.251 che dichiara la incostituzionalità della legge 124.15 anche in materia di delega sui servizi pubblici locali di interesse economico generale (articolo 19, lettere b, c, d, g, h, l, m, n, o, p, s, t, u), con successivo ritiro da parte del Governo dello schema di decreto legislativo peraltro già definitivamente approvato il giorno prima dal Consiglio dei Ministri.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte la legge di delega è illegittima nella parte in cui prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere (delle Regioni), anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata. Più precisamente, le disposizioni dell’art.19 impugnate contengono per la Corte principi e criteri direttivi che coinvolgono, intrecciandole tra loro, disposizioni orientate alla tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e disposizioni che invece concernono la gestione e l’organizzazione dei servizi pubblici locali, che appartengono alla competenza legislativa regionale residuale, oltre a disposizioni che riguardano (in particolare quelle contemplate dalla lettera t) i rapporti di lavoro. Si tratta per la Corte di disposizioni tenute insieme da forti connessioni, proprio perché funzionali al progetto di riordino dell’intero settore dei servizi pubblici locali di interesse economico generale e, pur costituendo epifania di interessi distinti corrispondenti a del pari diverse competenze legislative, rispettivamente, dello Stato e delle Regioni, compendiano un microsistema normativo che le vede quali disposizioni inscindibili l’una dall’altra, palesandosi inserite in un unico progetto normativo; il Governo deve dunque dare attuazione ai principi e ai criteri direttivi contenuti in tale compendio precettivo, se vuole rimanere nell’alveo della Costituzione, pienamente rispettando il principio di leale collaborazione, in particolare avviando le procedure che concernono l’intesa tanto con le Regioni che con gli enti locali, nella sede della pertinente Conferenza unificata. Questo è il motivo per il quale, a giudizio della Corte, il censurato art.19 della legge 124.15 è da assumersi incostituzionale nella parte in cui, in combinato diposto con l’art.16, comma 1 e 4, consente al Governo di adottare i pertinenti decreti legislativi previo parere, piuttosto che previa intesa, con la Conferenza unificata ridetta. Il ritiro dello schema di decreto legislativo da parte del Governo, appena approvato il giorno prima, è dettato da ovvie ragioni di opportunità istituzionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio viene varata la legge n.71, recante affidamento dei servizi di trasporto nelle ferrovie turistiche.<strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.20504, alla cui stregua un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all'autorefezione individuale, nell'orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, i quali possono esercitare diritti procedimentali, al fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all'autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell'amministrazione pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte rammenta che l'invocato diritto soggettivo perfetto o incondizionato all'autorefezione scolastica è stato rappresentato dai controricorrenti e in parte dalla sentenza impugnata anche quale espressione di una incomprimibile libertà personale (inteso come diritto di libertà) o del diritto all'autodeterminazione individuale o del diritto dei genitori di educare i propri figli in campo alimentare, con riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 30 Cost.; in via residuale è invocato il diritto dei genitori a non subire interferenze nell'adempimento dei loro doveri come lavoratori, a causa della necessità di accudire i figli durante l'orario della mensa (art. 35 Cost.). Questa rappresentazione, per come variamente articolata, non è tuttavia per la Corte convincente perché trascura il contesto nel quale i suddetti diritti dovrebbero essere esercitati, che è quello delle istituzioni scolastiche, le quali, nell'ambito dell'autonomia organizzativa oltre che didattica che è loro conferita dalla legge (15 marzo 1997, n. 59), possono istituire il servizio mensa che è un servizio pubblico a domanda individuale (D.M. 31 dicembre 1983, p. 10), prestato in favore degli alunni che hanno optato per il «<em>tempo pieno</em>» e «<em>prolungato</em>» e, quindi, accettato l'offerta formativa comprendente la mensa.</p> <p style="text-align: justify;">Le famiglie in tal modo hanno esercitato una libertà di scelta educativa (art. 21 della legge n. 59 del 1997), dalla quale scaturisce il loro diritto di partecipazione al procedimento amministrativo per influire sulle modalità di gestione del servizio pubblico di mensa (ai fini dell'individuazione dell'impresa che lo gestisce e dei cibi offerti), ma non il diritto sostanziale di performarlo secondo le proprie esigenze individuali. Il diritto soggettivo perfetto che si chiede di accertare in via generalizzata e incondizionata, di consentire agli alunni che intendano partecipare alle attività formative pomeridiane di pranzare con cibo proprio nei locali scolastici (quelli adibiti a mensa o altri), implica l'esercizio di un potere delle famiglie che è privo di base normativa, il cui effetto sarebbe di imporre alle istituzioni scolastiche un obbligo conformativo del servizio pubblico di mensa di immediata attuazione. L'obiettivo è di modulare detto servizio pubblico in modo oggettivamente, seppur parzialmente, diverso da come è stato organizzato dall'istituzione scolastica che lo eroga, all'esito del procedimento amministrativo previsto dalla legge con la partecipazione di tutte le componenti dell'istituzione stessa.</p> <p style="text-align: justify;">E a dimostrarlo è la tesi dei controricorrenti secondo cui il cosiddetto «<em>tempo mensa</em>» non coinciderebbe con il «<em>servizio mensa</em>» erogato dalla scuola, quanto piuttosto con il tempo dedicato alla ristorazione individuale mediante autorefezione: in tal caso, tuttavia, non si comprende per quale ragione il suddetto tempo dovrebbe essere ricompreso nel «<em>tempo scuola</em>» che è una nozione indicativa di un servizio d'istruzione da considerare unitariamente. Le parti private obiettano che gli alunni muniti del pasto domestico siedono nel refettorio nei posti loro assegnati e ivi consumano le pietanze portate da casa, vigilati dal personale docente che, in base al contratto nazionale di categoria, è tenuto a prestare l'assistenza educativa; analogamente, alla pulizia dei locali scolastici provvedono contrattualmente le imprese esterne che gestiscono il servizio ovvero il personale ATA, senza oneri per l'amministrazione scolastica. Sono obiezioni che, tuttavia, non smentiscono e, anzi, dimostrano quella che sarebbe una impropria ingerenza dei privati nella gestione di un servizio che, per come organizzato dall'amministrazione scolastica, non prevede da parte del personale docente la vigilanza degli alunni che pranzano con il pasto domestico: il livello di attenzione dovuto dagli insegnanti verso gli alunni che usufruiscono della mensa (ove il cibo è controllato e calibrato secondo le esigenze individuali di salute, religiose ecc.) è diverso da quello che sarebbe richiesto in presenza di alunni ammessi al pasto domestico, anche per la possibilità di scambio di alimenti tra gli alunni. Quando poi alcuni alunni siano ammessi a consumare il proprio cibo in locali destinati allo scopo, l'amministrazione dovrebbe prevedere per la vigilanza un docente diverso da quello che presta la vigilanza nei locali adibiti a mensa; inoltre, occorre una diversa modulazione delle condizioni contrattuali per imporre al gestore del servizio la pulizia dei locali utilizzati dagli alunni che utilizzano il cibo domestico. Né si può trascurare l'esigenza che l'istituzione scolastica sia messa in condizione di controllare le fonti generatrici della responsabilità, contrattuale o da contatto sociale, cui è essa esposta per i danni subiti dagli alunni (Cass. 28 aprile 2017, n. 10516), provvedendo all'organizzazione del servizio pubblico di istruzione reso al pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Nella vicenda in esame, prosegue la Corte, la conformazione del diritto in questione in termini di diritto di libertà, quasi ad evocare la nozione ottocentesca di libertà negativa («<em>libertà da</em>»), postula in realtà non già l'astensione ma l'intervento del terzo (pubblico potere), in quanto indispensabile per il soddisfacimento dell'interesse azionato. Ed in effetti non di libertà (personale) si tratta, ma di un diritto sociale (all'istruzione), evidentemente condizionato e dipendente dalle scelte organizzative rimesse alle singole istituzioni scolastiche, sulle quali i beneficiari del servizio pubblico possono influire nell'ambito del procedimento amministrativo, in attuazione dei principi di buon andamento dell'amministrazione pubblica, di cui all'art. 97 Cost., e con i consueti strumenti a tutela della legittimità dell'azione amministrativa. Il detto procedimento è la sede nella quale effettuare le opportune valutazioni, anche di natura tecnica, nella ricerca del più corretto bilanciamento degli interessi individuali di coloro che chiedono di consumare il cibo portato da casa con gli interessi pubblici potenzialmente confliggenti, tenuto conto delle risorse a disposizione dell'Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Non è pertinente il rilievo che agli alunni è invece consentito il consumo di merende portate da casa durante il tempo della ricreazione, il quale non interferisce con il servizio pubblico della refezione scolastica. Ed allora, la tesi (espressa dal Consiglio di Stato nella sentenza della Sez. V, n. 5156 del 2018) secondo cui la «<em>scelta alimentare</em>» costituisce oggetto di «<em>una naturale facoltà dell'individuo - afferente alla sua libertà personale - e, se minore, della famiglia mediante i genitori</em>», «<em>per sua natura e in principio libera,</em> [che] <em>si esplica vuoi all'interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici</em>» ed anche nelle scuole e a prescindere dalle determinazioni delle autorità scolastiche, non può assurgere a fondamento di un diritto perfetto o incondizionato degli alunni all'autorefezione nei locali scolastici.</p> <p style="text-align: justify;">Deve darsi, quindi, risposta negativa al quesito posto dall'ordinanza di rimessione, se la citata sentenza del Consiglio di Stato - che ha annullato per eccesso di potere l'impugnata delibera del Comune di Benevento che vietava la permanenza nei locali scolastici agli alunni delle scuole materne ed elementari che intendevano consumare cibi portati da casa o acquistati autonomamente (cui ha fatto seguito l'ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sez. V, 27 marzo 2019, n. 1623, che ha sospeso la determinazione di un dirigente scolastico che vietava agli alunni autorizzati a fruire del pasto domestico di consumarlo nei locali adibiti a refettorio) - debba intendersi come ricognitiva di un diritto soggettivo perfetto o incondizionato, suscettibile in quanto tale di accertamento in giudizio e di ottemperanza ad istanza degli interessati.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte ha avuto occasione di rilevare, e ora ribadisce, che l'autonomia delle istituzioni scolastiche si manifesta analogamente rispetto alle scelte didattiche, inerendo alle funzione delle stesse istituzioni le «<em>scelte di programmi e di metodi</em> [...] <em>potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito</em>», ben potendo «<em>verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori</em>» (Cass. SU 5 febbraio 2008, n. 2656, ha escluso la configurabilità di un diritto delle famiglie, azionabile dinanzi al giudice ordinario, di vietare alla scuola di esercitare il potere di impartire lezioni di educazione sessuale agli alunni). Ed in effetti, l'istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni, né il rapporto con l'utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali (cfr. l'art. 5 D.Lgs. n. 59 del 2004) devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dall'istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell'adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza. Per altro verso, i genitori sono tenuti anch'essi, nei confronti dei genitori degli alunni portatori di interessi contrapposti, all'adempimento dei doveri di solidarietà sociale, oltre che economica, richiesti per l'attuazione anche dei diritti inviolabili dell'uomo, a norma dell'art. 2 della Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">Non comparabile con la pretesa azionata nel giudizio de quo – precisa infine la Corte - è quella dell'alunno di non avvalersi dell'insegnamento di religione, la quale rappresenta una esigenza imperiosa, anche sul piano costituzionale, implicante il diritto di svolgere le attività alternative organizzate dall'istituzione scolastica, tanto più che detta esigenza è stata riconosciuta espressamente dalla legge (artt. 310 e 311 della legge 16 aprile 1994, n. 297).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 agosto esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.20822 che in primo luogo ribadisce come le Sezioni Unite stesse abbiano già affermato il principio, che va ribadito, secondo cui «<em>in tema di affidamento di un pubblico servizio, nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, la giurisdizione amministrativa esclusiva indicata dall’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, del d.lgs. n. 104 del 2010 concerne solo le controversie relative al procedimento di scelta del contraente fino al momento in cui acquista efficacia l’aggiudicazione definitiva, mentre le controversie vertenti sull’attività successiva, anche se precedente alla stipula del contratto, seguono l’ordinario criterio di riparto, imperniato sulla distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, da individuare con riferimento alla posizione che la domanda è diretta a tutelare sotto il profilo del petitum sostanziale</em>» (Cass., sez. un, ord., 5/10/2018, n. 24411).</p> <p style="text-align: justify;">Dovendosi, pertanto, per la determinazione della giurisdizione, individuare il <em>petitum</em> sostanziale con riferimento ai fatti materiali allegati dalla parte attrice, il Collegio rileva che, nel caso all’esame, con la controversia instaurata innanzi al Tribunale ordinario nei confronti di X, la ASUR Marche intende ottenere dalla società convenuta il rilascio del locale adibito a bar, sito all’interno del presidio ospedaliero, nonché il pagamento, a titolo risarcitorio, di una somma mensile correlata all’utilizzo del predetto locale <em>sine titulo</em> (in ragione del rifiuto di addivenire alla conclusione del contratto dopo l’aggiudicazione), oltre interessi e maggior danno, detratto l’importo già versato. Deve ritenersi – prosegue la Corte - che tali domande sono devolute alla giurisdizione del GO, restando esse chiaramente escluse dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto investono pretese di tipo patrimoniale dell’ente pubblico (restituzione e risarcimento), a fronte della allegazione di comportamenti illeciti del privato, consistenti nell’ingiustificato rifiuto a concludere il contratto di appalto.</p> <p style="text-align: justify;">Va pure evidenziato per la Corte che non rilevano, al fine di ritenere la controversia rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, le circostanze addotte dalla società convenuta a giustificazione del proprio operato, né la domanda riconvenzionale dalla medesima proposta, tenuto conto della natura privatistica delle posizioni giuridiche soggettive invocate (dedotta responsabilità precontrattuale dell’ASUR). Come affermato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 204 del 2004), la giurisdizione esclusiva per le procedure di evidenza pubblica tese alla ricerca dell’aggiudicatario negli appalti di lavori, servizi e forniture riguarda pur sempre quelle controversie nelle quali gli interessi legittimi e i diritti soggettivi sono in stretta correlazione tra di loro. Le stesse Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare che «<em>è proprio l’esercizio del potere autoritativo che consente di configurare quella particolare materia prefigurata dai costituenti nell’intreccio tra diritti del privato, da un lato, e interessi e poteri della P.A. dall’altro</em>» (Cass., sez. un., ord., 13/12/2016, n. 25516 del 2016) e che «<em>solo la parte che tocca comunque l’esercizio del potere amministrativo … può essere legittimamente devoluta alla giurisdizione esclusiva dei compiti TAR-Consiglio di Stato, dovendo restare alla giurisdizione civile le vertenze ogniqualvolta non venga in riguardo alcun intreccio tra diritti privati e interessi/poteri pubblici, giacché in questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha inizio subito dopo l’incontro delle volontà delle parti e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione, i contraenti – pubblica amministrazione e privato – si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi, ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto</em>» (Cass., sez. un., ord., 13/12/2016, n. 25516; Cass., sez. un., 16/01/2018, n. 895). Alla luce di quanto sopra evidenziato, per la Corte va dunque dichiarata la giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare sul servizio pubblico sul piano storico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta fondamentalmente di una “<em>prestazione</em>” resa da un soggetto pubblico, che si qualifica come prestazione fondamentalmente di “<em>fare</em>” e dunque a carattere “<em>positivo</em>”;</li> <li>è attraverso il “<em>servizio</em>” che l’attività pubblica si declina ormai non già solo come negativo “<em>non fare</em>”, tipico dello Stato liberale, quanto piuttosto anche, ed appunto, come positivo “<em>fare</em>” (o “<em>dare</em>”), tipico dello Stato sociale (c.d. <em>Welfare State</em>);</li> <li>dire dunque che l’Amministrazione trasfigura da potere a servizio significa che essa si rende sempre più obbligata (quale Stato Apparato) a prestazioni di “<em>fare</em>” o di “<em>dare</em>” nei confronti dei creditori cittadini (appartenenti allo Stato Comunità), con parallela recessività degli interessi c.d. “<em>oppositivi</em>” di questi ultimi, avvinti per l’appunto ad obblighi pubblici di “<em>non facere</em>”, rispetto agli interessi “<em>pretensivi</em>”, collegabili piuttosto ad obblighi di “<em>dare</em>” o di “<em>facere</em>”;</li> <li>si tratta di un fenomeno che rende sempre più rilevanti per il privato, in termini di tutela, le fattispecie in cui la PA – rendendosi inadempiente – “<em>non fa</em>” quel che dovrebbe fare, con contestuale sempre maggiore significatività (anche in termini di attenzione dottrinale) per istituti di diritto amministrativo sostanziale quale il “<em>silenzio</em>” (collegato come esso è all’inerzia pubblica) e di diritto processuale quali le misure cautelari “<em>propulsive</em>” - rispetto a quelle meramente “<em>sospensive</em>” - e l’ottemperanza (anch’essi avvinti all’inerzia della Amministrazione pur a fronte di provvedimenti giurisdizionali quali l’ordinanza cautelare o la sentenza esecutiva o in giudicato).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare sul servizio pubblico sul piano sistematico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la legge non definisce né ha mai definito cosa sia un “<em>pubblico servizio</em>”, la cui nozione è dunque opera della dottrina e della giurisprudenza, giustapponendosi, diacronicamente ed a grandi linee 3 grandi impostazioni;</li> <li>una impostazione soggettiva: è il potere pubblico a valutare, secondo convenienza ed opportunità, cosa sia un pubblico servizio e cosa non lo sia, dovendo esso promuovere – secondo la celebre espressione di Orlando - la “<em>civiltà del popolo</em>” nelle relative declinazioni di benessere “<em>fisico, economico ed intellettuale</em>”; quando l’attività disimpegnata è riconducibile allo Stato o ad un altro Ente pubblico, il pertinente servizio è “<em>pubblico</em>” perché tale viene riconosciuto in forza di un atto legislativo o amministrativo che ne attribuisce la gestione, diretta o indiretta, per l’appunto a tale soggetto pubblico; si tratta dell’impostazione più remota e fondamentalmente precostituzionale, alla cui stregua una attività privata diventa “<em>servizio pubblico</em>” quando lo Stato, consideratala di preminente rilevanza collettiva, la assume e la riconosce come pubblica, affidandola ad Enti pubblici esistenti o istituendone di nuovi, e dunque attraendola alla competenza del “<em>pubblico</em>”;</li> <li>una impostazione oggettiva: si tratta della tesi più recente e post-costituzionale, connotata da funzionalità, sulla scorta del combinato disposto degli articoli 41 e 43 Cost. onde si ha servizio pubblico quando una data attività economica, tanto che sia pubblica quanto che sia privata sul crinale di chi la disimpegna, viene sottoposta comunque a programmi e controlli al fine di indirizzarla e coordinarla, orientandola verso il conseguimento di finalità di preminente carattere sociale; in sostanza, per identificare un servizio pubblico non ci si può affidare ad un canone nominalistico avvinto al soggetto che disimpegna tale servizio, stante come in particolare l’art.43 implicitamente riconosca la possibilità che imprese o categorie di imprese “<em>si riferiscano a servizi pubblici essenziali</em>” e possano essere (oltre che riservate originariamente, anche) “<em>trasferite</em>” a mezzo esproprio e salvo indennizzo allo Stato e ad enti pubblici (oltre che a comunità di lavoratori e utenti) quando abbiano carattere di preminente interesse generale, con ciò presupponendo appunto la titolarità di un servizio pubblico in capo a soggetti privati; a rendere un servizio “<em>pubblico</em>” non è dunque la natura pubblica del soggetto che lo disimpegna (che può anche essere un privato), quanto piuttosto la natura “<em>pubblica</em>” dell’attività che lo compendia e la relativa, funzionalizzata capacità di soddisfare interessi socialmente declinabili e dunque bisogni di carattere collettivo; parte della dottrina ha tuttavia criticato questa opzione ermeneutica, in primo luogo per la relativa, asserita genericità, latamente connessa al fenomeno interventistico (pubblico), ed in secondo luogo per la relativa connotazione fortemente economica e, al di là delle dichiarazioni di facciata, assai poco sociale;</li> <li>una impostazione “<em>mista</em>”, orientata a contemperare il profilo soggettivo e quello oggettivo: se da un lato occorre dunque che l’attività disimpegnata sia funzionalizzata al soddisfacimento di bisogni socialmente rilevanti, dall’altra occorrono taluni canoni capaci di meglio precisare cosa sia realmente un “<em>servizio pubblico</em>”, recuperando il profilo soggettivo della relativa, necessaria titolarità in capo alla PA, in modo peraltro sganciato dalla gestione concreta del servizio in parola che resta “<em>pubblico</em>” quand’anche a concretamente disimpegnarlo sia appunto un soggetto privato (oltre che, ovviamente, un soggetto pubblico); è dunque il soggetto pubblico che, giusta utilizzo dei poteri ad esso affidati dalla legge, tanto di carattere legislativo quanto di natura amministrativa, assume e considera come propria – regolandola ed organizzandola - una data attività, giusta attrazione della medesima nei propri compiti istituzionali per il relativo palesarsi strettamente avvinta ad esigenze di benessere e di sviluppo socio economico delle comunità di riferimento; si tratta di una opzione ricostruttiva più recente secondo la quale è “<em>pubblico</em>” quel servizio che sia imputabile alla PA, che lo organizza, lo disciplina e lo attrae nella propria orbita istituzionale, pur potendo affidare a privati la concreta gestione del ridetto servizio, che resta tuttavia autenticamente “<em>pubblico</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare sui rapporti tra servizio pubblico ed ordinamento europeo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il diritto sovranazionale euro-unitario ha fornito un importante contributo alla definizione di pubblico servizio, sulla scorta di quanto statuito via via dalle Istituzioni europee in ottica di pertinenti politiche concorrenziali, alla cui stregua quando si è al cospetto di prestazioni essenziali per lo sviluppo ed il benessere di una data collettività che tuttavia il mercato non riesce a soddisfare autonomamente, deve giocoforza intervenire la Pubblica Amministrazione, che raccoglie le ridette “<em>prestazioni essenziali</em>”, per l’appunto, in un “<em>servizio pubblico</em>”;</li> <li>proprio perché la PA si inserisce laddove il mercato non può giungere, l’Ente erogatore del servizio opera nel mercato, con criteri di gestione di tipo imprenditoriale, soggiacendo ad un rapporto di utenza onde la fornitura del servizio viene determinata dall’incontro tra la domanda e l’offerta delle ridette prestazioni essenziali, siccome espressa nel mercato, senza che essa possa più assumersi predeterminata “<em>dall’alto</em>” in sede pubblicistica; secondo la declinazione europea, nota dunque la dottrina, il servizio pubblico viene calato in un modulo che è il medesimo che presidia l’attività commerciale dei privati, pur rimanendo assoggettato a regole speciali e ad obblighi peculiari che hanno lo scopo di assicurare il funzionamento del mercato (nel cui contesto viene disimpegnata l’attività definibile “<em>servizio pubblico</em>”) nelle relative connotazioni in termini di accesso diffuso alle pertinenti prestazioni, di libertà di scelta da parte degli utenti e di sostanziale correttezza degli scambi;</li> <li>le Istituzioni europee prediligono dunque una nozione non già e non tanto soggettiva, quanto piuttosto oggettiva e funzionale di “<em>pubblico servizio</em>”, strettamente avvinta alla natura prestazionale “<em>nel mercato</em>” dell’attività esercitata dal soggetto che ne sia titolare e gestore;</li> <li>il perno della disciplina europea, ex art.106 TFUE, è il c.d. SIEG, ovvero il “<em>servizio di interesse economico generale</em>”, nozione più moderna e precisa rispetto a quella di “<em>servizio pubblico</em>”, laddove viene valorizzato – dal punto di vista funzionale ed oggettivo assai più che soggettivo – il concreto perseguimento da parte del soggetto gestore del servizio di una “<em>mission</em>” di interesse generale, al di là dell’astratto atteggiarsi sul crinale della forma da parte del soggetto medesimo; l’ordinamento sovranazionale abbraccia un prototipo di gestione del servizio “<em>pubblico</em>” a connotazione imprenditoriale-concorrenziale, potendo la PA intervenire soltanto ove il mercato non sia capace, in via autonoma, di assicurare l’efficace erogazione delle prestazioni che compendiano il divisato servizio a beneficio della collettività di riferimento;</li> <li>tra i SIEG (cerchio grande), particolarmente significativi sono i “<em>servizi</em> (di interesse economico generale) <em>universali</em>”, ovvero quell’insieme minimo di prestazioni le quali, atteso il relativo carattere antieconomico, non sono ordinariamente garantibili dal mercato e debbono pertanto esser fatte oggetto di un preciso compito pubblico in capo all’impresa esercente; i principi della concorrenza e del libero mercato di ascendenza sovranazionale non possono infatti obliterare in modo completo e definitivo quei valori di carattere socio politico che sono intrinseci nello stesso concetto di SIEG, onde la garanzia di un nucleo minimo di prestazioni a beneficio dell’utenza (anche in un settore antieconomico appunto) viene visto come l’imprescindibile punto di incontro tra istanze concorrenziali e finalità sociali caratteristiche dei servizi pubblici;</li> <li>i SIEG (cerchio piccolo) sono invece ricompresi nel più ampio novero dei SIG (espressione peraltro non presente nei Trattati), ovvero dei “<em>servizi di interesse generale</em>”, che ricomprendono per l’appunto i SIEG da un lato e, dall’altro, quei servizi – dalla elevata carica “<em>sociale</em>” - che si palesano non suscettibili di essere gestiti esclusivamente in regime di impresa e che attengono ai bisogni primari del cittadino, come nel caso dell’assistenza sociale, della sanità e della scuola.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare sul servizio pubblico “<em>locale</em>” in generale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una “<em>species</em>” di servizio pubblico, e dunque di prestazione, declinata in orbita “<em>locale</em>”;</li> <li>esso si compendia in una attività economica “<em>prestazionale</em>”, che è astrattamente suscettibile di essere organizzata in forma di impresa;</li> <li>tale attività economica “<em>prestazionale</em>” organizzata si connota per il relativo essere finalizzata a soddisfare un bisogno primario di una data collettività locale;</li> <li>chi disimpegna tale attività economica prestazionale è un Ente locale, a beneficio della propria collettività di riferimento ed a soddisfazione di un pertinente bisogno primario;</li> <li>l’Ente locale che disimpegna un servizio pubblico locale non esercita una funzione amministrativa, né si limita a gestire un’attività economica in veste di imprenditore, collocandosi – in qualche modo – nel mezzo rispetto a questi due modelli di operatività;</li> <li>l’attività economica “<em>prestazionale</em>” definibile come servizio pubblico viene posta in essere dall’Ente locale a vantaggio dei propri cittadini utenti, secondo il principio della sussidiarietà verticale alla cui stregua il soggetto istituzionale più vicino ai propri cittadini è quello meglio capace di registrarne ed interpretarne bisogni ed esigenze, al fine di soddisfarle;</li> <li>proprio per questo relativo atteggiarsi, il servizio pubblico locale si connota fondamentalmente: g.1) per la relativa erogazione a prezzi sostenibili dai cittadini utenti; g.2) per la relativa organizzazione secondo adeguati modelli qualitativi delle prestazioni erogate; g.3) per essere capace di garantire la continuità delle prestazioni erogate, la relativa capillarità su tutto il territorio “<em>locale</em>” di riferimento e la pertinente sicurezza (e continuità) erogativa;</li> <li>esistono servizi pubblici locali “<em>indispensabili</em>”, che come tali si atteggiano ad irreversibilmente “<em>pubblici</em>” per il relativo essere connotati da essenzialità e trasversalità, che si accompagnano alla inadeguatezza di una eventuale offerta privata rispetto alle esigenze da soddisfare in capo alla collettività “<em>locale</em>” di riferimento; si tratta di servizi pubblici che possono veder variate le relative modalità concrete di erogazione e le relative condizioni di erogabilità in termini prestazionali, ma che restano “<em>pubblici </em>inside”, dovendo soddisfare sempre e comunque bisogni collettivi di tipo economico, ma anche sociale (eguaglianza, legalità e così via), come nel caso della regolazione della viabilità, dell’igiene urbana, della distribuzione dell’acqua potabile, quali funzioni fondamentali proprie dell’Ente locale, cui quest’ultimo – in termini di erogazione ai propri cittadini – non può abdicare;</li> <li>esistono altresì servizi che possono o meno essere attratti nell’orbita pubblica, e possono dunque – o meno – divenire “<em>pubblici</em>”, sulla base di una scelta discrezionale dell’Ente locale scaturigine di una pertinente, autonoma iniziativa, sulla scorta degli specifici bisogni della comunità locale di riferimento la cui soddisfazione, per l’appunto, il singolo Ente locale decide di intestarsi scegliendo di disimpegnare il pertinente servizio prestazionale secondo determinate condizioni di espletamento, così rendendolo “<em>pubblico</em>” (senza che indefettibilmente esso si atteggi a tale);</li> <li>nell’ambito dei servizi pubblici locali si giustappongono: j.1) servizi finali: le pertinenti prestazioni, autenticamente pubbliche, sono indirizzate direttamente ai cittadini della comunità locale di riferimento, e dunque al soddisfacimento dei relativi bisogni quali utenti individuali “<em>divisibilmente</em>” considerati, come nel caso del trasporto pubblico o del servizio idrico, ovvero quali membri della comunità locale “<em>indivisibilmente</em>” o comunque “<em>collettivamente</em>” considerati, come nel caso della pulizia stradale e dell’illuminazione pubblica; si tratta dei più autentici “<em>servizi pubblici locali</em>”, che sortiscono un immediato impatto sull’assetto socio economico della comunità locale di riferimento; j.2) servizi strumentali: le prestazioni – normalmente private - sono qui indirizzate solo indirettamente ai cittadini della comunità locale di riferimento e piuttosto, direttamente, a taluni uffici dell’Ente stesso, come nel caso della pulizia dei locali comunali o la manutenzione dei sistemi informatici dei quali l’Ente si avvale; qui l’espressione “<em>servizio pubblico locale</em>” viene utilizzata in senso più “<em>atecnico</em>”, trattandosi in realtà di “<em>servizi</em>” che – normalmente a valle di una procedura di evidenza pubblica (gara finalizzata ad aggiudicare un “<em>pubblico servizio</em>”) – soggetti privati all’uopo individuati erogano all’Ente locale affinché esso sia messo nelle condizioni di disimpegnare i veri e propri servizi pubblici “<em>finali</em>”;</li> <li>particolarmente significativo per quanto concerne i servizi pubblici locali l’art.112 del TUEL (decreto legislativo 267.00), che ben definisce il concetto di “<em>servizio</em>” mentre resta più anodino con riguardo al predicato di “<em>pubblico</em>”, ad esso riferibile in ambito locale; si è parlato in proposito di “<em>norma aperta</em>” laddove è possibile riconoscere: k.1) un elemento oggettivo, compendiantesi nella produzione di beni ed attività; k.2) un elemento soggettivo, dacché la scelta – di tipo organizzativo – orientata alla gestione del pertinente “<em>servizio</em>” (produzione di beni ed attività) è imputabile ad un Ente locale; k.3) un elemento teleologico, l’attività compendiante il pubblico servizio che l’Ente locale ha valutato di organizzare e gestire (produzione di beni ed attività) essendo caratterizzata dal precipuo scopo di perseguire fini sociali e di promuovere lo sviluppo delle comunità locali di riferimento. Sono i singoli Enti locali – nel rispetto del principio id sussidiarietà e nell’ambito della competenza a ciascuno di essi riconoscibile - a parametrare l’estensione di ciascun “<em>servizio pubblico locale</em>”, che non è dunque predeterminata in via generale dal legislatore, onde qualunque attività che, rientrante nella sfera di competenza dell’Ente locale, si compendi nella produzione di beni o servizi aventi finalità di carattere sociale può essere, a valle di una autonoma valutazione all’uopo, organizzata dal ridetto Ente locale come “<em>servizio pubblico locale</em>”, calibrandola in rapporto allo specifico contesto socio-economico e territoriale di riferimento; per la dottrina più accreditata, ogni attività idonea ad incidere in via diretta sulla comunità territoriale di riferimento può essere assunta dal pertinente Ente locale come servizio pubblico: non tuttavia una attività qualunque, ma piuttosto una attività che presenti taluni connotati imprescindibili, primo fra tutti il fatto di essere orientata al soddisfacimento di bisogni fondamentali (quand’anche mutevoli) dei cittadini che compongono la pertinente comunità di riferimento, oltre al fatto di rivestire una pubblica utilità ed alla circostanza onde essa non può essere economicamente esercitata giusta organizzazioni alternative in concorrenza tra loro, con particolare riguardo ai soggetti privati ed alla impossibilità per essi di reperire l’ingente volume di capitali necessari per la relativa gestione erogativa, dovendosi tenere conto che il funzionamento della attività in parola va garantito in modo soddisfacente a tutti i cittadini del territorio di riferimento;</li> <li>dal punto di vista dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali, occorre da sempre contemperare da un lato il ruolo pubblico di un Ente locale e, dall’altro, la funzione gestionale (potenzialmente, anche privata) pertinente, la migliore soddisfazione dei bisogni (interessi) essenziali dei cittadini essendo strettamente avvinta al raggiungimento di un equilibrio ottimale tra autonomia organizzativa (pubblica) e (tendenzialmente) imprescindibile rispetto del canone della concorrenza; affiorano in proposito, anche storicamente, soluzioni diverse capaci, in misura per l’appunto differente, di condizionare l’evoluzione del mercato e la pertinente, effettiva “<em>apertura</em>”, con particolare riguardo al ruolo da riconoscersi alla imprenditoria privata, la cui iniziativa va conciliata con la partecipazione attiva (massime in termini societari) del “<em>pubblico</em>” in settori economici che hanno un rilievo fondamentale; ciascuna delle ridette soluzioni può agevolare o, all’opposto, ostacolare la competitività dell’imprenditoria privata e la stessa capacità della medesima di concorrere in modo adeguato anche a livello sovranazionale; in proposito, schematicamente, le modalità di gestione e affidamento dei servizi pubblici locali si atteggiano nella triplice declinazione che segue: l.1) soluzione interamente “<em>pubblicistica</em>”: la PA locale produce interamente in proprio le prestazioni occorrenti ed eroga i servizi in favore dei propri cittadini, se occorre giusta affidamento diretto e senza gara a strutture di tipo societario così avvinte all’ente pubblico da atteggiarsi a proiezioni organizzative (<em>longa manus</em>) dell’ente pubblico medesimo (c.d. <em>in house providing</em>); l.2) soluzione interamente “<em>privatistica</em>”: la PA locale esternalizza le ridette prestazioni ed i ridetti servizi affidandoli a soggetti terzi (privati) selezionati a valle di una gara; l.3) soluzione “<em>mista</em>”: la PA locale fa luogo a dei c.d. PPP, ovvero “<em>partenariati pubblico privato</em>”, massime giusta affidamento diretto e senza gara di appalti di servizi a società a capitale misto, i cui soci privati vengono “<em>a monte</em>” selezionati con gara.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare – in termini problematici - delle s.p.a. miste in ambito locale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>una delle questioni più rilevanti e discusse è se una s.p.a. mista partecipata da un Ente locale possa o meno svolgere attività imprenditoriale c.d. <em>extra moenia</em> (letteralmente, “<em>fuori dalle mura</em>”);</li> <li>si tratta di capire se la ridetta società mista possa (o meno) impiegare proprie risorse di tipo organizzativo ed economico per operare al di fuori del territorio dell’Ente locale che partecipa al pertinente capitale sociale, e dunque a favore di collettività locali diverse rispetto a quella a favore della quale dovrebbe <em>naturaliter</em> svolgere il servizio pubblico pertinente;</li> <li>ancora più a monte, si tratta di capire se tale società mista possa partecipare ad appalti banditi da Enti locali diversi rispetto a quello che partecipa al relativo capitale, finalizzati ad affidare servizi pubblici con prestazioni da erogarsi a favore delle collettività delle quali essi costituiscono Enti pubblici territoriali esponenziali;</li> <li>la dottrina ha messo in risalto la natura ancipite della società mista che, se da un lato è un soggetto privato (imprenditoriale), dall’altro vede partecipare al proprio capitale uno o più Enti pubblici (territoriali) essendo stata istituita per la cura degli interessi facenti capo alle collettività di tali Enti locali partecipanti, giusta svolgimento del pertinente servizio pubblico ed erogazione alla cittadinanza delle annesse prestazioni;</li> <li>quando una società mista opera <em>extra moenia</em>, essa rischia di vedere la propria attività erogatrice distratta dal fine per i quale essa è stata istituita, dovendosi tuttavia – e su diverso crinale - salvaguardare la <em>par condicio</em> tra le imprese operanti nel settore di riferimento quando a bandire la gara sia un Ente locale diverso da quello istituente o partecipante;</li> <li>la società mista è un soggetto che, quantunque in mano (parzialmente) pubblica, ha veste formalmente privatistica ed è dotato di una propria capacità imprenditoriale, circostanza che rende decisamente angusto un limite spaziale di operatività di tipo “<em>territoriale</em>”;</li> <li>si sono a lungo giustapposte in dottrina e in giurisprudenza due tesi: g.1) una prima tesi minoritaria “<em>privatistica</em>”, onde la società mista è da intendersi soggetto con piena capacità imprenditoriale e con annessa capacità di operare nel mercato di riferimento, anche al di fuori dei confini territoriali dell’Ente locale che la ha istituita e che partecipa al pertinente capitale; essa può dunque anche gestire un servizio pubblico “<em>extra moenia</em>”, secondo le regole del diritto privato societario, dovendo tuttavia partecipare con successo alle pertinenti gare senza che l’Ente locale “<em>diverso</em>” da quello di riferimento possa operare a relativo favore degli affidamenti diretti; g.2) una tesi maggioritaria “<em>pubblicistica</em>”, orientata piuttosto a valorizzare la funzionalizzazione dell’attività di una società mista (servizio pubblico) rispetto alle esigenze della collettività facente capo all’Ente locale che la ha istituita e che partecipa al pertinente capitale, potendosi ammettere l’estensione dell’attività della società a prevalente capitale pubblico al di fuori del territorio dell’Ente locale che la ha costituita solo allorché si configuri un collegamento funzionale, quand’anche non territoriale (purché non meramente imprenditoriale), tra il servizio eccedente l’ambito locale e le necessità della collettività locale di cui all’Ente di istituzione e partecipazione;</li> <li>si è poi progressivamente affermata – massime in dottrina - una tesi di compromesso orientata ad ammettere - in taluni casi concreti - la possibilità per una società mista istituita e partecipata dall’Ente locale “A” di operare a favore di un Ente locale diverso “B”, quando l’attività <em>extra moenia</em> a favore dell’Ente locale “B” risulti, sulla base di un accertamento specifico “<em>caso per caso</em>”, funzionale al dispiego del servizio pubblico a favore dell’Ente locale A; ciò in considerazione della necessità di considerare in modo sinergico le due componenti, pubblicistica e privatistica, di una società mista che è formalmente (e, in qualche modo, anche sostanzialmente) un soggetto privato, la cui vocazione è tuttavia pubblicistica essendo nata per erogare prestazioni di servizio pubblico ad una data collettività di riferimento, rappresentata dall’Ente locale che la ha istituita e che partecipa al relativo capitale;</li> <li>l’approdo dottrinale si è compendiato nel riconoscimento dell’ammissibilità, per una società mista riferibile all’Ente locale “A”, dello svolgimento di attività <em>extra moenia</em> a favore dell’Ente locale “B”, e tuttavia con l’osservanza di uno specifico “<em>limite funzionale</em>” rispetto alla collettività di cui all’Ente locale “A”; un vincolo funzionale non facilissimo da specificamente isolare ed in ordine al quale ha progressivamente svolto opera di individuazione e concretizzazione la giurisprudenza la quale talvolta ha perimetrato tale limite funzionale “<em>in negativo</em>” (l’attività <em>extra moenia</em> deve essere “<em>non incompatibile</em>” con il modello gestionale di erogazione di un servizio pubblico a favore della collettività territoriale di riferimento), ovvero “<em>in positivo</em>” (l’attività <em>extra moenia</em> deve essere pienamente funzionale rispetto al modello gestionale di erogazione di un servizio pubblico a favore della collettività territoriale di riferimento);</li> <li>quando tuttavia la società che gestisce il servizio pubblico locale assume la consistenza di un <em>in house providing</em>, la disciplina europea prevede che più dell’80% dell’attività pertinente deve essere svolta a favore dell’Ente locale di riferimento, onde in questo specifico caso il “<em>limite funzionale</em>” risulta, già sul crinale quantitativo, specificamente individuato dal legislatore europeo e da quello interno di recepimento.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>