Corte di Cassazione, Sezione II, ordinanza 7 gennaio 2019, n. 125
Massima
Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il discrimine tra azione di simulazione assoluta imprescrittibile e di simulazione relativa in senso proprio, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, sta nel fatto che con la prima si mira soltanto a far dichiarare l’inesistenza di qualsiasi mutamento della realtà giuridica preesistente al negozio simulato, mentre con la seconda si tende a far emergere il reale mutamento di tale realtà voluto dalle parti in luogo di quello apparentemente posto in essere, in modo e al fine di potersene in qualche modo avvantaggiare, con la conseguenza che solo in quest’ultimo caso deve parlarsi di prescrizione, relativa ai diritti nascenti dal negozio dissimulato. Quando, tuttavia, l’azione di simulazione è finalizzata ad accertare la nullità tanto del negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza e di forma), tale azione non è soggetta a prescrizione.
Estratto del testo in diritto
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1415 e 1422 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte ritenuto che l’azione di simulazione fosse soggetta a prescrizione decennale, mentre, nella specie, essendo l’atto simulato nullo per difetto di forma, l’azione sarebbe imprescrittibile.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 1414 e 1422 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale fatto decorrere la prescrizione dal momento del compimento dell’atto, ovvero dal 24.3.1969, mentre trattandosi di azione volta ad accertare la nullità del negozio sottostante – una donazione nulla per difetto di forma – essa sarebbe imprescrittibile.
I motivi, da trattare congiuntamente, per la loro connessione, sono fondati. Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende dare continuità, quando l’azione di simulazione relativa è diretta a far emergere il reale mutamento della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato, tale azione si prescrive nell’ordinario termine decennale; quando invece è finalizzata ad accertare la nullità tanto del negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza e di forma), tale azione non è soggetta a prescrizione.
Vero è che questa Corte regolatrice ha più volte affermato che, mentre l’azione di simulazione assoluta di un contratto è imprescrittibile, quella di simulazione relativa è soggetta alla prescrizione ordinaria (v. sent. 24.6.1969 n. 2267, 29.1.1971 n. 220, 7.6.1974 n. 1757, 7.8.1979 n. 4569), ma è altrettanto vero che essa ha sempre fatto riferimento a tale ultima azione “in quanto tendente ad individuare il reale contratto voluto dalle parti, a contenuto diverso da quello del contratto simulato, e a far valere il diritto nascente dal contratto dissimulato”, in tal modo delimitandone lo stesso concetto all’ipotesi in cui la parte che agisce miri ad ottenere l’adempimento del negozio realmente voluto o, comunque sia volto a trarne qualche effetto a proprio favore.
Ciò è stato chiaramente espresso, con riferimento a fattispecie analoghe a quella in esame, nelle seguenti pronunce:
– 4.2.1970 n. 231, dove si afferma che “quando l’azione tenda all’accertamento della nullità, non solo del negozio apparente (perché non voluto), ma anche di quello dissimulato (perché illecito), l’imprescrittibilità di essa discende dal combinato disposto degli artt. 1414 e 1422 c.c., dato che in tal caso è irrilevante la distinzione tra simulazione assoluta e relativa, essendo l’azione volta ad accertare che né il contratto simulato, né quello dissimulato producevano effetto tra le parti”;
– 3.8.1977 n. 3441, secondo la quale l’azione di simulazione relativa è imprescrittibile “quando è diretta soltanto a dimostrare la nullità, per carenza di causa o di accordo, del negozio simulato o quando anche il negozio dissimulato è nullo”, mentre è “soggetta alla prescrizione ordinaria quando l’attore non si limita a chiedere una semplice declaratoria iuris, ma agisce allo scopo di realizzate gli effetti derivanti dal contratto dissimulato”;
– 6.5.1991 n. 4986 e 16.1.1997 n. 382, le quali insegnano che “la cosiddetta azione di simulazione relativa, in quanto diretta ad accertare la nullità del negozio simulato, è imprescrittibile, ai sensi dell’art. 1422 c.c., potendo il decorso del tempo incidere solo indirettamente sulla proponibilità di tale azione, nel senso che la prescrizione dei diritti che presuppongono l’esistenza del negozio dissimulato può far venir meno l’interesse all’accertamento dell’inesistenza del negozio apparente”;
Da tutto questo appare chiaro che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, al quale deve darsi qui piena adesione per la sua perfetta coerenza col sistema, il discrimine tra azione di simulazione assoluta e di simulazione relativa in senso proprio sta nel fatto che con la prima si mira soltanto a far dichiarare l’inesistenza di qualsiasi mutamento della realtà giuridica preesistente al negozio simulato, mentre con la seconda si tende a far emergere il reale mutamento di detta realtà voluto dalle parti in luogo di quello apparentemente posto in essere, in modo e al fine di potersene in qualche modo avvantaggiare, con la conseguenza che solo in quest’ultimo caso deve parlarsi di prescrizione, per altro con esclusivo riferimento ai diritti nascenti dal negozio dissimulato.
Allorquando, quindi, pur prospettandosi l’esistenza di un negozio dissimulato sotto quello apparente, si sostenga che esso, per una qualsiasi ragione, è privo di ogni effetto giuridico, l’azione non è tesa a far valere una simulazione relativa, poiché nessuna pretesa viene accampata sulla base del negozio dissimulato del quale, anzi, si invoca la nullità, e non è soggetta, perciò, a prescrizione.
Risulta dall’impugnata sentenza che M.G. , A. e R. agirono per l’accertamento della simulazione dell’atto di vendita per notar A. del 24.3.1969, con il quale il de cuius aveva trasferito alla figlia V. ed al genero Mo.Lu. una porzione del podere (…), perché simulante una donazione. Risulta altresì che l’atto dissimulato, la donazione, era privo dei requisiti di forma ad substantiam, poiché la vendita non era avvenuta alla presenza di testimoni come richiesto dalla Legge Notarile 16 febbraio 1913, n. 89, art. 48, comma 1.
Orbene, M.G. , A. e R. , avevano come scopo di far accertare che i beni oggetto delle compravendita intervenuta tra il loro defunto genitore e la figlia ed il genero, attuali controricorrenti, erano rimasti in realtà nel patrimonio del primo, in quanto tale compravendita simulava una donazione nulla per difetto di forma.
La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, ritenendo che fosse sufficiente il subentro dei ricorrenti nella posizione del de cuius per far decorrere la prescrizione della simulazione dal compimento dell’atto e che fosse irrilevante che il negozio dissimulato fosse nullo per difetto di forma, per l’assenza di due testimoni.
In tal caso, come insegna questa Corte, l’azione era imprescrittibile.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti. Tale cassazione, tuttavia, va pronunciata senza rinvio, in quanto la domanda di simulazione proposta nei confronti del Mo. , benché imprescrittibile, non potrebbe essere accolta sotto il profilo del regime probatorio, considerata l’infondatezza dei motivi che seguono.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; avrebbe errato il giudice nell’interpretare la domanda come volta alla sola dichiarazione della simulazione, mentre l’azione mirava alla reintegrazione della quota di riserva.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 1414 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale errato nell’attribuire a M.G. , A. e R. la qualità di eredi e non di legittimari, e, quindi, di terzi ai fini della prova della simulazione.
Con il quinto motivo di ricorso si allega la violazione dell’art. 1417 c.c., per non avere la corte territoriale dato ingresso alla prova testimoniale ed alla dichiarazione di M.P. – che era parte dell’atto simulato in veste di venditore unitamente al de cuius – sull’erroneo rilievo che essi fossero parti e non terzi rispetto all’atto simulato e che, quindi, dovessero fornire la prova della simulazione attraverso la controdichiarazione.
Con il sesto motivo di ricorso si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nell’omessa valutazione delle prove testimoniali e documentali.
I motivi, da trattare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.
Non coglie nel segno la censura di cui all’art. 112 c.p.c., vertendo il motivo non sul vizio di omessa pronuncia ma sull’interpretazione della domanda, che integra un tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito (Cassazione civile, sez. 6, 21/12/2017, n. 30684; Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2008, n. 20373; Cassazione civile, sez. 1, 07/07/2006, n. 15603).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale deve essere data, continuità, l’erede che agisca per la nullità del contratto di compravendita stipulato dal de cuius perché dissimulante una donazione e per la ricostruzione del patrimonio ereditario e la conseguente divisione dello stesso, non propone, nemmeno per implicito, una domanda di riduzione della donazione per lesione di legittima (Cass. 12 giugno 2007 n. 13706).
L’azione di divisione e quella di riduzione sono, infatti, nettamente distinte ed autonome, atteso che la seconda tende, indipendentemente dalla divisione dell’asse ereditario, al soddisfacimento dei diritti dei legittimari nei limiti in cui siano lesi dalle disposizioni testamentarie, mentre la domanda di divisione presuppone il già avvenuto recupero alla comunione ereditaria dei beni che ad essa siano stati eventualmente sottratti dal testatore con un atto che abbia violato la riserva per legge in favore dei legittimari (Cass. 23 gennaio 2007 n. 1408).
Solo l’erede che agisce in riduzione è terzo rispetto al negozio asseritamente simulato, sicché nel relativo giudizio la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limiti (Cass. n. 19912/14). Al riguardo sembra opportuno ricordare che ai fini della prova della simulazione di una vendita posta in essere dal de cuius per dissimulare una donazione, l’erede legittimario può ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, solo quando, contestualmente all’azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione della donazione dissimulata, facendo valere la sua qualità di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che l’atto dissimulato comporti una lesione del suo diritto personale alla integrità della quota di riserva spettantegli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo nei confronti della simulazione (in tal senso Cass. n. 7465/02).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di prova della simulazione, ritenendo di non dare ingresso alla prova testimoniale ed alla dichiarazione scritta di M.P. (che era parte dell’atto simulato in veste di venditore unitamente al de cuius), in quanto, avendo i convenuti in riconvenzionale agito in qualità di eredi, al solo fine di recuperare il bene all’asse ereditario, avrebbero dovuto provare la simulazione solo attraverso la controdichiarazione.
Non vi è stato, quindi, un omesso esame della dichiarazione di M.P. , che è stata esaminata dalla corte territoriale ma ritenuta inidonea a provare la simulazione, non integrando una controdichiarazione.
Questa Corte, pertanto, pronunciando nel merito in ordine ai due motivi di ricorso accolti, rigetta la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti di Mo.Lu. .
Attesa la sostanziale conferma della decisione, vanno confermate le statuizioni sulle spese dei precedenti gradi di giudizio.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Corte di Cassazione, II, ordinanza del 07.01.2019, n. 125