<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Difendersi da un’aggressione può essere talmente “</em>legittimo<em>” da scongiurare la pena pur quando la “</em>difesa<em>” sia astrattamente assimilabile ad un inadempimento reato, onde chi – aggredito - sarebbe (come tutti) debitore di una condotta non antigiuridica penalmente sanzionata è facoltizzato, piuttosto, a porla in essere quale creditore di una condotta analoga da parte di un terzo – aggressore - che sia chiaramente in procinto di rendersene inadempiente. Si tratta di una forma antichissima di autotutela che – proprio perché tale - viene circondata di numerose cautele (a volte di difficile scandaglio </em>illico et immediate<em> da parte dell’aggredito), con speciale riguardo al rango degli interessi (beni) giuridici che vi rimangono coinvolti; cautele via via progressivamente “</em>assottigliatesi<em>” quando l’aggressione si consumi all’interno di una “</em>privata dimora<em>” più o meno estensivamente considerata, e dunque nel contesto di una (del pari “</em>tradizionale<em>”) violazione di domicilio. </em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Se si pone mente al fatto che presso i Romani il diritto penale nasce fondamentalmente come diritto privato, e che dunque la reazione all’offesa ricevuta è sostanzialmente un affare tra privati, appare subito chiaro come la legittima difesa, e l’autotutela in generale, sottendano l’intero sistema giuridico romanistico e ne compendino uno dei più importanti settori di osservazione, anche dal punto di vista della pertinente, progressiva evoluzione dal periodo arcaico a quello post-classico del c.d. tardo Impero. Del resto, lo stesso processo si atteggia in sé, <em>ab origine,</em> quale forma di controllo dell’autotutela privata da parte della <em>civitas</em> (si tratta delle 5 c.d. <em>legis actiones</em>), per poi erigersi a vero e proprio rito diretto e coordinato in ambito “<em>pubblico</em>” (ancorché ancora esitante in un giudizio formalmente privato: <em>apud iudicem</em>) soltanto con le “<em>formulae</em>” del Pretore.</p> <p style="text-align: justify;">Già nelle XII Tavole, risalenti al V secolo a.C., e più precisamente nella VIII Tavola, dedicata agli illeciti, si legge significativamente (ed esemplificativamente) da un lato che “<em>si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto</em>”, ovvero “<em>se una persona mutila un'altra e non raggiunge un accordo con essa, sia applicata la legge del taglione</em>” (VIII, 1); dall’altro che “s<em>i nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto”</em>, ovvero “<em>se avrà tentato di rubare nottetempo e fu ucciso, l'omicidio sia considerato legittimo</em>” (VIII, 12); ed ancora “<em>luci</em> [...] <em>si se telo defendit</em> [...] <em>endoque plorato</em>”, ovvero “<em>se </em>[avvenuto] <em>di giorno,</em> [l'omicidio è legittimo]<em> se</em> [il ladro] <em>si sarà difeso con un'arma</em> [e se il derubato avrà prima tentato] <em>di gridare aiuto</em>” (VIII, 13).</p> <p style="text-align: justify;">L’intera parabola del diritto romano, fino a Giustiniano, trova così sostanzialmente sotteso – con speciale riguardo alla tutela della persona - il noto broccardo “<em>vim vi repellere licet</em>” (“<em>respingere la violenza con la violenza è lecito</em>”) come dimostra già Cicerone (Topica, 23, 90) e poi Gaio (<em>Digestum</em>, IX, 2, 4, pr.) ed infine Ulpiano, che cita all’uopo Cassio (<em>Digestum</em>, XLIII, 16, 1, 27: «<em>Vim vi repellere licere Cassius scribit idque ius natura comparatur: apparet autem, inquit, ex eo arma armis repellere licere</em>»), in disparte la questione se tale canone della legittima difesa “<em>violenta</em>” all’offesa “<em>violenta</em>” debba poi essere ricondotto allo <em>ius naturale</em>, ovvero allo <em>ius gentium</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 giugno viene varato il R.D. n.6133, codice Zanardelli, di impianto liberale, secondo il cui art.49, in via generale, non è punibile colui che ha commesso il fatto (n.2) per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta; si tratta di un passo avanti rispetto alla ormai soppiantata codificazione preunitaria, che invece si ispirava al codice francese del 1810 assumendo la legittima difesa quale istituto speciale presidiante solo taluni reati contro la persona.</p> <p style="text-align: justify;">Un retaggio di questa concezione si riscontra nondimeno nella parte speciale del codice, e segnatamente all’art.376, applicabile per l’appunto ai soli delitti contro la persona, onde non è punibile colui che ha commesso alcuno dei fatti preveduti nei capi precedenti (omicidio e lesioni personali) ai danni dell’aggressore per esservi stato costretto: 1°) dalla necessità di difendere i propri beni contro gli autori di alcuno dei fatti preveduti negli articoli 406, 407, 408, 410 (rapina, estorsione, ricatto, sequestro di persone a scopo di estorsione), o dal saccheggio; 2°) dalla necessità di respingere gli autori di scalata, rottura o incendio alla casa o ad altro edifizio di abitazione o alle loro appartenenze, qualora ciò avvenga di notte; ovvero qualora la casa o l'edifizio di abitazione o le loro appartenenze siano in luogo isolato, e vi sia fondato timore per la sicurezza di chi vi si trovi. La pena è tuttavia soltanto diminuita da un 1/3 alla metà, e alla reclusione è sostituita la detenzione, se vi sia eccesso di difesa, nel caso indicato nel numero 1; ovvero se il fatto sia commesso nell'atto di respingere gli autori di scalata, rottura o incendio alla casa od altro edifizio di abitazione, o alle loro appartenenze, e non concorrano le specifiche condizioni previste nel numero 2 (e dunque se il fatto viene commesso di giorno, ovvero in luogo non isolato, ovvero comunque non si ravvisi fondato timore per la sicurezza di chi vi si trovi).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, secondo il cui art.52 non e' punibile – in via generalizzata - chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, secondo il cui art.2044 in tema di fatto illecito, non è responsabile chi cagiona il danno per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2407.html">legittima difesa</a> di sé o di altri.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la Costituzione che prevede la natura personale della responsabilità penale, cui è connessa la funzione tendenzialmente rieducativa della pena (art.27): il condannato deve percepire la pena come tendenzialmente rieducativa per la commissione di un fatto penalmente rilevante che gli viene rimproverato, circostanza da escludersi in presenza di fattispecie in cui la condotta abbia costituito la legittima reazione ad un’offesa ingiusta subita. Rilevano tuttavia anche, da un lato, l’art.2 in tema di diritti inviolabili dell’uomo, con in testa il diritto alla vita (dal lato dell’aggressore); dall’altro, l’art.112 in tema di obbligatorietà dell’azione penale in capo al PM, che non sembra poter essere esclusa <em>a priori</em> da presunzioni assolute operanti in senso contrario e tali dunque da impedirgli di spiccare l’azione penale, massime poi se scolpite da una legge (meramente) ordinaria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1950 </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre viene firmata a Roma la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Importante in specie l’art.2 della Convenzione sul “<em>diritto alla vita</em>”, alla cui stregua (comma 2) la morte non si considera cagionata in violazione del ridetto articolo (e del diritto alla vita per l’appunto in esso consacrato) se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario, fra l’altro (lettera a), per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale. La disposizione legittima dunque una difesa che comprima la vita dell’aggressore solo se ciò sia “<em>assolutamente necessario</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1952</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 ottobre esce la sentenza della Cassazione che si occupa della fattispecie in cui l’aggredito colpisca “<em>difensivamente</em>” un terzo in luogo dell’aggressore per errore nell’uso dei mezzi difensivi o per altra causa. Il regime dell’<em>aberratio</em> (ed in particolare dell’<em>aberratio ictus</em> ex art.82 c.p.) scatta per la Corte solo laddove non si configurino presupposti per scriminanti, e nel caso di specie si assiste invece ad una reazione difensiva che sarebbe scriminata ex art.52 c.p. ove diretta nei confronti dell’aggressore, mentre per errore essa coinvolge un terzo, con la conseguenza onde – in presenza dei pertinenti presupposti – il fatto va attribuito all’aggredito a titolo di colpa, con applicazione di regole analoghe a quelle che presidiano il c.d. eccesso colposo (art.55 c.p.).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1953</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 dicembre esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua il pericolo che legittima la difesa dell’aggredito ex art.52 c.p. deve essere imminente, dovendo dunque incombere al momento in cui si commette da parte dell’aggredito il fatto scriminato, all’uopo palesandosi non sufficiente che da parte dell’aggressore il danno sia semplicemente minacciato, ovvero preannunciato verbalmente alla vittima, ovvero temuto da questa, coincidendo piuttosto - in termini iniziali - l’attualità del pericolo con il tentativo penalmente rilevante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1955</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varata la legge n.848, con la quale l’Italia ratifica la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1959</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’8 aprile esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua il pericolo che legittima la difesa dell’aggredito ex art.52 c.p. deve essere imminente, dovendo dunque incombere al momento in cui si commette da parte dell’aggredito il fatto scriminato, all’uopo palesandosi non sufficiente che da parte dell’aggressore il danno sia semplicemente minacciato, ovvero preannunciato verbalmente alla vittima, o temuto da questa, coincidendo piuttosto - in termini iniziali - l’attualità del pericolo con il tentativo penalmente rilevante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1967</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua – in tema di proporzione tra offesa e difesa – va considerato il complesso della situazione aggressiva e di quella difensiva, non potendosi negare l’effetto scriminante, a valle di tale considerazione complessiva, quand’anche venga leso dall’aggredito, con una certa intensità offensiva, un bene dell’aggressore di consistenza superiore rispetto a quello minacciato o leso dell’aggredito medesimo, sempre che ciò compendi l’unica possibilità per quest’ultimo di sottrarsi al pericolo e sempre che la consistenza dell’interesse (vulnerato) dell’aggressore non si atteggi ad enormemente più rilevante di quello dell’aggredito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1969</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 novembre esce la sentenza della Cassazione onde la legittima difesa si configura anche in ipotesi di pericolo “<em>persistente</em>”, laddove l’aggressione, che ha già preso l’abbrivio, non si è ancora conclusa, giustificando la reazione dell’aggredito al fine di scongiurare il protrarsi degli effetti dannosi da essa in parte già prodotti. E’ l’ipotesi che in dottrina viene ravvisata nelle fattispecie di reato permanente, laddove è evidente la persistenza dell’attacco al diritto perpetrato dall’aggressore, nonché nella fattispecie in cui sia ancora <em>in itinere</em> il passaggio dalla situazione di mero pericolo a quella di danno effettivo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1124 alla cui stregua è offesa ingiusta, la reazione alla quale configura la scriminante della legittima difesa, quella che proviene da un’azione umana responsabile, non potendosi dunque applicare l’art.52 c.p. allorché il soggetto agente reagisca, con contegno penalmente rilevante, per fronteggiare il danno arrecato al proprio fondo da animali che vi si siano introdotti. Per la dottrina, in simili fattispecie (animali “<em>nullius</em>”, e dunque di nessuno) può semmai applicarsi la scriminante dello stato di necessità, ove ne ricorrano tutti i presupposti, con potenziale scriminabilità della condotta di cui all’art.727 c.p.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1974</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua è riconoscibile la scriminante della legittima difesa in capo al ladro che, inseguito dal derubato, venga attinto nella propria integrità fisica dall’esplosione di colpi di arma da fuoco, configurandosi un eccesso di legittima difesa che finisce col rendere “<em>ingiusta</em>” l’offesa di cui alla condotta del derubato rispetto ai beni giuridici del ladro in fuga.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1977</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 ottobre esce la sentenza della Cassazione onde la legittima difesa si configura anche in ipotesi di pericolo “<em>persistente</em>”, laddove l’aggressione, che ha già preso l’abbrivio, non si è ancora conclusa, giustificando la reazione dell’aggredito al fine di scongiurare il protrarsi degli effetti dannosi da essa in parte già prodotti. E’ l’ipotesi che in dottrina viene ravvisata nelle fattispecie di reato permanente, laddove è evidente la persistenza dell’attacco al diritto perpetrato dall’aggressore, nonché nella fattispecie in cui sia ancora <em>in itinere</em> il passaggio dalla situazione di mero pericolo a quella di danno effettivo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 febbraio esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua – inserendosi nel pertinente e minoritario filone giurisprudenziale - l’art.52 c.p. non opera laddove l’aggredito abbia volontariamente causato (o contribuito a causare) il pericolo al quale reagisce, venendo meno in queste fattispecie l’ingiustizia dell’offesa subita, che non può dirsi tale, per l’appunto, quando sia comunque scaturita da una condotta del medesimo agente aggredito che reagisce; e venendo meno altresì, ad un tempo, la necessità della reazione che può dirsi tale, e dunque “<em>necessitata</em>”, sul piano logico, solo quando non sia avvinta in nessun modo al fatto proprio del soggetto agente aggredito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 aprile esce la sentenza della Sezione I Cassazione alla cui stregua – in tema di proporzione tra offesa e difesa – va considerato il complesso della situazione aggressiva e di quella difensiva, non potendosi negare l’effetto scriminante, a valle di tale considerazione complessiva, quand’anche venga leso dall’aggredito, con una certa intensità offensiva, un bene dell’aggressore di consistenza superiore rispetto a quello minacciato o leso dell’aggredito medesimo, sempre che ciò compendi l’unica possibilità per quest’ultimo di sottrarsi al pericolo e sempre che la consistenza dell’interesse dell’aggressore non si atteggi ad enormemente più rilevante di quello dell’aggredito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 marzo esce la sentenza del Tribunale di Bolzano che assume applicabile l’art.52 c.p. anche laddove il pericolo di un’offesa ingiusta abbia ad oggetto un diritto di credito; ciò allorché taluno, dopo aver cagionato un sinistro stradale, si allontani dal luogo del sinistro stesso senza fornire i propri dati identificativi (circostanza tale da scriminare eventuali fattispecie di reato poste in essere dal creditore per trattenervelo).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 dicembre esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua il pericolo che legittima la difesa dell’aggredito ex art.52 c.p. deve essere imminente, dovendo dunque incombere al momento in cui si commette da parte dell’aggredito il fatto scriminato, all’uopo palesandosi non sufficiente che da parte dell’aggressore il danno sia semplicemente minacciato, ovvero preannunciato verbalmente alla vittima, o temuto da questa, coincidendo piuttosto - in termini iniziali - l’attualità del pericolo con il tentativo penalmente rilevante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 dicembre esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua – nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato - in tema di legittima difesa la proporzione va accertata con riguardo ai mezzi utilizzati dall’aggressore per minacciare l’offesa ingiusta e quelli a disposizione dell’aggredito, per l’appunto, per difendersi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1984</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 6 aprile esce la sentenza della Cassazione onde la legittima difesa si configura anche in ipotesi di pericolo “<em>persistente</em>”, laddove l’aggressione, che ha già preso l’abbrivio, non si è ancora conclusa, giustificando la reazione dell’aggredito al fine di scongiurare il protrarsi degli effetti dannosi da essa in parte già prodotti. E’ l’ipotesi che in dottrina viene ravvisata nelle fattispecie di reato permanente, laddove è evidente la persistenza dell’attacco al diritto perpetrato dall’aggressore, nonché nella fattispecie in cui sia ancora <em>in itinere</em> il passaggio dalla situazione di mero pericolo a quella di danno effettivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.10368, alla cui stregua il pericolo di cui all’art.52 c.p. deve essere attuale, così dovendosi escludere la riconducibilità alla scriminante in parola di una difesa meramente preventiva e anticipata che, proprio perché tale, è ontologicamente in contraddizione con il concetto di attualità del pericolo e di necessità della difesa stessa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio esce la sentenza della Cassazione secondo la quale – inserendosi in un orientamento consolidato – il giudizio in ordine all’eventuale c.d. <em>commodus discessus</em> dell’aggredito, e dunque alla relativa fuga, va operato con riguardo al momento dell’aggressione da questo subita, e dunque allorché il pericolo di offesa ingiusta creato dall’aggressore diviene attuale, non potendosi pretendere - al fine di assumere la difesa “<em>legittima</em>” - un <em>discessus</em> di tipo preventivo, che l’aggredito dovrebbe porre in essere quando il pericolo si profila ancora meramente ipotetico e futuro.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione alla cui stregua la reazione difensiva dell’aggredito non deve essere sostituibile con altra meno dannosa e parimenti efficace nei confronti dell’aggressore, sulla base di un giudizio fondato su concrete circostanze di tempo, di luogo e di persona.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.3494, alla cui stregua il pericolo che legittima la difesa dell’aggredito ex art.52 c.p. deve essere imminente, dovendo dunque incombere al momento in cui si commette da parte dell’aggredito il fatto scriminato, all’uopo palesandosi non sufficiente che da parte dell’aggressore il danno sia semplicemente minacciato, ovvero preannunciato verbalmente alla vittima, o temuto da questa, coincidendo piuttosto - in termini iniziali - l’attualità del pericolo con il tentativo penalmente rilevante. Non ricorre dunque l’applicabilità dell’art.52 c.p., per difetto di attualità del pericolo, in caso di mera comparsa di individuo che il soggetto agente sa animato da propositi di vendetta e munito di arma, difettando nel caso di specie una condotta che possa far presumere un intento di utilizzo immediato dell’arma stessa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 marzo esce la sentenza della Cassazione alla cui stregua il pericolo che legittima la difesa dell’aggredito ex art.52 c.p. deve essere imminente, dovendo dunque incombere al momento in cui si commette da parte dell’aggredito il fatto scriminato, all’uopo palesandosi non sufficiente che da parte dell’aggressore il danno sia semplicemente minacciato, ovvero preannunciato verbalmente alla vittima, coincidendo piuttosto - in termini iniziali - l’attualità del pericolo con il tentativo penalmente rilevante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione onde la legittima difesa si configura anche in ipotesi di pericolo “<em>persistente</em>”, laddove l’aggressione, che ha già preso l’abbrivio, non si è ancora conclusa, giustificando la reazione dell’aggredito al fine di scongiurare il protrarsi degli effetti dannosi da essa in parte già prodotti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 17 giugno esce la sentenza della Sezione I della Cassazione secondo la quale – inserendosi in un orientamento consolidato – il giudizio in ordine all’eventuale c.d. <em>commodus discessus</em> dell’aggredito, e dunque alla relativa fuga, va operato con riguardo al momento dell’aggressione da questo subita, e dunque allorché il pericolo di offesa ingiusta creato dall’aggressore diviene attuale, non potendosi pretendere - al fine di assumere la difesa “<em>legittima</em>” - un <em>discessus</em> di tipo preventivo, che l’aggredito dovrebbe porre in essere quando il pericolo si profila ancora meramente ipotetico e futuro.</p> <p style="text-align: justify;">.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 luglio esce la sentenza della Cassazione secondo la quale – inserendosi in un orientamento consolidato – il giudizio in ordine all’eventuale c.d. <em>commodus discessus</em> dell’aggredito, e dunque alla relativa fuga, va operato con riguardo al momento dell’aggressione da questo subita, e dunque allorché il pericolo di offesa ingiusta creato dall’aggressore diviene attuale, non potendosi pretendere - al fine di assumere la difesa “<em>legittima</em>” - un <em>discessus</em> di tipo preventivo, che l’aggredito dovrebbe porre in essere quando il pericolo si profila ancora meramente ipotetico e futuro.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.5886, alla cui stregua l’allontanamento dell’aggredito, e dunque la relativa fuga, è da assumersi quale soluzione obbligata (allorché possibile) se non fa correre (a propria volta) pericolo anche a terzi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6811, alla cui stregua, dal punto di vista della reazione difensiva, deve configurarsi una “<em>necessità</em>” di difendersi, onde il pericolo non può essere evitato se non attraverso la reazione nei confronti dell’aggressore che lo ha ingenerato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2554, alla cui stregua la reazione difensiva dell’aggredito non deve essere sostituibile con altra meno dannosa e parimenti efficace nei confronti dell’aggressore, sulla base di un giudizio fondato su concrete circostanze di tempo, di luogo e di persona.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 luglio esce la sentenza della Sezione I Cassazione n.6979, alla cui stregua – in tema di proporzione tra offesa e difesa – va considerato il complesso della situazione aggressiva e di quella difensiva, non potendosi negare l’effetto scriminante, a valle di tale considerazione complessiva, quand’anche venga leso dall’aggredito, con una certa intensità offensiva, un bene dell’aggressore di consistenza superiore rispetto a quello minacciato o leso dell’aggredito medesimo, sempre che ciò compendi l’unica possibilità per quest’ultimo di sottrarsi al pericolo e sempre che la consistenza dell’interesse (vulnerato) dell’aggressore non si atteggi ad enormemente più rilevante di quello dell’aggredito. Per la Corte, la proporzione tra i beni giuridici contrapposti, quello dell’aggredito alla difesa dell’incolumità personale propria o di terzi e quello dell’aggressore alla difesa della propria incolumità personale non può essere valutata in astratto, dovendosi piuttosto procedere ad un giudizio <em>ex ante</em> che presenta natura relativa e dinamica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione alla cui stregua – inserendosi nel pertinente filone giurisprudenziale - l’art.52 c.p. non opera laddove l’aggredito abbia volontariamente causato (o contribuito a causare) il pericolo al quale reagisce, venendo meno in queste fattispecie l’ingiustizia dell’offesa subita, che non può dirsi tale, per l’appunto, quando sia comunque scaturita da una condotta del medesimo agente aggredito che reagisce.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 luglio esce la sentenza della I Sezione della Cassazione n.9695, alla cui stregua, poiché l’art.52 c.p. parla di “<em>pericolo</em>” di una offesa ingiusta, tale norma scatta anche laddove la fattispecie aggressiva non abbia trovato un compimento in termini di concreto <em>vulnus</em> dell’aggredito, essendo piuttosto sufficiente una elevata probabilità di realizzazione del pertinente evento lesivo; ciò purché, nondimeno, il pericolo sia attuale, dacché se si tratta di pericolo futuro è sempre possibile ricorrere alla coercizione pubblica mentre, all’opposto, se si tratta di pericolo passato può al più configurarsi l’attenuante della provocazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione alla cui stregua il pericolo attuale di un’offesa ingiusta di cui all’art.52 c.p. deve avere ad oggetto un “<em>diritto</em>”, dovendo escludersi dall’usbergo precettivo della norma semplici situazioni di fatto, quand’anche il cittadino possa ritrarne determinati vantaggi o certune utilità soggettive.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della I Sezione della Cassazione n.3200, alla cui stregua, poiché l’art.52 c.p. parla di “<em>pericolo</em>” di una offesa ingiusta, tale norma scatta anche laddove la fattispecie aggressiva non abbia trovato un compimento in termini di concreto <em>vulnus</em> dell’aggredito, essendo piuttosto sufficiente una elevata probabilità di realizzazione del pertinente evento lesivo; ciò purché, nondimeno, il pericolo sia attuale, dacché se si tratta di pericolo futuro è sempre possibile ricorrere alla coercizione pubblica mentre, all’opposto, se si tratta di pericolo passato può al più configurarsi l’attenuante della provocazione. Per la Corte, conseguentemente, l’art.52 c.p. non è applicabile laddove il soggetto agente sia animato, a pericolo cessato, da risentimento o da ritorsione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione alla cui stregua il pericolo di offesa ingiusta, siccome creato dall’aggressore, deve essere – a fini scriminanti – accertato dal giudice in concreto, con una valutazione tanto <em>ex ante</em> quanto <em>ex post</em> che consideri tutte le circostanze obiettivamente verificatesi nel caso di specie, anche se conosciute successivamente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione alla cui stregua – inserendosi nel pertinente filone giurisprudenziale - l’art.52 c.p. non opera laddove l’aggredito abbia volontariamente causato (o contribuito a causare) il pericolo al quale reagisce, venendo meno in queste fattispecie la necessità della reazione che può dirsi tale, e dunque “<em>necessitata</em>”, sul piano logico, solo quando non sia avvinta in nessun modo con il fatto proprio del soggetto agente aggredito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3740, alla cui stregua nella fattispecie della legittima difesa ex art.52 c.p., perché il pericolo possa dirsi imminente deve sussistere uno iato temporale tra la consumazione dell’azione dell’aggressore e la reazione dell’aggredito, tale da conferire alle stesse il carattere della contestualità. Per la Corte il presupposto essenziale della legittima difesa, costituito da un’aggressione ingiusta, deve concretarsi in un pericolo, “<em>concreto</em>” appunto, di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto protetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 febbraio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.16908 alla cui stregua nella fattispecie della legittima difesa ex art.52 c.p., perché il pericolo possa dirsi imminente deve sussistere uno iato temporale tra la consumazione dell’azione dell’aggressore e la reazione dell’aggredito, tale da conferire alle stesse il carattere della contestualità. Per la Corte il presupposto essenziale della legittima difesa, costituito da un’aggressione ingiusta, deve concretarsi in un pericolo, “<em>concreto</em>” appunto, di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto protetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 febbraio viene varata la legge n.59, recante significativamente “<em>modifica all'articolo 52 del codice penale in materia di diritto all'autotutela in un privato domicilio</em>”, il cui art.1, comma 1, introduce nell’art.52 del c.p. due nuovi comma, onde nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma (violazione di domicilio), sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma (dell’art.52 c.p) se “<em>taluno</em>” legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità: b) i beni propri o altrui, quando non vi e' desistenza e vi e' pericolo d'aggressione (nuovo comma 2 dell’art.52 c.p.); tale disposizione si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale (nuovo comma 3 dell’art.52 c.p.). Dubbi si configurano in tema di attualità ed inevitabilità del pericolo corso dall’aggressore in sede “<em>difensiva</em>”, nulla dicendo sul punto i nuovi comma 2 e 3 rispetto a quanto continua invece ad affermare il comma 1 laddove disegna la legittima difesa “<em>tradizionale</em>”; novità di rilievo affiorano poi in tema di proporzione tra aggressione e reazione: tale proporzione “<em>sussiste</em>”, e dunque ne viene presupposta la compendiabilità, quando la reazione dell’aggredito giusta arma legittimamente detenuta od altro mezzo idoneo sia stata posta in essere dall’aggredito medesimo al fine di difendere l’incolumità propria od altrui; ovvero di difendere beni posti in pericolo da chi si sia abusivamente introdotto nel domicilio privato o in un luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale, sempre che (nel caso dei “<em>beni</em>”) non vi sia desistenza dell’aggressore e sempre che vi sia il pericolo di aggressione. Si configura una “<em>presunzione di proporzione</em>” che occorre qualificare assoluta o <em>iuris et de iure </em>(la difesa dell’aggredito resosi aggressore, avvalendosi della presunzione in parola, nulla deve provare in termini, ed il PM non può mai provare, in senso contrario, la sproporzione tra difesa e offesa), ovvero relativa e <em>iuris tantum</em> (la difesa dell’aggredito resosi aggressore, avvalendosi della presunzione in parola, nulla deve provare in termini, ma il PM può sempre provare, in senso contrario, la sproporzione tra difesa e offesa).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.25653, che si occupa delle modifiche apportate alla legittima difesa di cui all’art.52 c.p. dalla legge n.59.06. Per la Corte, tali modifiche hanno interessato il solo requisito della proporzionalità tra difesa e offesa, dovendosi assumere rimasti fermi gli ulteriori presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi quale mezzo di difesa della incolumità propria o di terzi. Più in specie, per il Collegio la reazione dell’aggredito per la difesa di propri “<em>beni</em>” (patrimonialmente intesi) può dirsi legittima solo quando non vi sia desistenza dell’aggressore e, piuttosto, si sviluppi un pericolo attuale coinvolgente l’incolumità fisica dell’aggredito o di un terzo, onde con riguardo alle azioni illecite poste in essere in luoghi di privata dimora (od in quelli ad essi equiparati) il legislatore ha presunto quella proporzione tra difesa e offesa che il comma 1 prevede quale requisito di ordine generale della “<em>legittima</em>” difesa, normalmente oggetto di doverosa prova da parte dell’aggredito che si sia fatto aggressore a fini difensivi. Proprio perché si è al cospetto di tale presunzione di proporzione, nelle nuove ipotesi di cui ai comma 2 e 3 dell’art.52 c.p. al giudice penale non è più consentito raffrontare i beni giuridici oggetto, rispettivamente, dell’offesa e della difesa, né i mezzi usati dall’offensore e dal difensore. Il giudice resta invece pienamente titolare del potere di accertare gli altri requisiti (non presunti) di cui all’art.52, comma 1, c.p., con particolare riguardo all’attualità dell’offesa ingiusta ed alla inevitabilità della difesa, onde la reazione difensiva si palesa davvero “<em>necessaria</em>” solo quando è “<em>inevitabile</em>” e dunque – collocandosi <em>ex ante</em> - non surrogabile da altra condotta meno lesiva dei beni giuridici dell’aggressore e parimenti idonea a garantire tutela all’aggredito. Qualora non faccia correre pericoli a sé o a terzi, l’allontanamento dell’aggressore e dunque la relativa messa in fuga si configura dunque sempre come soluzione di tipo obbligato, potendosi ricorrere a quell’atto violento che è la reazione (per giunta con uso di armi) solo in termini di <em>extrema ratio</em> difensiva di beni propri o di terzi diversi dall’onore, non potendosi dunque dire – per il Collegio – divenuta ormai anacronistica tutta la giurisprudenza ante riforma sul c.d. <em>commodus discessus</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6591 alla cui stregua il pericolo di cui all’art.52 c.p. è attuale quando non si presenta meramente ipotetico o astratto, una rappresentazione meramente congetturale ed astratta ad opera dell’aggredito in ordine alla generica possibilità che nell’immediato futuro possano essere perpetrati da parte dell’aggressore eventuali atti di violenza non palesandosi idonea ad integrare il requisito del pericolo effettivo, concreto ed attuale di uno specifico <em>vulnus</em> alla posizione giuridica del soggetto agente, né potendo dare adito alla supposizione erronea del ridetto pericolo tale da recare seco la legittimità della difesa, dovendo piuttosto ricorrere un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una ben determinata “<em>offesa ingiusta</em>” che si prospetti concreta ed imminente, tale da rendere necessaria la immediata reazione difensiva “<em>in continenti</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.23221 che, in tema di rapporto di proporzione tra offesa e difesa ex art.52 c.p., afferma tale proporzione compendiare un giudizio capace di coinvolgere tanto gli interessi (beni giuridici) giustapposti dell’aggredito e dell’aggressore, quanto l’intensità delle rispettive offese, ma che va ulteriormente “<em>mediato</em>” attraverso l’accertamento di una serie di circostanze di fatto oggettive e contingenti, con particolare riguardo: al tempo e al luogo dell’azione aggressiva e della reazione difensiva; ai mezzi reciprocamente posti in campo dai contendenti; al livello di ingiustizia perpetrato; all’effettiva attualità ed inevitabilità del pericolo e dunque all’eventuale percorribilità di strade alternative rispetto a quella prescelta dall’aggredito in sede difensiva; al difetto di colpa in capo all’aggredito (che ad esempio non si è reso protagonista della provocazione della minaccia in corso); più in generale, alle caratteristiche fisio-psichiche dell’aggredito, ai relativi rapporti di forza con l’aggressore ed al c.d. “<em>valore esistenziale</em>” che il bene minacciato di offesa ingiusta dall’aggressore assume, nel caso di specie, per l’aggredito stesso</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.691 alla cui stregua, anche quando la legittima difesa si atteggia a “<em>domiciliare</em>” (art.52, comma 2 e 3, c.p.), per invocarla come scriminante occorre che sia in atto un’aggressione, o quanto meno un pericolo di aggressione. Se dunque è vero per il Collegio che la proporzione tra difesa e offesa è ormai presunta, ciò ha lasciato comunque immutati gli altri presupposti “<em>ordinari</em>” dell’attualità dell’offesa, da un lato, e della inevitabilità dell’uso dell’arma quale strumento di offesa della incolumità o dei beni dell’aggressore, dall’altro: tali presupposti generali vanno dal giudice penale scandagliati in via preventiva, e solo una volta acclaratane la concreta sussistenza nel caso di specie è possibile per il giudice medesimo presumere la proporzionalità tra difesa e offesa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 3 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.28802 alla cui stregua, anche quando la legittima difesa si atteggia a “<em>domiciliare</em>” (art.52, comma 2 e 3, c.p.), per invocarla come scriminante occorre che sia in atto un’aggressione, o quanto meno un pericolo di aggressione. Se dunque è vero per il Collegio che la proporzione tra difesa e offesa è ormai presunta, ciò ha lasciato comunque immutati gli altri presupposti “<em>ordinari</em>” dell’attualità dell’offesa, da un lato, e della inevitabilità dell’uso dell’arma quale strumento di offesa della incolumità o dei beni dell’aggressore, dall’altro: tali presupposti generali vanno dal giudice penale scandagliati in via preventiva, e solo una volta acclaratane la concreta sussistenza nel caso di specie è possibile per il giudice medesimo presumere la proporzionalità tra difesa e offesa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 settembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.36987, onde non può il giudice penale assumere inapplicabile l'art. 52 c.p. limitandosi ad affermare che l'imputato avrebbe potuto sottrarsi all'aggressione mediante la fuga, dovendo egli piuttosto motivare adeguatamente in che modo la dinamica degli eventi e la loro progressione concreta consentissero o meno all'aggredito di intraprendere una iniziativa qualificabile come <em>commodus discessus</em> in luogo della esperita legittima difesa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.44011, che decide una fattispecie nella quale l'imputato si è introdotto all'interno di un bar, in assenza di volontà contraria del pertinente titolare dello <em>ius excludendi</em>. Per la Corte, la causa di giustificazione prevista dall'art. 52, 2° comma, c.p., siccome modificato dall'art. 1 l. 13 febbraio 2006 n. 59 (c.d. legittima difesa “<em>domiciliare</em>”) non opera nell'ipotesi di trattenimento del soggetto passivo del reato all'interno di un esercizio commerciale, non rilevando siffatta condotta ai fini dell'integrazione della violazione di domicilio ove non vi sia stata espressa manifestazione della volontà contraria da parte del titolare dello <em>ius excludendi alios</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.56330, alla cui stregua non è invocabile la scriminante della legittima difesa da parte di chi reagisca ad una situazione di pericolo volontariamente determinata, come nel caso di specie, di omicidio maturato nell'ambito di un tentativo di rapina a mano armata e perpetrato dagli imputati reagendo alla condotta violenta serbata dalla vittima, che aveva brandito un badile contro di loro in conseguenza dell'esplosione, da parte dei medesimi, di un colpo di fucile a scopo intimidatorio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.52617, che assume non configurabile l'esimente della legittima difesa allorché il soggetto non agisca nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma piuttosto per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.15460. Per la Corte <em>in primis</em>, secondo l’orientamento del tutto consolidato della propria giurisprudenza, l’accertamento della legittima difesa putativa, così come di quella reale, deve essere effettuato con giudizio <em>ex ante</em> delle circostanze di fatto, rapportato al momento della reazione e dimensionato nel contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete al fine di apprezzare solo in quel momento l’esistenza dei canoni della proporzione e della necessità di difesa (Sez. 5, n. 3507 del 04/11/2009 - dep. 2010, Siviglia; conf., <em>ex plurimis</em>, Sez. 4, n. 33591 del 03/05/2016, Bravo); circostanze concrete, peraltro, alla luce delle quali, nel caso di specie, la Corte di merito ha altresì rimarcato la mancanza di proporzione tra l’offesa minacciata e la reazione difensiva (cfr. <em>ex plurimis</em>, Sez. 1, n. 47117 del 26/11/2009, Carta; Sez. 1, n. 45407 del 10/11/2004, Podda; Sez. 1, n. 9695 del 15/04/1999, De Rosa). D’altra parte, prosegue il Collegio, la Corte distrettuale ha ricostruito il segmento decisivo della vicenda rilevando, in buona sostanza, che il ricorrente aveva accettato la sfida dell’antagonista il che, secondo l’orientamento anch’esso del tutto consolidato della giurisprudenza della Corte medesima, esclude la configurabilità della scriminante (<em>ex plurimis</em>, Sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012 - dep. 2013, Spano; Sez. 1, n. 9606 del 09/01/2004, De Rosa), come, del resto, puntualmente rilevato dalla sentenza di primo grado. Dalla ritenuta insussistenza dei presupposti della scriminante discende, nel percorso argomentativo dei giudici di merito, l’esclusione della configurabilità dell’eccesso colposo della legittima difesa, conclusione, questa, del tutto coerente con il consolidato principio di diritto in forza del quale non può essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 cod. pen. in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti (Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti; conf., <em>ex plurimis</em>, Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010,; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 - dep. 2009, P.G. in proc. Olari, Rv. 242349).</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, come la Corte dichiara di avere già avuto modo di affermare, vanno esclusi l’eccesso di legittima difesa e la legittima difesa putativa allorquando l’aggressore attenti con arma da taglio all’incolumità di un uomo disarmato mirando a zone vitali del corpo, senza presentare a propria volta alcuna lesione dimostrativa di un’aggressione patita (così, sia pure in tema di tentato omicidio, Sez. 1, n. 26878 del 25/05/2012, Inturri).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione civile n.12820, alla cui stregua la reazione dell'imprenditore che sia danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, solo quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta. Nel caso di specie, la Corte conferma la decisione di merito impugnata che ha ritenuto sleale, perché sproporzionata, la campagna di denigrazione effettuata da un imprenditore contro l'ex agente, il quale aveva avviato un'attività commerciale in violazione del patto di non concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della IV Sezione della Cassazione n.24084, onde l'accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa (reale o putativa) e dell'eccesso colposo deve essere effettuato dal giudice penale con giudizio <em>ex ante</em> calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito medesimo, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all'azione che possano aver avuto concreta incidenza sull'insorgenza dell'erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un'ingiusta aggressione. Nel caso di specie, la Corte ha confermato l'assoluzione di un appuntato dei carabinieri che ha rilevato la presenza sul manto stradale di sassi volti a bloccare l'auto su cui viaggiava e, dopo aver visto una persona avvicinarsi con volto travisato e una pistola giocattolo, ha reagito esplodendo colpi di arma da fuoco che hanno attinto il presunto aggressore al petto cagionandone la morte.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.30910, alla cui stregua - in tema di legittima difesa - l'eccesso colposo si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia dell’aggredito nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza, mentre si fuoriesce da esso tutte le volte in cui i limiti della necessità della difesa vengano superati in conseguenza di una scelta cosciente e volontaria, così trasformando la reazione in uno strumento (doloso) di aggressione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.37289 che assume non invocabile la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, da parte di colui che abbia innescato o accettato un duello o una sfida, ovvero abbia attuato una spedizione punitiva nei confronti dei propri avversari, mancando, in tal caso, il requisito della convinzione - sia pure erronea - di dover agire per scopo difensivo. Nel caso di specie il soggetto agente, avvertito che fuori dal locale pubblico in cui si trovava lo attendeva un gruppo avversario, pur potendo fare ricorso alle forze dell'ordine per sventare il pericolo di un'aggressione, è uscito all'esterno armato di un coltello a serramanico, colpendo all'addome uno dei rivali.</p> <p style="text-align: justify;"> * * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. n. 48291 che si occupa dell'attualità del pericolo richiesta per la configurabilità della scriminante della legittima difesa; per la Corte, tale attualità implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta la quale si prospetti all’aggredito come concreta e imminente, così da rendere necessaria l'immediata reazione difensiva, onde resta estranea all'area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata. Nel caso di specie, la Corte conferma la decisione dei giudici di merito che hanno ravvisato gli estremi del delitto di omicidio doloso nella condotta dell'imputata, la quale, sottoposta da tempo a gravi violenze fisiche e psicologiche da parte del marito, aveva inferto a quest'ultimo, mentre si trovava addormentato, numerose ferite mortali con un coltello, nel timore di subire ulteriori aggressioni che si sarebbero verificate al risveglio della vittima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.9463, onde in tema di legittima difesa, l'eccesso colposo si verifica ogniqualvolta la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza; nel caso di specie, per la Corte è da assumersi immune da censure la sentenza che ha riconosciuto l'eccesso colposo dell'imputato il quale, molestato dalla persona offesa, visibilmente ubriaca e con equilibrio precario ed instabile, l'ha spinta, seppure in modo lieve, facendola cadere in terra e cagionandone il decesso.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza della I Sezione della Cassazione n.13851, che si occupa dei rapporti tra la legittima difesa domiciliare putativa e possibile eccesso colposo. La Corte osserva <em>in primis</em> come l'art. 52 cod. pen., comma 2, introdotto dalla L. n. 59 del 2006, abbia stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, "<em>nei casi previsti dall'art. 614, primo e secondo comma</em>", se "<em>taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione</em>". Il terzo comma dell'articolo citato aggiunge poi che "<em>la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale</em>", così estendendo l'applicazione dell'esimente anche ai fatti avvenuti nei luoghi di lavoro, non rientranti <em>ex se</em> nella nozione di domicilio o di privata dimora (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, n. 3 del Considerato in diritto). Quando vi sia l'introduzione in uno di detti luoghi o anche quando l'agente ivi si trattenga <em>invito domino</em>, l'uso dell'arma legittimamente detenuta è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l'altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione. In presenza delle suddette condizioni, non è più rimesso al giudice il giudizio sulla proporzionalità della difesa all'offesa, essendo il rapporto di proporzionalità sussistente per legge, e questo vale sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente, sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole. Nel caso però in cui l'agente abbia ritenuto per errore, determinato da colpa, di trovarsi nelle condizioni previste dalla difesa legittima, obiettivamente non sussistenti, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Tuttavia, chiosa ancora la Corte non ogni pericolo che si concretizza nell'ambito del domicilio giustifica la reazione difensiva, atteso che restano fermi i requisiti strutturali posti dall'art. 52 cod. pen., e cioè: il pericolo attuale di offesa ingiusta, da un lato, e la costrizione e necessità della difesa, dall'altro. Ciò – rappresenta ancora la Corte - è già stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità ( tra le molte: Sez. 1, n. 23221 del 27/05/2010, Grande; Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007, P.G. in proc. Grimoli), secondo cui le modifiche apportate all'art. 52 cod. pen. hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità; di conseguenza, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza ed anzi sussista un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza di legittimità – chiosa ancora la Corte - ha, poi, costantemente indicato che il giudizio sulla sussistenza di una causa di giustificazione, reale o presunta, deve compiersi "<em>ex ante</em>" sulla base delle circostanze caratterizzanti il caso concreto, dovendo il giudice esaminare, di volta in volta e in concreto, la particolare situazione di fatto che escluderebbe l'antigiuridicità della condotta prevista dalla legge come reato. Valutazione questa che va correlata con l'ambito del sindacato conducibile nel giudizio di legittimità, che non può investire l'intrinseca attendibilità delle prove e il risultato della loro interpretazione, ne' riguardare il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, ma deve limitarsi ad accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati secondo le regole della logica e del diritto ed in base ad uno sviluppo argomentativo congruo, che dia conto in termini di corretta consequenzialità delle conclusioni raggiunte, senza poter mai opporre una ricostruzione dei fatti alternativa a quella prospettata dalle sentenze di merito, anche se altrettanto logica e plausibile.</p> <p style="text-align: justify;">Nel ricorso di cui al caso di specie si deduce innanzitutto che la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere in radice la possibilità di applicazione della legittima difesa domiciliare, anche solo putativa, poiché il V., durante l'intero svolgimento dell'azione e sino al relativo epilogo, si era mantenuto sulla soglia del locale, intento a forzarne la porta, ma senza riuscire ad introdursi. Di conseguenza il tentato omicidio non era avvenuto "<em>nei casi previsti dall'art. 614, comma 1 e 2 cod. pen."</em> e "<em>nei luoghi ivi indicati</em>". Sul punto, la sentenza impugnata ha argomentato, evidenziando come l'azione di effrazione del cancello esterno, già portata a compimento, e poi della porta di ingresso, "<em>ultimo baluardo prima dell'incontro fisico</em>", integrava la situazione lesiva legittimante l'azione a tutela della dimora privata (<em>recte</em>, del luogo ad essa assimilato), in presenza di elementi che univocamente portavano ad escludere il mero danneggiamento non finalizzato all'ingresso.</p> <p style="text-align: justify;">A tali corrette osservazioni – precisa la Corte - si deve aggiungere un ulteriore dato, e cioè che l'art. 614 cod. pen., tutela non solo l'inviolabilità dell'abitazione o dei luoghi di privata dimora, ma anche le loro "<em>appartenenze</em>", intendendosi per tali quei luoghi caratterizzati da un rapporto di funzionalità, servizio o accessorietà con l'abitazione, ancorché non costituenti con questa corpo unico, ed è stato ritenuto consumato e non solo tentato il reato di violazione di domicilio da parte di chi si introduca, <em>invito domino</em>, all'interno di un edificio condominiale sul pianerottolo e avanti alla soglia di uno dei condomini avente, come gli altri, diritto di escludere l'intruso (Sez. 5, n. 1067 del 10/12/1981 - dep. 04/02/1982, De Sena) o nell'androne di uno stabile, che integra il concetto di "<em>appartenenza</em>", ad esso estendendosi la tutela prevista dalla legge per la violazione di domicilio (Sez. 2, n. 6962 del 20/03/1987, Marocchi); o ancora si introduca e si trattenga sulla soglia dell'abitazione altrui contro la volontà di chi abbia il diritto di escluderlo (Sez. 5, n. 12751 del 20/10/1998, Palmieri). Nel caso in esame, prosegue la Corte - come messo in evidenza dai giudici del merito - l'intrusione si era già verificata attraverso l'apertura del cancello esterno, che dava sulla pubblica via e che era stato già scassinato, e l'intrattenimento degli estranei sulla soglia di ingresso del locale, con esso costituente corpo unico, ad armeggiare sulla porta a vetri dietro cui si trovava, perfettamente visibile, il T.. E ciò rende irrilevante, ai fini dell'astratta applicazione della legittima difesa domiciliare, il dato discusso della mancata effettiva introduzione nel negozio e affatto fragile l'obiezione, secondo la quale l'imputato si sarebbe difeso troppo presto, mentre avrebbe dovuto aspettare ancora qualche minuto per verificare se il timore di un'azione violenta ai suoi danni (timore che i giudici di merito hanno ritenuto fondato per l'insistenza dell'azione di scasso proseguita al suo cospetto e benché egli si fosse nel frattempo palesato) avrebbe avuto attuazione.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la propria consolidata giurisprudenza, rammenta ancora la Corte, il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione quando vi sia (anche solo) il dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione, poiché tale dubbio non può che giovare all'imputato (tra molte: Sez. 1, n. 38399 del 30/10/2002, La Terra; Sez. 1, n. 8983 del 08/07/1997, Boiardi; Sez. 1, n. 9708 del 07/07/1992, p.c. in proc. Giacometti), e alla medesima soluzione deve pervenire, con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo, allorché emergano circostanze di fatto le quali giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l'erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, poiché tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa (Sez. 4, n. 4474 del 15/11/1990 (dep. 22/04/1991 ), P.M. in proc. Abate). E di tali circostanze i giudici del merito hanno dato per la Corte, nel caso di specie, ampia giustificazione, ritenendole indicative della ragionevole persuasione della necessità della reazione difensiva nell'impossibilità di agire altrimenti, a fronte dell'attualità dell'offesa, del difetto di desistenza e dell'incombente pericolo di aggressione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 aprile viene varata la legge n.36, recante modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa, il cui art.1 torna a novellare l’art.52 del c.p. Più in specie, stando al nuovo comma 2 si specifica che nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste “<em>sempre”</em> il rapporto di proporzione di cui al comma 1 del medesimo articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità: b) i beni propri o altrui, quando non vi e' desistenza e vi e' pericolo d'aggressione. Stando poi al nuovo comma 4, agisce “<em>sempre</em>” in stato di legittima difesa (che dunque assume foggia generalizzante) colui che compie un atto per respingere “<em>l'intrusione</em>” posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone, e ciò – alla stregua del comma 3 – anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale. La presunzione di proporzione tra difesa ed offesa sembra dunque ormai atteggiarsi – in presenza di una “<em>intrusione</em>” - ad assoluta (<em>iuris et de iure</em>) a favore dell’aggredito fattosi aggressore a fini difensivi, senza che il PM possa mai provare in senso opposto che vi è stata in realtà sproporzione tra le ridette difesa e offesa.</p> <p style="text-align: justify;">Importante anche l’aggiunta all’art.55 in tema di eccesso colposo di un nuovo comma 2, onde - nei casi di cui ai comma 2, 3 e 4 dell'articolo 52 - la punibilità del soggetto agente, che versi appunto in eccesso colposo, è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, n. 5, c.p. (minorata difesa), ovvero in stato di “<em>grave turbamento</em>” derivante dalla situazione di pericolo in atto, facendosi perno su un concetto poco tassativo e, anzi, singolarmente indefinito.</p> <p style="text-align: justify;">La novella incide anche (art.7) sulla legittima difesa siccome scolpita all’art.2044 c.c., venendo aggiunti a tale norma 2 nuovi comma, onde <em>in primis</em> nei casi di cui all'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iii/capo-i/art52.html">52</a>, commi secondo, terzo e quarto, del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è esclusa (nuovo comma 2); inoltre nel caso di cui all'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iii/capo-i/art55.html">55</a>, comma 2, del c.p. (eccesso colposo non punibile), al danneggiato è dovuta una indennità la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice, tenuto altresì conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato stesso (nuovo comma 3), atteggiandosi dunque l’eccesso colposo di legittima difesa, in ambito civile, come atto lecito dannoso.</p> <p style="text-align: justify;">Vengono poi inasprite le pene tanto per la violazione di domicilio ex art.614 c.p. quanto per il furto in abitazione e il c.d. furto con strappo ex art.624 bis c.p. (qui la concessione della sospensione condizionale della pena viene subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto a titolo risarcitorio alla persona offesa), quanto, infine, per la rapina (della quale viene aumentata la pena minima edittale).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.26044, onde il motivo con il quale l’odierno ricorrente, nel caso di specie, aveva sostenuto l’esistenza di una legittima difesa, in quanto la situazione di pericolo determinatasi dopo il diverbio verbale sarebbe stata imprevedibile, è stato ritenuto infondato dalla Corte di Appello, mancando, nella fattispecie, la necessità di difesa, in quanto i soggetti avevano, espressamente o implicitamente, acconsentito ad offese reciproche. Al riguardo infatti, chiosa la Corte, la configurabilità dell’esimente della legittima difesa deve escludersi nell’ipotesi in cui lo scontro tra due soggetti possa essere inserito in un quadro complessivo di sfida giacché, in tal caso, ciascuno dei partecipanti risulta animato da volontà aggressiva nei confronti dell’altro e quindi, indipendentemente dal fatto che le intenzioni siano dichiarate o siano implicite al comportamento tenuto dai contendenti, nessuno di loro può invocare la necessità di difesa in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non può avere il carattere della inevitabilità (Sez. 1, n. 365 del 24/09/1999, dep. 2000, Polichetti); l’uso della parola "<em>necessità</em>" nella formulazione legislativa dei requisiti della legittima difesa di cui all’art. 52 c.p., ha una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo, ivi compreso quello in cui l’agente abbia contribuito ad innescare una sorta di duello o sfida contro il proprio avversario o attuato una spedizione punitiva nei relativi confronti (Sez. 1, n. 12740 del 20/12/2011, dep. 2012, El Farnouchi); sicché, non è invocabile la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, da parte di colui che abbia innescato o accettato un duello o una sfida, ovvero abbia attuato una spedizione punitiva nei confronti dei propri avversari, mancando, in tal caso, il requisito della convinzione - sia pure erronea - di dover agire per scopo difensivo (Sez. 1, n. 37289 del 21/06/2018, Fantini; Sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012, dep. 2013, Spano: "<em>Non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida ponendosi volontariamente in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l’aggressione altrui</em>").</p> <p style="text-align: justify;">Nella fattispecie, è stato accertato che l’alterco tra G. e B. , sebbene originato dal risentimento del primo per motivi legati alla relazione extraconiugale della ex moglie, è stato accettato dal B. , che, del resto, secondo la ricostruzione dei fatti accertata, oltre ad avere attivamente partecipato alla colluttazione, ha colpito l’avversario con il coltello, mentre questi si trovava sottoposto a lui all’esito dello scontro fisico; alla stregua di tale ricostruzione, dunque, non è stata ritenuta sussistente la scriminante invocata, essendo venuta meno la stessa ratio della causa di giustificazione, la "<em>necessità</em>" di difendersi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare sulla legittima difesa in genere?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una causa di giustificazione, o scriminante;</li> <li>essa si atteggia ad epifania, nel diritto penale, del principio generale di autotutela;</li> <li>il potere coercitivo appartiene di regola allo Stato, che è dunque l’unico autorizzato ad utilizzare “<em>la forza</em>”, il relativo intervento richiedendo tuttavia inevitabili “<em>tempi tecnici</em>;</li> <li>dinanzi ad una repentina aggressione degli interessi di un consociato, non sempre l’intervento pubblico può essere sufficientemente tempestivo, potendo dunque talvolta non essere efficace per difendere l’interesse di volta in volta aggredito;</li> <li>secondo una scelta di “<em>prevalenza</em>”, il Legislatore assume in questi casi – per l’appunto – prevalente l’interesse di chi viene aggredito rispetto a quello di chi aggredisce ponendosi fuori da un quadro di liceità e provocando una situazione di pericolo di offesa ingiusta nei confronti dell’aggredito;</li> <li>tale prevalenza si traduce in non punibilità dell’aggredito che si difenda legittimamente, quand’anche giusta un fatto normalmente compendiante un inadempimento – reato, nei confronti dell’aggressore;</li> <li>in passato, il fondamento della legittima difesa è stato fatto poggiare su basi diverse, ormai superate: g.1) lo Stato delega all’aggredito la propria funzione di polizia, quando il ridetto Stato non possa intervenire con la necessaria rapidità: in realtà lo Stato resta l’unico titolare del potere di polizia, potendo eccezionalmente intervenire il privato in proprio “<em>autodifesa</em>”; g.2) l’aggredito non è punibile perché, sia che agisca a tutela di interessi propri, sia che eserciti il c.d. soccorso difensivo e dunque agisca a tutela di interessi di terzi, proprio laddove contrasta l’illecito perpetrato dall’aggressore, non è assistito da un tasso di adesione psicologica tale da farlo assumere colpevole: in realtà – stando alla dottrina più moderna ed accreditata - la legittima difesa, come tutte le scriminanti, agisce già in orbita oggettiva, escludendo la tipicità del fatto penalmente rilevante o, a tutto voler concedere, la relativa antigiuridicità, senza necessità di ridurne la portata sistematica facendola scemare a mero difetto di colpevolezza (e dunque a fatto tipico non colpevole).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare dell’aggressione “<em>offensiva</em>” dal lato di chi aggredisce?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>chi aggredisce pone il presupposto di fatto che consente alla scriminante – entro determinati limiti - di operare, scongiurando la punibilità di chi, per difendersi, ponga in essere un fatto che senza la ridetta aggressione sarebbe inadempimento-reato;</li> <li>la situazione aggressiva si connota per la creazione del pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio dell’aggredito ovvero appartenente a terzi;</li> <li>in sostanza una condotta umana crea una situazione di pericolo, quand’anche il soggetto agente si avvalga all’uopo di animali o di cose, utilizzando questi ultimi strumentalmente ed in via diretta per l’offesa alla sfera altrui, ovvero approfittando dell’inosservanza dei doveri di pertinente custodia in capo a chi dovrebbe appunto custodire, di volta in volta, l’animale o la cosa; laddove l’animale o la cosa siano invece “<em>nullius</em>”, può per la dottrina più avvertita configurarsi lo stato di necessità, ma non anche la legittima difesa;</li> <li>la condotta umana aggressiva, oltre che attiva (come normalmente accade), può anche avere foggia omissiva: l’omessa osservanza di un obbligo giuridicamente rilevante per la dottrina può infatti tradursi in una situazione di pericolo che costituisce aggressione all’interesse altrui, circostanza che <em>a fortiori</em> si verifica allorché la ridetta omissione integri un reato omissivo proprio;</li> <li>dal punto di vista soggettivo, è sufficiente la creazione del pericolo attuale di un’offesa ingiusta, anche laddove tale contegno non sia sorretto da dolo o colpa; in altri termini, non occorre che si configuri un’offesa <em>contra ius</em> (come tale, punibile), palesandosi sufficiente per l’operatività dell’art.52 c.p. che essa si atteggi ad offesa “<em>non iure</em>”, e dunque non sorretta da alcuna disposizione che la imponga o la autorizzi o, detto altrimenti, ingiustificata perché, secondo le parole della più illuminata dottrina, contraria alle “<em>valutazioni sociali di giustizia</em>” che costituiscono il “<em>substrato sostanziale</em>” del vigente ordinamento giuridico; la scriminante scatta poi, <em>a fortiori</em>, laddove l’offesa “<em>ingiusta</em>” nel senso anzidetto sia financo punibile (e dunque <em>contra ius</em>);</li> <li>è “<em>ingiusta</em>”, e come tale fonda l’operatività dell’art.52 c.p. ed il relativo effetto scriminante, l’offesa proveniente: f.1) da soggetto non imputabile; f.2) da soggetto immune; f.3) da soggetto che versi a propria volta in stato di necessità (e che come tale potrebbe anche essere chiamato a versare, in sede civile, l’indennizzo ex art.2045 c.c.); f.3) da soggetto che agisca già per legittima difesa, ma con “<em>eccesso di legittima difesa</em>” e dunque con reazione sproporzionata ed ingiustificata; f.4) più in generale, da soggetto che ecceda i limiti di una scriminante della quale ricorrano i presupposti, così facendo luogo appunto ad una situazione di offesa ingiusta all’interesse altrui;</li> <li>è “<em>non ingiusta</em>”, e come tale esclude l’operatività dell’art.52 c.p. (con reazione che diviene dunque illegittima), l’offesa “<em>autorizzata</em>” perché inferta a terzi nell’esercizio di una facoltà legittima, come nel caso; g.1) di chi esercita un diritto; g.2) di chi agisce nell’adempimento di un dovere; g.3) di chi è destinatario di un valido consenso dell’interessato alla lesione di un proprio diritto disponibile;</li> <li>particolare la fattispecie in cui la condotta che crea il pericolo di un’offesa ingiusta si giustappone ad altra che del pari crea un pericolo di offesa ingiusta: si parla in tali casi di legittima difesa reciproca, al cospetto della quale – secondo autorevole dottrina – è la condotta iniziale, e dunque quella che per prima crea il pericolo di un’offesa ingiusta, ad essere a propria volta “<em>ingiusta</em>”, mentre la condotta successiva porrà in essere una situazione di pericolo “<em>non ingiusta</em>” (proprio perché reagente rispetto alla prima) e dunque scriminata ex art.52 c.p.;</li> <li>il pericolo di offesa ingiusta deve aggredire non già una situazione di mero fatto (ancorché per avventura vantaggiosa per taluno) quanto piuttosto un “<em>diritto</em>”, e dunque una situazione giuridica soggettiva attiva; si tratta in particolare: i.1) di un diritto soggettivo, sia che si tratti di un diritto personale che patrimoniale; tra i diritti patrimoniali oggetto di offesa “<em>ingiusta</em>” vi è <em>in primis</em> la proprietà o un altro diritto reale, per la legittima difesa “<em>preventiva</em>” dei quali notissimi sono i c.d. <em>offendicula</em>, anche se non manca in dottrina chi, piuttosto che incasellarli “<em>passivamente</em>” nella legittima difesa, preferisce “<em>attivamente</em>” configurarli quali strumenti – sempre scriminanti – di esercizio del diritto (con limiti meno stringenti rispetto alla legittima difesa); più discussa l’operatività della legittima difesa allorché quello oggetto di pericolo di offesa ingiusta, e dunque di aggressione, sia un diritto di credito: la dottrina opta per la tesi affermativa quando il debitore aggressore che mette in pericolo il diritto di credito dell’aggredito debba “<em>dare</em>” o debba “<em>non facere</em>”, allorché i mezzi ordinari di tutela del pertinente credito possano essere frustrati dalla mancata, subitanea identificazione del debitore (autore dell’”<em>aggressione</em>”), potendo in simili fattispecie il creditore “<em>a rischio</em>” assumersi legittimato a trattenere il debitore (che non dà quello che deve o che fa quello che non deve), ai sensi dell’art.52 c.p., fino a quando non possa essere identificato, come nelle ipotesi di chi, dopo aver cagionato un sinistro stradale (e dunque violando un obbligo di non fare), si allontani senza farsi identificare, ovvero di chi consumi un pranzo sontuoso in un ristorante, per poi allontanarsi senza versare (e dunque violando un obbligo di dare) il corrispettivo al ristoratore; il diritto oggetto di aggressione deve avere ad oggetto, a propria volta, bene o beni individuali, mentre per la dottrina più accreditata (che trova difforme tuttavia parte della giurisprudenza) non è ammessa la legittima difesa orientata a difendere beni superindividuali o collettivi, e men che meno beni genericamente riconducibili all’interesse pubblico, come ad esempio l’ordine pubblico, non potendo il privato ingerirsi in sfere di azione riconducibili a compiti dello Stato; diversa è invece l’ipotesi in cui, dietro l’apparenza di un bene collettivo o comunque superindividuale, si celino in realtà interessi individuali dei quali l’apparente bene collettivo costituisce una proiezione, come nel caso dell’incolumità pubblica, laddove è ammessa la legittima difesa nei confronti di chi colloca un ordigno esplosivo, ovvero appicca un incendio; i.2) di un diritto potestativo; i.3) di un interesse legittimo;</li> <li>il pericolo di una offesa ingiusta può coinvolgere non solo un diritto proprio dell’aggredito, ma anche il diritto di un terzo, giustificando in entrambi i casi la reazione difensiva (nel primo caso, dell’aggredito, nel secondo, del terzo rispetto all’aggredito): quando l’aggredito è un terzo rispetto a chi legittimamente reagisce, si parla di soccorso difensivo, dovendosi in proposito distinguere – per dottrina e giurisprudenza di merito - due precise ipotesi: j.1) quando per il soccorritore non sussista del pari un pericolo, ovvero tale pericolo si sia esaurito, il relativo “<em>soccorso</em>” è doveroso ai sensi della norma che punisce, per l’appunto, l’omissione di soccorso, e dunque l’art.593 c.p.; j.2) quando vi sia pericolo anche per il soccorritore, l’intervento di soccorso è sempre facoltativo e scriminato ex art.52 c.p., salvo che si tratti di beni disponibili e l’aggredito destinatario del soccorso non abbia consentito alla pertinente offesa da parte dell’aggressore;</li> <li>trattandosi di “<em>pericolo</em>” di una offesa ingiusta, l’operatività dell’art.52 c.p. scatta anche laddove la fattispecie aggressiva non abbia trovato un compimento in termini di concreto <em>vulnus</em> dell’aggredito, essendo piuttosto sufficiente una elevata probabilità di realizzazione del pertinente evento lesivo; ciò purché, nondimeno, il pericolo (accertato dal giudice giusta valutazione in concreto, <em>ex ante</em> ed <em>ex post</em>) sia attuale, dacché se si tratta di pericolo futuro è sempre possibile ricorrere alla coercizione pubblica mentre, all’opposto, se si tratta di pericolo passato può al più configurarsi l’attenuante della provocazione; né può il pericolo essere meramente congetturale ed astratto, proprio per il relativo dover essere “<em>attuale</em>” e così scriminando la reazione dell’aggredito. Deve trattarsi di un pericolo imminente, che deve dunque incombere al momento in cui si commette da parte dell’aggredito il fatto scriminato: all’uopo non è sufficiente che da parte dell’aggressore il danno sia semplicemente minacciato, ovvero preannunciato verbalmente alla vittima, coincidendo piuttosto - in termini iniziali - l’attualità del pericolo con il tentativo penalmente rilevante; il pericolo è imminente quando è attuale ed effettivo, predicati che la dottrina assume talvolta confondibili tra loro, potendo un dato pericolo allo stato affermarsi esistente e dunque attuale, ma non ancora inevitabile o ineluttabile, e dunque non ancora effettivo e dunque tale da scriminare la reazione dell’aggredito. Può inoltre trattarsi di pericolo persistente - come nell’ipotesi paradigmatica dei reati permanenti - laddove l’aggressione, che ha già preso l’abbrivio, non si è ancora conclusa, giustificando la reazione dell’aggredito al fine di scongiurare il protrarsi degli effetti dannosi da essa in parte già prodotti, circostanza che si verifica anche quando, nei reati istantanei, non si sia ancora passati dalla fase di pericolo a quella di danno effettivo, come nelle fattispecie di furto in cui l’aggredito reagisce per scongiurare l’effettivo impossessamento, da parte dell’aggressore, del bene sottratto, laddove la dottrina tende a considerare il pericolo “<em>attuale</em>” in termini di protrazione fino a che si configurino ancora gli estremi della c.d. quasi-flagranza ex art.382 c.p.p.; più problematica la persistenza del pericolo che giustifica la legittima difesa dell’aggredito nelle ipotesi di reati abituali, laddove si considerino gli intervalli temporali che separano i singoli episodi offensivi, dacché – potendo in tali casi farsi ricorso al potere coercitivo pubblico – il pericolo creato dall’aggressore non può per l’appunto configurarsi attuale <em>sub specie</em> di “<em>persistente</em>”, tornando invece a configurarsi tale, e dunque imminente, ogni qual volta tornino a riaffacciarsi le condizioni che normalmente determinano la reiterazione offensiva (come nel classico caso, evocato in dottrina, del padre ubriaco che abitualmente maltratta i propri familiari, e che crea un pericolo attuale non già mentre è fuori a bere, quanto piuttosto nel momento in cui rientra in casa sotto i fumi dell’alcool). A differenza di quanto si riscontra all’art.54 c.p. in tema di stato di necessità, laddove è espressamente richiesto che il pericolo non sia stato volontariamente causato dall’aggredito, l’art.52 c.p. resta silente sul punto, fronteggiandosi allora 2 tesi contrapposte, che coinvolgono per lo più le fattispecie di rissa, di duello e più in generale di “<em>sfida</em>”: k.1) per la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza minoritaria, la legittima difesa scatta anche laddove il pericolo sia stato volontariamente creato dall’aggredito che reagisce; k.2) per la dottrina minoritaria e la giurisprudenza maggioritaria, all’opposto, vale la medesima regola di cui all’art.54 c.p., onde la scriminante della legittima difesa va assunta del pari inapplicabile laddove l’agente aggredito si sia messo volontariamente nella situazione che ha fatto affiorare per lui il pericolo, venendo meno l’<em>animus defendendi</em> che è sotteso alla scriminante <em>de qua</em>: in queste ipotesi, per taluni non vi è necessità di reazione, poiché la reazione è necessitata solo quando difetti qualunque nesso con il fatto dell’agente aggredito (il quale invece, nel caso di specie, ha concorso a creare il pericolo nei confronti del quale reagisce); per talaltri invece l’offesa dell’aggressore non è ingiusta, essendo scaturita da una condotta dello stesso aggredito; per talaltri ancora si è al cospetto tanto di un’offesa dell’aggressore che non è ingiusta, quanto di una reazione dell’aggredito che non è necessitata.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare della reazione “<em>difensiva</em>” dal lato di chi reagisce?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>deve in primo luogo configurarsi una “<em>necessità di difendersi</em>”; in sostanza, l’unico modo per sfuggire al pericolo ingenerato dall’aggressore è reagire all’aggressore medesimo; la reazione posta concretamente in essere per difendere il diritto aggredito non deve peraltro essere fungibile con altra che, a parità di efficacia, sia meno dannosa per l’aggressore, tenendo conto delle – del pari concrete – circostanze di tempo, di luogo e di persona; non si può dunque, da parte dell’aggredito, difendere il diritto esposto dall’aggressore ad un’offesa ingiusta se non – giocoforza – attraverso una reazione che compendi un fatto inadempimento-reato tipico, stante la inidoneità all’uopo tanto di condotte alternative lecite, quanto di condotte alternative del pari illecite, ma meno lesive della sfera giuridica dell’aggressore rispetto a quella in concreto tenuta; la “<em>necessità di difendersi</em>” deve sospingere l’aggredito a reagire all’aggressore, e non già a reagire nei confronti di un terzo, potendo quest’ultimo essere coinvolto nella reazione difensiva con fatto inadempimento reato dell’aggredito scriminato solo ove si tratti non già di legittima difesa ex art.52 c.p., quanto piuttosto di stato di necessità ex art.54 c.p. (la fattispecie evocata in dottrina è quella della cameriera aggredita sul luogo di lavoro da chi, aggressore, si sia introdotto nell’abitazione datoriale allorché, per respinge tale aggressione, essa scagli addosso al malintenzionato un prezioso vaso cinese di proprietà del terzo datore di lavoro); ancora diverso è il caso in cui l’aggredito colpisca il terzo per errore nell’uso dei mezzi difensivi o per altra causa, dal momento che il regime dell’<em>aberratio</em> (ed in particolare dell’<em>aberratio ictus</em> ex art.82 c.p.) scatta laddove non si configurino presupposti per scriminanti, e nel caso di specie si assiste invece ad una reazione difensiva che sarebbe scriminata ex art.52 c.p. ove diretta nei confronti dell’aggressore, mentre per errore si coinvolge un terzo, con la conseguenza onde – in presenza dei pertinenti presupposti – il fatto va attribuito all’aggredito a titolo di colpa, con applicazione di regole analoghe a quelle che presidiano il c.d. eccesso colposo (art.55 c.p.);</li> <li>poiché sovente la fattispecie consentirebbe all’offeso aggredito la fuga, da intendersi come <em>commodus discessus</em> rispetto alla più grave commissione di un fatto inadempimento reato eventualmente scriminato dalla “<em>legittima</em>” difesa, si fronteggiano due opposte tesi: b.1) la fuga ha sempre una consistenza disonorevole, potendo dunque il soggetto aggredito sempre reagire al pericolo dell’offesa ingiusta siccome ingenerato dall’aggressore, senza essere per l’appunto costretto a fuggire (tesi più remota ed ormai superata); b.2) quando la fuga non compendia un disonorevole abbandono del campo e dunque si atteggia a sicura, agevole e non vergognosa, essa va sempre preferita alla legittima difesa, che dunque in tal caso non produce effetto scriminante sul fatto inadempimento reato eventualmente commesso dall’aggredito che avrebbe potuto fuggire (tesi più recente e via via invalsa); b.3) considerare il “<em>discessus</em>” della fuga come <em>commodus</em> ovvero, all’opposto, <em>incommodus</em>, dipende dal bilanciamento degli interessi coinvolti, siccome affioranti dalla scena del fatto, onde la possibilità di fuga può in determinati casi provocare a sé o a terzi un danno maggiore di quello riannodabile alla reazione difensiva, ed è questo il caso in cui, pur potendo l’aggredito fuggire, la relativa reazione difensiva va comunque assunta scriminata (tesi mediana, preferita dalla dottrina e da parte della giurisprudenza);</li> <li>sul crinale della proporzione, occorre che all’offesa minacciata dall’aggressore corrisponda una reazione difensiva dell’aggredito, per l’appunto, “<em>proporzionata</em>”; in sostanza, si tratta di un principio che si colloca tra offesa e difesa, onde quest’ultima è tale solo se proporzionata, e dunque in equilibrio, rispetto alla prima, dovendosi altrimenti negare al pertinente comportamento il predicato di defensionale; proprio facendo leva sulla proporzione, secondo parte della dottrina scema la necessità che sussista un equilibrio tra interesse (bene giuridico) dell’aggressore ed interesse (bene giuridico) dell’aggredito, potendo la situazione di fatto, siccome concretamente atteggiantesi, giustificare anche una reazione difensiva nei confronti di interessi personali a tutela di interessi patrimoniali; dinanzi a diritti costituzionalmente tutelati che si giustappongono tra loro, è il canone della proporzione ad operare un “<em>riequilibrio</em>”, onde – sulla scorta degli elementi fattuali siccome concretamente accertati dal giudice penale – il <em>vulnus</em> inferto agli interessi (beni) dell’aggressore, che normalmente costituirebbe inadempimento-reato, assume un volto scevro da arbitrarietà e da connotati eccessivi; secondo la voce più accreditata in dottrina e giurisprudenza, quello della proporzione è un requisito di tipo “<em>relativistico - non aritmetico</em>”, che va accertato con giudizio collocantesi <em>ex ante</em>: occorre in proposito partire dal principio onde <em>adgreditus non habet staderam in manu</em> (l’aggredito non ha in mano il bilancino), onde la proporzione non può coinvolgere <em>ex post</em> le offese siccome effettivamente subite da aggredito e da aggressore, ma quelle che l’aggredito poteva ragionevolmente temere dall’aggressore rispetto a quelle “<em>difensivamente</em>” da lui messe in campo; per quanto riguarda poi gli elementi da prendere in considerazione al fine di scandagliare la ridetta proporzione della difesa rispetto all’offesa, si registrano 2 teorie contrapposte: c.1) tesi minoritaria più remota: si tratta di proporzione tra i mezzi usati dall’aggressore e quelli a disposizione dell’aggredito per difendersi; senonché, l’art.52 cristallizza la proporzione come canone tra i due poli dell’”<em>offesa</em>” e della “<em>difesa</em>”, mentre l’equilibrio tra i mezzi a disposizione, rispettivamente, dell’aggressore e dell’aggredito (che peraltro, a rigore, non potrebbero neppure essere considerati nella rispettiva consistenza meramente astratta, potendo in concreto esprimere entrambi una gamma variopinta di potenzialità offensiva) appare già insito nel concetto di “<em>necessità</em>”, palesandosi “<em>necessario</em>” utilizzare il mezzo che è già capace di neutralizzare l’offesa minacciata, e “<em>non necessario</em>” quello che va oltre questo scopo; c.2) tesi maggioritaria tradizionale: si tratta di proporzione tra i beni (<em>rectius</em>, interessi) giustapposti, quello fatto oggetto di minaccia in capo all’aggredito e quello “<em>difensivamente</em> <em>aggredito</em>” riconoscibile in capo all’aggressore, dovendo peraltro farsi riferimento al grado del pericolo potenziale o della lesione attuale, onde in caso di necessaria difesa di un interesse patrimoniale consistente dell’aggredito, può assumersi proporzionato anche un <em>vulnus</em> lieve ad un interesse personale dell’aggressore; solo considerando le due offese in senso “<em>dinamico</em>”, osserva attenta dottrina, è possibile scandagliarne il grado di proporzione che le avvince, dovendosi considerare tanto la consistenza degli interessi oggetto di <em>vulnus</em> quanto il pericolo da ciascuno di essi effettivamente corso, onde laddove si tratti di interessi (beni giuridici) dell’aggredito e dell’aggressore omogenei è sufficiente un confronto tra le intensità delle rispettive offese, mentre nella diversa ipotesi di interessi (beni giuridici) disomogenei o financo eterogenei, il giudizio di proporzione si fa più impegnativo, dovendo il criterio dell’intensità delle rispettive offese essere letto nello spettro della gerarchia di valori disegnata dal sistema, e in particolare dalla Carta costituzionale; c.3) tesi maggioritaria “<em>globale</em>” più recente: la proporzione è giudizio che coinvolge tanto gli interessi (beni giuridici) giustapposti dell’aggredito e dell’aggressore, quanto l’intensità delle rispettive offese, ma che va mediato attraverso l’accertamento di una serie di circostanze di fatto oggettive e contingenti, con particolare riguardo: al tempo e al luogo dell’azione aggressiva e della reazione difensiva; ai mezzi (a disposizione e) reciprocamente posti in campo dai contendenti; al livello di ingiustizia perpetrato; all’effettiva attualità ed inevitabilità del pericolo e dunque all’eventuale percorribilità di strade alternative rispetto a quella prescelta dall’aggredito in sede difensiva; al difetto di colpa in capo all’aggredito (che ad esempio non si è reso protagonista della provocazione della minaccia in corso); più in generale, alle caratteristiche fisio-psichiche dell’aggredito, ai relativi rapporti di forza con l’aggressore ed al c.d. “<em>valore esistenziale</em>” che il bene minacciato di offesa ingiusta dall’aggressore assume, nel caso di specie, per l’aggredito stesso.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare della legittima difesa “<em>domiciliare</em>” di cui all’art.52, comma 2 e 3, c.p., siccome disegnata dalla legge n.59.06?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una nuova fattispecie di legittima difesa, rispetto a quella tradizionale che continua ad essere disciplinata al comma 1 dell’art.52;</li> <li>nelle nuove fattispecie di cui ai comma 2 e 3 il perno disciplinare è la finalità di difesa che connota la reazione dell’aggredito, mentre nessun riferimento viene fatto ai requisiti dell’attualità del pericolo e della necessità-inevitabilità della difesa, previsti appunto al comma 1;</li> <li>il problema è allora quello di capire se nei comma 2 e 3 dell’art.52 si riscontri una figura nuova, autonoma e speciale di legittima difesa, rispetto a quella disegnata tradizionalmente al comma 1, confrontandosi sul punto due tesi: c.1) tesi della giurisprudenza e di parte della dottrina: si tratta di una fattispecie speciale di legittima difesa che trova il proprio <em>ubi consistam</em> nel particolare contesto in cui si consuma l’aggressione, e dunque la minaccia di offesa ingiusta, perpetrata nei confronti dell’aggredito; proprio perché speciale, si tratta di fattispecie derogatoria rispetto a quanto previsto in via generale al comma 1, in tema di proporzione tra difesa ed offesa, ma sempre nel quadro della legittima difesa tradizionale di cui al ridetto comma 1, dal quale dipendono strutturalmente i successivi (e nuovi) comma 2 e 3; quello che è “<em>speciale</em>” rispetto alla fattispecie generale, che per il resto rimane tale, è il solo requisito della proporzione, da assumersi ormai presunta laddove la reazione difensiva e, prima ancora, l’aggressione dell’offensore abbiano luogo in un contesto di violazione di domicilio; in sostanza, anche nei casi di cui ai comma 2 e 3 del nuovo art.52 restano fermi i presupposti dell’attualità dell’offesa perpetrata dall’aggressore e della inevitabilità dell’uso delle armi da parte dell’aggredito quale mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità, la modifica normativa interessando il solo presupposto della proporzionalità tra offesa e difesa, come dimostra la circostanza onde – laddove siano aggrediti beni - occorre che non vi sia desistenza dell’aggressore e vi sia pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito; in sostanza, laddove l’aggressione venga perpetrata in un luogo di privata dimora o equiparato, il legislatore presume la proporzione tra offesa e difesa, senza che il giudice debba di volta in volta mettere a confronto i beni (interessi) giuridici coinvolti dall’offesa e dalla difesa ridetta, né i mezzi messi in campo, rispettivamente, da aggressore e aggredito; il giudice medesimo non è stato tuttavia contestualmente privato dal legislatore del potere di accertare gli ulteriori requisiti previsti dal comma 1 dell’art.52, e dunque l’attualità dell’offesa ingiusta e la inevitabilità della difesa, in difetto dei quali anche la scriminante ex art.52, comma 2 e 3, non potrebbe dunque dirsi operante, onde la reazione è davvero “<em>necessaria</em>” quando si atteggia ad inevitabile e non sostituibile con altra meno lesiva ed ugualmente capace di salvaguardare gli interessi dell’aggredito; è sempre (obbligatoriamente) preferibile, in questo spettro ermeneutico, allontanare l’aggressore, quando possibile ed efficace, piuttosto che aggredirlo a propria volta, quando tale allontanamento non fa correre pericoli a terzi, e ciò in quanto la legittima difesa resta pur sempre una <em>extrema </em>(ed inevitabile) <em>ratio</em> a tutela non già dell’onore dell’aggredito, quanto piuttosto di propri altri beni (interessi) giuridicamente rilevanti; c.2) tesi di altra parte della dottrina: i nuovi comma 2 e 3 dell’art.52 disegnano una scriminante a sé, eterogenea rispetto alla scriminante di cui al comma 1; in sostanza, proprio il fatto che il giudizio sulla proporzione sia divenuto irrilevante (perché presunto in sede normativa) rende la “<em>nuova</em>” legittima difesa qualcosa di diverso rispetto a quella tradizionale di cui al comma 1; dal comma 2 affiora più in specie, sul crinale strutturale, come si tratti di una legittima difesa diversa e “<em>propria</em>” sotto un duplice profilo (c.d. “<em>doppia liceità speciale</em>”), presupponendo in chi la pone in essere da un lato la legittima detenzione di un’arma e dall’altro l’appartenenza al novero dei soggetti legittimamente presenti in un luogo di “<em>privata dimora</em>”; si tratta dunque di una fattispecie di legittima difesa autonoma ed in qualche modo assimilabile all’esercizio del diritto: più in particolare (come affiora dai pertinenti lavori parlamentari) del “<em>diritto all’autotutela in un privato domicilio</em>”, quale peculiare situazione giuridica soggettiva attiva con valore scriminante;</li> <li>la “<em>nuova</em>” legittima difesa “<em>domiciliare</em>” del 2006 opera dunque al cospetto di una sostanziale violazione di domicilio, per la cui configurabilità occorre far riferimento all’art.614 c.p.; qui l’aggressore si è già reso responsabile di un inadempimento reato, la violazione di domicilio per l’appunto, e potrebbe spingere la propria azione criminosa verso precipitati ulteriori; è proprio il rischio di una progressione offensiva perpetrata dall’intruso, con conseguente possibile violenza ai danni dell’aggredito, che legittima la difesa di quest’ultimo il quale, nel perimetro spaziale del proprio “<em>domicilio</em>” o comunque di un luogo protetto ad esso assimilabile quale “<em>privata dimora</em>” ex art.614 c.p. (ad esempio un camper o una baita e così via), ivi comprese le rispettive pertinenze (pianerottolo, cortile, androne e così via), può utilizzare le armi legittimamente detenute o altro mezzo idoneo; per esplicita presa di posizione del legislatore, la legittima difesa in parola opera anche quando il perimetro spaziale di riferimento sia teatro di esercizio di una attività commerciale, imprenditoriale o professionale, ed in proposito il riferimento “<em>all’interno</em>” si limita a circoscrivere dal punto di vista dello spazio la liceità della difesa spiccata, con riguardo ad una stabile (quand’anche saltuaria) esplicazione della personalità individuale dell’aggredito, non dovendo dunque necessariamente trattarsi di un luogo “<em>chiuso</em>” (in dottrina si porta l’esempio dell’area di rifornimento per le automobili), né di un luogo in cui si sta “<em>attualmente</em>” svolgendo l’attività commerciale, imprenditoriale o professionale che legittima la difesa (come nel caso di chi – scattato l’allarme – si rechi presso il proprio negozio e vi sorprenda il ladro intento a rubare);</li> <li>un problema concreto di applicabilità della fattispecie peculiare di legittima difesa disegnata dal legislatore nel 2006 – con proporzione “<em>presunta</em>” - concerne le ipotesi in cui l’aggressore, pur palesando chiaramente di non essere intenzionato a desistere, non possa tuttavia dirsi ancora “<em>all’interno</em>” dell’area protetta che legittima tale scriminante; si fronteggiano in proposito 2 tesi: e.1) la scriminante si applica in via diretta, tenendo conto del fatto che il richiamo all’art.614 c.p. (violazione di domicilio) deve intendersi riferito anche alla pertinente fattispecie tentata, e dunque al combinato disposto degli articoli 56 e 614 c.p.; non manca tuttavia chi afferma come, al cospetto di una violazione di domicilio meramente tentata, potrebbe operare solo la legittima difesa comune di cui all’art.52, comma 1, c.p., dacché il nuovo comma 3, allorché fa riferimento ad un’azione dell’aggressore che abbia luogo “<em>all’interno</em>” di un luogo protetto, legittima la difesa solo al cospetto di una violazione di domicilio consumata 2) trattandosi di una scriminante, se ne può fare una applicazione analogica <em>in bonam partem</em> anche a queste fattispecie in cui non si sia ancora consumato un vero e proprio “<em>ingresso</em>” nel luogo protetto (sempre che faccia difetto qualunque foggia di desistenza);</li> <li>fattispecie ancora diversa è quella in cui sia l’aggredito a trovarsi “<em>all’esterno</em>” rispetto al luogo protetto, seppure in avvicinamento rispetto allo stesso (come nel caso di chi stia per fare il proprio ingresso in casa, scorgendo il ladro intento a rubare); anche in questo caso si fronteggiano due tesi opposte: f.1) tesi recessiva: la scriminante si applica anche in questi casi, con proporzione tra difesa ed offesa “<em>presunta</em>”, per lo più facendo ancora una volta leva sull’analogia <em>in bonam partem</em>; f.2) tesi prevalente: in queste eventualità si applica la legittima difesa comune di cui al comma 1, non ricorrendo la ratio della scriminante “<em>domiciliare</em>”, con conseguente necessità per il giudice penale di accertare la ricorrenza di tutti i presupposti di pertinente applicabilità, con particolare riguardo alla proporzione tra offesa e difesa;</li> <li>perché la scriminante della legittima difesa domiciliare operi occorrono due specifici requisiti che la rendono, come afferma la dottrina, “<em>doppiamente propria</em>”: g.1) l’aggredito che reagisce deve trovarsi in una situazione di legittima presenza all’interno dei luoghi protetti; si tratta certamente del proprietario del “<em>domicilio</em>” protetto (in quanto tale, titolare del pertinente <em>ius excludendi alios</em>), ma anche di chi più genericamente (“<em>taluno</em>”) vi si trovi senza avervi fatto ingresso contro la volontà, espressa o tacita, di chi abbia il diritto di escluderlo, vi si sia trattenuto contro la espressa volontà di quegli o, ancora, clandestinamente o con inganno (art.614 c.p.); g.2) l’aggredito che reagisce deve trovarsi in una situazione di legittima detenzione dell’arma utilizzata nei confronti dell’aggressore, mentre potrebbe essere anche “<em>non legittima</em>” la detenzione di “<em>ogni altro mezzo idoneo</em>”: in altri termini, perché scatti la legittima difesa domiciliare è necessario solo per le armi tecnicamente intese che esse siano “<em>legittimamente detenute</em>” dall’aggredito che reagisce, sussistendo pertanto la previa autorizzazione amministrativa di cui all’art.2 della legge 895.67; la legittima detenzione dell’arma, secondo la tesi maggiormente accreditata, va peraltro intesa in senso “<em>oggettivo</em>” e non riguarda dunque tanto il “<em>soggetto</em>” che la usa, quanto piuttosto il luogo in cui viene usata, dovendo assumersi necessario solo che in quel determinato luogo “<em>domiciliare</em>” sia autorizzato l’uso di quell’arma, come nel caso in cui, pur essendo formale intestatario di una pistola il gioielliere, sia un cliente fortuitamente presente nel negozio a sparare nei confronti del rapinatore; quando un giudizio di fatto reso <em>ex ante</em> giustifica la difesa, può scattare la scriminante della legittima difesa “<em>domiciliare</em>” tanto in caso di uso di arma legittimamente detenuta, quanto nell’ipotesi in cui venga usato un qualche “<em>altro mezzo idoneo</em>”, ivi comprese le mani nude dell’aggredito e l’energia cinetica da esse sprigionata su impulso dell’aggredito medesimo;</li> <li>mutando il bene che l’aggredito intende difendere, muta anche il regime di applicabilità della legittima difesa domiciliare, secondo precise coordinate: h.1) si vuole difendere l’incolumità personale propria o altrui, e dunque di terzi (art.52, comma 2, lett.a), con possibilità di reazione immediata e senza avvertimento; la scriminante si fonda su una fondamentale esigenza di autotutela dell’aggredito, onde l’incolumità personale dell’aggressore si palesa meno degna di tutela di quella dell’aggredito medesimo, tanto che quest’ultimo sia chi effettivamente reagisce, quanto che sia un terzo rispetto a chi reagisce; una valutazione etico-sociale generalmente condivisa può infatti far apparire non eccessivo che sia sacrificato un bene (interesse) personale dell’aggressore – quand’anche di rango astrattamente superiore – in luogo di un bene (interesse) personale dell’aggredito; si tratta nella sostanza di un giudizio di proporzione che va operato in concreto, tenendosi conto di ogni circostanza in grado di condizionarne gli esiti (circostanze di tempo e di luogo dell’azione aggressiva; caratteristiche dell’aggredito e relativi rapporti di forza con l’aggressore; intensità del pericolo minacciato nei confronti dell’aggredito; rilevanza che il bene minacciato dall’aggressore assume, in concreto, per l’aggredito); per “<em>incolumità propria o altrui</em>” si intende tutto ciò che ruota intorno ai beni della vita e dell’integrità fisica di determinati individui, con esclusione dunque di ogni riferimento all’incolumità collettiva o pubblica; del pari esclusi – secondo parte della dottrina – sarebbero taluni beni (interessi) giuridici personali quali, in particolare, le varie declinazioni della libertà individuale (libertà sessuale, personale, morale e così via), anche se non manca chi preferibilmente include tali libertà in una nozione più ampia e meno restrittiva di “<em>incolumità</em>”, così facendo scattare l’operatività della scriminante ogni qual volta venga perpetrata la minaccia di un’aggressione alla “<em>persona</em>” nel “<em>domicilio</em>”: del resto, non potendo ricondurre le forme di libertà personale rammentate ai “<em>beni propri o altrui</em>” – a connotazione patrimoniale - di cui alla successiva lett.b) dell’art.52, comma 2, se non le si riconducesse alla “<em>incolumità</em>” di cui alla lettera a) si finirebbe con l’attribuire loro una tutela inferiore rispetto a quella che presidia appunto i beni “<em>patrimoniali</em>”; h.2) si vogliono difendere beni patrimoniali propri o altrui, e dunque di terzi, con possibilità di reazione, in questo caso, che deve necessariamente essere preceduta da un avvertimento ad opera dell’aggredito: occorre infatti h.2.1) da un lato che l’aggressore non desista dal ledere il bene patrimoniale proprio dell’aggredito o di terzi (altrui), e che dunque non abbandoni volontariamente la propria condotta illecita, da interpretarsi quale necessità appunto che l’aggredito, al fine di avvalersi della scriminante “<em>domiciliare</em>” in parola, provochi tale desistenza lasciando percepire all’aggressore le potenzialità di una reazione difensiva da lui perpetrata; h.2.2) e, dall’altro, che vi sia pericolo di aggressione (art.52, comma 2, lett.b); il pericolo di aggressione è strettamente avvinto alla non desistenza, qualificando quest’ultima in termini appunto di potenziale aggressione del soggetto passivo, onde si assiste contemporaneamente ad una aggressione al patrimonio proprio o altrui (dalla quale il soggetto attivo non desiste) e ad un pericolo di aggressione “<em>ulteriore</em>” per il caso in cui l’aggressore si veda ostacolato nel proprio <em>iter criminis</em>; solo al cospetto della mancata desistenza dalla lesione patrimoniale e, ad un tempo, del pericolo di aggressione all’incolumità personale, per il legislatore va presunta senza possibilità di prova contraria la proporzione tra offesa e difesa;</li> <li>in particolare, il “<em>pericolo di aggressione</em>” di cui (art.52, comma 2, lett.b) per la dottrina più avvertita non può intendersi quale duplicato del “<em>pericolo attuale</em>” di cui al comma 1 dell’art.52, quanto piuttosto qualcosa di diverso, salvo poi dover sciogliere il quesito se si tratti di “<em>pericolo di aggressione</em>” sempre al patrimonio, o piuttosto di un “<em>pericolo di aggressione</em>” all’incolumità del soggetto passivo; chi assume che anche il “<em>pericolo di aggressione</em>” sarebbe in realtà rivolto verso il patrimonio della vittima critica la norma, affiorandone legittimata financo l’uccisione dell’aggressore “<em>domiciliare</em>” (tipico il caso del ladro che entri in appartamento) da parte dell’aggredito anche al solo scopo di difendere beni (interessi) meramente patrimoniali; meno criticabile appare la disposizione abbracciando la tesi di chi indirizza ili “<em>pericolo di aggressione</em>”, nella legittima difesa domiciliare, non tanto verso il patrimonio (già in corso di offesa da parte dell’aggressore, senza che questi desista) quanto piuttosto verso la persona dell’aggredito, anche rappresentando come tale “<em>pericolo di aggressione</em>” non possa che essere appunto qualcosa di diverso dalla “<em>desistenza</em>”, che certamente si riferisce invece ai beni patrimoniali difesi, recuperando autonomia proprio laddove lo si indirizzi nei confronti della persona del soggetto passivo reagente e della relativa incolumità “<em>personale</em>” fisicamente intesa: su questo crinale ermeneutico, solo quando alla mancata desistenza rispetto all’aggressione al patrimonio (pur a valle di un avvertimento all’uopo) si accompagni un pericolo di aggressione all’incolumità personale propria o altrui (e non già semplicemente al patrimonio o al domicilio), la difesa “<em>domiciliare</em>” può presumersi “<em>legittima</em>”; significativa la lettura dei lavori preparatori della riforma del 2006, dai quali – secondo la dottrina maggioritaria – affiora una sequenza che vede un pericolo attuale portato a beni (interessi) patrimoniali, un invito a desistere da parte dell’aggredito rimasto senza esito ed un successivo pericolo di aggressione all’incolumità fisica e personale, seppure non attuale [a differenza di quanto scolpito all’art. 52, comma 2, lettera a), in cui la difesa dell’incolumità personale propria o altrui è lecita solo se il pericolo “<em>personale</em>” è per l’appunto attuale]; da questo punto di vista, e sullo specifico crinale della “<em>attualità</em>” del “<em>pericolo di aggressione</em>”, si fronteggiano fondamentalmente 3 tesi: i.1) per “<em>pericolo di aggressione</em>” deve intendersi un “<em>pericolo attuale</em>” e dunque una vera e propria minaccia, quand’anche ancora non attuata dall’aggressore, che l’aggredito può neutralizzare con l’uso delle armi: la vittima teme per la propria incolumità minacciata dal pericolo di aggressione, e dunque al cospetto della sola minaccia può riscontrarsi quel pericolo attuale che ne giustifica la reazione difensiva armata (opzione più rigorosa); i.2) l’intrusione nell’altrui domicilio a scopo delittuoso “<em>assorbe</em>” il pericolo di aggressione, da intendersi in esso connaturato e dunque <em>in re ipsa</em> rispetto a qualunque <em>iter</em> criminoso che si consumi in luogo chiuso e, per l’appunto, “<em>domiciliare</em>” (opzione meno rigorosa); i.3) si ha “<em>pericolo di aggressione</em>” solo al cospetto di una situazione aggressiva probabile, quand’anche non ancora giunta ad un livello di “<em>attualità</em>”, laddove le modalità della condotta aggressiva, il numero di persone coinvolte o altre circostanze concrete la lascino percepire all’aggredito come tale (tesi intermedia). Ciò su cui la dottrina maggioritaria sostanzialmente concorda è la circostanza onde, quando l’aggressione nei confronti del patrimonio è di tipo “<em>domiciliare</em>”, la reazione (armata) è legittima anche al cospetto di un “<em>pericolo di aggressione</em>” (all’incolumità personale) che rappresenta – in termini di “<em>attualità</em>” - qualcosa di meno rispetto al “<em>pericolo attuale</em>” di cui al comma 1 dell’art.52, con conseguente anticipazione diacronica della soglia di “<em>legittimità</em>” della difesa;</li> <li>quando ricorrono tutte le condizioni richieste, la legittima difesa “<em>domiciliare</em>” opera in modo sostanzialmente automatico, essendo la proporzionalità tra offesa e difesa presunta dalla legge; a differenza di quanto accade dunque con riguardo al comma 1 dell’art.52, nelle fattispecie di cui ai comma 2 e 3 - siccome inserite nel 2006 - nessun potere discrezionale di valutazione della proporzione ridetta appare configurabile in capo al giudice penale; una delicata questione che si pone è tuttavia se tale presunzione sia di tipo assoluto, e dunque mai vincibile (con conseguente esclusione di operatività della scriminante), ovvero di tipo relativo, potendosi dunque provare dal PM la “<em>sproporzione</em>” tra difesa ed offesa, in senso contrario rispetto alla presunzione legislativa; certamente un ruolo centrale per l’operatività della legittima difesa “<em>domiciliare</em>”, quale scriminante speciale, riveste la violazione di domicilio, stante l’esplicito richiamo all’art.614 c.p. e dunque alla centralità che la “<em>privata dimora</em>” riveste nel contesto di tutta la fattispecie <em>de qua</em>; stante questa premessa di ordine generale, condivisa in dottrina, si giustappongono tuttavia 2 tesi: j.1) la presunzione di proporzionalità in ambito “<em>domiciliare</em>” è assoluta, <em>iuris et de iure</em>: si tratta dell’opzione ermeneutica che si appunta sul dato letterale e sull’interpretazione teleologica delle disposizioni coinvolte, muovendo da quanto affiora dagli stessi lavori parlamentari, onde ciascun cittadino deve essere munito – nel proprio contesto “<em>domiciliare</em>” appunto – di una sovranità idonea ad attribuirgli il potere di autotutela difensiva della dimora e dei luoghi assimilati; ciò sarebbe palesato anche dal cammino percorso dal testo prima di divenire legge, con progressiva sfrondatura di taluni limiti originariamente previsti, essendo stata alfine accolta dal punto di vista “<em>ontologico</em>” anche una legittima difesa di tipo “<em>patrimoniale</em>” (comma 2, lettera b), con coeva estensione <em>ratione loci</em> dei contesti “<em>spaziali</em>” all’interno dei quali la scriminante opera, stante la relativa invocabilità anche con riguardo ai luoghi di esercizio di una attività commerciale, imprenditoriale e professionale; proprio per questo, ed al fine di favorire la certezza del diritto, per questa tesi il legislatore ha inteso limitare in modo drastico la discrezionalità del giudice, presumendo <em>iuris et de iure</em> la proporzione della difesa rispetto all’offesa così sottraendo l’aggredito al rischio di un processo o financo di una condanna ingiusti; dinanzi al rischio degli esiti del processo penale, il cittadino deve poter essere piuttosto il sovrano del proprio domicilio violato dall’aggressore, affermando autonomamente il proprio senso di sicurezza senza che un giudice possa mettere in dubbio che – al cospetto di tutti i requisiti previsti – la propria reazione sia stata proporzionata all’aggressione subita; il potere del giudice penale resta allora limitato alla verifica della sussistenza di tutti gli altri presupposti di operatività della legittima difesa domiciliare, al cospetto dei quali è la legge ad affermare che la difesa è stata proporzionata all’offesa, e che dunque dinanzi ad un aggressione illegittima la difesa è stata legittima; proprio la acclarata sussistenza di tutti i requisiti costituisce, dal punto di vista normativo, il sintomo di un pericolo attuale così grave ed incombente da sospingere il sistema a riconoscere proporzionato per il cittadino ricorrere alle armi laddove incomba – quand’anche al cospetto di un’aggressione <em>ab origine</em> patrimoniale – un pericolo ed un potenziale <em>vulnus</em> per l’incolumità personale individuale dell’aggredito o di un terzo; j.2) la presunzione di proporzionalità in ambito “<em>domiciliare</em>” è relativa, <em>iuris tantum</em>: lo impone una lettura costituzionalmente orientata della norma, che non può recare seco una qualche indiscriminata “<em>licenza di uccidere</em>”, seppure a scopo difensivo, stante la configurabilità di valori costituzionalmente non derogabili che si oppongono ad una simile interpretazione, muovendo – nello spettro dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art.2 della Costituzione – dallo stesso, fondamentale diritto alla vita riconosciuto in ambito convenzionale anche dalla CEDU, con rilevanza dello stesso art.117 Cost.; chi abbraccia questa tesi rammenta in particolare l’art.2 della CEDU, laddove afferma che la morte inferta ad un uomo non è considerata un illecito solo quando è assolutamente imposta dalla necessità di difendersi da una violenza illegittima, ricavandosene il principio onde la difesa di diritti meramente patrimoniali non autorizza l’aggressione alla vita o all’integrità fisica altrui; stando a questa tesi dunque è lo stesso principio di ragionevolezza ad imporre una natura meramente relativa della presunzione di proporzione in parola, non potendosi irragionevolmente equiparare il bene della vita e della incolumità personale (dell’aggressore) con quello (eventualmente) a carattere patrimoniale (dell’aggredito); del resto l’obiettivo della norma non sembra essere stato quello di scongiurare <em>a priori</em> l’assoggettamento a giudizio penale dell’aggredito che abbia reagito, quanto piuttosto quello di proteggere quest’ultimo da un’eventuale condanna per la difesa “<em>legittimamente</em>” spiegata, ma solo a valle di un rigoroso accertamento dei fatti che ne hanno costituito lo sfondo; che non si possa prescindere da un accertamento dei fatti che hanno concretamente animato la singola vicenda di offesa-difesa si evince anche dal principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art.112 Cost., che neppure il legislatore (ordinario) può comprimere senza porsi in frizione con la Carta fondamentale; la legittima difesa “<em>domiciliare</em>” è dunque speciale rispetto alla legittima difesa ordinaria di cui al comma 1 dell’art.52, onde il giudice penale è sempre chiamato ad accertare tutte le condizioni previste anche nel ridetto comma 1 (pericolo attuale di un’offesa ingiusta, inevitabilità altrimenti della lesione difensiva), ancorché non richiamate dai comma 2 e 3 (ed ovviamente in aggiunta alle condizioni quivi “<em>specialmente</em>” divisate), con la sola eccezione della proporzione tra difesa ed offesa che è presunta dal legislatore, e tuttavia con presunzione relativa <em>iuris tantum</em>, trattandosi di requisito comunque previsto, ancorché per l’appunto presuntivamente, sulla scorta dell’<em>id quod plerumque accidit</em>; quel che accade nella normalità dei casi, e che è ragionevolmente alla base – dal punto di vista logico - della legittima difesa “<em>domiciliare</em>” (operante <em>in bonam partem</em>), è che la iniziale messa in pericolo di beni patrimoniali dell’aggredito può sfociare in un pericolo attuale per l’incolumità e per la stessa vita dell’aggredito o di terzi, circostanza che può tuttavia nel concreto non verificarsi, onde la presunzione deve essere tale (relativa) da poter consentire di provare “<em>il contrario</em>” (l’aggressione ai beni personali non vi è stata), pena la frizione con lo stesso principio di eguaglianza, venendo “<em>per presunzione assoluta</em>” trattati normativamente in modo eguale fatti difensivi che uguali non sono, oltre che con taluni diritti fondamentali costituzionalmente garantiti – <em>in apicibus</em> - anche all’aggressore, quali la relativa vita ed incolumità individuale; secondo questa opzione ermeneutica, la presunzione di proporzione opera dunque senz’altro (essendo prevista dalla legge: il giudice non può caso per caso accertarne la sussistenza, come accade nella fattispecie generale di cui al comma 1 dell’art.52), senza che possa predicarsene una “<em>interpretatio abrogans</em>”, ma con possibilità per il PM di provarne in senso contrario la non operatività nel singolo caso di specie, tanto a titolo obiettivo che a titolo putativo, palesandosi questa la sola prospettazione coerente con il piano costituzionale e convenzionale di riferimento, anche in termini di ragionevolezza; mentre dunque nella legittima difesa ordinaria ex art.52, comma 1, c.p., è la difesa dell’aggredito a dover provare processualmente la proporzione della relativa condotta difensiva rispetto all’aggressione contrastata, nella legittima difesa “<em>speciale domiciliare</em>” di cui all’art.52, comma 2 e 3, c.p., è all’opposto il PM a dove provare che la presunta proporzione è in realtà insussistente, configurandosi piuttosto una sproporzione obiettiva e reale senza che contestualmente sia ravvisabile una “<em>proporzione putativa</em>” in capo all’aggredito (in quest’ultimo caso potendo l’accusa comunque chiedere la condanna dell’aggredito a titolo di colpa in caso di erronea, colposa supposizione di sussistenza della ridetta proporzione);</li> <li>come si atteggia la proporzione tra offesa e difesa - ed in particolare il fatto che detta proporzione sia o meno presunta, e lo sia in modo assoluto o relativo – incide sull’area di operatività dell’eccesso colposo in rapporto appunto all’art.52, dacché la giurisprudenza è orientata nel senso di ricondurre tale eccesso colposo proprio ad una colposa “<em>sproporzione</em>” della difesa rispetto all’offesa, onde escludere presuntivamente tale sproporzione significa appunto ridimensionare lo stesso eccesso colposo in tema di legittima difesa.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre suggerisce una prima lettura della legittima difesa “<em>domiciliare</em>” di cui all’art.52, comma 2, 3 e 4, c.p., siccome ri-disegnata dalla legge n.36.19?</strong></p> <ol> <li style="text-align: justify;">il fatto che sia ormai “<em>sempre</em>” sussistente il rapporto di proporzionalità tra offesa e difesa laddove chi agisce compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica fa pensare che sulla scorta della novella, quando la legittima difesa sia “<em>domiciliare</em>”, la proporzione tra offesa e difesa sia presunta dal legislatore iuris et de iure, e dunque senza possibilità di prova contraria, con i noti dubbi (anche di costituzionalità) che questa opzione solleva almeno per parte della dottrina; particolarmente denso di problematicità il fatto che vengano collocati sullo stesso piano beni come, da un lato, la vita e l’incolumità fisica e, dall’altro, il patrimonio, che la stessa Costituzione colloca secondo una gradualità diversa, il referente dei primi beni (vita ed incolumità fisica) riscontrandosi nell’art.2 in tema di “<em>diritti inviolabili</em>”, mentre il referente del secondo (proprietà e patrimonio in genere) affiorando dall’art.42, per giunta con il limite dell’utilità sociale;</li> <li style="text-align: justify;">in caso di situazione di pericolo in atto che crei nell’aggredito un (peraltro, non meglio definito) “<em>grave turbamento</em>”, viene esclusa l’applicabilità dell’art.55 c.p. in tema di eccesso colposo, la cui operatività sembra ormai essere stata più o meno totalmente obliterata nelle fattispecie di legittima difesa “<em>domiciliare</em>”, sol che si consideri come la stessa presunzione <em>iuris et de iure</em> di proporzionalità della difesa all’offesa finisca con il creare una condizione di non configurabilità di quella sproporzione che costituisce appunto l’<em>ubi consistam</em> dell’eccesso colposo; peraltro il “<em>grave turbamento</em>” – che è legato tra l’altro anche all’età della persona aggredita – se da un lato valorizza la situazione psicologica del soggetto aggredito (così uniformando l’ordinamento penale italiano rispetto alle scelte già operate in altri contesti nazionali europei), dall’altro affida al giudice un accertamento di natura eminentemente soggettiva e a tratti “<em>emozionale</em>”, con evidente deficit di tassatività di una fattispecie che, quantunque si palesi <em>in bonam partem</em> rispetto a chi reagisce commettendo reato, coinvolge nondimeno anche la “<em>vittima</em>” della difesa e del reato “<em>difensivo</em>” medesimo.</li> </ol>