<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il principio del </em>favor rei<em> impone di riservare al condannato il trattamento più favorevole allorché si verifichi una successione di leggi che incidono sul c.d. reato-inadempimento, rimodulandone la punibilità in senso – per l’appunto – più favorevole; il che talvolta può accadere anche nel caso in cui la successione normativa riguardi non già la fattispecie penale direttamente ed immediatamente considerata, quanto piuttosto elementi normativi della fattispecie medesima, che viene lambita in modo mediato ed indiretto, purché si assista ad un effettivo scemare del disvalore penale, complessivamente considerato, del fatto - inadempimento - reato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Nel <strong>diritto romano</strong> vige fondamentalmente il principio “<strong><em>tempus regit actum</em></strong>”, secondo il quale è la legge in vigore al tempo in cui un atto è stato posto in essere a disciplinare il rapporto giuridico che da esso scaturisce. Il principio della <strong>retroattività</strong> della <strong>norma penale più favorevole</strong> ancora non affiora, men che meno se (solo) “<strong><em>mediatamente</em></strong>” riferita al fatto penalmente punito (<em>crimen</em>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale Zanardelli, all’art.1, comma 3 del c.p., prevede che se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice penale all’art.2, comma 3, prevede che se la legge del tempo in cui fu commesso il reato (e non già il fatto penalmente rilevante, prima della qualifica dello stesso quale inadempimento-reato, come nei precedenti comma del medesimo articolo) e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">La Costituzione, all’art.25, comma 2, ribadisce che è una legge a dover prevedere quali comportamenti siano punibili e a quali pene sia soggetto il reo. Nel caso della successiva norma più favorevole, entra in gioco anche l’art.27 della Carta ed in particolare la percezione del disvalore penale in capo al reo – “colpevole” <em>ab origine</em> (comma 1) di un fatto in seguito assunto meno grave che in precedenza – e la conseguente efficacia special-preventiva della pena, in quanto non viene percepita neppure come tendenzialmente rieducativa (comma 3) una pena che sanziona molto gravemente un fatto in seguito giudicato dal legislatore meno grave che <em>ab origine</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 novembre esce la sentenza delle SSUU sul caso “<em>Carfi</em>” che assume il dipendente di un istituto di credito quale incaricato di pubblico servizio ai fini della applicabilità dei reati propri che presuppongono tale qualifica soggettiva.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 luglio esce la sentenza delle SSUU sul caso “<em>Tuzet</em>” che – muovendo dalla novella legislativa la quale, laddove correttamente interpretata, fa venire meno per i dipendenti delle banche la qualifica di incaricati di pubblico servizio – assume tale modifica extrapenale come incidente sulle pertinenti fattispecie incriminatrici, dichiarando nel caso di specie non punibile il reato di peculato. Secondo le SSUU la legge incriminatrice si compendia nel complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto punibile, sicché qualunque modifica, anche extrapenale, che incida su uno di detti elementi non può non sortire effetti sulla punibilità del fatto stesso. A mente della direttiva comunitaria 77/780 e delle relative norme di attuazione – legge 74.85 e 350.85 – gli istituti di credito hanno una nuova disciplina e, in modo parallelo, muta anche la qualifica legislativa dei dipendenti di banca, che non possono essere più considerati incaricati di pubblico servizio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5816 che, in tema di colpa specifica, assume irrilevante il succedersi delle norme cautelari specifiche richiamate rispetto al precetto penale: bisogna guardare al momento in cui il fatto viene commesso, e se è “<em>specificamente colposo</em>” in quel momento, anche se in seguito la regola cautelare specifica muti o venga abrogata, tale circostanza non escludendo la natura colposa, ad esempio, dell’omicidio a suo tempo commesso. Ciò in quanto le regole cautelari specifiche presiedono solo all’imputazione (soggettiva) colposa del fatto, non incidendo sulla fattispecie penale punita (anche) a titolo colposo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno esce la sentenza delle SSUU n. 25887 che, in tema di reati societari ed <em>abolitio criminis</em>, parte dal presupposto onde ai fini dell'operatività del comma 3 dell'articolo 2 del codice penale, ovvero affinché non vi sia una totale abolizione del reato previsto dalla disposizione formalmente sostituita (oppure abrogata con la contestuale introduzione di una nuova disposizione collegata alla prima) occorre che la fattispecie prevista dalla legge successiva sia punibile anche in base alla legge precedente, rientri cioè nell'ambito della previsione di questa. Le SSUU si muovono dunque dal punto di vista delle fattispecie astratte di reato a confronto: nel caso delle norme di cui agli articoli 2621 e seguenti del codice civile, alla luce delle novità introdotte dal Decreto legislativo n. 61/2002, poiché la norma successiva è speciale (nel senso che l'area della punibilità riferibile alla norma anteriore viene ad essere circoscritta, rimanendone espunti tutti quei fatti che, pur rientrando nella norma generale venuta meno, sono privi degli elementi specializzanti introdotti dalla norma successiva), ci si trova in presenza di un'abolizione parziale, che rende non più punibili soltanto i fatti che per la legge posteriore non costituiscono reato e che come tali restano assoggettati alla regola del comma 2 dell'articolo 2 del codice penale (<em>abolitio criminis</em>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio viene varata la legge n.85, il cui articolo 14 inserisce nell’art.2 del codice penale un nuovo comma tra il secondo ed il terzo, che dunque diventa il nuovo terzo comma (“<em>se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135”), facendo diventare il vecchio terzo comma il nuovo quarto comma. La riforma è importante anche perché se normalmente la norma più favorevole non si applica in costanza di una pronuncia ormai in giudicato (irrevocabile), il limite del giudicato può essere invece superato laddove la natura più favorevole della norma successiva sia collegata al tipo di pena irrogata, pecuniaria in luogo della precedente detentiva: il nuovo terzo comma prevede infatti che se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135, anche se in relazione al fatto sia intervenuta condanna irrevocabile a pena detentiva.</em></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 17578 in tema di punibilità del cittadino rumeno ai sensi dell’art. 14, comma 5.ter, del decreto legislativo 286.98 sull’immigrazione: egli era straniero, ma a seguito dell’ingresso della Romania nell’Unione europea è divenuto cittadino europeo, sicché è dubbio se il reato possa ancora ritenersi configurabile o se, per i fatti commessi antecedentemente, debba procedersi ad assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. La questione viene rimessa alle SSUU per la soluzione della questione, registrandosi in dottrina e giurisprudenza due tesi contrapposte: a) una tesi più rigorista, secondo la quale non si configura <em>abolitio criminis</em> (e dunque il reato si configura ancora e va punito) in considerazione del fatto che la fonte extrapenale non incide nel caso di specie sulla condotta penalmente rilevante, ma sui presupposti di tale condotta, e non può dunque riverberarsi <em>in melius</em> sulla vicenda penale concreta, relativa ad un fatto di trattenimento dello “<em>straniero</em>” anteriore all’ingresso della Romania nell’Unione; b) una tesi più garantista, che parte dal presupposto onde qualunque fonte normativa (extrapenale) che contribuisca a concretare il contenuto del precetto penale incide direttamente sul medesimo, che non resta indifferente, pertanto, alle relative modificazioni, dovendosene assumere modificata l’ampiezza della fattispecie ed il connesso disvalore del fatto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 gennaio esce la sentenza delle SSUU n. 2451 che assume inapplicabile l’art.2 c.p. alla fattispecie del cittadino rumeno che era “<em>straniero</em>” al momento del fatto di trattenimento nel territorio dello Stato ed è poi divenuto <em>medio tempore</em> cittadino europeo. Secondo le SSUU – che si muovono nell’orbita del confronto tra fattispecie astratte di reato (come già nel caso risolto nel 2003 con riguardo ai reati societari) - in tema di successione di norme extrapenali, solo laddove tali norme siano integratrici della fattispecie penale può applicarsi l’art.2 del codice. L’incriminazione stigmatizza un disvalore e solo ove tale disvalore – per il tramite della nuova norma extrapenale richiamata in sede penale – subisca un ridimensionamento può parlarsi di successione mediata di norma penale (tramite successione immediata di norma extrapenale). La norma penale è infatti caratterizzata da una specifica area incriminatrice e, al fine di applicare l’art.2 c.p., occorre che la norma extrapenale richiamata (e oggetto di successione) concorra a disegnare detta area incriminatrice. Ove questo non accada, non può predicarsi l’applicazione dell’art.25 Cost. e dell’art.2 c.p.; né a tal fine si può richiamare il caso Tuzet del 1987, in quanto in quella ipotesi le SSUU in realtà non hanno scandagliato una vera e propria successione di norme extrapenali richiamate, operando piuttosto una diversa interpretazione della normativa pertinente ed attribuendo ad essa effetto retroattivo <em>in melius</em>. Muovendo dalle fattispecie astratte di reato, occorre allora vedere se la modifica della norma extrapenale (nel caso di specie, quella che disciplina il se un tale soggetto può assumersi straniero o meno) incida sulla fattispecie di reato di cui all’art. 14, comma 5.ter, del decreto legislativo n.286.98, e in tal caso essa avrebbe effetto retroattivo <em>in melius</em>; ovvero si limiti a modificare la situazione di fatto che fa da sfondo all’applicazione della norma penale ed al relativo disvalore ivi sanzionato, ipotesi nella quale l’effetto retroattivo non potrebbe predicarsi. Per le SSUU, al fine di rispondere a tale domanda – come accade anche nel caso dell’errore su norma extrapenale di cui all’art.47, comma 3, c.p. – occorre muovere dalla natura integratrice o meno della norma extrapenale della cui successione si tratta rispetto al precetto penale. Ciò è dovuto anche alla differenza di regime che presidia le norme penali in senso puro, per le quali – ove più favorevoli – la retroattività rappresenta la regola ai sensi dell’art.2 c.p., rispetto alle norme che penali non sono, e per le quali vige l’opposta regola della irretroattività ex art.11 delle c.d. preleggi: dunque solo una norma extrapenale realmente integratrice del precetto penale, assumendo in qualche modo le vesti della norma penale (o contribuendone in modo decisivo al c.d. <em>habitus</em> penalistico), può spiegare efficacia retroattiva mediata sul precetto penale, e non anche una norma estranea al sistema penale che, seppure richiamata in una fattispecie di reato, non spieghi tale effetto integrativo. Diversa, precisano le SSUU, sarebbe stata la soluzione nel caso in cui fosse stata mutata la definizione di “straniero” di cui all’art.1 del decreto legislativo n.286.98, escludendone dal relativo novero una sottoclasse quale quella dei cittadini di Stati candidati ad entrare nell’Unione europea (<em>abolitio criminis</em> parziale), circostanza che tuttavia non può predicarsi nel caso di specie in cui il precetto penale è rimasto lo stesso, ed è semplicemente mutato il regime dei permessi ottenibili da chi era straniero ed ora è da considerarsi cittadino europeo. Peraltro, a voler ragionare diversamente, lo straniero potrebbe allegramente trattenersi nello Stato, violando il disposto della norma di cui all’art.14, comma 5.ter, con la consapevolezza di non essere punito tutte le volte che sia in corso la procedura di ingresso del relativo Stato di cittadinanza nell’Unione europea. Non mancheranno le critiche della dottrina, che rileverà come le SSUU abbiano forgiato in questo arresto un criterio di accertamento della c.d. <em>abolitio criminis</em> ulteriore e diverso rispetto al canone strutturale, peraltro dai contorni ambigui ed incerti, come si evincerebbe dalla pronuncia stessa laddove rappresenta che – oltre che rispetto alle norme integratrici di quelle penali – l’art.2 c.p. può trovare applicazione rispetto a norme extrapenali che siano esse stesse, esplicitamente o implicitamente, retroattive, allorché nella fattispecie penale esse non rilevino solo per la qualificazione di un elemento della fattispecie medesima, quanto piuttosto per l’assetto giuridico (complessivo) che realizzano: diventa allora difficile, secondo la critica dottrinale ridetta, distinguere quando viene modificato “<em>l’assetto giuridico</em>” della fattispecie, con conseguente <em>abolitio criminis</em>, e quando viene piuttosto modificata la mera qualificazione di un elemento della fattispecie, con difetto di <em>abolitio criminis</em>. Per altra parte della dottrina, proprio questo passaggio della pronuncia autorizzerebbe invece a pensare, in ottica garantista, che le SSUU abbiano voluto porre a disposizione dei giudici di merito, accanto al criterio logico-formale e strutturale, anche un criterio più “<em>sostanziale</em>” come tale più ancorato al disvalore della specifica fattispecie penale scandagliata (siccome stigmatizzato dal legislatore) e dunque alla <em>ratio</em> della incriminazione considerata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio esce la sentenza delle SSUU n. 19601 che – a seguito delle modifiche normative apportate alla nozione di piccolo imprenditore (R.D. 267.42, art.1) dai decreti legislativi 5.06 e 169.07, che assumono poter essere piccolo imprenditore (non fallibile) anche la società commerciale, in relazione alla modestia degli investimenti operati o dei ricavi ottenuti – si occupa di verificare cosa accade ai fatti di bancarotta commessi prima dell’entrata in vigore della novella a chi allora poteva dirsi imprenditore fallibile e, successivamente, non può più dirsi tale; secondo le SSUU occorre partire dalla circostanza onde la bancarotta presuppone un dato strutturale di carattere formale e giurisdizionale, vale a dire la sentenza dichiarativa di fallimento, che – quale atto giurisdizionale – è insindacabile dal giudice penale: non rilevano i fatti accertati nella sentenza dichiarativa di fallimento (come erano disciplinati prima e come, magari più favorevolmente, dopo: oggettivo stato di insolvenza e soggettiva qualifica, per l’appunto, di “<em>imprenditore fallibile</em>”), essendo pregiudiziale la circostanza onde esiste una sentenza (provvedimento giurisdizionale) che dichiara il fallimento, e dalla quale il giudice penale non può prescindere né può disapplicare. La dottrina sarà tuttavia critica con questa giurisprudenza della Cassazione, denunciandola come l’esempio più pregnante che il criterio c.d. “<em>strutturale</em>” è in realtà sempre passibile di una applicazione potenzialmente errata, il che avverrebbe proprio in questa pronuncia della Corte laddove ci si trova dinanzi ad una modifica di norma che integra la fattispecie penale e ciò in quanto la riforma dell’art.1 della legge fallimentare ha implicato una modifica della norma che fornisce il concetto definitorio medesimo di “<em>imprenditore fallito</em>”, quale soggetto attivo della bancarotta; ad essere modificata è stata dunque in tal caso una norma che partecipa della struttura della norma incriminatrice della bancarotta, e che è dunque da assumersi soggetta alla regola della successione di cui all’art.2, comma 2, c.p.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 46669 che scandaglia la fattispecie in materia di usura, partendo dal presupposto che – ai sensi dell’art. 644, comma 3, c.p. - è la legge a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Vi ha provveduto in una prima fase l’art.2 della legge 108.96 (con riguardo alla categoria di operazioni nelle quali è ricompreso il credito della cui usurarietà si discute, tale limite si compendiava nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione trimestrale pubblicata in Gazzetta Ufficiale, aumentato della metà), ma è poi intervenuto l’art.8, comma 5, lettera d) del decreto legge 70.11, che ha abbassato il limite dell’aumento del tasso medio dalla metà a ¼, con aggiunta di un margine di ulteriori 4 punti percentuali (e con precisazione che la differenza tra il limite/usura e il tasso medio non può comunque essere superiore ad otto punti percentuali). Ciò ha comportato, per le aperture di credito in conto corrente, una modifica migliorativa in termini di fattispecie usurarie, con la conseguenza che fatti in precedenza catalogabili come usurari non possono più essere considerati tali. La Corte parte dal presupposto che l’art.644 c.p. configura una norma penale in bianco, nel contesto operativo della quale il precetto penalmente sanzionato non viene posto direttamente dalla norma penale, dovendo far riferimento ad una fonte diversa, extrapenale, la cui disciplina è connotata da temporaneità: proprio per questo, l’unica norma applicabile (anche ai fini della punibilità) è solo quella vigente al momento del fatto, e non quella (eventualmente più favorevole) vigente al momento della sentenza. Secondo la Corte - che si rifà sul punto a quanto affermato dalle SSUU nella nota sentenza 2451.08 in tema di immigrazione – occorre guardare al precetto penale ed alla relativa struttura essenziale: solo se le modifiche apportate in sede extrapenale incidono su tale struttura essenziale possono rilevare in tema di retroattività della<em> lex mitior</em>, mentre ciò non accade quando ad essere modificato è solo il contenuto del precetto, del quale viene rimodulata la portata, e ciò è quanto avviene anche nell’ipotesi degli interessi usurari, in quanto la norma incriminatrice è rimasta la stessa (si punisce l’usura), essendo stati regolamentati in modo diverso i soli presupposti per la relativa applicazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 settembre esce il decreto legge n. 158 (c.d. decreto Balduzzi), il cui articolo 3 si occupa del medico e più in generale dell’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida ed alle buone pratiche (<em>best practices</em>) accreditate dalla comunità scientifica: in questi casi viene esclusa la responsabilità penale per colpa lieve, essendo dunque punibile solo la colpa grave (resta ferma, in caso di colpa lieve, la eventuale responsabilità civile ex art. 2043 c.c.). La questione che si pone è dunque quella di verificare se un fatto punito penalmente perché commesso solo con colpa lieve prima della novella può ora essere considerato non punibile <em>ex post</em> ed in seguito all’entrata in vigore di detta novella, da assumersi quale <em>lex mitior</em>.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre il decreto legge 158.12 viene convertito nella legge n.189.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n. 193 che si occupa del principio di retroattività della legge più favorevole con riguardo a sanzioni che, pur essendo para-penali, hanno natura amministrativa (viene scandagliato l’art.1 della legge 689/81 proprio laddove non prevede la retroattività <em>in mitius</em> delle sanzioni amministrative): secondo la Corte, il sistema della CEDU siccome interpretato dalla Corte EDU non impone agli Stati membri, e in particolare all’Italia, di prevedere tale retroattività <em>in mitius</em> delle sanzioni amministrative in modo dunque tutt’affatto analogo a quanto invece certamente accade per quelle di matrice penale pura. Quando la legge interna prevede tale retroattività favorevole – con riferimento a talune sanzioni amministrative – si tratta per la Corte di <em>lex specialis</em> che tiene conto degli interessi tutelati e della efficacia dissuasiva della sanzione: si tratta di scelte di politica legislativa che non possono essere sindacate dalla Corte costituzionale se non quando ci si trovi dinanzi a manifesta irragionevolezza o ad arbitrio. La sentenza si inserisce in un contrasto di giurisprudenza che dura a partire dal caso Varvara (<em>Varvara c. Italia</em>, del 29 ottobre 2013, dove il problema, per quel che qui rileva, riguardava la confisca urbanistica, assunta dalla Cassazione di natura amministrativa e dunque retroattiva, mentre per i giudici di Strasburgo essa ha natura penale, e dunque non retroattiva): se la Corte EDU assume che la retroattività <em>in mitius</em> appartiene al novero delle garanzie fondamentali ed è come tale applicabile anche alle sanzioni amministrative (oltre che a quelle penali pure), di diverso avviso si mostra la Corte costituzionale, secondo la quale la retroattività <em>in mitius</em> delle sanzioni amministrative non è imposta né dagli articoli 6 e 7 della CEDU (per il tramite dell’art.117 Cost.), né dall’art.3 della Carta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo viene varata la legge n.24, c.d. Gelli-Bianco, in materia di responsabilità medica, che – nel tipizzare la colpa medica, con particolare riguardo a quella derivante da imperizia – introduce per il caso di morte o lesioni colpose del paziente la causa di non punibilità prevista dall’art.590.sexies, comma 2, del codice penale, onde qualora l’evento si sia verificato appunto a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. Interessante in particolare l’art.3 della legge che prevede la istituzione di un Osservatorio delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, destinato a raccogliere i dati utili per la gestione del rischio sanitario e quelli concernenti le buone pratiche per la sicurezza delle cure, giusta predisposizione di linee di indirizzo con l’ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico scientifiche delle professioni sanitarie; all’uopo viene previsto un elenco delle società e delle associazioni in parola, che presentino caratteristiche peculiari idonee a garantirne la trasparenza e la capacità professionale scientifica; si tratta nella sostanza di enti deputati ad elaborare, unitamente alla istituzioni pubbliche e private, le raccomandazioni da includere in Linee guida con la finalità di fungere da parametro per la corretta esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità tanto preventive e diagnostiche quanto terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale. Si tratta di una fattispecie che configura, <em>de futuro</em>, una ipotesi di successione mediata di norme, collegata al mutamento nel tempo delle linee guida, delle raccomandazioni e delle buone pratiche, siccome raccolte e detenute a livello pubblicistico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 13910 onde - sul tema della natura della sentenza dichiarativa del fallimento nella bancarotta prefallimentare – con autentico <em>revirement</em> va affermato il principio di diritto per cui la ridetta sentenza dichiarativa di fallimento costituisce condizione obiettiva di punibilità, con la conseguenza per cui il termine di prescrizione decorre, ai sensi dell’art. 158 c.p. dalla data della predetta sentenza, e la competenza territoriale appartiene al giudice del luogo nel quale si è verificata tale condizione. Secondo la Corte, che aderisce ormai alla prevalente dottrina sul punto, la dichiarazione di fallimento costituisce, rispetto al reato di bancarotta prefallimentare, condizione obiettiva di punibilità ai sensi dell’art. 44 c.p. in quanto la dichiarazione di fallimento non aggrava in alcun modo l’offesa che i creditori soffrono per effetto delle condotte dell’imprenditore atteggiandosi piuttosto ad evento estraneo all’offesa tipica ed alla sfera di volizione dell’agente, e così rappresentando una condizione estrinseca di punibilità che restringe l’area del penalmente illecito, imponendo la sanzione penale (per ragioni di opportunità valutate dal legislatore) solo in quei casi nei quali alle condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento. Per la Corte dunque, in tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente, costituisce una condizione obiettiva di punibilità che circoscrive l’area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore già di per sé offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento, dovendosi tenere conto che – secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 1085 del 1988 – le condizioni obiettive di punibilità si sottraggono alla regola della rimproverabilità ex art. 27, comma 1, Cost.. Peraltro, sempre guardando alla bancarotta fraudolenta prefallimentare, dalla natura di condizione obiettiva di punibilità della dichiarazione di fallimento deriva, quale immediato precipitato, che il luogo e il tempo della commissione del reato, ai fini della determinazione della competenza territoriale, dei tempi di prescrizione e del calcolo del termine di efficacia dell’amnistia o dell’indulto, coincidono con quelli della sentenza di fallimento. La Corte precisa infine che la natura di condizione obiettiva di punibilità comporta l’insindacabilità della sentenza di fallimento, anche sotto il profilo delle eventuali modifiche migliorative della disciplina del fallimento ai sensi dell’art. 2 c.p. (c.d. successione mediata), che sarebbero invece rilevanti laddove essa costituisse elemento costitutivo della fattispecie penale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 settembre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 22407, la quale chiarisce che la regola della c.d. abolitio criminis, sancita dall’art. 2, comma II, del codice penale, non si applica retroattivattivamente, nell’ipotesi degli illeciti disciplinari che siano stati commessi dai magistrati, prima della depenalizzazione di un fatto di reato. La sanzione disciplinare, infatti, nonostante il fatto reato commesso dal magistrato sia stato abolito per opera di una legge sopravvenuta, rimane viva; chiarisce la Corte che la depenalizzazione del fatto-reato non incide retroattivamente sugli illeciti disciplinari dei magistrati, rientrando questi nell’alveo degli illeciti amministrativi. La irretroattività della abolitio criminis è coerente con la diversità dei beni protetti dalla norma penale e dalla norma disciplinare giacché, quest’ultima, pur di fronte alla depenalizzazione del fatto, continua a tutelare il bene dell’immagine del magistrato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 maggio esce l’ordinanza della IV sezione della Cassazione n. 21286 con la quale viene rimessa alle Sezioni Unite la risoluzione della questione giuridica, in tema di applicazione della legge penale sopravvenuta, circa quale trattamento sanzionatorio debba applicarsi nel caso di reato colposo d’evento a forma libera, in cui la condotta sia interamente realizzata nel vigore di una legge più favorevole e l’evento si sia verificato dopo la modifica del trattamento sanzionatorio. Il caso vedeva un investimento di un pedone avvenuto prima dell'introduzione delle norme sull'omicidio stradale (<a href="https://www.altalex.com/documents/news/2014/10/28/dei-delitti-contro-la-persona#art589bis">art. 589-bis c.p.</a> introdotto dalla <a href="https://www.altalex.com/documents/news/2015/10/29/omicidio-stradale">L. 41/2016</a>), divenute operative solo al momento della morte dell'uomo. Al ricorrente era stata applicata la pena prevista dalla nuova normativa, certamente più sfavorevole di quella in vigore al momento della condotta incriminata, secondo la tesi del momento consumativo del reato (non essendosi verificato l’evento morte, quale elemento costitutivo della fattispecie di reato, le modifiche sopravvenute erano da applicarsi al fatto concreto, anche in ipotesi di condotta posta in essere antecedentemente).</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, la Corte rileva tuttavia l’esistenza di due diversi orientamenti. Secondo un certo orientamento giurisprudenziale, in tema di trattamento sanzionatorio, deve aversi riguardo a quello vigente al momento della consumazione del reato, ovvero al momento dell'evento lesivo; ai fini dell'applicazione della disciplina di cui all'art. 2 c.p., il tempus commissi delicti va collocato al momento della consumazione del reato, ovvero al momento dell'evento lesivo (Cass. pen., Sez. Iv, 17 aprile 2015, n. 22379). Nello stesso senso è anche Cass. pen., Sez. V, 13 marzo 2014, n. 19008, secondo cui, in tema di successione di leggi penali nel tempo, il concorrente che abbia realizzato un contributo causale interamente esauritosi prima della introduzione di una nuova norma incriminatrice o meramente sanzionatoria è soggetto alla disciplina sopravvenuta, anche se più sfavorevole, quando il reato è pervenuto a consumazione dopo l'entrata in vigore di quest'ultima. Sul piano diametralmente opposto, si colloca altra giurisprudenza la quale ritiene che nel caso di successione di leggi penali che regolano la stessa materia, la legge da applicare é quella vigente al momento dell'esecuzione dell'attività del reo e non già quella del momento in cui si è verificato l'evento che determina la consumazione del reato.</p> <p style="text-align: justify;">A luglio esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 40986, con cui la Suprema Corte si pronuncia sul quesito di diritto, ad essa rimesso, se a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell'evento. La Corte aderisce all’orientamento secondo cui il parametro di riferimento deve essere rappresentato dal momento in cui l’agente ha realizzato la condotta, stabilendo che «in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta» (La problematica si era, in concreto, posta in specie, per i reati caratterizzati da uno sviluppo dell'iter criminis nel quale interviene un significativo iato temporale tra condotta ed evento e, per altro verso, dalla sopravvenienza, in tale intervallo temporale, di una legge penale più sfavorevole: sì tratta, dunque, di quelle che in dottrina sono state definite ipotesi di reato "a distanza" o ad evento differito, ipotesi ricondotte alla più generale figura del reato "a tempi plurimi").</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è la fattispecie in cui rileva la norma penale più favorevole?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>un <strong>fatto-reato</strong> <strong>specifico</strong>, accaduto in determinate circostanze spazio-temporali;</li> <li><strong>diverse leggi in successione tra loro</strong>, delle quali va identificata quella appunto più favorevole con riguardo alla connotazione del <strong>fatto</strong> <strong>non in sé</strong>, ma <strong>come reato</strong> (e dunque come <strong>inadempimento penalmente sanzionabile</strong>);</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste il criterio della “norma mista” e con cosa confligge?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>consiste nel superamento della logica dell’<strong>alternatività applicativa</strong> e nella <strong>creazione</strong> <strong><em>ope iudicis</em></strong> di una norma attraverso <strong>la sintesi delle diverse norme in successione</strong> tra loro, pescando gli elementi di maggior favore da entrambe;</li> <li>contrasta in quanto tale con il principio di <strong>legalità</strong> e, in particolare, con il principio di <strong>tassatività</strong> in quanto il giudice – seppure in sede applicativa – si fa creatore di <strong>una norma “<em>terza</em>”</strong> autoattribuendosi prerogative che sono solo del legislatore.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale criterio deve muovere il giudice nella ricerca della norma più favorevole?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il giudice deve partire dal <strong>fatto concreto</strong> (come concretamente realizzatosi), identificarne il <strong>disvalore penale</strong> che <strong>qualifica tale fatto come reato</strong> e verificare quale sia <strong>il trattamento più mite per esso previsto</strong> dalle norme in successione, tenendo conto di <strong>tutti i fattori che incidono</strong> – in concreto – <strong>sulla punibilità</strong> del reo;</li> <li>alcuni esempi si rintracciano nella introduzione di una <strong>condizione di procedibilità</strong> rispetto ad un reato prima punito d’ufficio, ovvero nella presenza di nuove <strong>cause di giustificazione</strong>, di <strong>circostanze</strong> o altro.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono i due tipi di successione di leggi penali, in relazione ai quali si pone il problema di identificare la norma più favorevole?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la successione <strong>immediata</strong>: le norme in successione investono in modo immediato e diretto la <strong>struttura</strong> della fattispecie;</li> <li>la successione <strong>mediata</strong>: le norme in successione investono la struttura della fattispecie in modo <strong>mediato e indiretto</strong>, attraverso il <strong>rinvio</strong> (a norme diverse da quella incriminatrice) per l’individuazione di taluni <strong>elementi</strong> della fattispecie medesima, come è il caso delle c.d. <strong>norme penali in bianco</strong> o, in misura meno smaccata, dei c.d. <strong>elementi normativi</strong> del fatto tipico.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le 3 tesi dottrinali più note in tema di successione di norme extrapenali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la tesi che tende ad <strong>applicare sempre</strong> l’art.25 Cost. e l’art.2 c.p. partendo dalla nozione di “<strong><em>fatto</em></strong>” penalmente rilevante di cui al <strong>comma 1</strong> dell’art. 2 (che viene assunta non poter essere che la medesima offerta nel <strong>comma 2</strong>), sicché qualunque modifica (anche extrapenale) <strong>che incida su tale “<em>fatto</em>”</strong> - se “<em>in melius</em> - ha anche una rilevanza penale, diversamente dovendo intendersi vanificato anche il <strong>principio rieducativo</strong> a cagione della condanna per un fatto che viene percepito dal reo come <strong>ormai non più stigmatizzato</strong> dal punto di vista penale;</li> <li>la tesi che tende a guardare al <strong>disvalore penale</strong> del fatto senza preconcetti aprioristici, e ad applicare la normativa più favorevole, in caso di successione coinvolgente la norma extrapenale, quando detta successione <strong>incide sul predetto disvalore</strong>: ad esempio, viene punita l’associazione a delinquere <strong>finalizzata allo sciopero</strong>, ma se lo sciopero da reato diviene <strong>diritto costituzionalmente tutelato</strong>, l’associazione a delinquere <strong>non è più punibile</strong> ove <strong>ad esso finalizzata</strong>;</li> <li>la tesi che tende a verificare se la norma extrapenale oggetto di successione <strong>integra </strong>(o meno) la fattispecie penale, ovvero se meramente la <strong>puntualizza </strong>(tesi <strong>più accreditata</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quando una norma extrapenale può dirsi certamente integratrice della fattispecie penale attivando, in caso di successione, l’ipotesi della c.d. norma più favorevole?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="309"> <li>quando si è al cospetto di una <strong>norma penale in bianco</strong>, come ad esempio nell’ipotesi dell’art. 73 del D.P.R. 90 in tema di stupefacenti, che rimanda ad un <strong>decreto interministeriale</strong> per l’identificazione di quali sostanze siano stupefacenti;</li> <li>quando si è dinanzi ad una <strong>norma definitoria</strong> di un <strong>elemento costitutivo</strong> della fattispecie penale, come ad esempio nel caso della <strong>maggiore età</strong> (nelle fattispecie penali in cui rileva), che la legge 39.75 abbassò da 21 a 18 anni.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quando una norma extrapenale può dirsi solo puntualizzatrice di una fattispecie penale, e con quali effetti?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la norma extrapenale che <strong>puntualizza</strong> un elemento della fattispecie penale, proprio perché tale non lo <strong>integra</strong>: si tratta degli elementi normativi della fattispecie che non contribuiscono ad esplicitare la <strong>scelta di politica criminale</strong> operata dal legislatore, sicché in caso di modifica delle norme extrapenali richiamate <strong>nessun effetto</strong> viene spiegato sulla fattispecie penale;</li> <li>l’incriminazione ha allora un determinato ambito applicativo, ed il mutamento legislativo extrapenale non sortisce alcun effetto su tale <strong>ambito penalmente rilevante</strong> (laddove questo accada, all’opposto, gli articoli 25 Cost. e 2 c.p. impongono di valutare quale sia la norma più favorevole da applicare al soggetto attivo);</li> <li>in dottrina, a seconda della prospettiva più o meno garantista prescelta, la <strong>norma extrapenale puntualizzatrice</strong> può sortire effetti o meno - in caso di successione che la coinvolga - sulla fattispecie penale che la richiama (elemento normativo), come nel caso di cui al concetto di “<strong><em>corso legale</em></strong>” della moneta ai fini dell’applicazione (o meno) del reato di <strong>contraffazione ex art. 453</strong>p.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le ipotesi di elementi normativi più discusse in ordine alla possibile rilevanza sul precetto penale della successione delle norme extrapenali richiamate?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>in tema di <strong>colpa specifica</strong>: il problema è vedere cosa accade se la <strong>regola cautelare specifica</strong> richiamata muta, e che tipo di conseguenze ciò può sortire, per esempio, su un omicidio colposo (la tesi più accreditata ritiene che tale mutamento <strong>non sortisca effetti</strong> dal punto di vista penale);</li> <li>in tema di norme non solo extrapenali, ma addirittura extragiuridiche e, dunque, <strong>sociali o culturali</strong>: il problema è vedere cosa accade se <strong>la regola sociale o culturale</strong> <strong>muta</strong>, e che tipo di conseguenze può sortire, per esempio, su una ipotesi come quella degli <strong>atti “osceni”</strong> ex <strong> 527</strong> c.p. (si contendono il campo una tesi più garantista che applica l’art.2 c.p. ed una più rigorosa che ne esclude l’applicazione).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p>