Massima
La più recente parabola giurisprudenziale in ambito penale ha riportato sul proscenio una figura tradizionale di circostanza aggravante – quella della minorata difesa – sovente declinata in ottica di inasprimento sanzionatorio del delitto di furto; ciò attraverso un attento rimeditare i concetti di “età della vittima” e di “destrezza”, da un lato, e di “tempo di notte” dall’altro, giusta ponderata valorizzazione dell’equilibrio tra l’abilità di chi “attacca” (il soggetto agente) e la situazione peculiare e concreta di chi “subisce” (la vittima).
Crono-articolo
Nel diritto romano, l’aver agito di notte rappresenta già una aggravante del furtum, capace financo di autorizzare la legittima difesa del derubato; stando infatti alla Tavola XII, “si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto”, e dunque se il ladro abbia tentato di rubare nottetempo e sia stato ucciso, l’omicidio “sia considerato legittimo” (ce lo riferiscono nel Digesto i Giuristi Gaio, D, 9, 2, 4, 1, e Ulpiano, D. 48, 8, 9).
Ciò sulla scia peraltro del diritto greco: apprendiamo da Demostene come Solone, pur moderando il rigore delle leggi ateniesi varate da Dracone, lasci per il solo furto notturno (e non anche dunque per quello diurno) la pena di morte.
Un ulteriore, importante riferimento romanistico ratione materiae rispetto alla minorata difesa si rinviene, con riguardo specifico all’atrocitas furti, nel brano di Paolo D. 47,18,2: afferente al furtum con effrazione, che si configura ogni volta che per commettere il furto ridetto vengano rotti o comunque distrutti i ripari posti a difesa della cosa.
Dalla lettura del passo affiora un ruolo centrale proprio del connotato temporale del furto nella qualificazione della pertinente atrocitas: Paolo non definisce infatti atroce il comportamento di tutti gli effractores, ma solo di quelli che agiscono “di notte”, a voler dire che il furtum con effrazione realizzato durante la notte si atteggia a maggiormente grave, perché per l’appunto più “atroce”, rispetto a quello diurno.
1859
Il 20 novembre viene varato il codice penale sardo-piemontese, che annovera specificamente la commissione del reato “in tempo di notte” tra le circostanze che “qualificano” e, pertanto, aggravavano, il reato di furto; l’art. 613, infatti, stabilisce che “quando la notte serve a qualificare o a rendere più grave il reato si avrà per notte tutto quel tempo che corre da un’ora dopo il tramonto ad un’ora prima della levata del sole“.
1889
Il 30 giugno viene varato il R.D. n.6133, codice Zanardelli, di impianto liberale, secondo il cui art.403, primo comma, n. 4 – che recepisce sul punto le previsioni dei codici preunitari – il furto con destrezza ricorre quando sia stato commesso “sulla persona in luogo pubblico o aperto al pubblico”.
L’aggravante della destrezza si configura quando l’agente, con particolari tecniche di astuzia ed agilità, riesce ad impossessarsi della cosa senza che il soggetto passivo possa apprestare i dovuti mezzi idonei a scongiurare il furto ai propri danni.
Il successivo art.404, disciplina poi le aggravanti del furto, punendo con la reclusione da 1 a 6 anni il colpevole che lo commetta profittando della facilità derivante da disastri, da calamità, da commozioni pubbliche o da particolare infortunio del derubato (n.2), ovvero, non convivendo con il derubato, commetta il fatto in tempo di notte, in “edifizio” o in altro luogo destinato all’abitazione.
Il codice, pur eliminando la specifica delimitazione temporale del “tempo di notte” esistente nel codice penale del 1859, rimettendo la questione alla valutazione discrezionale del giudice, continua dunque a considerare aggravato il reato commesso col favore delle tenebre: gli artt. 157 e 329 prevedono, rispettivamente, le ipotesi aggravate dal tempo di notte dei reati di violazione di domicilio ed incendio, inondazione e sommersione, pur essendo rimessa la determinazione del tempo di notte “al prudente discernimento del giudice, che, secondo il luogo, la stagione e le circostanze in cui il reato è commesso, dovrà stabilirne la ricorrenza, vera e reale“.
1930
Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, che inserisce la minorata difesa nella parte generale del codice, così rendendola applicabile (potenzialmente) ad ogni fattispecie criminosa con essa compatibile, e non più dunque solo a fattispecie specifiche, prima fra tutte il furto.
Stando all’art.61, in tema di circostanze aggravanti “comuni”, aggrava infatti il reato, quando non ne sia elemento costitutivo o circostanza aggravante speciale, tra gli altri, l’avere “profittato” di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (n.5).
Con riguardo poi alla fattispecie di furto, le circostanze aggravanti sono elencate all’art.625, rilevando in particolare – ratione materiae – il comma 1, n.4, laddove si inasprisce il trattamento sanzionatorio al cospetto di un fatto commesso con destrezza, ovvero strappando la cosa di mano o di dosso alla persona che ne rimane vittima.
Di rilievo anche l’art.70 in tema di circostanze oggettive e soggettive, alla cui stregua, agli effetti della legge penale, sono circostante oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso; sono invece circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole (comma 1); le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano in particolare la imputabilità e la recidiva (comma 2).
La distinzione tra circostanze oggettive e soggettive rileva ai fini dell’applicazione dell’art.118 in tema di pertinente valutazione “concorsuale”: le circostanze oggettive, che aggravano o diminuiscono la pena, anche se non conosciute da tutti coloro che concorrono nel reato, sono valutate a relativo carico o favore (comma 1); le circostanze soggettive, non inerenti alla persona del colpevole, che aggravano la pena per taluni di coloro che sono concorsi nel reato, stanno a carico anche degli altri, sebbene non conosciute, quando sono servite ad agevolare l’esecuzione del reato (comma 2); ogni altra circostanza, che aggrava o diminuisce la pena, è valutata infine soltanto riguardo alla persona a cui si riferisce (comma 3).
Significativo ancora, sempre in tema di circostanze aggravanti del furto, l’art. 625, primo comma, n. 6, cod. pen., che qualifica come ulteriore circostanza aggravante l’essere stato il furto «commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande».
Interessante notare come determinate fattispecie incriminatrici rechino seco la minorata difesa come elemento costitutivo: classico il caso della circonvenzione di incapace ai sensi dell’art.643, onde è punito chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso.
Di rilievo anche l’art.699 in tema di porto abusivo di armi, alla stregua del cui comma 3 se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti, è commesso in luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o “di notte in un luogo abitato”, le pene sono aumentate.
Il maggior disvalore che la condotta assume nei casi in cui l’agente approfitti delle possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui quest’ultima viene a svolgersi costituisce la ratio del trattamento sanzionatorio tutt’affatto peculiare riservato alla “minorata difesa”, come chiaramente evincibile dalla Relazione del Guardasigilli al Re, dove si chiarisce che il concetto di “minorata difesa” “non ha che due limiti: la specie della circostanza (tempo, luogo, persona) e la potenzialità di essa ad ostacolare, diminuire la difesa pubblica o privata“, e si precisa incisivamente che “il tempo di notte, ad es., costituirà aggravante, solo se la difesa sia stata o ne potesse essere ostacolata; così il furto commesso di notte, ma in luogo ove vi sia concorso di gente, ad es., in una festa da ballo, non sarà aggravato“.
1948
Viene varata la Costituzione che prevede la natura personale della responsabilità penale, cui è connessa la funzione tendenzialmente rieducativa della pena (art.27): il condannato deve percepire la pena come tendenzialmente rieducativa per la commissione di un fatto penalmente rilevante che gli viene “rimproverato”, circostanza plasticamente rinvenibile laddove il soggetto attivo abbia profittato di una situazione di particolare debolezza della propria vittima.
1968
Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.475, Spinello, onde la commissione del reato “in tempo di notte” non costituisce, di per sé un elemento determinante ai fini dell’integrazione della pertinente circostanza aggravante, che risulta piuttosto configurabile soltanto quando con essa concorrano altre circostanze di fatto idonee a menomare, in concreto, le capacità di pubblica o privata difesa.
In tale prospettiva, per il Collegio la commissione del reato “in tempo di notte” costituisce dunque , un elemento di per sé “neutro“, suscettibile di essere valorizzato ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto solo se, ed in quanto, con esso concorrano ulteriori circostanze fattuali, anche di natura diversa.
1969
Il 16 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.34, Baldi, alla cui stregua – in tema di furto in un museo di un centro urbano – la commissione del reato “in tempo di notte” integri di per sé gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa.
Il Collegio si pronuncia in tema di violazione di domicilio, precisando che di notte “è maggiore la possibilità di eludere la vigilanza interna ed esterna, mentre più facile è la probabilità di sottrarsi ad una sorpresa o ad un riconoscimento“.
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Il 17 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.352, Colombi, onde la commissione del reato “in tempo di notte” integra la pertinente circostanza aggravante in esame soltanto se sia verificato in concreto e se ne sia conseguita una effettiva minorazione delle capacità di difesa pubblica o privata.
Il Collegio evidenzia come nel caso di specie il reato sia stato commesso agendo in ora notturna, mentre il derubato dormiva, in un piccolo paese privo, durante la notte, di vigilanza da parte degli organi di polizia.
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Il 16 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.946, Reibaldi, onde va riconosciuta l’aggravante della destrezza nel furto in condotte tipicamente improvvise e repentine, come nel comportamento chiamato per prassi borseggio, nel quale l’agente riesce con gesto rapido ed accorto a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell’asportazione in atto dalla relativa persona o dai relativi accessori.
1970
Il 13 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.23, Bianchini, onde, ai fini della configurazione della circostanza aggravante del “tempo di notte” va valorizzato il fatto che le vie erano nel caso di specie deserte, per l’ora inoltrata ed il sonno profondo dei cittadini
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Il 17 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.658,De Silvio, alla cui stregua va riconosciuta la “destrezza” in caso di approfittamento da parte del soggetto agente di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza della vittima e neutralizzarne gli effetti.
1972
Il 21 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4781, Bianco, alla cui stregua è irrilevante, per la definizione normativa della fattispecie aggravata della destrezza nel furto, la direzione della destrezza medesima.
La condotta destra può infatti investire per il Collegio tanto la persona del derubato, come nel caso del borseggio, quanto direttamente il bene sottratto se non si trovi sul soggetto passivo ma sia alla pertinente portata e questi eserciti la vigilanza sullo stesso, anche se non a stretto contatto fisico
La formulazione di tale orientamento si fonda su sollecitazioni dottrinali e sullo stesso dato storico della eliminazione dal testo dell’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., della specificazione, presente nella simmetrica disposizione contenuta nell’art. 403, primo comma, n. 4, del codice Zanardelli, che l’uso della destrezza deve rivolgersi contro la persona.
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*Il 15 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2016, Fracassi, alla cui stregua è irrilevante, per la definizione normativa della fattispecie aggravata della destrezza nel furto, la direzione della destrezza medesima.
La condotta destra può infatti investire per il Collegio tanto la persona del derubato, come nel caso del borseggio, quanto direttamente il bene sottratto se non si trovi sul soggetto passivo ma sia alla pertinente portata e questi eserciti la vigilanza sullo stesso, anche se non a stretto contatto fisico
La formulazione di tale orientamento si fonda su sollecitazioni dottrinali e sullo stesso dato storico della eliminazione dal testo dell’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., della specificazione, presente nella simmetrica disposizione contenuta nell’art. 403, primo comma, n. 4, del codice Zanardelli, che l’uso della destrezza deve rivolgersi contro la persona.
1973
Il 20 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8071, Valverde, che si occupa del problematico tema della distinzione della circostanza aggravante della destrezza da quella dell’uso del mezzo fraudolento.
Ponendosi in frizione con quanto affermato da talune autorevoli voci dottrinali, e con l’avvertenza che la soluzione prescelta risulta condizionate dalle caratteristiche del caso concreto, come ricostruito in sede di merito, si è affermata da parte del Collegio la loro piena compatibilità.
Le due fattispecie di aggravante descrivono infatti per la Corte modelli di agente prossimi, ma non coincidenti, dal momento che la prima circostanza si caratterizza per la rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa appositamente distratta; la seconda, invece, per la particolare scaltrezza nell’attività preparatoria, concertata ed attuata mediante qualche comportamento richiedente la presenza del possessore, idonea ad eluderne la vigilanza ed i mezzi approntati a difesa dei suoi beni.
1974
Il 23 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6027, Cardini, onde si configura destrezza nel furto anche quando la pertinente modalità esecutiva sia astuta, avveduta e circospetta, presenti un connotato più psicologico che fisico, sempre che sia in grado in astratto di superare il controllo e la vigilanza esercitata dalla persona offesa.
1975
*Il 17 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6728, Principessa, onde va riconosciuta l’aggravante della destrezza nel furto in condotte tipicamente improvvise e repentine, come nel comportamento chiamato per prassi borseggio, nel quale l’agente riesce con gesto rapido ed accorto a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell’asportazione in atto dalla relativa persona o dai relativi accessori.
1976
*Il 3 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6694, Stipa, onde la commissione del reato “in tempo di notte” non costituisce, di per sé un elemento determinante ai fini dell’integrazione della pertinente circostanza aggravante, che risulta piuttosto configurabile soltanto quando con essa concorrano altre circostanze di fatto idonee a menomare, in concreto, le capacità di pubblica o privata difesa.
In tale prospettiva, per il Collegio la commissione del reato “in tempo di notte” costituisce dunque , un elemento di per sé “neutro“, suscettibile di essere valorizzato ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto solo se, ed in quanto, con esso concorrano ulteriori circostanze fattuali, anche di natura diversa.
1977
Il 28 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7416, Iorio, onde – in tema di destrezza nel furto – l’indeterminatezza dell’idoneità dell’azione autorizza a ravvisare la destrezza ridetta anche nell’approfittamento in sé di una momentanea distrazione del derubato o nel relativo, temporaneo allontanamento dal bene, senza che alcuna importanza possa attribuirsi all’essere essi stati causati dall’agente, poiché rileva solo lo «stato di tempo e di luogo tale da attenuare la logica attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa»
Va dunque valorizzata, per la Corte, la capacità dell’agente di comprendere il contesto fattuale in cui interviene e le dinamiche delle azioni altrui, nonché di sfruttare, con prontezza di reazione e di decisione, le opportunità favorevoli a superare la normale vigilanza dell’uomo medio ed a realizzare l’impossessamento, perché tale condotta è compiuta grazie all’approfittamento delle vantaggiose opportunità del momento, anche se non provocate, e rivela la maggiore pericolosità del reo.
1978
L’11 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1022, Montariello, che si occupa della destrezza nel furto e, in particolare, della situazione concreta che si presenta quando l’agente non operi per creare le condizioni favorevoli alla sottrazione, ma si limiti a percepirle nella realtà fenomenologica a lui esterna ed a volgerle a proprio favore, inserendovi la propria azione appropriativa del bene altrui.
L’opinione favorevole a qualificare come destra siffatta condotta, siccome palesata dalla Corte, fa leva sulla ricostruzione dell’istituto come non richiedente nel soggetto attivo un’abilità eccezionale e straordinaria, per effetto della quale il derubato non abbia modo di accorgersi della sottrazione; essa, nell’assenza di puntuali definizioni normative, ritiene l’aggravante integrata dall’impiego di qualsiasi modalità idonea ad eludere l’attenzione del soggetto passivo sulla commissione del reato.
L’indeterminatezza dell’idoneità dell’azione autorizza a ravvisare la destrezza anche nell’approfittamento in sé di una momentanea distrazione del derubato o nel relativo, temporaneo allontanamento dal bene, senza che alcuna importanza possa attribuirsi all’essere essi stati causati dall’agente, poiché rileva solo lo stato di tempo e di luogo tale da attenuare la logica attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa.
Va dunque valorizzata, per la Corte, la capacità dell’agente di comprendere il contesto fattuale in cui interviene e le dinamiche delle azioni altrui, nonché di sfruttare, con prontezza di reazione e di decisione, le opportunità favorevoli a superare la normale vigilanza dell’uomo medio ed a realizzare l’impossessamento, perché tale condotta è compiuta grazie all’approfittamento delle vantaggiose opportunità del momento, anche se non provocate, e rivela la maggiore pericolosità del reo.
1980
Il 13 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2947, Marino, alla cui stregua – in tema di furto in un museo di un centro urbano – la commissione del reato “in tempo di notte” integri di per sé gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa.
1986
Il 4 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.335, Di Renzo, onde – in tema di destrezza nel furto – l’indeterminatezza dell’idoneità dell’azione autorizza a ravvisare la destrezza ridetta anche nell’approfittamento in sé di una momentanea distrazione del derubato o nel relativo, temporaneo allontanamento dal bene, senza che alcuna importanza possa attribuirsi all’essere essi stati causati dall’agente, poiché rileva solo lo «stato di tempo e di luogo tale da attenuare la logica attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa»
Va dunque valorizzata, per la Corte, la capacità dell’agente di comprendere il contesto fattuale in cui interviene e le dinamiche delle azioni altrui, nonché di sfruttare, con prontezza di reazione e di decisione, le opportunità favorevoli a superare la normale vigilanza dell’uomo medio ed a realizzare l’impossessamento, perché tale condotta è compiuta grazie all’approfittamento delle vantaggiose opportunità del momento, anche se non provocate, e rivela la maggiore pericolosità del reo.
1987
*Il 20 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.346, Raddato, onde la commissione del reato “in tempo di notte” non costituisce, di per sé un elemento determinante ai fini dell’integrazione della pertinente circostanza aggravante, che risulta piuttosto configurabile soltanto quando con essa concorrano altre circostanze di fatto idonee a menomare, in concreto, le capacità di pubblica o privata difesa.
In tale prospettiva, per il Collegio la commissione del reato “in tempo di notte” costituisce dunque , un elemento di per sé “neutro“, suscettibile di essere valorizzato ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto solo se, ed in quanto, con esso concorrano ulteriori circostanze fattuali, anche di natura diversa.
1990
Il 7 febbraio viene varata la legge n.19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti.
Il relativo art.3 sostituisce l’art.118 del codice penale, onde le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono.
1991
Il 3 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9088, Loschi, alla cui stregua la commissione di un furto in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica che in tali ore viene esercitata, in considerazione anche delle minori possibilità per i privati di sorveglianza, a meno che particolari circostanze non contribuiscano ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo.
Per il Collegio, in astratto, la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare la circostanza aggravante de qua (sia a causa della ridotta vigilanza pubblica che in queste ore viene esercitata nelle pubbliche vie, sia a causa delle minori possibilità per i privati di sorveglianza dell’appartamento), ma resta tuttavia ferma la necessità di verificare in concreto il ricorrere degli ordinari attributi del tempo di notte (ad es., accidentalmente il soggetto passivo poteva essere sveglio, oppure la relativa abitazione poteva trovarsi in zona particolarmente frequentata anche di notte) o di circostanze fattuali ulteriori, atte a ripristinare le ordinarie possibilità di difesa (ad es., l’esistenza di sistemi di allarme).
1994
Il 10 ottobre esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.10531 che si inserisce nel filone pretorio onde l’età integra gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa solo se ostacola o diminuisce effettivamente, per l’appunto, la difesa della vittima.
L’età avanzata dunque, se non comporta un decadimento delle abilità fisiche o mentali, non è per la Corte idonea a porsi alla base di una minorata difesa.
2001
Il 26 marzo viene varata la legge n.128, recante interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini, che introduce nel codice penale un nuovo art.624 bis al fine di inasprire il trattamento sanzionatorio di talune peculiari condotte di furto particolarmente insidiose rispetto alla vittima ed alle pertinenti capacità di difesa, quali il furto in abitazione ed il furto con strappo.
2004
L’8 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.44624, Alcamo, secondo la quale la circostanza aggravante della minorata difesa ha natura oggettiva, ed è pertanto integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa da parte del soggetto agente, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell’agente medesimo
Nella fattispecie, il Collegio scandaglia un caso di omicidio commesso in zona isolata ed in ora notturna, approfittando anche della presenza di alberi utili a nascondere gli esecutori in agguato.
2005
*Il 21 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.14995, Bordogna, secondo la quale la circostanza aggravante della minorata difesa ha natura oggettiva, ed è pertanto integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa da parte del soggetto agente, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell’agente medesimo
Nella fattispecie, il Collegio scandaglia un caso di omicidio commesso nei confronti di una donna all’ottavo mese di gravidanza, che si trovava sola nella propria abitazione.
2006
Il 10 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5266, Moscato, alla cui stregua il giudice deve espressamente motivare sul perché dalla commissione del reato in tempo di notte consegua in concreto un ostacolo alle possibilità di difesa della vittima del fatto criminoso.
2007
*L’1 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.35872, D’Alia, alla cui stregua va riconosciuta la “destrezza” in caso di approfittamento da parte del soggetto agente di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza della vittima e neutralizzarne gli effetti.
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Il 20 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.42672, Aspa, che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
2009
*Il 25 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.13074, Alafleur, alla cui stregua va riconosciuta la “destrezza” in caso di approfittamento da parte del soggetto agente di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza della vittima e neutralizzarne gli effetti.
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*Il 7 aprile esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.14992, Scalise, che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
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Il 15 luglio viene varata la legge n.94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, il cui art.1 modifica la dicitura dell’art.61, n.5, c.p., inserendo nell’approfittamento delle condizioni di tempo, di luogo o di persona (tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) un esplicito riferimento all’età della persona della cui minorata difesa si tratta.
Ancora, il successivo art.3, comma 55, lett. b), inserisce nell’art.187 del codice della strada un nuovo comma 1 quater alla cui stregua l’ammenda prevista dal comma 1 è aumentata da 1/3 alla metà quando il reato di guida in stato di ebbrezza è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.
2010
Il 4 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.8819, Maero, che precisa come non basti “il semplice riferimento al tempo di notte per ritenere sussistente l’aggravante della minorata difesa, apparendo, invece, necessario individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata“.
La Corte esclude la configurazione, nel caso di specie, della circostanza aggravante de qua, avendo la Corte di appello richiamato la commissione del reato in ore pomeridiane e serali, e non notturne, “ovvero ad un periodo della giornata nel quale non si determinano, specialmente in zone centrali della città, come nel caso di specie, condizioni che possano concretamente ostacolare la difesa“, evidenziando altresì che i fatti si sono verificati in un edificio pubblico, peraltro adibito ad uffici della Polizia Municipale, “che solitamente è sorvegliato anche in orari non di ufficio“.
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*Il 23 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.11079, Bonucci, che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
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Il 7 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.35997, Licciardello, onde a fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla legge n. 94 del 2009, rileva in misura maggiore, attribuendo al Giudice il compito di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione dei pertinenti eventi, secondo criteri di normalità.
Il Collegio – che vaglia una fattispecie in tema di truffa consumata, con le medesime modalità, in danno di numerose persone, tutte di età compresa tra i sessantaquattro e gli ottantaquattro anni – abbraccia l’orientamento dominante onde l’età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della vittima, in quanto deve essere valutato il ricorrere di situazioni che denotino la particolare vulnerabilità dell’anziano soggetto passivo, dalla quale il soggetto agente abbia tratto consapevolmente vantaggio, ovvero la scarsa lucidità o incapacità di orientarsi secondo criteri di normalità da parte della vittima, con conseguente agevolazione della condotta criminosa in relativo danno.
2011
Il 01 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3598, Salvatore, onde – ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa – “se il tempo di notte, di per sè solo, non realizza automaticamente tale aggravante, con esso possono concorrere altre condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo necessario che tale difesa si presenti impossibile ed essendo sufficiente che essa sia stata soltanto ostacolata“.
Il Collegio si conforma dichiaratamente sul punto a Sez. 1, n. 346 del 1988 cit., di cui riporta in motivazione la massima ufficiale, senza peraltro dare atto dell’esistenza di un contrario orientamento.
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Il 25 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.7433, Santamaria, che applica l’aggravante del “tempo di notte” al tentato furto commesso all’interno di azienda agrituristica ove, per l’appunto di notte, non viveva nessuno.
Per il Collegio la commissione di un furto in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica che in tali ore viene esercitata, in considerazione anche delle minori possibilità per i privati di sorveglianza, a meno che particolari circostanze non contribuiscano ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo
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*Il 2 dicembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.10144, Bobovicz, alla cui stregua va riconosciuta la “destrezza” in caso di approfittamento da parte del soggetto agente di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza della vittima e neutralizzarne gli effetti.
La pronuncia si occupa anche del problematico tema della distinzione della circostanza aggravante della destrezza da quella dell’uso del mezzo fraudolento.
Ponendosi sul punto in frizione con quanto affermato da talune autorevoli voci dottrinali, e con l’avvertenza che la soluzione prescelta risulta condizionate dalle caratteristiche del caso concreto, come ricostruito in sede di merito, si è affermata da parte del Collegio la loro piena compatibilità.
Le due fattispecie di aggravante descrivono infatti per la Corte modelli di agente prossimi, ma non coincidenti, dal momento che la prima circostanza si caratterizza per la rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa appositamente distratta; la seconda, invece, per la particolare scaltrezza nell’attività preparatoria, concertata ed attuata mediante qualche comportamento richiedente la presenza del possessore, idonea ad eluderne la vigilanza ed i mezzi approntati a difesa dei suoi beni.
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Il 18 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.19615, Garritano, che applica l’aggravante del “tempo di notte” al furto commesso di notte in luogo non illuminato.
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*ll 24 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.38347, onde a fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla legge n. 94 del 2009, rileva in misura maggiore, attribuendo al Giudice il compito di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione dei pertinenti eventi, secondo criteri di normalità.
2012
Il 12 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.23108, Antenucci, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
2013
*Il 6 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.19344, T.E.M., che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
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*Il 17 maggio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.21299, Gabrieli, che si occupa del problematico tema della distinzione della circostanza aggravante della destrezza da quella dell’uso del mezzo fraudolento.
Ponendosi sul punto in frizione con quanto affermato da talune autorevoli voci dottrinali, e con l’avvertenza che la soluzione prescelta risulta condizionate dalle caratteristiche del caso concreto, come ricostruito in sede di merito, si è affermata da parte del Collegio la loro piena compatibilità.
Le due fattispecie di aggravante descrivono infatti per la Corte modelli di agente prossimi, ma non coincidenti, dal momento che la prima circostanza si caratterizza per la rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa appositamente distratta; la seconda, invece, per la particolare scaltrezza nell’attività preparatoria, concertata ed attuata mediante qualche comportamento richiedente la presenza del possessore, idonea ad eluderne la vigilanza ed i mezzi approntati a difesa dei suoi beni.
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Il 30 settembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.40354, Sciuscio, che abbraccia una linea interpretativa tutt’affatto peculiare ed innovativa con riguardo alla circostanza aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, di cui all’art. 625, primo comma, n. 2, cod. pen.; circostanza che presenta significative assonanze con la destrezza, implicando anch’essa un grado più intenso di capacità appropriativa, rivelata dalle specifiche modalità dell’azione di aggressione dell’altrui patrimonio.
Per la Corte va condotta una disamina della pertinente norma incriminatrice sulla base del fondamentale principio di offensività, nel quale si riassume l’esigenza dell’ordinamento che il comportamento umano che infrange il precetto penale realizzi un evento naturalistico, ma anche una lesione al bene della vita tutelato dal comando violato.
Assume rilievo, per le ricadute sulla soluzione del quesito sottoposto al vaglio del Collegio, l’estensione del principio di offensività alle circostanze del reato, che ha già trovato avallo nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 249 del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, primo comma, n. 11-bis, cod. pen., e sent. n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui vieta la prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.), ossia a quegli elementi accidentali che si aggiungono al fatto di reato tipico di base e ne accrescono il disvalore, per tale ragione soggetto a punizione più severa.
La circostanza aggravante dell’utilizzo del mezzo fraudolento nel furto è allora configurabile per le SSUU allorché la condotta dell’agente sia connotata da marcata efficienza offensiva e insidiosità, tali da sorprendere la contraria volontà del detentore della cosa sottratta e vanificare le misure da lui apprestate a difesa del possesso.
Ne consegue che essa non ricorre nel fatto di chi si limiti ad occultare sulla propria persona, o in un contenitore esterno, merce esposta sui banchi di un esercizio commerciale che pratichi la vendita con il sistema del self service, trattandosi di accorgimento inidoneo a vulnerare in modo apprezzabile le difese predisposte a tutela del possesso.
Poiché la tutela penale del possesso non richiede la presenza di un titolo giuridico sulla cosa, né la pertinente fisica, diretta disponibilità, persona offesa legittimata alla proposizione della querela in caso di furto in esercizio commerciale del tipo self service – soggiunge la Corte sul crinale sostanzial-processuale – è anche il responsabile dell’esercizio, allorché abbia l’autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce.
Per il Collegio, significativamente, “l’interprete delle norme penali ha l’obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi, offensivi in misura apprezzabile“: pertanto, sia i “singoli tipi di reato” che – si aggiunge dalla Corte, per evidente identità di ratio – gli elementi circostanziali, “dovranno essere ricostruiti in conformità al principio di offensività, sicché tra i molteplici significati eventualmente compatibili con la lettera della legge si dovrà operare una scelta con l’aiuto del criterio del bene giuridico, considerando fuori del tipo di fatto incriminato i comportamenti non offensivi dell’interesse protetto“.
2014
*Il 10 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.640, Rainart, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
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Il 12 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6608, Di Guida, che ribadisce il pacifico orientamento onde – ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, – occorre che qualsiasi tipo di circostanza fattuale valorizzabile (di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all’età) agevoli la commissione del reato, rendendo la pubblica o privata difesa, ancorché non impossibile, concretamente ostacolata.
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*Il 17 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.12473, Rapposelli, che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
2015
*Il 18 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.7314, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
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*Il 2 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8998, onde a fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla legge n. 94 del 2009, rileva in misura maggiore, attribuendo al Giudice il compito di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione dei pertinenti eventi, secondo criteri di normalità.
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*Il 4 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9374, Di Battista, che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
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Il 16 marzo viene varato il decreto legislativo n.28, recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67.
L’art.1 del decreto rinomina il Titolo V del Libro I del codice penale che ora suona: “della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena”.
Prima dell’art.132 viene poi inserito un nuovo art.131 bis, rubricato significativamente “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, alla cui stregua nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art.133 comma 1 c.p., l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale (comma 1).
L’offesa non può peraltro essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del comma 1, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie, o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della persona stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona (comma 2).
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*Il 06 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.18682, Bono, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
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*Il 20 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.20954, Marcelli, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
L’indeterminatezza dell’idoneità dell’azione autorizza a ravvisare la destrezza ridetta, precisa la Corte, anche nell’approfittamento in sé di una momentanea distrazione del derubato o nel relativo, temporaneo allontanamento dal bene, senza che alcuna importanza possa attribuirsi all’essere essi stati causati dall’agente, poiché rileva solo lo «stato di tempo e di luogo tale da attenuare la logica attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa»
Va dunque valorizzata, per la Corte, la capacità dell’agente di comprendere il contesto fattuale in cui interviene e le dinamiche delle azioni altrui, nonché di sfruttare, con prontezza di reazione e di decisione, le opportunità favorevoli a superare la normale vigilanza dell’uomo medio ed a realizzare l’impossessamento, perché tale condotta è compiuta grazie all’approfittamento delle vantaggiose opportunità del momento, anche se non provocate, e rivela la maggiore pericolosità del reo.
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Il 22 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.32244, Halilovic, onde, è sufficiente valorizzare la commissione del fatto “in tempo di notte”, in considerazione delle ordinarie conseguenze che ne derivano: ridotta vigilanza nelle pubbliche vie; minore possibilità della presenza di terzi; mancanza dell’ordinaria vigilanza da parte del proprietario.
Ciò, precisa il Collegio, purché non ricorrano circostanze concrete di segno contrario idonee a rimuovere l’ostacolo alle possibilità di difesa pubblica o privata.
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Il 22 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.32244 che abbraccia l’opzione esegetica secondo cui la commissione del furto in ora notturna integra già di per sé gli estremi dell’aggravante di minorata difesa.
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*Il 26 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.46977, Cammareri, che abbraccia il prisma ermeneutico onde va esclusa la destrezza nella condotta (di furto) di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto.
Ciò per il Collegio perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi.
2016
*Il 15 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.6213, Stepich, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
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*Il 27 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.26749, Ouerghi, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
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L’11 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.28795, De Biasi, alla cui stregua solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa, sia pubblica che privata, è idoneo ad assicurare la coerenza dell’applicazione della circostanza aggravante con il relativo fondamento giustificativo, ossia con il maggior disvalore della condotta derivante dall’approfittamento delle “possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l’azione verrà a svolgersi“.
Maggior disvalore, precisa la Corte, a propria volta necessario a dar conto della concreta, maggiore offensività che giustifica, nel singolo caso, l’aggravamento sanzionatorio comminato dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, con riguardo ad una fattispecie riguardante l’approfittamento dello stato di disoccupazione in cui versavano i candidati truffati in un periodo di grave crisi economica.
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Il 30 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.53343, Mihai, che – ai fini della propria decisione in materia di minorata difesa “notturna”, si limita a prendere atto del fatto che, nel caso scandagliato, ricorrono non già ulteriori condizioni fattuali estrinseche rispetto al “tempo di notte”, come richiesto parte della giurisprudenza, bensì alcune delle connotazioni intrinseche che caratterizzano il tempo di notte ridetto.
Più precisamente, nel caso di specie il Collegio valorizza la circostanza onde l’autovettura rubata era parcheggiata, in ora notturna, in una zona periferica pressoché deserta e non sorvegliata.
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Il 15 dicembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.53343 che abbraccia l’orientamento esegetico secondo il quale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, se il tempo di notte, di per sé solo, non realizza automaticamente tale aggravante, con esso possono concorrere altre condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo necessario che tale difesa si presenti impossibile ed essendo sufficiente che essa sia stata soltanto ostacolata
2017
*Il 25 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.3807, Pagano, che abbraccia l’indirizzo – di risalente formazione – orientato a riconoscere la circostanza aggravante della destrezza nel furto in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
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Il 23 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.31454 che rammenta come nel caso di specie il Tribunale, nell’individuare l’anziana età – 84 anni – della vittima del reato quale situazione personale inquadrabile nel concetto di minorata difesa, in relazione alla pertinente minore capacità di rendersi conto di essere soggetto passivo di condotte illecite altrui e di reagire con lucidità ad esse, abbia fatto buon uso dei principi elaborati dalla Corte medesima sullo specifico tema.
Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, rammenta la Corte, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla legge n. 94 del 2009, rileva in misura maggiore, attribuendo al Giudice il compito di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione dei pertinenti eventi, secondo criteri di normalità.
Nella fattispecie concreta, riprende il Collegio, il provvedimento ha adeguatamente posto in luce che i comportamenti tenuti dal ricorrente e dal relativo complice, consistiti nel suonare il clacson e usare i lampeggianti per far fermare l’auto guidata dalla persona offesa, invitarla a scendere per constatare i danni – immaginari – che avrebbe provocato, indurla in tal modo ad attraversare la strada per allontanarla capziosamente dalla propria auto, avevano trovato causa proprio – nella considerazione da parte degli autori dei reati – dell’età del truffato.
Questi, del resto, aveva riferito alla PG – e la motivazione ne ha dato congruamente atto – che aveva dato una banconota da 50 euro ai due per evitare rogne, temendo anche per la propria salute, essendosi agitato ed essendo soggetto cardiopatico.
Da tale ricostruzione del fatto, razionale ed aderente agli atti, il Collegio ha tratto la coerente conclusione che i comportamenti degli indagati avevano cagionato alla vittima della truffa una situazione di debolezza e di ansia, nel che era consistita la minorata difesa, derivante non dalla cardiopatia – di cui essi nulla potevano ovviamente sapere – ma dalla ben visibile età avanzata del conducente dell’auto, condizione che gli stessi, all’evidenza, avevano tenuto presente nel prendere di mira proprio quel soggetto.
Neppure è positivamente apprezzabile – prosegue la Corte – la critica alla ritenuta aggravante dell’uso del mezzo fraudolento per la consumazione del furto delle sigarette sottratte dall’abitacolo.
In proposito, la motivazione ha difatti ben chiarito per la Corte che l’allontanamento della vittima dalla propria auto è stato provocato ad arte e che uno dei due autori dei reati è rimasto vicino al veicolo proprio allo scopo di poter rubare qualcosa all’interno dell’abitacolo, che era rimasto incustodito e con la portiera aperta.
In definitiva, ed alla luce della motivazione censurata, è emerso con nitore che gli indagati avevano preordinato sia la truffa del falso sinistro stradale, sia il furto di oggetti da prelevare dalla vettura fatta abbandonare dalla persona offesa col pretesto della constatazione dei danni.
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Il 12 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.34090, Quarticelli, onde – in tema di furto – la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo.
Le Sezioni Unite premettono in incipit di essere chiamate a risolvere la questione di diritto se, nel delitto di furto, la circostanza aggravante della destrezza, prevista dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., sia configurabile quando il soggetto agente si limiti ad approfittare di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa. Sul tema – rammenta la Corte – è emerso e si è acuito in tempi recenti un contrasto interpretativo nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.
La disposizione di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., considera il furto aggravato, perché commesso “con destrezza“, ma non offre indicazioni esplicite e tale carenza definitoria é all’origine del dissenso di opinioni, che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite e che si registra in riferimento alla possibilità di ravvisarla quando l’agente si limiti ad approfittare di una situazione di distrazione del possessore del bene non intenzionalmente provocata.
Il quesito interpretativo – precisa il Collegio – non assume valore soltanto sul piano dogmatico, ma riveste rilievo concreto perché la soluzione prescelta incide sul regime di procedibilità dell’azione penale, essendo l’autore del furto aggravato, e non di quello semplice, perseguibile d’ufficio e dipendendo dal riconoscimento della fattispecie aggravata, col conseguente innalzamento dei limiti sanzionatori, la possibilità di applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Un primo indirizzo di risalente formazione, principia la Corte, riconosce la circostanza aggravante in esame in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
La soluzione così riassunta s’innesta su un orientamento consolidato da numerose pronunce di tenore conforme, ribadito anche da altre successive (tra le tante, Sez. 5, n. 20954 del 18/02/2015, Marcelli, Rv. 265291; Sez. 5, n. 3807 del 16/06/2016, dep. 2017, Pagano, Rv. 268993; Sez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, Ouerghi, Rv. 267266; Sez. 5, n. 6213 del 24/11/2015, dep. 2016, Stepich, Rv. 266096; Sez. 2, n. 18682 del 15/01/2015, Bono, Rv. 263517; Sez. 5, n. 7314 del 17/12/2014, H, Rv. 262745; Sez. 5, n. 640 del 30/10/2013, dep. 2014, Rainart, Rv. 257948; Sez. 6, n. 23108 del 07/06/2012, Antenucci, Rv. 252886), per le quali, poiché la disposizione di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., non pretende necessariamente l’impiego di doti eccezionali applicate nella sottrazione e tali da impedire al derubato di averne contezza, ricorre l’aggravante della destrezza e l’abilità operativa dell’autore del furto nella condotta di chi sottrae beni da un’autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via priva di chiusura, oppure da uno studio medico, da una stanza di degenza ospedaliera, da un negozio o da un cantiere edile, estrinsecandosi tale fattispecie nell’approfittamento della condizione disattenta del soggetto passivo, distratto da altre occupazioni o comunque poco concentrato nella sorveglianza dei propri averi.
A tale linea interpretativa – riprende la Corte – si oppone altro orientamento, il quale esclude la destrezza nella condotta di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto, perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi (Sez. 4, n. 46977 del 10/11/2015, Cammareri, Rv. 265051; Sez. 2, n. 9374 del 18/02/2015, Di Battista, Rv. 263235; Sez. 5, n. 12473 del 18/02/2014, Rapposelli, Rv. 259877; Sez. 5, n. 19344 del 11/02/2013, T.E.M., Rv. 255380; Sez. 5, n. 11079 del 22/12/2009, dep. 2010, Bonucci, Rv. 246888; Sez. 4, n. 14992 del 17/02/2009, Scalise, Rv. 243207; Sez. 4, n. 42672 del 10/05/2007 Aspa, Rv. 238296).
Le Sezioni Unite dichiarano a questo punto di aderire al secondo indirizzo giurisprudenziale.
La questione interpretativa prospettata è alimentata – precisa il Collegio – dall’assenza, nel parametro normativo di riferimento (art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen.), di esplicite definizioni del concetto di “destrezza” e di pertinenti indicazioni esemplificative. Appare allora opportuno alla Corte iniziare la pertinente disamina da qualche cenno storico, che può contribuire ad agevolare la comprensione del tema.
L’art. 403, primo comma, n. 4, del codice Zanardelli, recependo indicazioni analoghe dei codici preunitari, stabiliva l’aggravamento della pena per il delitto di furto qualora il fatto fosse stato commesso «con destrezza sulla persona in luogo pubblico o aperto al pubblico».
Pur nell’assenza di una nozione espressa, era dunque testuale – precisa il Collegio – la previsione del duplice requisito dell’applicazione della destrezza nei confronti del soggetto passivo e del compimento dell’azione in luogo accessibile senza limitazioni, nel quale questi non potesse avvalersi di specifici mezzi di protezione dei propri averi, esposti all’altrui aggressione.
Il successivo art. 404 prevedeva un aggravamento di pena ancora più marcato per i casi di frode, che dettagliava in un’elencazione di situazioni riguardanti tutte specifiche modalità della condotta.
Il codice Rocco, riprende il Collegio, equiparato il trattamento punitivo con eliminazione della graduazione di crescente severità di sanzione, già stabilita dai previgenti artt. 403 e 404 del codice Zanardelli, ne ha replicato, pur con numerazione più contenuta, l’approccio empirico e la tecnica dell’elencazione casistica; ha mantenuto la individuazione della destrezza quale situazione tipica costituente aggravante, di cui ha ampliato l’ambito applicativo con la soppressione del requisito personale e spaziale; e ha sintetizzato in un’unica fattispecie le categorie della frode, consistente nell’avvalersi «di qualsiasi mezzo fraudolento» (art. 625, primo comma, n. 2).
E’ la considerazione della destrezza quale elemento normativo elastico, che, chiosa ancora il Collegio – per l’assenza nella disposizione di legge che la prevede di contenuti definitori e per i margini di ambiguità che presenta – rimette all’interprete il delicato compito di precisarne il significato e la portata applicativa. La formulazione testuale dell’art. 625 cod. pen. e la funzione di aggravamento del trattamento punitivo autorizzano l’affermazione che, se commesso con destrezza, il fatto di reato è qualificato da una o da talune modalità dell’azione che trascendono l’attività di impossessamento, necessaria per la consumazione del delitto.
A fronte della configurazione legale tipica del furto semplice, che postula già di per sé, anche secondo la comune accezione e nella dimensione etimologica del termine, un comportamento predatorio nascosto, celato, non evidente, attuato in modo da evitarne la scoperta, il furto con destrezza si caratterizza per l’esecuzione dell’azione in modo tale da superare quella configurazione, sicché la modalità destra della condotta realizza un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto di reato.
L’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, partendo dal significato di destrezza, che nel linguaggio comune individua l’accortezza, la rapidità, l’agilità e la prestanza nel compiere una determinata azione, ma anche la qualità psichica del saper superare le difficoltà e raggiungere l’obiettivo prefissatosi, e riferendo tali concetti al contesto giuridico ed al furto, ha individuato nella destrezza un elemento specializzante della fattispecie base e vi ha attribuito il significato di abilità motoria e sveltezza intese in senso fisico, oppure di avvedutezza e scaltrezza, quali doti intellettive, in entrambi i casi applicate e manifestate nel compiere l’impossessamento del bene altrui in modo tale da eludere, sviare, impedire la sorveglianza da parte del possessore e da rendere più insidiosa ed efficace la condotta.
La Suprema Corte, rammenta ormai il Collegio, sin dai propri arresti più risalenti, ha assegnato alla destrezza il significato di abilità o sveltezza personale dell’attività esplicata dall’agente prima o durante l’impossessamento, talvolta definite particolari, speciali, straordinarie, ma comunque connotate dall’idoneità ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio sul bene.
L’analisi delle situazioni concrete, oggetto di pronunciamento, fa emergere che la capacità operativa, tale da integrare la destrezza, è stata riconosciuta in condotte tipicamente improvvise e repentine, come nel comportamento chiamato per prassi borseggio, nel quale l’agente riesce con gesto rapido ed accorto a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell’asportazione in atto dalla relativa persona o dai relativi accessori (Sez. 2, n. 946 del 16/04/1969, Reibaldi, Rv. 112022; Sez. 2, n. 6728 del 17/03/1975, Principessa, Rv. 130813), ma anche quando la modalità esecutiva sia astuta, avveduta e circospetta, presenti un connotato più psicologico che fisico, sempre che sia in grado in astratto di superare il controllo e la vigilanza esercitata dalla persona offesa (Sez. 2, n. 6027 del 23/01/1974, Cardini, Rv. 127987).
Alla formulazione di tale orientamento hanno contribuito sollecitazioni dottrinali ed il dato storico della già ricordata eliminazione dal testo dell’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., della specificazione, presente nella simmetrica disposizione contenuta nell’art. 403, primo comma, n. 4, del codice Zanardelli, che l’uso della destrezza deve rivolgersi contro la persona.
Da tali premesse si è dedotta l’irrilevanza, per la definizione normativa della fattispecie aggravata in esame, della direzione della destrezza e si è ammesso che la condotta destra possa investire tanto la persona del derubato, come nel caso del borseggio, quanto direttamente il bene sottratto se non si trovi sul soggetto passivo ma sia alla pertinente portata e questi eserciti la vigilanza sullo stesso, anche se non a stretto contatto fisico (Sez. 2, n. 2016 del 15/11/1972, Fracassi, Rv. 124003; Sez. 2, n. 4781 del 21/02/1972, Bianco, Rv. 121503).
Nella riflessione esegetica sviluppatasi dai citati arresti – prosegue la Corte – la destrezza ha dunque perduto la connotazione puramente fisica per assumere una dimensione psicologica, che pone al servizio dell’attività criminosa doti di avvedutezza, accortezza, attenzione ed astuzia, capaci con ancor maggiore insidiosità di sorprendere la vigilanza sul bene.
E’ comunque stata avvertita l’esistenza di un nesso di interdipendenza tra abilità dell’agente, di qualunque natura essa sia, e sorveglianza della persona offesa sulla res, postulando l’aggravante entrambi i requisiti, che restano privi di rilevanza se isolatamente considerati: l’abilità rileva non quale particolare capacità operativa in sé del soggettivo attivo ma perché idonea ad evitare o attenuare la vigilanza della persona offesa ed in grado di minorarne ed attenuarne la difesa del patrimonio; il controllo sul bene da parte del possessore non è di per sé qualificante, perché elemento costitutivo della fattispecie, comune anche ad altre circostanze aggravanti del furto, come per l’uso del mezzo fraudolento o nell’uso della violenza, e va riferito ad un livello di normalità parametrato sull’uomo medio, quindi valutabile in astratto, sicché per poter configurare l’aggravante non è richiesto che l’agente riesca a superarla, conseguendo il risultato di non destare l’attenzione della persona offesa.
Inoltre, per configurare la circostanza aggravante in esame si è ritenuto che la norma di riferimento non esiga un’abilità eccezionale o straordinaria, né la sicura e dimostrata efficienza del gesto esecutivo, che potrebbe anche essere percepito dalla parte lesa o da terzi, né il conseguimento di un risultato appropriativo concreto, dipendente dalla manovra qualificabile come destra, in modo tale da riconoscere la circostanza quando dalle modalità agili o astute di commissione discenda il compimento del furto con successo, e da negarla quando il derubato, nonostante l’abilità operativa dell’agente, si sia accorto dell’azione criminosa nell’atto della sua perpetrazione.
L’atteggiamento soggettivo della vittima e la relativa, eventuale percezione del reato in corso di realizzazione sono dunque privi di rilievo, potendo al più far arrestare l’azione al livello esecutivo del tentativo (Sez. 2, n. 445 del 08/06/1973, dep. 1974, Buonanno, Rv. 125990).
Le puntualizzazioni concettuali richiamate – riprende la Corte – danno conto della ratio della circostanza aggravante: il fatto criminoso presenta più marcato disvalore perché l’altrui patrimonio è oggetto di aggressione compiuta con modalità più efficaci in quanto rapide, agili, oppure scaltre ed avvedute, dimostrative di incrementata pericolosità sociale ed in grado di menomare la difesa delle cose.
Il rilievo, se da un lato illumina sul contenuto di antigiuridicità dell’aggravante, dall’altro non scioglie il nodo interpretativo che pongono le situazioni in cui l’agente non determini la disattenzione della persona offesa, frutto di causa diversa ed autonoma dal relativo operato.
Va premesso – prosegue il Collegio – che nel panorama delle decisioni di legittimità ha ricevuto concorde soluzione il caso in cui la distrazione della vittima sia provocata dall’agente o da relativi complici, anche se non imputabili, come nel caso di minori in giovane età, che creino azioni di disturbo, oppure impegnino l’attenzione della persona offesa, concentrandola in un punto o in comportamento specifico per distoglierla dalla vigilanza sul proprio bene.
Si è riconosciuta la destrezza per l’approfittamento di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza e neutralizzarne gli effetti (Sez. 2, n. 658 del 17/03/1970, De Silvio, Rv. 117339; Sez. 3, n. 35872 del 08/05/2007, Alia, Rv. 237285; Sez. 4, n. 13074 del 17/03/2009, Alafleur, Rv. 243876; Sez. 5, n. 10144 del 02/12/2010, Bobovicz, Rv. 249831; Sez. 5, n. 640 del 30/10/2013, dep. 2014, Rainart, Rv. 257948).
Tali situazioni – proseguono le SSUU – presentano l’unico tema problematico della distinzione della circostanza aggravante della destrezza da quella dell’uso del mezzo fraudolento: in contrasto con quanto affermato da alcune autorevoli voci dottrinali, e con l’avvertenza che le soluzioni prescelte erano condizionate dalle caratteristiche del caso concreto, come ricostruito in sede di merito, si è affermata (Sez. 4, n. 21299 del 12/04/2013, Gabrieli, Rv. 255294; Sez. 5, n. 10144 del 02/12/2010, dep. 2011, Bobovicz, Rv. 249831; Sez. 2, n. 8071 del 20/03/1973, Valverde, Rv. 125454), la loro piena compatibilità.
Esse descrivono, infatti, modelli di agente prossimi, ma non coincidenti, dal momento che la prima circostanza si caratterizza per la rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa appositamente distratta, la seconda per la particolare scaltrezza nell’attività preparatoria, concertata ed attuata mediante qualche comportamento richiedente la presenza del possessore, idonea ad eluderne la vigilanza ed i mezzi approntati a difesa dei suoi beni.
Ben diversa – riprende il Collegio – è la situazione concreta che si presenta quando l’agente non operi per creare le condizioni favorevoli alla sottrazione, ma si limiti a percepirle nella realtà fenomenologica a lui esterna ed a volgerle a proprio favore, inserendovi la propria azione appropriativa del bene altrui.
L’opinione favorevole a qualificare come destra siffatta condotta fa leva sulla ricostruzione dell’istituto come non richiedente nel soggetto attivo un’abilità eccezionale e straordinaria, per effetto della quale il derubato non abbia modo di accorgersi della sottrazione (Sez. 2, n. 1022 del 11/10/1978, Montariello, Rv. 140954) e, nell’assenza di puntuali definizioni normative, ritiene l’aggravante integrata dall’impiego di qualsiasi modalità idonea ad eludere l’attenzione del soggetto passivo sulla commissione del reato.
L’indeterminatezza dell’idoneità dell’azione autorizza a ravvisare la destrezza anche nell’approfittamento in sé di una momentanea distrazione del derubato o nel relativo, temporaneo allontanamento dal bene, senza che alcuna importanza possa attribuirsi all’essere essi stati causati dall’agente, poiché rileva solo lo «stato di tempo e di luogo tale da attenuare la logica attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa» (Sez. 2, n. 7416 del 28/01/1977, Iorio, Rv. 136169; Sez. 2, n. 335 del 04/07/1986, dep. 1987, Di Renzo, Rv. 174825; Sez. 5, n. 20954 del 18/02/2015, Marcelli, Rv. 265291).
Si valorizza dunque, chiosa ancora la Corte, la capacità dell’agente di comprendere il contesto fattuale in cui interviene e le dinamiche delle azioni altrui, nonché di sfruttare, con prontezza di reazione e di decisione, le opportunità favorevoli a superare la normale vigilanza dell’uomo medio ed a realizzare l’impossessamento, perché tale condotta è compiuta grazie all’approfittamento delle vantaggiose opportunità del momento, anche se non provocate, e rivela la maggiore pericolosità del reo.
Siffatta impostazione – precisano ormai le SSUU – non convince per una pluralità di concorrenti ragioni; la Corte assumen che, non offrendo soluzioni immediate il criterio prioritario dell’interpretazione letterale della norma, si debba fare ricorso al canone ermeneutico logico e sistematico e quindi a quello teleologico, che integrano il senso delle espressioni linguistiche mediante la considerazione coordinata del testo della previsione normativa nell’ambito del sistema normativo in cui esso è collocato e della pertinente ratio.
La concretizzazione del concetto di destrezza può ricavarsi per la Corte in primo luogo dal raffronto sistematico con la fattispecie basilare del furto non aggravato come delineata dal legislatore all’art. 624 cod. pen.. Se effettivamente la disposizione dell’art. 625 cod. pen. non pretende perché si configuri la destrezza che l’autore del furto faccia ricorso a doti di eccezionale o straordinaria abilità, che la dottrina definisce “virtuosismo criminale“, ciò nonostante la modalità della condotta destra deve esprimersi in un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto di reato, che si aggiunga a quanto ordinariamente richiesto per porre in essere la condotta furtiva, consistente nella sottrazione della cosa e nel conseguente impossessamento, che identificano l’essenza della fattispecie di asportazione unilaterale e qualificano il pertinente disvalore.
In altri termini, per le SSUU la modalità esecutiva, per dare luogo all’aggravante, deve potersi distinguere dal fatto tipico, che realizza il furto semplice; deve rivelare un tratto specializzante ed aggiuntivo rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie basilare, costituito dall’abilità esecutiva dell’autore nell’appropriarsi della cosa altrui, che sorprenda o neutralizzi la sorveglianza sulla stessa esercitata e disveli la relativa, maggiore capacità criminale e la più efficace attitudine a ledere il bene giuridico protetto.
Considerato in base a tale criterio, il mero prelievo di un oggetto dal luogo ove si trova – sia esso un’abitazione privata, un esercizio di vendita o ambiente di lavoro, un ufficio pubblico, un veicolo in sosta privo di chiusure e protezioni – attuato in un momento di altrui disattenzione, che offre l’occasione favorevole all’apprensione per la possibilità di avvicinamento e di asportazione nella mancata e diretta percezione da parte del possessore, non in grado di interdire l’azione perché altrimenti impegnato o assente, non integra la fattispecie circostanziata in esame perché non richiede nulla di più e di diverso da quanto necessario per consumare il furto.
In tali situazioni, per conseguire il risultato appropriativo l’agente non deve fare ricorso a particolare abilità, né intesa quale agilità o rapidità motoria né quale sforzo psichico nell’applicazione di astuzia o avvedutezza nello studio dei luoghi e del derubato e nel distoglierne il controllo sulla cosa. Compresi il contesto fattuale e la distrazione della vittima grazie alle ordinarie facoltà intellettive, che consentono di avere consapevolezza degli ordinari accadimenti della vita quotidiana, la condotta si esaurisce nel gesto necessario, in quelle condizioni, a realizzare l’impossessamento senza esplicare un particolare impegno esecutivo, né agire sull’attenzione altrui.
Ne discende per il Collegio che il furto di un bene perpetrato da chi colga a proprio vantaggio l’occasione propizia offerta dall’altrui disattenzione, non artatamente e preventivamente cagionata, non presenta i caratteri della destrezza, ossia dell’elemento strutturale della fattispecie di furto circostanziato, tipizzato dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., configurabile soltanto quanto il soggetto attivo si avvalga di una particolare capacità operativa, superiore a quella da impiegare per perpetrare il furto, nel distogliere o allentare la vigilanza sui propri beni, esercitata dal detentore.
Sempre sul piano sistematico, ritengono poi le Sezioni Unite che utili argomenti per la soluzione del quesito giuridico siano rinvenibili nella disposizione contenuta nell’art. 625, primo comma, n. 6, cod. pen., che qualifica come ulteriore circostanza aggravante l’essere stato il furto «commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande».
La norma – chiosa il Collegio – prende in considerazione la particolare condizione del soggetto passivo quando si sposti dalla dimora o residenza abituale verso altra località e debba affrontare la difficoltà di portare con sé degli oggetti, a servizio delle proprie necessità, comodità o utilità personali, anche inerenti all’attività lavorativa o alle finalità del viaggio, costituenti il bagaglio che ha l’esigenza di trasportare mediante un qualsiasi mezzo di locomozione in luoghi ove si concentra una moltitudine di altre persone.
Il legislatore ha inteso assegnare uno specifico rilievo, nella considerazione dell’incrementata gravità della condotta spoliativa, al relativo compimento in situazioni di affollamento, confusione ed estraneità del luogo, che nella vittima possono provocare disorientamento ed il possibile allentamento dell’usuale livello di controllo su quanto condotto con sé come bagaglio, con la conseguente più difficoltosa e meno efficace pertinente sorveglianza, che ne agevola l’asportazione da parte di chi, trovatosi sul mezzo di trasporto o nel punto di sosta, approfitti dell’opportunità favorevole per perpetrare il furto.
Con l’assegnazione al delitto commesso in danno di viaggiatori di un autonomo rilievo quale elemento accidentale il legislatore ha inteso valorizzare i contesti concreti che nella realtà degli accadimenti quotidiani facilitano la distrazione del detentore, perché concentrato sulle implicazioni del viaggio, e l’asportazione dei relativi beni ad opera di chi, senza avere provocato la condizione di attenuata difesa del patrimonio, volga quello stato di fatto a proprio vantaggio per appropriarsi del bagaglio.
La conseguenza che deve trarsene è che, nelle valutazioni del legislatore, lo stato di disattenzione della vittima, autonomamente insorto, e l’approfittamento dello stesso quale condizione favorente l’aggressione al relativo patrimonio sono stati già considerati elementi strutturali della fattispecie tipica di furto aggravato ai sensi del n. 6 del primo comma dell’art. 625 cod. pen. e non possono dar luogo, in differente contesto fattuale, all’autonoma e diversa circostanza aggravante dell’aver agito con destrezza.
Alle medesime conclusioni – riprendono le SSUU – si perviene se si esamina l’aggravante in riferimento al bene giuridico protetto ed alla relativa offesa, che costituisce il fondamento giustificativo dell’incriminazione. Perché si realizzi la fattispecie circostanziale il fatto di reato deve presentare una modalità attuativa caratterizzata da un’incrementata capacità di ledere il bene protetto, che dia conto delle ragioni dell’aggravamento della punizione del relativo autore.
Sul punto si ritiene da parte del Collegio di dare seguito alla linea interpretativa già espressa dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974, in riferimento alla circostanza aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, di cui all’art. 625, primo comma, n. 2, cod. pen., che presenta significative assonanze con la destrezza, implicando anch’essa un grado più intenso di capacità appropriativa, rivelata dalle specifiche modalità dell’azione di aggressione dell’altrui patrimonio.
In quella autorevole sede – rammenta la Corte – si è condotta la disamina della norma incriminatrice in base al principio di offensività, nel quale si riassume l’esigenza dell’ordinamento che il comportamento umano che infrange il precetto penale realizzi un evento naturalistico, ma anche una lesione al bene della vita tutelato dal comando violato. Assume rilievo, per le ricadute sulla soluzione del quesito all’esame, l’estensione del principio di offensività alle circostanze del reato, che ha già trovato avallo nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 249 del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, primo comma, n. 11-bis, cod. pen., e sent. n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui vieta la prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.), ossia a quegli elementi accidentali che si aggiungono al fatto di reato tipico di base e ne accrescono il disvalore, per tale ragione soggetto a punizione più severa.
Riferendo i medesimi criteri al furto con destrezza, qualificato da una condotta spoliativa attuata con particolare ingegno, astuzia e scaltrezza e da una risposta punitiva gravosa, che sanziona più seriamente le condizioni di minorata difesa delle cose di fronte all’abilità dell’agente, deve concludersi che, per ravvisare l’aggravante, è necessario che l’agire non si limiti alla mera sottrazione del bene, pur facilitata dall’altrui disattenzione o dalla momentanea assenza, ma riveli connotati di capacità ed efficienza offensiva che incrementino le possibilità di portarlo a compimento ed offendano più seriamente il patrimonio.
Se il furto si realizza a fronte della distrazione del detentore, o dell’abbandono incustodito del bene, anche se per un breve lasso di tempo, che non siano preordinati e cagionati dall’autore, né accompagnati da altre modalità insidiose e abili che ne divergono l’attenzione dalla cosa, il fatto manifesta la sola ordinaria modalità furtiva, inidonea a ledere più intensamente e gravemente il bene tutelato ed è privo dell’ulteriore disvalore preteso per realizzare la circostanza aggravante e per giustificare punizione più seria.
Merita dunque condivisione, per le SSUU, l’orientamento che propugna una nozione più restrittiva di destrezza.
Assegnare valore qualificante alla sola prontezza nell’avvalersi della situazione favorevole comunque creatasi significherebbe valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale, ponendo in secondo piano la materialità del fatto come concretamente offensivo del bene giuridico, in contrasto col principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che, menzionando il fatto commesso, esclude che il reato possa essere considerato in termini di sola rimproverabilità soggettiva e con la stessa natura oggettiva della circostanza.
All’esito della disamina dell’istituto, compiuta con criterio storico- sistematico e teleologico, può dunque formularsi per la Corte il principio di diritto onde la circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; onde non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa.
I rilievi sopra svolti inducono il Collegio ad escludere che nella condotta del Q., esauritasi nel prelievo del computer portatile dal bancone del locale ove era collocato in un momento in cui la proprietaria era impegnata a servire altri clienti, siano ravvisabili gli estremi della destrezza nell’accezione sopra enunciata.
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Il 14 luglio viene varata la legge n.110, il cui art.1 inserisce nel codice penale un nuovo art.613 bis in tema di tortura.
Stando al comma 1, più in specie, chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
In questo caso, la minorata difesa costituisce dunque elemento costitutivo (alternativo) del reato di tortura.
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Il 5 ottobre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.53570, Torre, che sottolinea come il furto sia stato nel caso di specie perpetrato in orario notturno, all’interno di una officina sita in una zona periferica nella quale non vi erano esercizi commerciali aperti.
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*Il 27 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.53570 che abbraccia l’orientamento esegetico secondo il quale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, se il tempo di notte, di per sé solo, non realizza automaticamente tale aggravante, con esso possono concorrere altre condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo necessario che tale difesa si presenti impossibile ed essendo sufficiente che essa sia stata soltanto ostacolata.
2018
Il 5 aprile esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.15214, Ghezzi, alla cui stregua solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa, sia pubblica che privata, è idoneo ad assicurare la coerenza dell’applicazione della circostanza aggravante con il relativo fondamento giustificativo, ossia con il maggior disvalore della condotta derivante dall’approfittamento delle “possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l’azione verrà a svolgersi“.
Maggior disvalore, precisa la Corte, a propria volta necessario a dar conto della concreta, maggiore offensività che giustifica, nel singolo caso, l’aggravamento sanzionatorio comminato dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, con riguardo ad una fattispecie riguardante l’approfittamento del c.d. “tempo di notte”..
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Il 9 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.20480, Lo Manto, alla cui stregua – in tema di furto in un museo di un centro urbano – la commissione del reato “in tempo di notte” integri di per sé gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa.
Per il Collegio “la commissione del furto in ora notturna integra di per sè gli estremi dell’aggravante di minorata difesa, posto che la ratio dell’istituto qui in esame risiede nel fatto che non si non si richiede che la pubblica o privata difesa sia del tutto impossibile, ma che essa sia semplicemente ostacolata“.
Il Collegio precisa come per il delitto di furto in abitazione e di furto con strappo, previsti nell’art. 624 bis cod. pen, introdotto dalla legge n. 128 del 2001, si procede con citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen. ( Sez. 6, Sentenza n. 29815 del 24/04/2012 Ud. (dep. 20/07/2012) Rv. 253173 ).
Sul punto, va infatti precisato per il Collegio che anche per il nuovo reato di furto in abitazione (e di furto con strappo) introdotto dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, è ammessa la citazione diretta a giudizio, in quanto la mancata inserzione – nell’ambito della disciplina processuale di cui all’art. 550 c.p.p. – della predetta ipotesi delittuosa deriva dalla relativa introduzione successiva all’entrata in vigore del vigente codice di rito e, conseguentemente, dalla mancata previsione del necessario adeguamento normativo, cui è possibile supplire in via interpretativa, considerato che il delitto di furto aggravato, ai sensi dell’art. 625 cod. pen., contemplato dall’art. 550 cod. proc. pen., comma 2, lett. f) e il delitto di furto in abitazione risultano puniti con la medesima pena detentiva della reclusione da uno a sei anni ( cfr. anche Sez. 5, 12 aprile 2011, n. 2256, Castriota; Sez. 4, 22 maggio 2009, n. 36881, Nasufi; Sez. 5, 5 novembre 2002, n. 40489, Zagami; contra, Sez. 4, 7 febbraio 2003, Ciliberti).
Nel merito, chiosa poi il Collegio, in ordine alla più corretta esegesi dell’aggravante contestata di minora difesa, risulta preferibile aderire alla opzione esegetica secondo cui la commissione del furto in ora notturna integra di per sé gli estremi dell’aggravante di minorata difesa (così, Sez. 5, Sentenza n. 32244 del 26/01/2015 Ud. (dep. 22/07/2015 ) Rv. 265300 ).
Invero, precisa la Corte, la commissione di un furto in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica che in tali ore viene esercitata, in considerazione anche delle minori possibilità per i privati di sorveglianza, a meno che particolari circostanze non contribuiscano ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo, nel caso in esame, peraltro, del tutto insussistenti (cfr. Cass., sez. 2, 3/05/1991, n. 9088, rv. 188134; Cass., sez. 5, 11/03/2011, n. 19615, rv. 250183 ; cfr. anche Sez. 5, Sentenza n. 7433 del 13/01/2011 Ud. (dep. 25/02/2011 ) Rv. 249603 ).
Già nel diritto romano, chiosa dottamente il Collegio, l’aver agito di notte rappresentava una aggravante del furtum e, venendo a tempi più recenti, si è ritenuto che, per la sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 5, non si richiede che la pubblica o privata difesa sia del tutto impossibile, ma che essa sia semplicemente ostacolata.
Il fatto che i locali nei quali penetrò la imputata avessero un impianto di videosorveglianza non riveste significato dirimente, in quanto il predetto impianto non riuscì a facilitare l’intervento tempestivo delle persone offese, e ciò anche in ragione della circostanza fattuale che lo stesso era disattivato. Ed invero, precisa ancora il Collegio, l’aggravante in esame sussiste tutte le volte in cui l’agente abbia approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona (da intendersi, appunto, anche come assenza di persone sul focus delicti), tali da facilitare il suo compito.
Non dimentica peraltro il Collegio che esiste altro e contrario orientamento esegetico secondo il quale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, se il tempo di notte, di per sé solo, non realizza automaticamente tale aggravante, con esso possono concorrere altre condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo necessario che tale difesa si presenti impossibile ed essendo sufficiente che essa sia stata soltanto ostacolata (Sez. 4, Sentenza n. 53343 del 30/11/2016 Ud. (dep. 15/12/2016 ); Sez. 4, Sentenza n. 53570 del 05/10/2017 Ud. (dep. 27/11/2017 ) Rv. 271259 ).
Si ritiene tuttavia preferibile per la Corte la prima opzione esegetica secondo cui la commissione del furto in ora notturna integra di per sé gli estremi dell’aggravante di minorata difesa, posto che la ratio dell’istituto in esame risiede nel fatto che non si non si richiede che la pubblica o privata difesa sia del tutto impossibile, ma che essa sia semplicemente ostacolata.
Né – conclude il Collegio – si ritiene, in assenza di un contrasto consolidato sul punto, utile e necessario, allo stato, rimettere la questione al vaglio delle Sezioni Unite.
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Il 25 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.48915 onde la circostanza aggravante della destrezza sussiste nel caso in cui la condotta del soggetto agente sia consistita nel furto tentato di oggetti e valori custoditi in una borsa con inserimento celere della mano all’interno della borsa, mentre la parte offesa era distratta dall’acquisto di prodotti farmaceutici.
Ciò in quanto – precisa il Collegio – l’azione posta in essere dall’agente per impossessarsi della cosa, per le relative caratteristiche e con riferimento a tutte le modalità di tempo, di esecuzione e di luogo, si presenta idonea a eludere la vigilanza dell’uomo medio.
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Il 7 novembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.50500, Vlaicu, che valorizza la circostanza onde la commissione del furto in tempo di notte ha effettivamente inciso, nel caso di specie, sulle possibilità di difesa della vittima, il furto medesimo avendo avuto luogo in zona prevalentemente commerciale, nella quale in orario notturno vi era assenza di automobilisti e di passanti.
2019
Il 7 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.10060, Slama, Badr, che attribuisce rilievo al fatto che il soggetto cui è stato rubato il portafogli dormiva – di notte – nella sala d’aspetto della locale stazione ferroviaria.
Il Collegio assume poi che la predisposizione in loco di un sistema di videosorveglianza non fa venir meno, di per sé, la situazione di minorata difesa, limitandosi unicamente a consentire ex post una più rapida identificazione del ladro.
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Il 22 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.12796, De Paola, che si pone in consapevole contrasto con l’orientamento in precedenza dominante asumendo – con riferimento ai soli reati che presuppongono l’interazione tra l’autore del fatto e la vittima (nella specie, furto con strappo) – che, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, l’agevolazione all’agire illecito derivante dall’età avanzata della persona offesa è in re ipsa, senza che gravi in capo al giudice di merito uno specifico e ulteriore onere motivazionale rispetto al riscontro obiettivo dell’età della persona offesa.
Non può essere messo in dubbio per il Collegio – in ossequio ad una massima di esperienza di indiscutibile affidabilità – che una persona offesa di età avanzata sia maggiormente vulnerabile di una giovane, perché dotata di una capacità di attenzione e di reazione decisamente più ridotta (il che, di conseguenza, costituisce un’obiettiva agevolazione per l’autore del reato), e che tale vulnerabilità venga in rilievo precipuamente nei casi in cui il reato presupponga un’interazione tra soggetto agente e vittima, nella quale potrebbe, in teoria, insinuarsi la reazione della persona offesa e non già in altre situazioni in cui tale interazione non vi sia perché il reato prescinde dai contatti autore-vittima.
Non può, quindi, negarsi – conclude la Corte – che i reati che producono un impatto sulla sfera fisica o psichica del soggetto passivo da parte dell’autore, e la cui buona riuscita dipenda dalla maggiore o minore capacità di reazione all’offesa da parte della vittima “rechino in re ipsa la dimostrazione quantomeno dell’agevolazione derivata dall’età avanzata della vittima, senza che sul giudice debba gravare un onere motivazionale specifico ed ulteriore (rispetto al rilievo del dato obiettivo dell’età) che appare superfluo, alla luce della massima di esperienza sopra ricordata“.
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Il 26 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.8433 che premette, sul crinale processuale, come secondo la consolidata giurisprudenza della Corte in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, Brughitta, Rv. 26415301; Sez. 6, n. 45688 del 20/11/2008, Bastea, Rv. 24166601; sez. 4, n. 10692 del 11/3/2010, Hernandez, Rv. 246394; sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865).
Il controllo del giudice sulla corretta qualificazione giuridica del fatto – prosegue il Collegio – è rivolto soprattutto ad evitare che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati. Tuttavia, tenuto conto della natura del patteggiamento e dello scopo del controllo dianzi evidenziato, l’impugnabilità per l’erronea qualificazione del fatto deve essere limitata ai casi in cui quella prospettata dalle parti sia palesemente erronea ovvero ai casi in cui la contestazione originaria sia anch’essa manifestamente erronea.
In definitiva la ricorribilità della sentenza di patteggiamento per l’erronea qualificazione del fatto deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste realmente l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati e deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità.
In tema di furto, rammenta a questo punto il Collegio, le Sezioni Unite hanno affermato che la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Sez. U, n. 34090 del 27/04/2017, Quarticelli, Rv. 27008801).
Nel caso di specie la aggravante della destrezza è stata contestata all’imputato per aver commesso il furto del portafogli custodito nella borsa lasciata aperta dalla persona offesa «sedendosi accanto» e «approfittando di un attimo di distrazione di quest’ultima, impegnata ad allacciarsi le scarpe, con un gesto fulmineo». L’avere l’imputato approfittato della disattenzione della vittima, da lui non provocata, è allora per il Collegio circostanza inidonea ad integrare la destrezza prevista dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., sulla base del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.
A diverse conclusioni deve invece pervenirsi in relazione all’avere l’imputato operato la sottrazione del bene «con un gesto fulmineo» poiché trattasi di azione connotata da particolare abilità ed idonea ad eludere la sorveglianza del detentore sulla cosa mobile.
Il Collegio rammenta a questo punto di avere recentemente affermato che la circostanza aggravante della destrezza sussiste nel caso in cui la condotta sia consistita nel furto tentato di oggetti e valori custoditi in una borsa con inserimento celere della mano all’interno della borsa, mentre la parte offesa era distratta dall’acquisto di prodotti farmaceutici, in quanto anche in questo caso l’azione posta in essere dall’agente per impossessarsi della cosa, per le relative caratteristiche e con riferimento a tutte le modalità di tempo, di esecuzione e di luogo, si presenta idonea a eludere la vigilanza dell’uomo medio (Sez. 5, n.48915 del 01/10/2018, S, Rv. 27401801; vedi anche Sez. 2, n. 12851 del 07/12/2017 – dep. 2018, Miele e altro, Rv. 272688).
Nel caso di specie il giudice, pur affermando che l’avere imputato approfittato di un momento di disattenzione della persona offesa integra la destrezza prevista dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., ha comunque dato atto nella motivazione della sentenza che dagli atti emerge che l’odierno imputato ha sottratto con un gesto fulmineo il portafogli dalla borsa della persona offesa e quindi ha sostanzialmente confermato la sussistenza e la configurabilità dell’aggravante della destrezza, cosicché la sentenza non risulta viziata da difetto di motivazione sul punto.
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Il 26 aprile viene varata la legge n.36 in tema di legittima difesa che, all’art.2, comma 1, introduce nell’art.55 del codice penale (c.d. eccesso colposo) un comma 2 alla cui stregua – nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di minorata difesa di cui all’articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.
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Il 16 luglio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione, Tanzi, che premette come non valga ad integrare automaticamente la circostanza aggravante della minorata difesa (che si fonda su una valutazione in concreto delle condizioni che hanno consentito di facilitare l’azione criminosa) la sola situazione astratta del tempo di notte.
Per il Collegio, nel caso di specie, è tuttavia sufficiente ad integrare la ridetta circostanza il fatto che il furto sia stato commesso agendo quando era già buio, sul retro di una villa ed in assenza di controlli, ovvero in presenza delle connotazioni intrinseche ordinarie del tempo di notte, il cui ricorrere in concreto è stato verificato.
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Il 22 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.32813, Alvaro, che – al fine dell’esclusione della circostanza aggravante del “tempo di notte”, attribuisce rilievo all’esistenza di un sistema di videosorveglianza, previa verifica concreta della pertinente efficacia.
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Il 25 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.39349, Marini, secondo la quale avendo l’imputato ed i relativi complici nel caso di specie agito in piena notte, essi hanno in tal modo vulnerato le possibilità ordinarie di difesa della vittima della condotta omicidiaria, stante l’assenza di soggetti in grado di intervenire in pertinente soccorso, di percepire le sue grida di aiuto e la presenza di malintenzionati all’interno della relativa abitazione.
Il Collegio ribadisce peraltro come la circostanza aggravante della minorata difesa abbia natura oggettiva, e sia pertanto integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa da parte del soggetto agente, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell’agente medesimo.
Ancora, la Corte chiarisce come la circostanza aggravante dell’aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa è compatibile con i soli reati dolosi (per la non configurabilità di una condotta colposa di “profittamento“), e quindi anche con il mero dolo eventuale, in quanto è sufficiente che il soggetto attivo percepisca in modo cosciente il vantaggio derivante dalla situazione che pregiudica la difesa della vittima e se ne giovi all’atto di realizzare la condotta.
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*Il 26 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.39560, Souhu Mahdi, secondo la quale la circostanza aggravante della minorata difesa ha natura oggettiva, ed è pertanto integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa da parte del soggetto agente, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell’agente medesimo.
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Il 20 novembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.47079 alla cui stregua sussistono le condizioni di minorata difesa, che integrano la materialità del delitto di tortura, ogni qualvolta la resistenza della vittima alla condotta dell’agente sia ostacolata da particolari fattori ambientali, temporali o personali
Tra questi ultimi, vanno per il Collegio valorizzati quelli che facilitino l’azione criminale e rendano effettiva la signoria o il controllo dell’agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento se non l’annullamento delle capacità di reazione di quest’ultima.
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L’11 dicembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.50208 onde la vulnerabilità della vittima – in ottica di minorata difesa – va valutata in relazione al momento in cui l’aggressione viene perpetrata, e non già con riferimento alla possibilità di una reazione successiva, come quella che potrebbe consistere nella denuncia dei fatti.
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Il 23 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.51871, Rossi, che scandaglia una fattispecie in cui il reato è stato posto in essere “in orario quasi notturno” ed in “mancanza di illuminazione“.
2020
Il 21 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.7026, Nisco, onde – premesso che, a fronte di una situazione astratta ex se rilevante come la commissione del reato in orario notturno, possono risultare accertate in concreto circostanze peculiari in grado di accentuare le possibilità di difesa delle vittime – va affermato che ciò “altro non vuol dire se non che occorre procedere ad una valutazione in concreto della fattispecie sub iudice”.
Per il Collegio, conseguentemente, la circostanza aggravante della minorata difesa notturna è stata correttamente configurata nel caso di specie in cui la condotta furtiva aveva avuto luogo, nell’intero pertinente svolgersi, “quando era ancora buio (dalle 3 alle 7 (di un giorno) del mese di gennaio e quando nessuno era presente nel luogo preso di mira)”.
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Il 6 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.13806, Napolitano, che – al fine dell’esclusione della circostanza aggravante del “tempo di notte”, attribuisce rilievo all’esistenza di un sistema di videosorveglianza, previa verifica concreta della pertinente efficacia.
Il Collegio, premessa la necessità della verifica in concreto dell’incidenza della commissione del reato in tempo di notte sulle possibilità di difesa pubblica e privata, annulla nel caso di specie la sentenza impugnata per non aver valutato la possibile incidenza, per l’appunto, della presenza di un impianto di videosorveglianza sull’effettività dell’ostacolo alla difesa derivante dal fatto che la condotta furtiva era stata posta in essere in tempo di notte, pur essendosi dato atto che grazie ad esso il furto non era stato consumato.
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Il 21 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.15674, Foti, onde – in tema di minorata difesa “notturna” – va ammesso che, in seno ad entrambi gli orientamenti presenti in giurisprudenza, la gran parte delle decisioni finisce col richiedere la valutazione della concreta incidenza del tempo di notte sulla condotta delittuosa.
Nel caso esaminato, per il Collegio è sufficiente aver precisato che il fatto aveva avuto luogo di notte, stante “la presenza di un numero assai limitato di persone“, ovvero previa verifica del ricorrere in concreto di una delle peculiari connotazioni ordinarie del tempo di notte.
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Il 5 giugno esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.17121, Anghel, onde, ai fini della configurazione della circostanza aggravante del “tempo di notte” va valorizzato il fatto che il parcheggio dell’area di servizio dove sostava il TIR ai danni del cui conducente, che dormiva, era stata commessa la rapina era poco illuminato e non frequentato data l’ora notturna.
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*Il 17 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.18485, Cannata, che ribadisce il pacifico orientamento onde – ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, – occorre che qualsiasi tipo di circostanza fattuale valorizzabile (di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all’età) agevoli la commissione del reato, rendendo la pubblica o privata difesa, ancorché non impossibile, concretamente ostacolata
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Il 3 dicembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.34357, Amato, onde, ai fini della configurazione della circostanza aggravante del “tempo di notte” va valorizzato il fatto che il furto è stato perpetrato in orario notturno, nei pressi di una fermata d’autobus, in una zona a ridotto passaggio di persone.
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Il 29 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.37685, Chiaramida, alla cui stregua l’età avanzata che – sulla base di massime di esperienza – risulta associata ad una minore reattività fisica e cognitiva e rileva dunque nei reati che richiedono una interazione diretta con la vittima, va assunto quale indice “relativo” di vulnerabilità, da sottoporsi ad un vaglio giudiziale che ne confermi o svaluti la rilevanza.
Il processo di invecchiamento – chiarisce la Corte – non è infatti omogeneo: mentre alcune persone possono avere un rapido (e persino anomalo) decadimento cognitivo, altre possono mantenere lucidità e capacità reattiva a lungo, nonostante l’incedere dell’età; meno discontinuità si rinvengono invece nella perdita di reattività “fisica“, inevitabile con l’incedere dell’età.
Ricondotta l’età avanzata ad indice non assoluto, ma relativo di vulnerabilità sarà compito del giudice di merito valutare se nella interazione con l’autore del reato l’età della vittima abbia svolto un ruolo agevolatore a causa del decadimento fisico o cognitivo dell’offeso.
2021
Il 01 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.8004, onde – ai fini dell’integrazione della c.d. minorata difesa ex art.61, n.5 c.p. – occorre sempre verificare, sulla base di un giudizio di prognosi postuma, operato ex ante ed in concreto, il contesto e le peculiari condizioni che abbiano effettivamente agevolato la consumazione del reato, incidendo in concreto sulle possibilità di difesa della vittima.
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Il 10 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.9569, Zeneli, che – in tema di minorata difesa “notturna” – valorizza, ai fini della propria decisione, il concorrere di circostanze estrinseche ulteriori, ovvero l’essere stati i furti compiuti non soltanto di notte, ma in luoghi isolati o comunque lontani dal centro cittadino.
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Il 30 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.12051, Grim, onde, ai fini della configurazione della circostanza aggravante del “tempo di notte” va valorizzato il fatto che il crimine sia stato compiuto in una villa isolata, disabitata di notte perché adibita ad uffici e poco illuminata, con l’impianto di videosorveglianza ed i sistemi di allarme (dei quali l’imputato ha invocato l’esistenza) che non hanno in concreto rimosso l’ostacolo alla difesa derivante dall’essere stato il fatto commesso, per l’appunto, in tempo di notte.
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Il 21 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.20327, Abbate, che annulla la sentenza nel caso di specie impugnata perché, pur avendo la Corte di appello motivato la configurazione della circostanza aggravante del tempo di notte valorizzando il fatto che l’azione criminosa furtiva in danno di uno sportello Bancomat del Banco di Sicilia era stata in concreto facilitata dal fatto di essere stata perpetrata, per l’appunto, in tempo di notte ed in difetto di vigilanza del proprietario, non sono state tuttavia individuate ulteriori circostanze fattuali atte ad ingenerare in concreto la necessaria situazione di minorata difesa.
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L’8 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.40275, esplicitamente in tema di fatti commessi di notte e aggravante della minorata difesa, stando alla quale ai fini – per l’appunto – dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa“, prevista dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente ha profittato in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità – oggetto di profittamento – in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato.
Più nel dettaglio, la commissione del reato “in tempo di notte” può configurare per la Corte la circostanza aggravante in esame sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.
La questione rimessa alle Sezioni unite – rammenta principiando la Corte – è stata così formulata:
“se la commissione del fatto in tempo di notte configuri, di per sè solamente, la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61, c.p. comma 1, n. 5“.
Il primo dei pertinenti orientamenti in contrasto ritiene che la commissione del reato “in tempo di notte” integri di per sè gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa.
Il principio è stato affermato in termini così netti da poche e risalenti decisioni (Sez. 2, n. 2947 del 13/10/1980, dep. 1981, Marino, Rv. 148284, in tema di furto in un museo di un centro urbano; Sez. 5, n. 34 del 16/01/1969, Baldi, Rv. 110728, in tema di violazione di domicilio, precisando che “è maggiore la possibilità di eludere la vigilanza interna ed esterna, mentre più facile è la probabilità di sottrarsi ad una sorpresa o ad un riconoscimento“), ed è stato in tempi più recenti ribadito nei medesimi termini unicamente da Sez. 5, n. 20480 del 26/02/2018, Lo Manto, Rv. 272602 (per la quale “la commissione del furto in ora notturna integra di per sè gli estremi dell’aggravante di minorata difesa, posto che la ratio dell’istituto qui in esame risiede nel fatto che non si non si richiede che la pubblica o privata difesa sia del tutto impossibile, ma che essa sia semplicemente ostacolata“) e da Sez. 2, n. 2916 del 10/12/2019, dep. 2020, Ferrise, non mass.
Nell’ambito del predetto orientamento, prosegue il Collegio, numerose decisioni precisano che la commissione del reato “in tempo di notte” integra la circostanza aggravante in esame soltanto se sia verificato in concreto e se ne sia conseguita una effettiva minorazione delle capacità di difesa pubblica o privata (così, tra le prime, Sez. 2, n. 352 del 17/02/1969, Colombi, Rv. 112006, che evidenzia che il reato era stato commesso agendo in ora notturna, mentre il derubato dormiva, in un piccolo paese privo, durante la notte, di vigilanza da parte degli organi di polizia).
Questo orientamento – proseguono le SSUU – è stato successivamente ribadito da Sez. 2, n. 9088 del 03/05/1991, Loschi, Rv. 188134, per la quale, in astratto, la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare la circostanza aggravante de qua (sia a causa della ridotta vigilanza pubblica che in queste ore viene esercitata nelle pubbliche vie, sia a causa delle minori possibilità per i privati di sorveglianza dell’appartamento), ma resta ferma la necessità di verificare in concreto il ricorrere degli ordinari attributi del tempo di notte (ad es., accidentalmente il soggetto passivo poteva essere sveglio, oppure la relativa abitazione poteva trovarsi in zona particolarmente frequentata anche di notte) o di circostanze fattuali ulteriori, atte a ripristinare le ordinarie possibilità di difesa (ad es., l’esistenza di sistemi di allarme).
Nel medesimo senso si sono successivamente pronunciate, tra le altre, Sez. 2, n. 5266 del 13/12/2005, dep. 2006, Moscato, Rv. 233573 (con la precisazione che il giudice deve espressamente motivare sul perchè dalla commissione del reato in tempo di notte consegua in concreto un ostacolo alle possibilità di difesa della vittima del fatto criminoso); Sez. 5, n. 7433 del 13/01/2011, Santamaria, Rv. 249603 (fattispecie di tentato furto commesso all’interno di azienda agrituristica ove, di notte, non viveva alcuno); Sez. 5, n. 19615 dell’11/03/2011, Garritano, Rv. 250183 (reato commesso di notte in luogo non illuminato); Sez. 5, n. 32244 del 26/01/2015, Halilovic, Rv. 265300 (per la quale è sufficiente valorizzare la commissione del fatto in tempo di notte, in considerazione delle sue ordinarie conseguenze: ridotta vigilanza nelle pubbliche vie; minore possibilità della presenza di terzi; mancanza dell’ordinaria vigilanza da parte del proprietario, purchè non ricorrano circostanze concrete di segno contrario idonee a rimuovere l’ostacolo alle possibilità di difesa pubblica o privata).
Il secondo degli orientamenti in contrasto – chiosa ancora il Collegio – ritiene che la commissione del reato “in tempo di notte” non costituisca, di per sé un elemento determinante ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto, che risulta configurabile soltanto quando con essa concorrano altre circostanze di fatto idonee a menomare, in concreto, le capacità di pubblica o privata difesa.
In tale prospettiva, la commissione del reato “in tempo di notte” costituirebbe, quindi, elemento di per sé “neutro“, suscettibile di essere valorizzato ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto solo se, ed in quanto, con esso concorrano ulteriori circostanze fattuali, anche di natura diversa (Sez. 1, n. 346 del 20/05/1987, dep. 1988, Raddato, Rv. 177396; Sez. 2, n. 6694 del 03/02/1976, Stipa, Rv. 136921; Sez. 1, n. 475 del 22/03/1968, Spinello, Rv. 108726; conformi, tra le altre).
In epoca più recente, riprende la Corte, l’orientamento è stato affermato da Sez. 2, n. 3598 del 18/01/2011, Salvatore, Rv. 249270, per la quale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, “se il tempo di notte, di per sè solo, non realizza automaticamente tale aggravante, con esso possono concorrere altre condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo necessario che tale difesa si presenti impossibile ed essendo sufficiente che essa sia stata soltanto ostacolata” (la decisione si conforma dichiaratamente a Sez. 1, n. 346 del 1988 cit., di cui riporta in motivazione la massima ufficiale, senza dare atto dell’esistenza di un contrario orientamento).
E’ stato poi ribadito, tra le altre, da Sez. 5, n. 9569 del 01/02/2021, Zeneli, non mass. (che ha valorizzato, ai fini della decisione, il concorrere di circostanze estrinseche ulteriori, ovvero l’essere stati i furti compiuti non soltanto di notte, ma in luoghi isolati o comunque lontani dal centro cittadino) e da Sez. 2, n. 20327 del 19/05/2021, Abbate, non mass. (che ha annullato la sentenza impugnata perchè, pur avendo la Corte di appello motivato la configurazione della circostanza aggravante de qua valorizzando il fatto che l’azione criminosa furtiva in danno di uno sportello Bancomat del Banco di Sicilia era stata in concreto facilitata dal fatto di essere stata perpetrata in tempo di notte, in difetto di vigilanza del proprietario, non erano state tuttavia individuate ulteriori circostanze fattuali atte ad ingenerare in concreto la necessaria situazione di minorata difesa).
L’orientamento – riprendono le SSUU – risulta in linea di principio condiviso anche da numerose sentenze le quali, peraltro, ai fini della decisione, si sono limitate a prendere atto del fatto che, nei casi esaminati, ricorrevano non ulteriori condizioni fattuali estrinseche rispetto al tempo di notte, come sarebbe stato richiesto dal principio di diritto enunciato, bensì alcune delle connotazioni intrinseche che caratterizzano il tempo di notte (Sez. 4, n. 53343 del 30/11/2016, Mihai, Rv. 268697 ha valorizzato la circostanza che l’autovettura rubata era parcheggiata, in ora notturna, in una zona periferica pressoché deserta e non sorvegliata; Sez. 4, n. 53570 del 05/10/2017, Torre, Rv. 271259, ha sottolineato che il furto era stato perpetrato in orario notturno all’interno di una officina sita in una zona periferica nella quale non vi erano esercizi commerciali aperti; Sez. 4, n. 10060 del 14/02/2019, Slama Badr, Rv. 275272, ha attributo rilievo al fatto che il soggetto cui era stato rubato il portafogli dormiva di notte nella sala d’aspetto della locale stazione ferroviaria; Sez. 1, n. 39349 del 11/07/2019, Marini, Rv. 276876, ha argomentato che, avendo l’imputato ed i relativi complici agito in piena notte, avevano così vulnerato le possibilità ordinarie di difesa della vittima della condotta omicidiaria, per l’assenza di soggetti in grado di intervenire in pertinente soccorso, di percepire le sue grida di aiuto e la presenza di malintenzionati all’interno della relativa abitazione; Sez. 1, n. 51871 del 18/10/2019, Rossi, non mass., ha osservato che il fatto era stato posto in essere “in orario quasi notturno” ed in “mancanza di illuminazione”).
Se si prescinde dalle astratte affermazioni di principio, nettamente contrastanti, e si ha riguardo alle applicazioni pratiche, in seno ad entrambi gli orientamenti in contrasto risultano pertanto enucleabili – registrano le SSUU – orientamenti intermedi, senz’altro dominanti, che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto, ritengono la sufficienza della commissione del reato in tempo di notte, se sia stato verificato in concreto che essa abbia generato una situazione di minorata difesa.
Di ciò si mostrano espressamente consapevoli alcune decisioni.
Ad esempio, riprende il Collegio, Sez. 5, n. 7026 del 13/01/2020, Nisco, Rv. 278855, premesso che, a fronte di una situazione astratta ex se rilevante, come la commissione del reato in orario notturno, possono risultare accertate in concreto circostanze peculiari in grado di accentuare le possibilità di difesa delle vittime, ha osservato che ciò “altro non vuol dire se non che occorre procedere ad una valutazione in concreto della fattispecie sub iudice”, ed ha conseguentemente ritenuto che la circostanza aggravante in oggetto fosse stata correttamente configurata in un caso nel quale la condotta furtiva aveva avuto luogo, nell’intero pertinente svolgersi, “quando era ancora buio (dalle 3 alle 7 (di un giorno) del mese di gennaio e quando nessuno era presente nel luogo preso di mira)”.
In maniera ancor più esplicita, Sez. 5, n. 15674 del 04/05/2020, Foti, non mass., pur dichiarando adesione al secondo orientamento, ha ammesso che, in seno ad entrambi gli orientamenti, la gran parte delle decisioni finisce col richiedere la valutazione della concreta incidenza del tempo di notte sulla condotta delittuosa e, con riferimento al caso esaminato, ha reputato sufficiente aver precisato che il fatto aveva avuto luogo di notte, stante “la presenza di un numero assai limitato di persone“, ovvero previa verifica del ricorrere in concreto di una delle peculiari connotazioni ordinarie del tempo di notte.
Tali ultimi rilievi vanno per il Collegio certamente condivisi.
Invero, riprende la Corte, la sufficienza, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante de qua, della commissione del reato in “tempo di notte” di per sé valorizzato, in difetto della verifica concreta della pertinente incidenza, viene ormai sostenuta soltanto episodicamente dalla Corte (da ultimo, Sez. 2, n. 2916 del 10/12/2019, dep. 2020, Ferrise, non mass.), oltre che, più frequentemente, da parte della giurisprudenza di merito (come desumibile dai ricordati plurimi annullamenti intervenuti sul punto in sede di legittimità); altrettanto episodicamente si esige, ai fini de quibus, il concorrere di circostanze fattuali ulteriori e diverse rispetto alla commissione del reato “in tempo di notte” (da ultimo, Sez. 2, n. 20327 del 2021, Abbate, non mass.).
Va inoltre segnalata l’esistenza di un ulteriore contrasto, avente ad oggetto la valenza, ai fini dell’esclusione dell’ostacolo alla difesa pubblica o privata contro reati commessi in tempo di notte, della predisposizione nel locus commissi delicti di un sistema di videosorveglianza.
Un orientamento, al fine dell’esclusione della circostanza aggravante de qua, attribuisce rilievo all’esistenza di un sistema di videosorveglianza, previa verifica concreta della pertinente efficacia (Sez. 5, n. 32813 del 06/02/2019, Alvaro, Rv. 277086; Sez. 5, n. 13806 del 18/02/2020, Napolitano, non mass.: quest’ultima, premessa la necessità della verifica in concreto dell’incidenza della commissione del reato in tempo di notte sulle possibilità di difesa pubblica e privata, ha annullato la sentenza impugnata per non aver valutato la possibile incidenza della presenza di un impianto di videosorveglianza sull’effettività dell’ostacolo alla difesa derivante dal fatto che la condotta furtiva era stata posta in essere in tempo di notte, pur essendosi dato atto che grazie ad esso il furto non era stato consumato).
Altro orientamento ritiene che la predisposizione in loco di un sistema di videosorveglianza non faccia venir meno, di per sé, la situazione di minorata difesa, limitandosi unicamente a consentire ex post una più rapida identificazione del ladro (Sez. 4, n. 10060 del 14/02/2019, Slama Badr, Rv. 275272).
Le dottrine più autorevoli – prosegue il Collegio – non risultano aver dedicato grande attenzione alla questione controversa: i pochi Autori che se ne sono occupati aderiscono, con sintetiche argomentazioni, al secondo orientamento (in linea di massima recependo il dictum di decisioni giurisprudenziali condivise), valorizzando, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto, “l’ora notturna solo se accompagnata da altre circostanze” o “condizioni che rivelino una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata“, ovvero precisando che “il solo tempo di notte non integra di per sé l’aggravante“, poiché occorre l’accertamento in concreto della diminuita capacità di difesa, non bastando l’idoneità astratta delle circostanze.
Appare opportuno a questo punto alla Corte evidenziare che risulta recentemente emerso, in senso alla propria giurisprudenza, un contrasto, concettualmente analogo a quello devoluto alle SSUU nel caso di specie, riguardante la possibilità che la commissione del fatto in danno di persone di età avanzata configuri, di per sé solamente, la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5.
La L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 7, (recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica“), recependo l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in precedenza, ha introdotto nel testo dell’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, il riferimento all’età della vittima (inserendovi le parole “anche in riferimento all’età“); la modifica ha posto il problema di stabilire se il nuovo riferimento espresso all’età della vittima del reato comporti la necessaria ed automatica configurazione della circostanza aggravante valorizzando il solo dato oggettivo dell’età avanzata della persona offesa, ovvero se il legislatore abbia voluto introdurre una presunzione meramente relativa di minorata difesa legata all’età della vittima.
Secondo l’orientamento per lungo tempo dominante, l’età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della vittima, in quanto deve essere valutato il ricorrere di situazioni che denotino la particolare vulnerabilità dell’anziano soggetto passivo dalla quale il soggetto agente abbia tratto consapevolmente vantaggio, ovvero la scarsa lucidità o incapacità di orientarsi secondo criteri di normalità da parte della vittima, con conseguente agevolazione della condotta criminosa in relativo danno (Sez. 2, n. 35997 del 23/09/2010, Licciardello, Rv. 248163: fattispecie in tema di truffa consumata, con le medesime modalità, in danno di numerose persone, tutte di età compresa tra i sessantaquattro e gli ottantaquattro anni).
Nel medesimo senso – riprende il Collegio – si sono successivamente pronunciate, tra le altre, Sez. 5, n. 38347 del 13/07/2011, Cavò, Rv. 250948 (fattispecie in tema di furto di danaro in danno di un anziano); Sez. 2, n. 8998 del 18/11/2014, dep. 2015, Genovese, Rv. 262564 (che ha valorizzato, in motivazione, il fatto che la sentenza impugnata avesse puntualmente evidenziato le ridotte capacità fisiche della settantaquattrenne vittima di una rapina, nonché la circostanza che quando ella aveva accennato a reagire alle minacce dell’imputato e del complice, era stata afferrata per le spalle e buttata per terra); Sez. 2, n. 47186 del 22/10/2019, Bona, Rv. 277780 (fattispecie di truffa perpetrata in danno di una donna di 73 anni, in riferimento alla quale è stata esclusa la configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa in ragione della vigile attenzione reattiva ai raggiri prestata dalla persona offesa e della prontezza mostrata nel raccogliere elementi utili all’identificazione dell’agente).
Da ultimo, Sez. 2, n. 37865 del 23/09/2020, Chiaramida, non mass., ha osservato che “l’età avanzata che – sulla base di massime di esperienza – risulta associata ad una minore reattività fisica e cognitiva e rileva dunque nei reati che richiedono una interazione diretta con la vittima, è un indice “relativo” di vulnerabilità che deve essere sottoposto ad un vaglio giudiziale che ne confermi o svaluti la rilevanza. Il processo di invecchiamento non è infatti omogeneo e, mentre alcune persone possono avere un rapido (e persino anomalo) decadimento cognitivo, altre possono mantenere lucidità e capacità reattiva a lungo, nonostante l’incedere dell’età; meno discontinuità si rinvengono nella perdita di reattività “fisica”, inevitabile con l’incedere dell’età. Ricondotta l’età avanzata ad indice non assoluto, ma relativo di vulnerabilità sarà compito del giudice di merito valutare se nella interazione con l’autore del reato l’età della vittima abbia svolto un ruolo agevolatore a causa del decadimento fisico o cognitivo dell’offeso“.
Un contrario orientamento (inaugurato da Sez. 5, n. 12796 del 21/02/2019, De Paola, Rv. 275305, che si è posta in consapevole contrasto con l’orientamento in precedente dominante), ritiene, con riferimento ai soli reati che presuppongono l’interazione tra l’autore del fatto e la vittima (nella specie, furto con strappo), che, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, l’agevolazione all’agire illecito derivante dall’età avanzata della persona offesa è in re ipsa, senza che gravi in capo al giudice di merito uno specifico e ulteriore onere motivazionale rispetto al riscontro obiettivo dell’età della persona offesa.
Non può essere messo in dubbio – in ossequio ad una massima di esperienza di indiscutibile affidabilità – che una persona offesa di età avanzata sia maggiormente vulnerabile di una giovane, perché dotata di una capacità di attenzione e di reazione decisamente più ridotta (il che, di conseguenza, costituisce un’obiettiva agevolazione per l’autore del reato), e che tale vulnerabilità venga in rilievo precipuamente nei casi in cui il reato presupponga un’interazione tra soggetto agente e vittima, nella quale potrebbe, in teoria, insinuarsi la reazione della persona offesa e non già in altre situazioni in cui tale interazione non vi sia perché il reato prescinde dai contatti autore-vittima.
Non può, quindi, negarsi che i reati che producono un impatto sulla sfera fisica o psichica del soggetto passivo da parte dell’autore, e la cui buona riuscita dipenda dalla maggiore o minore capacità di reazione all’offesa da parte della vittima “rechino in re ipsa la dimostrazione quantomeno dell’agevolazione derivata dall’età avanzata della vittima, senza che sul giudice debba gravare un onere motivazionale specifico ed ulteriore (rispetto al rilievo del dato obiettivo dell’età) che appare superfluo, alla luce della massima di esperienza sopra ricordata“.
L’orientamento, rammenta la Corte, risulta in linea di principio accolto da numerose decisioni (tra le quali, Sez. 5, n. 1555 del 15/10/2019, dep. 2020, Gaglioti, non mass.: fattispecie nella quale la circostanza aggravante della minorata difesa è stata configurata sulla base dell’avanzata età senile delle vittime, una signora ultracentenaria ed una ultraottantenne; Sez. 5, n. 40476 del 24/06/2019, Giudici, non mass.: fattispecie nella quale l’età avanzata della vittima, all’epoca ottantenne, aveva certamente agevolato la commissione del fatto, materializzatosi nel furto con strappo della borsetta, avvenuto nella pubblica via, cui la donna non era riuscita ad opporre alcuna resistenza fisica), pur se in molti casi non è risultato determinante ai fini della decisione (cfr., ad es., Sez. fer., n. 43285 del 08/08/2019, Diana, non mass.: fattispecie nella quale la circostanza aggravante de qua era stata contestata e ritenuta non solo in relazione all’età avanzata delle persone offese, ma anche in ragione “dell’essersi le stesse “trovate sole” nel corso dell’azione delittuosa subita“; Sez. 2, n. 46677 del 20/09/2019, Ariolfo, non mass.: fattispecie nella quale la circostanza aggravante de qua era stata contestata e ritenuta non solo in relazione all’età avanzata delle persone offese, ma valorizzando anche “le loro difese diminuite dallo stato di malattia o dalla pregressa conoscenza e appartenenza comune all’Arma“; Sez. 2, n. 3851 del 13/12/2019, dep. 2020, Bruccoleri, non mass.: fattispecie nella quale la circostanza aggravante de qua era stata contestata e ritenuta non solo in relazione all’età avanzata delle persone offese – due donne, una di sessantanove anni, l’altra di settantasette anni – ma anche valorizzando il fatto che esse erano state “selezionate con cura dagli imputati in quanto si trovavano a passeggio da sole per la via e quindi impossibilitate a sollecitare l’aiuto di terzi“; pertanto, “non solo il requisito anagrafico era idoneo a minare le possibilità di resistenza e difesa, ma a ciò si è aggiunto il complessivo contesto spazio-temporale nel quale si sono sviluppate la azioni di reato“).
Le Sezioni Unite ritengono a questo punto di poter affermare che la commissione del reato “in tempo di notte” possa integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo, di persona, la circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa” (art. 61 c.p., comma 1, n. 5), sempre che sia stata raggiunta la prova che la possibilità di pubblica o privata difesa ne sia rimasta in concreto ostacolata e che non ricorrano circostanze ulteriori, di qualunque natura, idonee a neutralizzare il predetto effetto.
Nell’ambito delle codificazioni più recenti, la considerazione della valenza del tempo di notte quale specifica circostanza aggravante ha vissuto – rammenta il Collegio – alterne vicende.
Il codice penale del 1859 annoverava specificamente la commissione del reato “in tempo di notte” tra le circostanze che “qualificavano” e, pertanto, aggravavano, il reato di furto; l’art. 613, infatti, stabiliva che “quando la notte serve a qualificare o a rendere più grave il reato si avrà per notte tutto quel tempo che corre da un’ora dopo il tramonto ad un’ora prima della levata del sole“.
Anche il codice penale del 1889, pur avendo eliminato la specifica delimitazione temporale del “tempo di notte” esistente nel codice penale del 1859, rimettendo la questione alla valutazione discrezionale del giudice, continuò a considerare aggravato il reato commesso col favore delle tenebre: gli artt. 157 e 329, prevedevano, rispettivamente, le ipotesi aggravate dal tempo di notte dei reati di violazione di domicilio ed incendio, inondazione e sommersione, pur essendo rimessa la determinazione del tempo di notte “al prudente discernimento del giudice, che, secondo il luogo, la stagione e le circostanze in cui il reato è commesso, dovrà stabilirne la ricorrenza, vera e reale“.
Nel codice penale vigente, proseguono le SSUU, ai sensi dell’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, aggrava il reato “l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa“.
Le condizioni di “minorata difesa” previste dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, sono richiamate anche:
– dall’art. 55 c.p., comma 2, (a norma del quale, in tema di eccesso colposo, “Nei casi di cui all’art. 52, commi 2, 3 e 4, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’art. 61, comma 1, n. 5) (…))”;
– dall’art. 131 bis c.p., comma 2, (a norma del quale, in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, “l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del comma 1, quando l’autore (…) ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa (…)”);
– dall’art. 613 bis c.p., comma 1, (a norma del quale commette il reato di tortura “chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa“).
La commissione del fatto-reato in tempo di notte è, inoltre, richiamata direttamente dall’art. 699 c.p., comma 3, (a norma del quale, con riguardo alla residuale fattispecie contravvenzionale di porto abusivo di armi, “se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso in un luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in luogo abitato, le pene sono aumentate“), ed indirettamente dall’art. 187 C.d.S., comma 1 quater, (a norma del quale, in tema di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, “L’ammenda prevista dal comma 1 è aumentata da un terzo alla metà quanto il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7 (…))”.
Trattasi – chiosano ancora le SSUU – di previsioni che, esaminate congiuntamente, palesano una ricorrente valutazione legislativa di maggiore offensività delle condotte poste in essere nelle richiamate condizioni, negli ultimi due casi con riferimento specifico al solo “tempo di notte“.
Secondo il proprio pacifico orientamento, che la Corte dichiara di volere ribadire, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, occorre che qualsiasi tipo di circostanza fattuale valorizzabile (di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all’età) agevoli la commissione del reato, rendendo la pubblica o privata difesa, ancorché non impossibile, concretamente ostacolata (Sez. 2, n. 6608 del 14/11/2013, dep. 2014, Di Guida, Rv. 258337; Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Cannata, Rv. 279302); peraltro, ai fini dell’integrazione di essa, occorre sempre verificare, sulla base di un giudizio di prognosi postuma, operato ex ante ed in concreto, il contesto e le peculiari condizioni che abbiano effettivamente agevolato la consumazione del reato, incidendo in concreto sulle possibilità di difesa (Sez. 5, n. 8004 del 13/01/2021, C., Rv. 280672).
Analogamente, la Corte rammenta di avere assunto che sussistono le condizioni di minorata difesa, che integrano la materialità del delitto di tortura, ogni qualvolta la resistenza della vittima alla condotta dell’agente sia ostacolata da particolari fattori ambientali, temporali o personali (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544), e che, tra questi ultimi, vanno valorizzati quelli che facilitino l’azione criminale e rendano effettiva la signoria o il controllo dell’agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento se non l’annullamento delle capacità di reazione di quest’ultima. E di avere, altresì, precisato che la vulnerabilità della vittima va valutata in relazione al momento in cui l’aggressione viene perpetrata, e non già con riferimento alla possibilità di una reazione successiva, come quella che potrebbe consistere nella denuncia dei fatti (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841).
La giurisprudenza della Corte, condivisa dal Collegio, ritiene poi che la circostanza aggravante in questione abbia natura oggettiva, e sia, pertanto, integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell’agente (Sez. 1, n. 39349 del 11/07/2019, Marini, Rv. 276876; fattispecie in tema di omicidio; Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Souhu Mahdi, Rv. 276871; Sez. 5, n. 14995 del 23/02/2005, Bordogna, Rv. 231359: fattispecie relativa ad omicidio commesso nei confronti di una donna all’ottavo mese di gravidanza, che si trovava sola nella propria abitazione; Sez. 2, n. 44624 del 08/07/2004, Alcamo, Rv. 230244: fattispecie relativa ad omicidio commesso in zona isolata ed in ora notturna, approfittando anche della presenza di alberi utili a nascondere gli esecutori in agguato).
Il fondamento della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, in riferimento a ciascuna delle tipologie di elementi fattuali che possono integrarla, è stato generalmente ravvisato – chiosano ancora le SSUU – nel maggior disvalore che la condotta assume nei casi in cui l’agente approfitti delle possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui quest’ultima viene a svolgersi; tale ratio è chiaramente evincibile dalla Relazione del Guardasigilli al Re sul codice penale del 1930, dove si chiarisce che il concetto di “minorata difesa” “non ha che due limiti: la specie della circostanza (tempo, luogo, persona) e la potenzialità di essa ad ostacolare, diminuire la difesa pubblica o privata“, e si precisa incisivamente, con rilievi che appaiono tuttora di estrema attualità, che “il tempo di notte, ad es., costituirà aggravante, solo se la difesa sia stata o ne potesse essere ostacolata; così il furto commesso di notte, ma in luogo ove vi sia concorso di gente, ad es., in una festa da ballo, non sarà aggravato“.
Tale assunto va per la Corte condiviso e ribadito, tenuto conto della necessità di interpretare le preesistenti norme penali di sfavore (quale è certamente quella che prevede un circostanza aggravante) nel rispetto della sopravvenuta Costituzione repubblicana.
Come già chiarito in generale dalla medesima Corte (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, in motivazione), infatti, “l’interprete delle norme penali ha l’obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi, offensivi in misura apprezzabile“: pertanto, sia i “singoli tipi di reato” che – si aggiunge, per evidente identità di ratio – gli elementi circostanziali, “dovranno essere ricostruiti in conformità al principio di offensività, sicché tra i molteplici significati eventualmente compatibili con la lettera della legge si dovrà operare una scelta con l’aiuto del criterio del bene giuridico, considerando fuori del tipo di fatto incriminato i comportamenti non offensivi dell’interesse protetto“.
E – prosegue la Corte – solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa, sia pubblica che privata, è idoneo ad assicurare la coerenza dell’applicazione della circostanza aggravante con il relativo fondamento giustificativo, ossia, come si è visto, con il maggior disvalore della condotta derivante dall’approfittamento delle “possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l’azione verrà a svolgersi“; maggior disvalore, a propria volta, necessario a dar conto della concreta, maggiore offensività che giustifica, nel singolo caso, l’aggravamento sanzionatorio comminato dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, (Sez. 4, n. 15214 del 6/3/2018, Ghezzi, Rv. 273725; Sez. 2, n. 28795 del 11/05/2016, De Biasi, Rv. 267496, peraltro non riguardante il “tempo di notte“, bensì l’approfittamento dello stato di disoccupazione in cui versavano i candidati truffati in un periodo di grave crisi economica).
D’altro canto, chiosa ancora il Collegio, sia pur in riferimento ad istituti diversi, la giurisprudenza costituzionale (tra le altre, Corte Cost., n. 110 del 2012; n. 265 del 2010; n. 354 del 2002; n. 370 del 1996) ha già evidenziato, in plurime occasioni, che l’esigenza dell’interpretazione conforme a Costituzione delle norme incriminatrici e di quelle che ne aggravano la dimensione sanzionatoria non tollera automatismi fondati su presunzioni assolute, che vulnererebbero valori costituzionali: “di contro, la previsione di una presunzione solo relativa – atta a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario – non eccede i limiti di compatibilità costituzionale (…)” (Corte Cost., n. 48 del 2015).
Questa esigenza, precisa la Corte, è stata puntualmente colta da numerose decisioni che aderiscono al primo orientamento.
Ad esempio, Sez. 5, Sentenza n. 8819 del 02/02/2010, Maero, Rv. 246160, ha precisato che non basta “il semplice riferimento al tempo di notte per ritenere sussistente l’aggravante della minorata difesa, apparendo, invece, necessario individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata“, escludendo la configurazione della circostanza aggravante de qua, perché la Corte di appello aveva richiamato la commissione del reato in ore pomeridiane e serali, e non notturne, “ovvero ad un periodo della giornata nel quale non si determinano, specialmente in zone centrali della città, come nel caso di specie, condizioni che possano concretamente ostacolare la difesa“, ed evidenziando altresì che i fatti si erano verificati in un edificio pubblico, peraltro adibito ad uffici della Polizia Municipale, “che solitamente è sorvegliato anche in orari non di ufficio“.
Sez. 5, n. 50500 del 04/07/2018, Vlaicu, Rv. 274724 ha valorizzato il fatto che la commissione del furto in tempo di notte aveva effettivamente inciso sulle possibilità di difesa, in quanto il furto aveva avuto luogo in zona prevalentemente commerciale, nella quale in orario notturno vi era assenza di automobilisti e di passanti.
Sez. 4, n. 30990 del 17/05/2019, Tanzi, Rv. 276794, premesso che non vale ad integrare automaticamente la circostanza aggravante della minorata difesa (che si fonda su una valutazione in concreto delle condizioni che hanno consentito di facilitare l’azione criminosa) la sola situazione astratta del tempo di notte, ha ritenuto sufficiente ad integrarla il fatto che il furto fosse stato commesso agendo quando era già buio, sul retro di una villa ed in assenza di controlli, ovvero in presenza delle connotazioni intrinseche ordinarie del tempo di notte, il cui ricorrere in concreto era stato verificato.
Per altro verso, proseguono le SSUU, deve precisarsi che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa“, è pacificamente sufficiente anche il ricorrere di una sola circostanza di tempo, di luogo o di persona, se astrattamente idonea ad ostacolare le possibilità di pubblica o privata difesa, e sempre che in concreto tale effetto ne sia effettivamente conseguito: è pur vero che l’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, adopera il plurale (“circostanze“), ma all’evidenza in riferimento alle tre distinte tipologie di circostanze cui attribuisce rilievo.
Non può, pertanto, condividersi la necessità, ritenuta (sia pur, nella maggior parte dei casi, solo in astratto) dal secondo orientamento, del concorrere, con la commissione del fatto “in tempo di notte“, di ulteriori circostanze fattuali, anche di natura diversa.
Peraltro, prosegue il Collegio, numerose decisioni che aderiscono al secondo orientamento, premesso il principio, hanno poi valorizzato, ai fini della decisione, non il concorrere di circostanze fattuali ulteriori, bensì il fatto che la commissione del reato in “tempo di notte” avesse in concreto favorito la commissione del reato.
Ai fini della configurazione della circostanza aggravante de qua è stato, ad esempio, valorizzato il fatto che le vie erano deserte per l’ora inoltrata ed il sonno profondo dei cittadini (Sez. 2, n. 23 del 13/01/1970, dep. 1971, Bianchini, Rv. 116421); che il parcheggio dell’area di servizio dove sostava il TIR ai danni del cui conducente, che dormiva, era stata commessa la rapina era poco illuminato e non frequentato data l’ora notturna (Sez. 4, n. 17121 del 04/02/2020, Anghel, Rv. 279243); che il furto era stato perpetrato in orario notturno, nei pressi di una fermata d’autobus, in una zona a ridotto passaggio di persone (Sez. 4, n. 34357 del 25/11/2020, Amato, Rv. 280052); che il furto era stato compiuto in una villa isolata, disabitata di notte perché adibita ad uffici e poco illuminata, e l’impianto di videosorveglianza ed i sistemi di allarme (dei quali l’imputato aveva invocato l’esistenza) non avevano in concreto rimosso l’ostacolo alla difesa derivante dall’essere stato il fatto commesso in tempo di notte (Sez. 5, n. 12051 del 14/01/2021, Grim, Rv. 280812).
Può, quindi, affermarsi che, come direttamente od indirettamente ritenuto dalla maggior parte delle decisioni che, pur ascrivibili all’uno od all’altro degli orientamenti in contrasto, si sono occupate della questione, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa” l’interprete deve rifuggire dalla prospettiva anche implicita della valorizzazione di presunzioni assolute, e non può limitarsi a richiamare il dato astratto della commissione del reato in tempo di notte, dovendo considerare lo specifico contesto spazio-temporale in cui si sono verificate le vicende storico-fattuali oggetto d’imputazione, sì da enucleare, in concreto, l’effettivo ostacolo alla pubblica e privata difesa che sia, in ipotesi, derivato dalla commissione del reato nella circostanza in concreto valorizzata (in questo caso, di tempo), nonché l’approfittamento di essa da parte del soggetto agente.
Ne consegue per le SSUU, tenuto anche conto dell’espressa previsione contenuta nell’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, e come immediatamente riconosciuto dalla già citata Relazione del Guardasigilli al Re, che l’interprete, al fine di configurare la circostanza aggravante de qua, è chiamato ad operare tre verifiche, riguardanti, nell’ordine:
- a) l’esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa”;
- b) la produzione in concreto dell’effetto di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” che ne sia effettivamente derivato;
- c) il fatto che l’agente ne abbia concretamente “profittato” (avendone, quindi, consapevolezza).
Con riferimento specifico al “tempo di notte“, come per ogni altra circostanza fattuale valorizzabile – anche da sola – ex art. 61 c.p., comma 1, n. 5, si pone in primis il problema di stabilire se esso sia di per sè idoneo in astratto ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” dalla commissione di reati, oppure no.
A parere del Collegio, di norma, il “tempo di notte” costituisce di per sé circostanza di tempo astrattamente idonea ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa“, perché di notte, secondo consolidate massime di esperienza, riconosciute come tali e generalmente accettate, più volte accreditate dal legislatore:
– cala l’oscurità e le strade sono poco illuminate (il che favorisce la commissione di azioni delittuose, meno agevolmente visibili ab externo);
– le persone (vittime che potrebbero meglio difendersi se sveglie; terzi, che potrebbero prestare soccorso alle prime) sono dedite al riposo;
– la maggior parte delle attività (lavorative e ricreative) cessa, e di conseguenza le strade e gli uffici sono molto meno frequentati;
– la vigilanza pubblica è meno intensa ed è quindi più difficile ricevere soccorso.
Peraltro, come da epoca risalente evidenziato dalla Relazione del Guardasigilli al Re, tutto ciò non è necessariamente valido in assoluto, in ogni tempo ed in ogni luogo.
Appare opportuno a questo punto per il Collegio precisare che, diversamente dal fatto notorio (che consiste in “quell’accadimento che si denuncia in forma determinata, circoscritta, la cui conoscenza rientra nella cultura propria di una cerchia di persone“: Sez. 5, n. 2006 del 18/12/1969, dep. 1970, Lanzarotti, Rv. 113721), e dalle congetture (“ipotesi non fondate sull‘id quod plerumque accidit e, quindi, insuscettibili di verifica empirica“: Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, Devona, Rv. 277312), si identificano come “massime di esperienza” i “giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi” (Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, Abbate, Rv. 228401), tratti, con procedimento induttivo, “dall’esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi” (Sez. 2, n. 51818 del 06/12/2013, Brunetti, Rv. 258117).
Quanto alle condizioni in presenza delle quali è processualmente legittimo il ricorso a massime di esperienza, la Corte rammenta di essere tradizionalmente ferma nel ritenere che esse possano essere legittimamente valorizzate nell’apprezzamento di un fatto se hanno un fondamento razionale (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino, Rv. 202002) e/o siano dotate di affidabile plausibilità empirica (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231673), salva sempre la verifica della “tenuta” nel caso concreto della massima di esperienza di volta in volta valorizzata, viziando, quando non siano riconosciute come tali da chiunque e/o non siano generalmente accettate, la motivazione per manifesta illogicità (Sez. 1, n. 13854 del 22/05/1989, Barranca, Rv. 182290).
Ciò è – per il Collegio – quanto si impone anche in riferimento alla massima di esperienza secondo la quale la commissione di un reato in tempo di notte può in astratto ostacolare le possibilità di difesa pubblica o privata.
Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, non è, tuttavia, sufficiente ritenere l’astratta idoneità di una situazione, quale il tempo di notte, ad incidere sulle capacità di difesa, riducendole, ma occorre “individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata” (Sez. 5, n. 8819 del 02/02/2010, Maero, Rv. 246160), ed, in particolare, che la commissione del reato in tempo di notte abbia in concreto agevolato il soggetto agente nell’esecuzione del reato stesso, ostacolando (pur senza annullarle del tutto) le possibilità di difesa pubblica o privata.
L’interprete – precisa la Corte – deve, pertanto, stabilire in concreto l’effetto di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” che sia in ipotesi derivato dalla commissione del fatto in tempo di notte, ed, in particolare:
– se le ordinarie connotazioni del tempo di notte ricorrano effettivamente nel singolo caso di specie (considerando, ad esempio, l’illuminazione e l’ubicazione del locus commissi delicti, il sonno delle vittime, la presenza di terzi in loco pronti ad intervenire, la presenza di vigilanza pubblica o privata intensa ed attiva);
– se sussistano circostanze ulteriori, di qualunque natura, atte a vanificare il predetto effetto di ostacolo: a tal fine la giurisprudenza ha sinora valorizzato essenzialmente la predisposizione di un sistema di vigilanza privata e/o di un sistema di video sorveglianza, sulla cui possibile valenza ai fini de quibus vi è, peraltro, il menzionato contrasto che sarà di seguito valutato.
Occorre infine, conclude sul punto il Collegio, verificare che il soggetto agente abbia profittato di quella obiettiva situazione di vulnerabilità in cui versava il soggetto passivo.
Detta verifica soggettiva ben può essere limitata alla constatazione dell’inevitabile consapevolezza dell’avere agito in tempo di notte, in condizioni di effettiva minorata difesa per la vittima e le pubbliche autorità: come chiarito da autorevole dottrina, “la contingenza favorevole deve non solo oggettivamente sussistere, ma essere conosciuta dall’agente, che solo così ne può “profittare””. Da ciò non consegue tuttavia, precisa la Corte, la natura soggettiva della circostanza aggravante in esame, poiché, come chiarito anche dalla dottrina, l’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, pone prevalentemente l’accento sul ruolo assunto dalla circostanza fattuale valorizzata in riferimento alla commissione del reato; d’altro canto, precisano ancora le SSUU, con specifico riferimento al “tempo di notte“, l’art. 70 c.p., ricollega espressamente la natura oggettiva di una circostanza aggravante al fatto che essa concerna il “tempo” dell’azione.
Come già chiarito dalla Corte (Sez. 1, n. 39349 del 11/07/2019, Marini, Rv. 276876), la circostanza aggravante dell’aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, è compatibile con i soli reati dolosi (per la non configurabilità di una condotta colposa di “profittamento“), e quindi anche con il mero dolo eventuale, in quanto è sufficiente che il soggetto attivo percepisca in modo cosciente il vantaggio derivante dalla situazione che pregiudica la difesa della vittima e se ne giovi all’atto di realizzare la condotta.
L’onere della prova della sussistenza in concreto delle ordinarie connotazioni del tempo di notte e dell’assenza di circostanze ulteriori, atte a vanificare l’effetto di ostacolo alla pubblica e privata difesa ricollegabile all’avere agito in tempo di notte, grava naturalmente – chiosa a questo punto il Collegio – sul PM. Per quanto non emergente ex actis, tuttavia, spetta all’imputato fornire le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di circostanze fattuali altrimenti ignote che siano in astratto idonee, ove riscontrate, ad escludere la configurazione in concreto della circostanza aggravante.
La soluzione accolta, che, ferma l’astratta idoneità della commissione del reato in tempo di notte ad integrare la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, presuppone l’accertamento della pertinente, effettiva incidenza sulle possibilità di difesa nel caso concreto, si colloca in una posizione intermedia tra i due orientamenti in contrasto, che presentano entrambi per la Corte profili di criticità, se letti nelle loro espressioni estreme.
Il primo orientamento finisce, infatti, col valorizzare inammissibilmente una presunzione assoluta di minorata difesa in caso di reati commessi in tempo di notte, e, nello svilire la necessità di accertare in concreto il ricorrere della predetta condizione, viola il principio di offensività.
Il secondo non valorizza le ordinarie connotazioni del tempo di notte, non accontentandosi della verifica concreta della loro sussistenza, e richiede il concorrere di circostanze fattuali ulteriori, in tal modo giungendo all’erronea conclusione che la commissione del reato in tempo di notte non rientra di per sé tra le circostanza valorizzabili ex art. 61 c.p., comma 1, n. 5, o comunque che il ricorrere di una sola circostanza “di tempo, di luogo o di persona” non è sufficiente ad integrare la circostanza aggravante de qua.
Vanno conclusivamente enunciati per le SSUU i seguenti principi di diritto:
ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa“, prevista dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente ha profittato in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità – oggetto di profittamento – in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato;
la commissione del reato “in tempo di notte” può configurare la circostanza aggravante in esame, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.
In applicazione della medesima ratio – prosegue ancora la Corte – andrà risolta la questione (non devoluta, ma a propria volta oggetto di un contrasto analogo a quello devoluto) riguardante la possibile valenza dell’età della vittima ai fini dell’integrazione della medesima circostanza aggravante.
Resta da chiarire per la Corte che la rilevanza o meno dell’esistenza nel locus commissi delicti di un impianto di videosorveglianza, pure oggetto di un contrasto giurisprudenziale, costituisce mera quaestio facti, in ordine alla quale non è possibile enunciare un principio di diritto.
L’esistenza di un siffatto impianto potrà essere valorizzata per escludere la circostanza aggravante de qua nei casi in cui l’impianto di videoripresa, atto di per sè a consentire ex post l’individuazione dei responsabili del reato, sia collegato alla centrale operativa di polizia o di un istituto di vigilanza privata, sì da consentire il tempestivo accorrere di soccorsi.
In altri casi in cui l’impianto sia spento o altrimenti disattivato dal soggetto agente, o sia privo del collegamento con centrali operative delle forze dell’ordine o di istituti di vigilanza privati, la pertinente installazione non rileverà ai fini dell’esclusione della circostanza aggravante in esame (Sez. 5, n. 12051 del 2021 cit.; Sez. 5, n. 20480 del 26/02/2018, Lo Manto, in motivazione, in un caso nel quale l’impianto di videosorveglianza era disattivato).
E’ ora possibile per la Corte passare all’esame dei motivi di ricorso degli imputati.
E’ fondato per il Collegio il ricorso proposto laddove deduce violazione di legge in riferimento alle circostanze aggravanti di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, e art. 625 c.p., comma 1, n. 7, non configurabili perché il piazzale dove il furto è nel caso di specie avvenuto era sorvegliato da un dispositivo di videocontrollo ed in loco era attivo un servizio di vigilanza privata, tanto efficiente da aver consentito di cogliere sul fatto i ladri.
Pur dando conto del fatto che sul luogo del furto era attivo un servizio di videosorveglianza e vigilanza privata, che aveva consentito di cogliere sul fatto i ladri, arrestati in flagranza, la Corte di appello – stigmatizza il Collegio – si è limitata ad osservare:
– per legittimare la configurazione della prima circostanza, che “il furto è stato commesso in piena notte“, senza valutare l’incidenza sulle capacità di difesa pubblica e privata dell’accertata predisposizione in loco del predetto servizio, che di fatto aveva consentito l’arresto in flagranza degli imputati da parte dei Carabinieri, prontamente chiamati ad intervenire;
– per fondare la sussistenza della seconda circostanza, che, “poichè nel caso in esame la telecamera che riprendeva l’ingresso era stata spostata, il sistema di videosorveglianza e sorveglianza privata non erano costanti e idonei ad impedire l’accesso al piazzale dove gli imputati avevano perpetrato il furto“, così omettendo di valutare le circostanze fattuali sopra illustrate.
Occorre infine ricordare per la Corte che, in adesione all’orientamento maturato sul punto (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, dep. 2021, Saja, Rv. 280157; Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015, dep. 2016, Scalambrieri), in tema di furto, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è automaticamente esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, inidoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa. Soltanto, infatti, una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7.
Questioni intriganti
Come va interpretato il verbo “profittare” in tema di c.d. minorata difesa e cosa connota in generale questa circostanza aggravante?
- una prima teoria, a carattere spiccatamente “soggettivo”, identifica il profittare con il trarre intenzionalmente vantaggio dalla condizione, per l’appunto, di minorata difesa della vittima; su questo crinale, diventa indispensabile accertare proprio la consapevolezza, in capo al soggetto agente, della situazione di minorata difesa nella quale versa la vittima della condotta criminosa;
- per una seconda opzione ermeneutica, più marcatamente “oggettiva”, si tratta di una circostanza aggravante che investe le modalità della condotta (normalmente, dell’azione) criminosa, onde l’inasprimento sanzionatorio si applica per il solo fatto che tale minorata difesa sia stata configurabile, quand’anche il soggetto agente non se la sia (specificamente) figurata;
- una terza tesi, a carattere mediano, muove dal verbo “profittare” mutuandone una interpretazione solo prima facie in termini di consapevolezza, in capo al soggetto agente, della situazione favorevole che correda la propria condotta: in sostanza, pur affiorando una certa qual “soggettività” della circostanza, essa in realtà va assunta oggettiva, perché per l’appunto attinente alle modalità dell’azione; del resto, anche per le circostanze “obiettive” può predicarsi la necessaria sussistenza di un certo margine di soggettività e, dunque, la stessa intrinseca necessità di un elemento soggettivo, dacché parlare di “modalità dell’azione” significa far riferimento, in talune evenienze, a modalità tali da accedere ad un elemento del fatto necessariamente attinto dal dolo, non potendo dunque prescindere da un coefficiente psichico di imputazione;
- si tratta di un profilo (quello della natura soggettiva o, alternativamente, oggettiva dell’elemento circostanziale) che influenza anche la possibile “estensione” della circostanza aggravante in caso di concorso di persone nel fatto criminoso;
- su altro crinale, per il “profittamento” viene assunto pacificamente sufficiente anche il ricorrere di una sola circostanza di tempo, di luogo o di persona, se astrattamente idonea ad ostacolare le possibilità di pubblica o privata difesa, e sempre che in concreto tale effetto ne sia effettivamente conseguito: se è pur vero che l’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, adopera il plurale (“circostanze“), all’evidenza ciò avviene difatti in riferimento alle tre distinte tipologie di circostanze cui esso attribuisce rilievo;
- per le SSUU del 2021 l’interprete, e dunque in sostanza il giudice penale, al fine di configurare la circostanza aggravante de qua, è chiamato ad operare tre verifiche, riguardanti, nell’ordine: f.1) l’esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa“; f.2) la produzione in concreto dell’effetto di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” che ne sia effettivamente derivato; f.3) il fatto che l’agente ne abbia concretamente “profittato” (avendone, quindi, consapevolezza);
- la circostanza aggravante dell’aver “profittato” di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa è assunta compatibile con i soli reati dolosi (per la non configurabilità di una condotta colposa di “profittamento“), e quindi anche con il mero dolo eventuale, in quanto è sufficiente che il soggetto attivo percepisca in modo cosciente il vantaggio derivante dalla situazione che pregiudica la difesa della vittima e se ne giovi all’atto di realizzare la condotta;
- secondo le SSUU del 2021, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa“, prevista dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente ha “profittato” in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità – oggetto di “profittamento” – in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato;
- la rilevanza o meno dell’esistenza nel locus commissi delicti di un impianto di videosorveglianza, pure oggetto di un recente contrasto giurisprudenziale, costituisce invece per le SSUU del 2021 una mera quaestio facti, in ordine alla quale non è possibile enunciare un principio di diritto; l’esistenza di un siffatto impianto potrà dunque essere valorizzata: i.1) per escludere la circostanza aggravante de qua, nei casi in cui l’impianto di videoripresa, atto di per sé a consentire ex post l’individuazione dei responsabili del reato, sia collegato alla centrale operativa di polizia o di un istituto di vigilanza privata, sì da consentire il tempestivo accorrere di soccorsi (e la connessa, sostanziale impossibilità del “profittamento” da parte del soggetto agente); i.2) in altri casi in cui l’impianto sia spento o altrimenti disattivato dal soggetto agente, o sia privo del collegamento con centrali operative delle forze dell’ordine o di istituti di vigilanza privati, la pertinente installazione non rileverà ai fini dell’esclusione della circostanza aggravante della minorata difesa (confermando, nella sostanza, il ridetto “profittamento” del soggetto agente).
Come va interpretata, in particolare, l’espressione “circostanze di persona” in tema di c.d. minorata difesa?
- secondo una prima tesi, le circostanze “di persona” che rilevano ai fini della minorata difesa sono solo quelle che afferiscono alla vittima, e non anche al soggetto attivo del reato;
- stando a diversa opzione ermeneutica, occorre tenere conto tanto della “persona” della vittima quanto della “persona” del soggetto attivo del fatto criminoso, come nel classico caso di chi, criminale, sia particolarmente prestante dal punto di vista fisico.
Quali orientamenti si sono giustapposti, in particolare, in tema di furto con “destrezza”?
- secondo una prima tesi, la circostanza aggravante della destrezza va riconosciuta in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione capace di favorirne (in qualche modo) la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, magari solo perché poco attenta oppure perché impegnata – nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo – a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro; stando a questa opzione ermeneutica, poiché la disposizione di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., non pretende necessariamente l’impiego di doti eccezionali applicate nella sottrazione e tali da impedire al derubato di averne contezza, ricorre l’aggravante della destrezza e l’abilità operativa dell’autore del furto nella condotta di chi sottrae beni da un’autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via priva di chiusura, oppure da uno studio medico, da una stanza di degenza ospedaliera, da un negozio o da un cantiere edile, estrinsecandosi tale fattispecie nell’approfittamento della condizione disattenta del soggetto passivo, distratto da altre occupazioni o comunque poco concentrato nella sorveglianza dei propri averi;
- stando ad un secondo, diverso indirizzo, va esclusa la destrezza nella condotta di chi si avvalga di un (mero) momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del relativo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto, perché l’azione non presenta alcun tratto peculiare di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi; si tratta della tesi alfine abbracciata dalle SSUU nel 2017.
Quali orientamenti si sono giustapposti in tema di furto (o altro reato) commesso “di notte”?
- secondo una prima tesi, la commissione del reato “in tempo di notte” integra di per sé – e, dunque, automaticamente e in astratto – gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa, quantunque venga talvolta ammessa, in concreto, la prova da parte della difesa del soggetto agente che non si sono inverate, nel singolo caso di specie, circostanze tali da escludere l’ostacolo alla pubblica o privata difesa;
- stando ad un secondo, diverso indirizzo, la commissione del reato “in tempo di notte” non costituisce di per sé un elemento determinante ai fini dell’integrazione della pertinente circostanza aggravante, configurabile soltanto quando con essa concorrano altri elementi di fatto idonei a menomare, in concreto, le capacità di pubblica o privata difesa; in tale prospettiva, la commissione del reato “in tempo di notte” costituisce quindi elemento di per sé “neutro“, suscettibile di essere valorizzato ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in oggetto solo se, ed in quanto, con esso concorrano ulteriori circostanze fattuali, anche di natura diversa;
- in seno ad entrambi gli orientamenti presenti in giurisprudenza, la gran parte delle decisioni finisce allora col richiedere – seppure con sfumature diverse (più o meno ampie) – la valutazione della concreta incidenza del tempo di notte sulla condotta delittuosa;
- una soluzione mediana viene raggiunta dalle SSUU del 2021, alla cui stregua la commissione del reato “in tempo di notte” può integrare – anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo, di persona – la circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa” (art. 61 c.p., comma 1, n. 5), sempre tuttavia che sia stata raggiunta la prova (da parte, rispettivamente, del PM o dell’imputato) che la possibilità di pubblica o privata difesa ne sia rimasta in concreto ostacolata (PM) e che non ricorrano circostanze ulteriori, di qualunque natura, idonee a neutralizzare il predetto effetto di “minorazione” difensiva (imputato);
- in sostanza, per le SSUU 2021 occorre muovere dalla circostanza palmare onde il “tempo di notte” costituisce di per sé circostanza di tempo astrattamente idonea ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa“, perché di notte, secondo consolidate massime di esperienza, riconosciute come tali e generalmente accettate, più volte accreditate dal legislatore, ovvero: e.1) cala l’oscurità e le strade sono poco illuminate (il che favorisce la commissione di azioni delittuose, meno agevolmente visibili ab externo); e.2) le persone (vittime che potrebbero meglio difendersi se sveglie; terzi, che potrebbero prestare soccorso alle prime) sono dedite al riposo; e.3) la maggior parte delle attività (lavorative e ricreative) cessa, e di conseguenza le strade e gli uffici sono molto meno frequentati; e.4) la vigilanza pubblica è meno intensa ed è quindi più difficile ricevere soccorso;
- si tratta tuttavia solo di un primo punto di partenza: come da epoca risalente evidenziato dalla Relazione del Guardasigilli al Re, tutto ciò non è sempre necessariamente (ed automaticamente) valido in assoluto, in ogni tempo ed in ogni luogo, non potendo autorizzare presunzioni assolute o (per l’appunto) automatismi di sorta; l’interprete deve pertanto stabilire in concreto l’effetto di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” che sia in ipotesi derivato dalla commissione del fatto in tempo di notte, ed, in particolare: f.1) se le ordinarie connotazioni del tempo di notte ricorrano effettivamente nel singolo caso di specie (considerando, ad esempio, l’illuminazione e l’ubicazione del locus commissi delicti, il sonno delle vittime, la presenza di terzi in loco pronti ad intervenire, la presenza di vigilanza pubblica o privata intensa ed attiva); f.2) se sussistano circostanze ulteriori, di qualunque natura, atte a vanificare il predetto effetto di ostacolo: a tal fine la giurisprudenza ha sinora essenzialmente valorizzato – in punto tuttavia di mero fatto – la predisposizione di un sistema di vigilanza privata e/o di un sistema di video sorveglianza;
- occorre infine verificare da parte del giudice che il soggetto agente abbia profittato di quella obiettiva situazione di vulnerabilità in cui versava il soggetto passivo; una verifica soggettiva che ben può essere limitata alla constatazione dell’inevitabile consapevolezza dell’avere agito in tempo di notte, in condizioni di effettiva minorata difesa per la vittima e le pubbliche autorità, la contingenza favorevole dovendo non solo oggettivamente sussistere, ma essere conosciuta dall’agente, che solo così ne può “profittare“; da ciò non consegue tuttavia la natura “soggettiva” della circostanza aggravante in esame dacché, come chiarito anche dalla dottrina, l’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, pone prevalentemente l’accento sul ruolo assunto dalla circostanza fattuale valorizzata in riferimento alla commissione del reato; d’altro canto, precisano ancora le SSUU, con specifico riferimento al “tempo di notte“, l’art. 70 c.p., ricollega espressamente la natura oggettiva di una circostanza aggravante al fatto che essa concerna – come appunto avviene nel caso di specie – il “tempo” dell’azione;
- la commissione del reato “in tempo di notte” può conclusivamente configurare la pertinente circostanza aggravante sempre che sia raggiunta – anche attraverso la valorizzazione all’uopo di massime di esperienza – la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.
Quali orientamenti si sono giustapposti, in particolare, in tema contegno criminoso commesso ai danni di vittime in età avanzata?
- secondo una prima tesi, l’età avanzata costituisce una presunzione solo relativa di c.d. “minorata difesa”, potendosi in concreto provare che la vittima del contegno delittuoso, pur appunto in età avanzata, era comunque in condizioni psico-fisiche tali da efficacemente “contraddire” rispetto al soggetto agente; ne discende un pregnante onere motivazionale in capo al giudice che riconosca l’aggravante al cospetto di una vittima che versi, per l’appunto, in età avanzata;
- stando ad un opposto orientamento, con specifico riferimento ai reati che presuppongono l’interazione tra l’autore del fatto e la vittima (come nel caso del furto con strappo), ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, l’agevolazione all’agire illecito derivante dall’età avanzata della persona offesa va assunto in re ipsa, senza che gravi in capo al giudice di merito uno specifico e ulteriore onere motivazionale rispetto al riscontro obiettivo dell’età della persona offesa; non può essere messo in dubbio secondo questa tesi – anche in ossequio ad una massima di esperienza di indiscutibile affidabilità – che una persona offesa di età avanzata sia maggiormente vulnerabile di una giovane, perché dotata di una capacità di attenzione e di reazione decisamente più ridotta (il che, di conseguenza, costituisce un’obiettiva agevolazione per l’autore del reato), e che tale vulnerabilità venga in rilievo precipuamente nei casi in cui il reato presupponga un’interazione tra soggetto agente e vittima, nella quale potrebbe, in teoria, insinuarsi la reazione della persona offesa, e non già in altre situazioni in cui tale interazione non vi sia perché il reato prescinde dai contatti autore-vittima; non può quindi negarsi, alla stregua di tale opzione ermeneutica, che i reati che producono un impatto sulla sfera fisica o psichica del soggetto passivo da parte dell’autore, e la cui buona riuscita dipenda dalla maggiore o minore capacità di reazione all’offesa da parte della vittima, rechino in re ipsa la dimostrazione quantomeno dell’agevolazione derivata dall’età avanzata della vittima ridetta; senza dunque che sul giudice debba gravare un onere motivazionale specifico ed ulteriore (rispetto al rilievo del dato obiettivo dell’età) che appare superfluo, alla luce della massima di esperienza sopra ricordata;
- per le SSUU del 2021 la commissione del reato ai danni di una vittima la cui età possa incidere sulla pertinente difesa, “minorandola”, va risolta assecondando la medesima ratio che ha condotto a risolvere la questione che investe la commissione del reato “in tempo di notte“, occorrendo – anche in presenza, ad esempio, di una età avanzata del soggetto passivo del reato – che sia raggiunta la prova che la pertinente pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto di “minorazione”, senza dunque ricorrere a presunzioni assolute o automatismi di sorta.