Corte Costituzionale, ordinanza 23 giugno 2022 n. 157
Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato, nella qualità, da un Giudice di Pace nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti.
Considerato che Cristina Piazza, in asserita «qualità di Giudice di pace presso l’Ufficio del Giudice di pace di Bologna», solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti, per la declaratoria di «menomazione ed usurpazione delle attribuzioni e delle prerogative spettanti al giudice di pace ricorrente, quale appartenente alla giurisdizione ordinaria di primo grado»;
che il conflitto origina dall’approvazione dei commi da 629 a 633 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), ai quali la ricorrente imputa la «mancata estensione al magistrato onorario ricorrente delle stesse condizioni di lavoro previste per legge in favore dei magistrati professionali equivalenti (ex giudici di tribunale), come statuito dalla sentenza del 16 luglio 2020 della Corte di giustizia dell’Unione europea in causa C-658/18 UX […] e richiesto al Governo italiano dalla Commissione europea con lettera di messa in mora del 15 luglio 2021 nell’ambito della procedura di infrazione n. 2016/4081»;
che tali disposizioni – approvate in forza di un emendamento governativo – modificano l’art. 29 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), prevedendo una procedura di conferma «a tempo indeterminato», sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 116 del 2017;
che la disciplina impugnata per conflitto prevede che la conferma sia subordinata al superamento di procedure valutative, da svolgersi con modalità semplificate e innanzi ad una apposita commissione – composta da membri non designati dal Consiglio superiore della magistratura, sottolinea la ricorrente – e con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico, comprensivo di copertura previdenziale e assistenziale, parametrato a quello di un funzionario amministrativo;
che è previsto, inoltre, che la partecipazione alla procedura comporti la «rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario pregresso»;
che è stabilito, infine, che i magistrati onorari che non accedano alla conferma, tanto nell’ipotesi di mancata presentazione della domanda, quanto in quella di mancato superamento della procedura valutativa, cessino dall’incarico, salvo il diritto ad una indennità calcolata in base al numero di anni di servizio onorario prestato ma, comunque, di ammontare non superiore a cinquantamila euro, la cui accettazione comporta «rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario cessato»;
che le descritte disposizioni, ad avviso della ricorrente, determinerebbero una «violazione dell’indipendenza e dell’inamovibilità della magistratura di pace ricorrente», delineando «un’inammissibile figura ibrida di magistrato che svolge in via esclusiva […] le stesse funzioni giurisdizionali del magistrato ordinario» e che, ciononostante, verrebbe retribuito «come assistente amministrativo», obbligato anche a rinunciare, con la presentazione della domanda di conferma, «ai diritti economici, normativi e previdenziali maturati in ragione dell’attività lavorativa svolta come magistrato onorario», nonostante questi diritti «siano stati accertati e riconosciuti nei confronti della giudice di pace ricorrente» dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 16 luglio 2020, in causa C-658/18, UX, di cui vengono ampiamente illustrati i contenuti;
che, espone ancora la ricorrente, i soggetti contro i quali è proposto il conflitto, omettendo di modificare l’art. 21 del d.lgs. n. 116 del 2017 – che prevede gli istituti della decadenza, della dispensa e della revoca dell’incarico e, quindi, «cause di automatica cessazione del rapporto di impiego a discrezione del datore di lavoro Ministero della giustizia e del CSM, senza procedimento disciplinare» – avrebbero leso la garanzia di inamovibilità spettante ai magistrati onorari;
che l’«evidente supremazia gerarchica del potere amministrativo del datore di lavoro (Ministero della giustizia) sulle funzioni giurisdizionali» determinerebbe una «grave regressione del credito e prestigio, di cui il singolo magistrato, come la giudice di pace ricorrente, e l’intero Ordine giudiziario, devono godere presso la comunità dei cittadini», dal momento che «il trattamento economico dei magistrati» non potrebbe ritenersi «nella libera disponibilità del potere legislativo o del potere esecutivo, trattandosi di un aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza»;
che, in definitiva, è richiesto a questa Corte di dichiarare che le disposizioni impugnate hanno leso le attribuzioni costituzionali di indipendenza e inamovibilità del giudice di pace, di «uguaglianza della magistratura onoraria alle condizioni di lavoro previste per il magistrato professionale equiparabile», «di rispetto degli obblighi comunitari che impongono tale equiparazione», nonché «di diritto anche del magistrato onorario all’elettorato attivo e passivo per la nomina dei consiglieri del Consiglio superiore della magistratura»;
che, in questa fase del giudizio, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;
che, quanto al profilo soggettivo, la giurisprudenza di questa Corte riconosce la legittimazione dei singoli organi giurisdizionali – e quindi anche del giudice di pace – ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, ordinanza n. 19 del 2021);
che, sebbene la dottoressa Cristina Piazza dichiari di sollevare conflitto «in qualità di Giudice di pace presso l’Ufficio del Giudice di pace di Bologna», l’atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale, del resto, neppure motiva in ordine all’incidenza delle disposizioni impugnate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più specifici procedimenti a lei assegnati e in corso di svolgimento;
che, all’evidenza, la ricorrente non agisce, quindi, nell’esercizio in concreto di funzioni giurisdizionali;
che invece, come da costante giurisprudenza costituzionale, la legittimazione dei singoli organi giurisdizionali a sollevare conflitto sussiste «”limitatamente all’esercizio dell’attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale”» (ordinanze n. 19 del 2021, n. 296 del 2013 e n. 366 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n. 338 del 2007 e n. 87 del 1978);
che, dunque, presupposto per la sollevazione del conflitto da parte del singolo giudice è che questi «sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano”, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87» (ordinanza n. 144 del 2000; analogamente, ordinanza n. 127 del 2006), dal momento che il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine a tale competenza, «viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali» (ordinanza n. 285 del 2011);
che, quindi, anche il giudice di pace può proporre conflitto, perché competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, ma solo «nell’esercizio delle funzioni attribuitegli» (ordinanza n. 151 del 2013; nello stesso senso, con riferimento a organi giurisdizionali diversi dal giudice di pace, ordinanze n. 35 del 2022, n. 148, n. 84, n. 82 e n. 69 del 2020, n. 139 del 2016 e n. 25 del 2013), risultando, altrimenti, «manifestamente privo della legittimazione attiva» (ordinanze n. 22 del 2000, n. 340 e n. 244 del 1999);
che tale carenza di legittimazione attiva deve essere affermata anche nella fattispecie in esame, in cui la ricorrente non solo non è nell’esercizio delle proprie funzioni giudicanti, ma utilizza il giudizio per conflitto tra poteri – destinato a garantire attribuzioni costituzionalmente presidiate – come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall’ordinamento, in funzione di difesa di propri, asseriti, diritti tutelati dalla Costituzione (analogamente, ordinanza n. 279 del 2011);
che la carenza in parola, costituendo motivo assorbente d’inammissibilità del conflitto, dispensa dall’esame di altri profili, relativi, in particolare, alla astratta configurabilità di tutte le attribuzioni costituzionali prospettate come lese, ai presupposti di ammissibilità di un conflitto avente ad oggetto una legge, e alla corretta individuazione dei legittimati passivi;
che, in mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto, questa Corte non deve pronunciarsi sulla richiesta di autorimessione delle questioni di legittimità costituzionale sollecitata dalla ricorrente, restando anche assorbita l’istanza di sospensione cautelare (ordinanze n. 32 del 2022 e n. 254 del 2021).