<p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il principio di legalità (formale e sostanziale) impone alla PA di esercitare un potere “</em>esplicito<em>”, che persegue i fini assegnatile dalla legge secondo specifiche modalità di esercizio del pari dalla legge scolpite. Non mancano tuttavia casi nell’ordinamento interno e sovranazionale in cui la legge si limita a fissare i fini dell’azione amministrativa, lasciando all’Amministrazione la scelta in ordine al concreto </em>modus<em> col quale perseguire detti fini: in queste ipotesi – che sono normalmente qualificate dal punto di vista “</em>tecnico<em>” – il potere si evince solo dalla legge, non essendo in essa precisamente inscritto né da essa precisamente definito quanto a relativi contorni e modalità di esercizio, con dequotazione del principio di legalità sostanziale e rafforzamento del canone di legalità formale-procedimentale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’art.823 del codice civile spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal codice. E’ dubbio se tale disposizione possa applicarsi, per quanto concerne l’autotutela c.d. esecutiva della PA, anche ai beni del patrimonio indisponibile proprio sulla scorta della teoria dei c.d. poteri impliciti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede riserve di legge in tema di prestazioni personali e patrimoniali imposte (art.23); ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, numero, attribuzioni ed organizzazione dei Ministeri (art.95); organizzazione dei pubblici uffici, in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (art.97).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1957</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo viene sottoscritto a Roma il Trattato istitutivo della CEE, Comunità Economica Europea il cui articolo 235 prende il nome di clausola della flessibilità, poiché permette di intraprendere qualsiasi azione necessaria a realizzare uno degli scopi della Comunità per il funzionamento del mercato comune. Si deve tuttavia seguire un preciso iter per l’approvazione della singola azione funzionale allo scopo: proposta della Commissione, consultazione dell’Assemblea e, all’esito, il Consiglio, deliberando all’unanimità, “<em>prende le disposizioni del caso</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 ottobre viene varata la legge n.1203 che ratifica, tra gli altri, anche il Trattato CEE.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1973</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio esce la sentenza sul caso <em>Massey/Ferguson</em>, C-8/73, con la quale la Corte di Giustizia avalla l’atteggiamento del Consiglio nell’uso di poteri impliciti enunciando il principio per cui le Istituzioni comunitarie hanno il diritto di emanare atti in tutti quei settori nei quali il Trattato attribuisce loro una competenza, legittimando in tal modo l’istituzione da parte del Consiglio di vari Comitati di gestione e regolamentazione e il relativo intervento in materia di pesca e ambiente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 marzo esce la sentenza della Corte di Giustizia, Commissione c. Consiglio, C-45/86 in cui affiora un atteggiamento più restrittivo in tema di poteri impliciti comunitari, evidenziandosi il carattere residuale della norma che li prevede ed escludendone l’operatività ogni qual volta, in base al Trattato, sia possibile disporre di una base giuridica (esplicita) alternativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 maggio esce la sentenza della Corte di Giustizia, Commissione c. Consiglio, C-242/87, che ribadisce un atteggiamento più restrittivo in tema di poteri impliciti comunitari, evidenziandosi il carattere residuale della norma che li prevede ed escludendone l’uso ogni volta che, in base al Trattato, sia possibile disporre di una base giuridica alternativa. Secondo la Corte, dalla lettera stessa dell' art. 235 del Trattato si desume che l’operatività di questo articolo ed il relativo valersene quale fondamento giuridico di un atto è possibile solo se nessun'altra disposizione del Trattato medesimo attribuisce alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria (ed esplicita) per adottarlo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio viene varata la legge n.15 che modifica la legge sul procedimento amministrativo e – agli articoli 21 bis e seguenti della nuova versione della legge n.241 del 1990 - rende “<em>espliciti</em>” <em>ex lege</em> taluni poteri dell’Amministrazione sino ad allora considerati impliciti, con particolare riferimento all’autotutela e dunque al potere di annullamento, di revoca, di convalida e di sospensione dell’atto amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre interviene la sentenza del CdS, sezione VI, n.5827 che si occupa del servizio di erogazione del gas laddove la legge prevede, in capo alla competente Autorità (per l’Energia elettrica e il Gas appunto) il compito di assicurare la tutela della sicurezza degli impianti: proprio fondandosi su questo fine esplicitamente attribuitole dalla legge, l’Autorità si è determinata nel senso di disporre un sistema di assicurazione obbligatoria per tutti i clienti finali utilizzatori del gas. In sostanza, stante il rischio congenito all’utilizzo di gas naturale, l’Autorità competente ha previsto per tutti gli utenti finali l’obbligo di assicurarsi, ma la legge che attribuisce ad essa il pertinente potere (art.2, comma 12, lettera c della legge 481/95) prevede solo – ed assai più genericamente – che l’Autorità di settore assicuri il rispetto dell’ambiente, la sicurezza degli impianti e la salute degli addetti. Con la pronuncia resa dal CdS - chiamato a vagliare la delibera dell’Autorità che, facendo perno sul concetto di “<em>sicurezza degli impianti</em>”, ha imposto a tutti gli utilizzatori finali del gas l’obbligo di assicurarsi - il Consiglio sdogana i poteri impliciti muovendo da come, tecnicamente, il legislatore abbia affidato all’Autorità medesima il potere di regolazione del mercato (oltre che elettrico) del gas. Secondo il CdS la legge 481/95 configura una legge di indirizzo che si fonda su prognosi incerte e si compendia in una serie di rinvii in bianco all’esercizio in concreto del potere: vi si riscontrano clausole generali e concetti indeterminati che l’Autorità è chiamata a concretizzare. Il legislatore, da questo punto di vista, pone le finalità, e l’Amministrazione indipendente si “<em>autoprogramma</em>” nel perseguimento dei ridetti fini: si è allora al cospetto di un programma legislativo aperto, ovvero di una specifica tecnica legislativa propria del settore delle Autorità indipendenti o “<em>di regolazione</em>” che rinvia al procedimento e alle garanzie partecipative dello stesso affinché, con l’intervento dei soggetti interessati debitamente coinvolti, affiori la regola tecnicamente più idonea a regolare la fattispecie.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre viene firmato il Trattato di Lisbona, ovvero il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il cui articolo 352 eredita il disposto sui poteri impliciti dell’art. 235 del Trattato di Roma, onde “<em>se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate…</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 agosto viene varata la legge n.230 che ratifica il Trattato di Lisbona e dunque il TFUE.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.115 che, occupandosi dell’art.54, comma 4, del TUEL, lo dichiara incostituzionale per violazione degli articoli 3, 23 e 97 Cost. laddove vi è inserita la parola “<em>anche</em>” prima delle parole “<em>contingibili e urgenti</em>”. La Corte muove dal presupposto che detto comma 4 prevede due diversi tipi di ordinanze, laddove afferma che il Sindaco in veste di ufficiale di Governo, al medesimo fine di “<em>prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana</em>”, può adottare con atto motivato: a) “<em>provvedimenti,</em> <em>anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento</em>” (come tali straordinari); b) provvedimenti non contingibili e urgenti (e dunque ordinari). Mentre dunque le ordinanze straordinarie di necessità ed urgenza debbono rispettare i principi generali dell’ordinamento, quelle ordinarie non sono gravate da tale vincolo: esse sono pure rivolte a fronteggiare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, ma essendo ordinarie non possono derogare alla normativa primaria vigente, come è invece possibile per le ordinanze straordinarie che – fondate sull’urgenza e connotate da temporaneità di effetti – possono invece operare tale deroga pur dovendo rispettare i principi generali dell’ordinamento. Sono proprio le ordinanze “<em>ordinarie</em>” a provocare la pronuncia di incostituzionalità della Corte, in quanto esse si presentano connotate da una discrezionalità senza limiti, sconfinata e segnata solo dal fine generico di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano i beni della incolumità pubblica e della sicurezza urbana. Secondo la Corte, i principi dello Stato di diritto impongono che la legalità sostanziale faccia da sfondo ad ogni provvedimento amministrativo e ciò non consente l’attribuzione alla PA di un potere assolutamente indeterminato; né tale potere può dirsi in qualche modo determinato dal fine (potere “implicito”) che è chiamato a perseguire, in quanto occorre non solo tutelare un bene o un valore, ma anche tutelarlo con determinate modalità di esercizio del potere che la legge deve fissare, la copertura legislativa del detto potere palesandosi indefettibile, quand’anche elastica. L’assenza di limiti che non siano genericamente finalistici cozza peraltro anche con il principio di riserva di legge relativa previsto dall’art.97 e con lo stesso principio di imparzialità dell’Amministrazione: il potere giurisdizionale deve essere posto in grado di verificare l’osservanza del parametro legislativo di base che tutela i cittadini da possibili discriminazioni e la legge, anche se in modo non dettagliato, deve effettivamente fondare l’<em>agere</em> amministrativo garantendone in via preventiva l’imparzialità, il che non avviene nel caso in cui siano posti solo i fini dell’<em>agere</em> medesimo, ma non anche le modalità di esercizio del potere dettato per il perseguimento di quei fini. Poiché peraltro ogni Sindaco ha la sua porzione territoriale di competenza, potrebbero vedere la luce ordinanze diverse tali da rendere leciti o illeciti, a seconda del territorio di riferimento, i comportamenti dei cittadini, con palmare violazione del principio di eguaglianza di cui all’art.3 Cost.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce la sentenza del Tar Lombardia, sezione III, n. 683 che si occupa dei poteri dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, ed in particolare degli eventuali “<em>poteri nuovi e innominati</em>” ad essa riconoscibili sulla base della legge che la istituisce e ne regola l’attività, attraverso una trasformazione (in poteri, appunto) degli scopi che l’Autorità deve perseguire. La questione concerne in particolare la delicata possibilità (o meno) di incidere in via unilaterale ed amministrativa sull’assetto degli interessi voluto dalle parti attraverso il contratto, che ha forza di legge tra le parti stesse (art.1372 c.c.) ed al quale è possibile derogare solo se ciò è previsto nell’accordo stesso ovvero nella legge (art.1374 c.c.). Poiché è la legge che attribuisce alle parti il potere di autoregolamentarsi sulla base della loro autonomia negoziale, non è possibile per il Tar ammettere una “<em>conformazione amministrativa</em>” del contratto sulla scorta di un potere meramente implicito, e non piuttosto esplicitato dalla legge quale fonte di pari rango rispetto a quella (codice civile) che disciplina l’autonomia negoziale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce la sentenza della IV sezione del CdS, n.1532, che esplicitamente ammette la conformità a Costituzione dei poteri impliciti attribuiti alle Autorità indipendenti, e segnatamente all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas. Occorre partire dal principio di legalità la cui nozione impone che la legge attribuisce all’Amministrazione sia lo scopo da perseguire, sia come perseguirlo, garanzia dei cittadini imponendo che sia predeterminato il contenuto e le condizioni di esercizio del potere medesimo. Questo grado di dettaglio – richiesto dal principio di legalità sostanziale – non può tuttavia essere richiesto quando si tratti di Autorità indipendenti, alle quali la legge attribuisce fini specifici in un contesto di accentuato tecnicismo nell’orbita del quale le regole tecniche vanno costantemente adeguate all’evoluzione del sistema, pena, in caso di mancato adeguamento, il non raggiungimento dei fini divisati. Questo è il motivo per il quale per determinati atti regolatori delle Autorità indipendenti non può dirsi incostituzionale la previsione di poteri impliciti, collegati ai soli scopi del potere esercitato senza specificazioni contenutistiche in ordine alle concrete modalità di esercizio del potere medesimo. Il principio di legalità, dequotato per il CdS dal punto di vista sostanziale (si parla di potere “<em>teleologico</em>” o “<em>per obiettivi</em>”, il cui contenuto non è programmabile in via cristallizzata, aprioristica ed anticipata), viene invece rafforzato dal punto di vista formale e procedimentale attraverso corroborate forme di partecipazione degli operatori del settore nell’ambito del procedimento di formazione degli atti regolamentari che detti poteri impliciti concretamente e di volta in volta delineano.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2182, che chiarisce – nella sostanza – come le deroghe al principio della riserva di legge, tra le quali si inseriscono a pieno titolo i poteri impliciti, siano da assumersi del tutto eccezionali e possano considerarsi ammissibili solo nei limiti del perseguimento del pubblico interesse (che tali poteri in qualche modo fonda e giustifica). La fattispecie scandagliata dal Collegio investe i poteri dell’Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, la quale non può giungere a regolare taluni aspetti dei rapporti contrattuali tra imprese distributrici ed imprese venditrici (ad esempio, di energia), segnatamente ponendo a carico delle seconde (<em>traders</em>) obblighi di garanzia autonoma da assicurare per il caso in cui i clienti finali siano inadempienti nel corrispondere i c.d. oneri di sistema. Per il Consiglio di Stato, così facendo l’Autorità ha esercitato un potere di integrazione contrattuale che non persegue le finalità (pubbliche) predeterminate dalla normativa di settore e ciò in quanto il rispetto di forme determinate di garanzia nei rapporti tra distributori e venditori esula dalla cornice legale che definisce i poteri dell’Autorità, non potendo soccorrere in queste ipotesi la giurisprudenza sui poteri impliciti e palesandosi nella fattispecie, piuttosto, violato il principio di legalità in ottica di indirizzo, secondo parametri di legge, verso lo scopo pubblico da perseguire da parte della divisata Amministrazione. Più nel dettaglio, nella fattispecie manca una previsione legislativa che indichi quale soggetto subisca le conseguenze dell’inadempimento dei clienti finali, e tale lacuna può colmarla l’autonomia contrattuale delle parti nella stipula dei singoli contratti di trasporto, tanto che eventuali contestazioni relative alle concrete modalità di esercizio del potere delle imprese di distribuzione vanno condotte innanzi al GO. In sostanza, conclude il Consiglio di Stato, dinanzi ad un preciso quadro legislativo che disciplina la fattispecie, il provvedimento gravato è in frizione con il principio di legalità sostanziale risolvendosi nella indebita ingerenza di un potere pubblico nelle autonome autoregolazioni di interessi privati ad opera dei singoli contraenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° dicembre escono le sentenze della III sezione del Consiglio di Stato, nn. 5047 e 5048, che – scandagliando una fattispecie di iscrizione da parte di un Sindaco, nel pertinente registro, di un matrimonio omosessuale (c.d. <em>same sex</em>) contratto all’estero, e di successivo annullamento da parte del locale Prefetto - intervengono sul tema dei poteri impliciti alla luce di quanto disposto dall’art.21 <em>nonies</em>, comma 1, Legge n. 241/1990 circa, più in specie, il potere di annullamento in sede di autotutela da parte di “<em>altro organo previsto dalla legge</em>”, affermando che il legislatore ha inteso sopire il precedente dibattito sulla sussistenza o meno di siffatti poteri affermando più rigorosamente il principio di legalità sancito dall’art. 97 Cost. e disponendo che le competenze (ad annullare i provvedimenti amministrativi) devono essere previste dalla legge. In particolare, l’ordinamento dello Stato civile prevede specifiche regole, divergenti da quelle di carattere generale e previste dall’art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, per cui va considerato “<em>settoriale, speciale e completo</em>” e non prevede alcuna disposizione attributiva del potere di disporre l’annullamento di un atto trascritto, né in sede di autotutela da parte dell’organo che lo ha adottato, né da parte di altro organo che sia il Ministro dell’Interno o il Prefetto. Per il Consiglio non può escludersi il (diverso) potere di annullamento straordinario degli atti formalmente amministrativi emessi dal Sindaco quale ufficiale dello stato civile che spetta al Governo della Repubblica nella relativa collegialità ai sensi dell’art. 2, comma 3, L. n. 400/1988 nonché dell’art. 138 del T.U. sugli enti locali n. 267/2000 a “<em>tutela dell’unità dell’ordinamento</em>”, onde - per il Consiglio di Stato - l’atto di annullamento adottato nel caso di specie dal Prefetto è viziato da incompetenza relativa e non già da difetto assoluto di attribuzione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, n.1499, secondo la quale è da assumersi ammissibile la figura dell’atto amministrativo implicito, ma soltanto qualora l’Amministrazione, pur non adottando formalmente il provvedimento, ne delinei univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato; in altre parole, per il Consiglio di Stato deve emergere un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta dall’Amministrazione e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, tale per cui quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà (fattispecie in tema di concessione cimiteriale perpetua, la cui pretesa viene ritenuta ormai inammissibile).</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.69 che si occupa dell’art. 37, comma 6, lett. b), D.L. n. 201 del 2011, laddove attribuisce all’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) il potere di determinare il contributo dovuto per l’esercizio delle proprie funzioni: per la Corte, tale norma soddisfa la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., e non viola né il principio di eguaglianza, né la libertà individuale di iniziativa economica, né la necessaria correlazione con la capacità contributiva di cui, rispettivamente, agli artt. 3, 41 e 53 Cost. Si tratta per la Corte di un contributo qualificabile come prestazione patrimoniale imposta da assumersi soggetto ad una disciplina sostanziale e procedurale improntata al pieno rispetto del principio di legalità e delle garanzie richieste dai precetti costituzionali. Più nel dettaglio, sul piano sostanziale rilevano per la Corte: a) il limite massimo all’aliquota impositiva; b) la nozione di “<em>mercato dei trasporti</em>”, riferibile a coloro che svolgono attività concretamente toccate dall’esercizio delle funzioni di regolazione; c) l’entità delle risorse, che risponde alle esigenze operative e al fabbisogno complessivo dell’Art, concretamente verificabili tramite gli atti di programmazione e gestione e i relativi controlli; d) la nozione di fatturato, che può essere precisata dal regolatore in base a consolidati criteri tecnici di carattere economico e contabile; sul piano procedurale, prosegue la Corte, appaiono dirimenti l’intervento del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Economia e delle finanze, e l’apporto conoscitivo degli interessati, ampiamente assicurato e valorizzato dall’Autorità. Per la Corte l’insieme dei precetti e dei meccanismi previsti dal legislatore erige un significativo argine procedimentale alla discrezionalità dell’Art e alla relativa capacità di determinare da sé le proprie risorse, contribuendo alla prevedibilità degli oneri contributivi e, in ultima analisi, all’imparzialità, all’obiettività e alla trasparenza dell’attività amministrativa. Ancora una volta dunque, con riguardo ad un’Autorità indipendente, vengono in rilievo poteri non chiaramente definiti da Legislatore in sede primaria e, come tali, in qualche modo impliciti, orientati a garantire il finanziamento, nel caso di specie, dell’Autorità di regolazione dei trasporti, e dunque finalizzati al perseguimento di un pubblico interesse.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 novembre esce la sentenza dell’VIII sezione dell Tar Campania n. 5706 che riconosce possibile la configurabilità di un atto amministrativo implicito quando dalla manifestazione espressa sia desumibile in modo non equivoco una volontà provvedimentale ulteriore, con un collegamento esclusivo tra atto implicito e atto presupposto; ciò accade quando l’atto implicito costituisce l’unica conseguenza possibile di quello espresso, non potendo essere attribuito all’Amministrazione altro volere. Pur non adottando formalmente un provvedimento, l’Amministrazione ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 gennaio esce la sentenza del Tar Sardegna, sezione I, n. 45 che riconosce implicitamente ritirato un permesso di costruire, erroneamente rilasciato in precedenza, nel caso in cui - sulla medesima area di sedime, risultata di proprietà pubblica - il Comune abbia realizzato opere pubbliche destinate al pubblico transito; sono infatti riscontrabili tutti i requisiti propri dell’atto di annullamento in via implicita, essendo univoca la relativa volontà del Comune di destinare all’uso pubblico l’area interessata (nella specie, l’Ente locale aveva più volte definito il medesimo titolo edilizio “<em>erroneo</em>”) ed essendo ben chiara la motivazione di tale annullamento in via implicita, legata all’esistenza di un interesse pubblico contrastante con la realizzazione <em>ex parte privata</em> di un muro di confine.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno 2018, esce la sentenza della Cassazione, a SS.UU. n. 16957, che è chiamata a pronunciarsi in merito al difetto di giurisdizione della censurata sentenza del Consiglio di Stato. Questa la fattispecie concreta. Il giudice di primo grado aveva negato al prefetto il potere di annullare d'ufficio la trascrizione di matrimoni di persone dello stesso sesso contratti all'estero, sul rilievo che la potestà di annullamento sarebbe riservata in via esclusiva al giudice ordinario (per effetto del combinato disposto degli artt. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000 e dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000,). Il Consiglio di Stato – con l’impugnata sentenza della sezione III n. 4897/15 - ha proceduto a verificare la fondatezza della tesi del Ministero appellante, per cui il potere gerarchico di sovraordinazione del prefetto al sindaco, quale ufficiale di governo delegato alla tenuta dei registri di stato civile, comprenderebbe anche quello generale di autotutela sugli atti adottati contra legem dall'organo subordinato. E a tale quesito, sulla base di una ricostruzione normativa e sistematica variamente articolata, ha dato risposta affermativa. Secondo le Sezioni Unite, cui tale sentenza viene impugnata, il Consiglio di Stato non ha statuito in eccesso del suo potere giurisdizionale (violando una competenza assegnata al legislatore), poiché ha reso una semplice interpretazione delle norme vigenti (in specie, ha preso le mosse dall'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 che, sotto la rubrica "Attribuzioni del sindaco in materia di competenza statale", al comma 3, dispone che "Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica" e al comma 12 che "Il Ministro dell'interno può adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco"). Orbene, secondo la Corte di Cassazione, il ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata, lungi dal dare luogo alla creazione di una norma, con conseguente invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore, integra esercizio di attività interpretativa che non deborda dall'ambito del potere attribuito al giudice. Altro profilo è quello concernente il merito della soluzione interpretativa data dal giudice amministrativo: ma ovviamente, la valutazione attiene alle modalità di esercizio della giurisdizione ed è quindi insuscettibile di sindacato ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ. o 110 cod. proc. amm. (Tale soluzione, del resto, lungi dall'essere smentita dalle successive decisioni del Consiglio di Stato n. 5047 e 5048 del 2016, risulta nella sostanza confermata).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio esce la sentenza del Consiglio di stato n. 589, che riconosce l’ammissibilità, nel nostro ordinamento, del provvedimento amministrativo implicito, caratterizzato, cioè, per l’assenza di una determinazione formale dell’amministrazione, desumibile dal suo comportamento o contegno conseguente (le quante volte, cioè, emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà). Vero è che il provvedimento implicito presuppone che sussistano, in concreto, alcuni necessari presupposti: a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito; b) che, per un verso, la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l’atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione); c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (arg. <em>ex</em> art. 21 <em>septies</em> L. n. 241 del 1990); d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione); e) che, in ogni caso, emergano (avuto riguardo al concreto andamento dell’<em>iter</em> procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato. Alla luce di questi principi, la sentenza ha ammesso che, in astratto, possa esistere una revoca implicita di un’aggiudicazione. Ha ritenuto, tuttavia, che nel caso di specie non vi fossero i presupposti per la sua esistenza. In particolare <em>a</em>) mancava il requisito della medesima competenza nell’autorità amministrativa emanante l’atto implicito e l’atto presupponente: <em>b</em>) non emergevano, in concreto, gli elementi idonei a prefigurare (alla luce dell’art. 21 <em>quinquies</em> l. n. 241/1990) il concreto ed implicito intendimento, nella prospettiva dell’esercizio di poteri di autotutela; <em>c</em>) non sussistevano elementi idonei ad individuare in modo univoco i contenuti del “nuovo atto”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa si intende per potere “implicito”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>occorre partire dal <strong>fine pubblico che la PA deve perseguire</strong> sulla scorta della normativa primaria, la quale le attribuisce all’uopo determinati <strong>poteri espliciti</strong>;</li> <li>ad essi <strong>si accompagnano</strong> tutti quei poteri “<strong><em>impliciti</em></strong>” che consentono alla singola PA di perseguire <strong>in modo più acconcio</strong> lo scopo medesimo;</li> <li>questo evidenzia in misura palmare anche il rapporto che intercorre tra <strong>principio di legalità amministrativa</strong>, <strong>riserva di legge</strong> e, appunto, poteri meramente impliciti.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Esistono poteri negoziali impliciti della PA?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il problema della natura implicita del potere si pone <strong>solo allorché la PA agisca secondo moduli di tipo pubblicistico</strong>;</li> <li>allorché essa si avvalga di <strong>schemi negoziali</strong> alla maniera del privato, lo spazio di libertà è molto maggiore e si lambisce un’area nella quale regna <strong>l’atipicità</strong> connessa alla <strong>causa del negozio</strong>, con il solo limite della <strong>meritevolezza di tutela degli interessi</strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che differenza si riscontra tra potere implicito e atto o provvedimento implicito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>Nel caso dell’<strong>atto implicito</strong>, <strong>il potere in realtà è esplicito</strong> e, dunque, è previsto dalla legge, sicché non si pone un conflitto con il principio di legalità dell’azione amministrativa: solo tale potere <strong>si estrinseca in un atto che non è esplicito</strong>, ma è magari evincibile da un <strong>comportamento</strong> dell’Amministrazione e dunque non si esteriorizza in un provvedimento formale. Altra ipotesi di atto implicito è quella dell’atto esplicito (e dunque esteriorizzato in un formale provvedimento) che tuttavia produce <strong>effetti ulteriori ed “<em>impliciti</em>”</strong> rispetto a quelli evincibili in via immediata e diretta dall’atto stesso per come si palesa all’esterno. Le problematiche che si riconnettono all’atto implicito sono allora quelle degli <strong>elementi essenziali</strong> dello stesso ai fini della eventuale <strong>nullità</strong> che lo affetta, con particolare riguardo alla relativa <strong>forma</strong>, nonché quelle afferenti al <strong>procedimento che lo concerne</strong> (motivazione, preavviso di rigetto, partecipazione procedimentale);</li> <li>Nel caso del <strong>potere implicito</strong>, il problema non è invece quello di un atto che “<strong><em>si evince</em></strong>”, quanto più a monte di un <strong>potere pubblico che non è stato esplicitato</strong> dal legislatore e che tuttavia pare attribuito alla PA sulla scorta dei <strong>fini</strong> e degli <strong>scopi</strong> che la PA medesima è chiamata esplicitamente a perseguire.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale specifica interazione si registra tra poteri impliciti e principio di legalità negli ambiti oggetto della competenza delle Autorità indipendenti?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>viene <strong>dequotato</strong> il principio di <strong>legalità sostanziale</strong>, per cui attraverso <strong>gli scopi</strong> assegnati dalla legge all’Autorità <strong>si risale ad un potere</strong> ad essa affidato, senza che ne siano specificati <strong>i modi di esercizio,</strong> al fine di consentire un <strong>costante adeguamento tecnico</strong> all’evoluzione del <strong>sistema di settore</strong>;</li> <li>viene <strong>potenziato</strong> il principio di <strong>legalità formale (o procedimentale)</strong> in quanto le singole determinazioni tecnicamente qualificate vengono rese dall’Autorità a valle di procedimenti che <strong>coinvolgono</strong> in modo consistente e onnicomprensivo gli <strong>operatori del settore</strong> di riferimento.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>