Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14 gennaio 2025 n. 230
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’Amministrazione, occorre avere riguardo al carattere e al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di pertinente violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, e con la conseguenza che ogni altra violazione resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- L’appello non è fondato.
- Il dottor -OMISSIS-, in servizio presso l’ex U.S.L. n. 40 di Taormina in qualità di medico condotto, ha optato per il rapporto di lavoro a tempo definito. All’entrata in vigore della disposizione di cui al comma 7 dell’art.4 della legge n. 412 del 1991 (1° gennaio 1993), che imponeva di scegliere tra il rapporto di lavoro dipendente o quello di medicina convenzionale, non avendo lo stesso operato alcuna scelta, l’Amministrazione, con delibera n. 853 del 2 agosto 1994 lo ha dichiarato decaduto dal rapporto di impiego per non aver ridotto il numero degli assistiti, con la conseguenza di fargli mantenere il solo rapporto convenzionale
- Il T.a.r. del Lazio con sentenza n. 6898 del 2009 ha poi respinto il ricorso avverso la disposta decadenza mentre questa Sezione, con sentenza n. 1792 del 2014, ha accolto l’appello, annullando il provvedimento impugnato.
- A seguito dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento di decadenza, il dottor -OMISSIS- ha chiesto il risarcimento dei danni con ricorso notificato al T.a.r. del Lazio l’8 agosto 2014. Lo stesso Tribunale, con la sentenza oggetto del presente appello, ha respinto la domanda risarcitoria.
- La delibera n. 853 del 2 agosto 1994, con la quale il dottor -OMISSIS- veniva dichiarato decaduto dal rapporto di impiego con il mantenimento del solo rapporto convenzionale, recepiva quanto disposto dall’art. 110 del d.P.R. n. 270 del 1987 (accordo collettivo triennale) sul trattamento economico omnicomprensivo degli ex medici condotti, con riflesso anche sul massimale delle scelte di assistenza, e quanto previsto dal regime di incompatibilità introdotto dall’art. 4 della legge n. 412 del 1991, che non consentiva la concomitanza fra rapporto convenzionale e rapporto di pubblico impiego.
- Dopo le decisioni del T.a.r. che avallavano questa impostazione, a partire dalla sentenza di questa Sezione n. 4653 del 2012 (richiamata nella sentenza n. 1792 del 2014) è stato poi affermato che l’art. 28 del d.P.R. n. 348 del 1983, avente ad oggetto gli “ex medici condotti ed assimilati”, si fosse limitato prevedere l’applicazione alla predetta categoria di personale medico della possibilità di opzione fra “tempo pieno” e “tempo definito”, peraltro con effetti limitati al periodo di validità del contratto collettivo, senza incidere sulla peculiarità del loro status, del cui venire meno non vi sarebbe stato cenno nel testo della norma, e che l’opzione ermeneutica trovava conforto, sul piano sistematico, nel fatto che l’art. 28, in vari commi, stabiliva in dettaglio le specifiche modalità di applicazione del “tempo definito” ai medici ex condotti, per ciò solo differenziandoli o comunque distinguendoli dai colleghi inquadrati nei ruoli ordinari.
- Da quanto sopra rilevato, non sembra potersi concludere per la sussistenza di un evidente comportamento colposo dell’Amministrazione (che ha adottato una possibile interpretazione del quadro normativo), né tantomeno discriminatorio, tenuto conto che anche altri medici nella stessa posizione e U.S.L. sono stati al tempo dichiarati decaduti (cfr. citata sentenza n. 4653 del 2012).
- In generale, ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’Amministrazione, occorre avere riguardo al carattere e al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, e con la conseguenza che ogni altra violazione resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 16 maggio 2024, n. 4343).
- Sono in ogni caso infondati anche gli ulteriori motivi di appello relativi alla quantificazione del danno lamentato. I ricorrenti non hanno prodotto un compendio probatorio tale da giustificare le loro richieste, limitandosi a indicare ed articolare, per principi, le diverse voci suscettibili di risarcimento senza produrre prove specifiche (ad esempio, si sono limitati soltanto a produrre alcuni articoli di giornale al fine di fondare la presunta lesione patita).
- Quanto alla perdita di chances, ai fini della determinazione della responsabilità dell’Amministrazione è necessario distinguere fra probabilità di riuscita, che deve essere considerata quale chance risarcibile, e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata, la quale non può invece essere risarcita. Il riconoscimento del danno da perdita di chance presuppone, quindi, una rilevante probabilità del risultato utile frustrata dall’agire illegittimo dell’Amministrazione, non identificabile nella perdita della mera possibilità di conseguire il risultato sperato, come invece sostenuto nel caso in esame.
- In definitiva, la pretesa del danno da provvedimento illegittimo è comunque sottoposta ad un puntuale onere probatorio in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento, non costituendo una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo illegittimo. Non può soccorre in alternativa il metodo acquisitivo, né l’esistenza del danno stesso potrebbe essere presunta quale conseguenza dell’illegittimità provvedimentale in cui l’Amministrazione sia incorsa (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 15 ottobre 2020, n. 914).
- Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata. Ne consegue l’improcedibilità dell’appello incidentale condizionato.