<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quando il contratto, piuttosto che prevedere la soddisfazione di interessi contrapposti, ha come obiettivo il perseguimento in comune di un interesse condiviso di carattere non lucrativo (secondo un prototipo di sviluppo collettivo delle personalità singole), il relativo precipitato è una associazione autonoma e distinta dalle persone fisiche che la compongono, seppure in modo “</em>perfetto<em>” o “</em>imperfetto<em>” a seconda della più o meno consistente entificazione – personale e patrimoniale - del nuovo soggetto giuridico all’uopo costituitosi, con specifiche ricadute in termini di responsabilità propria e delle persone fisiche che ne fanno parte.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale Codacci Pisanelli all’art.2 non parla di associazioni, quanto piuttosto – in ottica ancora ibrida “<em>pubblico-privato</em>” - di Comuni, di Provincie, di istituti pubblici civili od ecclesiastici ed in generale di “<em>corpi morali</em>” che – giusta <em>fictio iuris</em> (secondo la teoria di Savigny) – laddove legalmente riconosciuti, sono considerati come persone (fisiche) e godono dei diritti civili secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico; non sono dunque previste ancora le c.d. associazioni non riconosciute. Importanti, per quanto concerne il regime dei beni, l’art.433 alla cui stregua i beni degli istituti civili od ecclesiastici e degli altri corpi morali appartengono ai medesimi, in quanto le leggi del Regno riconoscano in essi la capacità di acquistare e possedere, e l’art.434 alla cui stregua i beni degli istituti ecclesiastici sono soggetti alle leggi civili e non si possono alienare senza l’autorizzazione del Governo. L’art.518 prevede poi che l’usufrutto stabilito in favore di Comuni o di altri corpi morali per atto tra vivi o di ultima volontà non può eccedere la durata di 30 anni. Sullo specifico crinale successorio l’art.834 – dopo aver affermato che è nulla ogni disposizione fatta a favore di persona incerta da nominarsi da un terzo – dichiara tuttavia valida la disposizione <em>mortis causa</em> a titolo particolare in favore di persona da scegliersi da un terzo tra più persone determinate dal testatore, ovvero appartenenti a famiglie o corpi morali da lui determinati, assumendo parimenti valida quella a favore di uno o più corpi morali determinati dal testatore; di rilievo massime l’art.932, onde le eredità devolute ai corpi morali non possono essere accettate che con l’autorizzazione del Governo, da accordarsi nelle forme stabilite dalle leggi speciali, l’accettazione dovendo comunque avvenire con beneficio di inventario, secondo le forme stabilite dai rispettivi regolamenti; del pari, alla stregua del successivo articolo 1060, le donazioni fatte ai corpi morali non possono essere accettate se non con l’autorizzazione del Governo: si tratta di disposizioni intese a fronteggiare la c.d. “<em>manomorta</em>”, ovvero la sottrazione alla circolazione ed al traffico giuridico dei beni immobili. Infine, ai sensi dell’art.1457, onde scongiurare possibili conflitti di interessi, gli amministratori dei beni dei Comuni o degli istituti pubblici affidati alla relativa cura – salve le particolari circostanze, indicate nell’atto di vendita, in cui siano (eccezionalmente) autorizzati a concorrere negli incanti – non possono essere compratori di tali beni, né in via diretta né per interposta persona, sotto pena di nullità del pertinente contratto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice penale, all’art.115, inizia col prevedere che - salvo che la legge disponga altrimenti (si tratta dei reati c.d. a partecipazione od associazione necessaria) - qualora 2 o più persone si accordino “<em>episodicamente</em>” allo scopo di commettere 1 reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell'accordo (quand’anche, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice possa applicare una <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4552.html">misura di sicurezza</a>). Tuttavia, ai sensi del successivo art.416, quando ad associarsi – con struttura più articolata, stabile e complessa - siano 3 o più persone allo scopo di commettere più <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4330.html">delitti</a>, coloro che <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4980.html">promuovono</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4981.html">costituiscono</a> od <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4982.html">organizzano</a> l'associazione sono puniti, per ciò solo (e dunque per il solo fatto di aver promosso, costituito od organizzato la compagine), con la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4311.html">reclusione</a> da tre a sette anni, mentre per il solo fatto di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4983.html">partecipare</a> all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni; la stessa norma precisa che i <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4765.html">capi</a> dell’associazione a delinquere soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori, e che se gli associati “<em>scorrono in armi</em>” le campagne o le pubbliche vie, si applica ad essi la reclusione da cinque a quindici anni; la pena è altresì aumentata se il numero degli associati è di 10 o più.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, che agli articoli 11 e seguenti, disciplina le associazioni assieme alle fondazioni, dettando norme in parte comuni ad entrambi gli enti privati ed in parte riferite a ciascuno di essi. Di rilievo in particolare l’art.17 che – sulla scia del codice del 1865, ed al fine di scongiurare la c.d. manomorta sugli immobili (diritti perpetui su immobili a favore di enti morali, specie ecclesiastici, che ne comportavano la sottrazione alla circolazione giuridica per lungo periodo di tempo, a causa dell’impossibilità di trasmetterli <em>mortis causa</em>) – impone per l’acquisto di immobili e per l’accettazione di donazioni, eredità o legati da parte delle persone giuridiche, e dunque anche delle associazioni riconosciute, la previa autorizzazione governativa, senza la quale l’acquisto viene dichiarato non avere effetto (pur rimanendo valido). La medesima ratio presenta l'articolo 600 - alla cui stregua le disposizioni testamentarie a favore di un ente non riconosciuto non hanno efficacia, se entro 1 anno dal giorno in cui il testamento è eseguibile non è fatta l'istanza per ottenere il riconoscimento (pur potendo essere <em>medio tempore</em> promossi gli opportuni provvedimenti conservativi) –, l’art.782, comma 4 – alla cui stregua se una donazione è fatta ad una persona giuridica, il donante non può revocare la sua dichiarazione dopo che gli è stata notificata la domanda diretta a ottenere dall'autorità governativa l'autorizzazione ad accettare (mentre può revocarla dopo 1 anno dalla notificazione senza che l'autorizzazione sia stata concessa) – e l’art. 786 - alla cui stregua la donazione a favore di un ente non riconosciuto non ha efficacia se entro 1 anno non è notificata al donante l'istanza per ottenere il riconoscimento (notifica che rende irrevocabile la donazione): da queste disposizioni si evince che gli enti riconosciuti (persone giuridiche) hanno bisogno, per acquistare a titolo gratuito, dell’autorizzazione governativa, mentre ai medesimi fini quelli non riconosciuti debbono prima chiedere il riconoscimento e poi – una volta divenute persone giuridiche - ottenere la prescritta autorizzazione governativa medesima. Significative, su altro versante, le scarne norme (articoli 36-39) dedicate proprio alle associazioni non riconosciute, come tali compendianti soggetti non dotati di personalità giuridica, che si riveleranno particolarmente importanti in sede di disciplina di partiti e sindacati. Di rilievo infine l’art.1332 in tema di contratti c.d. plurilaterali, e come tali aperti all’adesione di terzi, onde se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità dell'adesione, questa deve essere diretta all'organo che sia stato costituito per l'attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari: da questa norma traspare la peculiare causa del contratto associativo, da identificarsi nell’interesse che coagula gli associati, e che a propria volta si identifica nello scopo che essi perseguono, in relazione al quale non può essere distonico il neo-innesto personale di cui all’aspirante socio che chiede di aderire ad una compagine già costituita.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana che, all’art.2, addìta le “<em>formazioni sociali</em>” quale peculiare luogo di sviluppo della personalità dell’uomo e di esercizio dei propri diritti inviolabili. Norma cardine in tema di diritto di associarsi è l’art.18, alla cui stregua i cittadini (e dunque non anche, a rigore, gli stranieri) hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale, onde lo scopo non penalmente sanzionato per il singolo individuo non può esserlo neppure laddove venga raccolto e fatto proprio da più soggetti che si associno per perseguirlo; per la Costituzione sono tuttavia proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Venendo alle singole “<em>cause</em>” associative lecite, gli articoli 7 e 8 della Carta disciplinano le confessioni religiose, quali tutt’affatto peculiari formazioni sociali; con specifico riferimento a quelle diverse dalla cattolica, esse - ai sensi dell’art.8, comma 2 - hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano: in questa norma lo statuto viene dunque visto dalla Costituzione come atto di auto-organizzazione di una associazione, nel caso di specie, con finalità religiose; peraltro, ai sensi del successivo articolo 20, il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione (od istituzione) non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la relativa costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività, con ciò chiarendosi come la precipua causa “<em>religiosa</em>” di un contratto associativo non può costituire discrimine <em>in peius</em> per l’ente in termini, fra gli altri, di relativa capacità giuridica. Rimanendo sul crinale della religione, ai sensi dell’art.19 tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, oltre che di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Particolarmente importante, su altro versante, l’art.39 della Carta che, dopo aver solennemente affermato che l'organizzazione sindacale è libera, sancisce come ai sindacati non possa essere imposto altro obbligo se non la relativa registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge, ponendo come condizione per tale registrazione che i relativi statuti sanciscano un ordinamento interno a base democratica; i sindacati registrati hanno personalità giuridica e possono (solo se registrati, appunto), rappresentati unitariamente in proporzione ai relativi iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce; si tratta di una norma che rimarrà sostanzialmente inattuata, optando i sindacati, fondamentalmente, per la forma giuridica dell’associazione non riconosciuta (come tale, meno soggetta a controllo pubblico), e trovandosi vari espedienti per conferire in ogni caso ai contratti collettivi da essi firmati efficacia <em>erga omnes</em>. Altrettanto importante – ed in gran parte parimenti inattuato – è l’art.49 della Carta onde tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale: anche i partiti – come i sindacati - rimarranno, nella sostanza, associazioni non riconosciute, come tali disciplinate dalle scarne norme di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile. Tanto per i partiti che per i sindacati la Costituzione ha previsto la democraticità interna come valore indefettibile, conferendo peculiare importanza allo statuto associativo, quale atto auto-organizzativo (che dovrebbe essere) capace di garantire tale democraticità interna. Da rammentare anche il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Carta, e che costituisce un limite specifico ed indefettibile alla libertà di associazione, con particolare riguardo ai partiti politici.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1958</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 ottobre esce la sentenza del Consiglio di Stato n.1013 che, nel chiarire come nel contesto di una associazione privata l’approvazione del bilancio sia di competenza dell’Assemblea, e non degli amministratori, soggiunge come tutti gli associati debbano avere i medesimi diritti ed obblighi con particolare riguardo al diritto di voto, non potendosi dunque distinguere categorie di soci con diritti ulteriori e diversi rispetto a tutti gli altri soci (o ad altre categorie di essi), come nel caso di categorie di soci che possono votare e altre categorie di soci prive di tale diritto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1969</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza della Cassazione n.1037 che afferma come la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, pur essendo qualificata ex art.38 c.c. quale responsabilità da inadempimento di obbligazioni (c.d. “<em>contrattuale</em>”), deve intendersi operativa anche in fattispecie di illecito aquiliano ex art.2043 e seguenti c.c. Si tratta di un orientamento che rimarrà costante nel tempo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.3579 che ribadisce come la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, pur essendo qualificata ex art.38 c.c. quale responsabilità da inadempimento di obbligazioni (c.d. “<em>contrattuale</em>”), deve intendersi operativa anche in fattispecie di illecito aquiliano ex art.2043 e seguenti c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1980</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 agosto esce la sentenza della Cassazione n.5020 che, inserendosi in un filone pretorio consolidato, afferma la responsabilità personale e solidale ex art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute operare solo a favore di creditori “<em>non soci</em>”, potendo il creditore socio valutare la consistenza patrimoniale dell’associazione di cui fa parte, con conseguente non necessità di prevedere la responsabilità aggiuntiva di chi ha agito in nome e per conto dell’ente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 luglio esce la sentenza della Cassazione n.4710 alla cui stregua la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta ai sensi dell’art.38 c.c. non si estende a quei soci che si siano limitati a decidere il compimento dell’atto generatore di obbligazione all’interno degli organi associativi e che dunque i creditori non abbiano personalmente conosciuto, non potendone così valutare la affidabilità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1982</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 settembre viene varata la legge n.646, c.d. <em>Rognoni – La Torre</em>, che con l’art.1 innesta nel sistema del codice penale il nuovo articoli 416.bis in tema di associazione mafiosa, onde chiunque fa parte per l’appunto di un'associazione “<em>di tipo mafioso</em>” formata da 3 o più persone è punito per ciò solo con la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4311.html">reclusione</a> da 10 a 15 anni, mentre coloro che <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4980.html">promuovono</a>, <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2449.html">dirigono</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4982.html">organizzano</a> questo tipo di associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da 12 a 18 anni. La norma chiarisce che l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4986.html">forza di intimidazione</a> del vincolo associativo e della condizione di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4987.html">assoggettamento</a> e di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4988.html">omertà</a> che ne deriva per commettere <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4330.html">delitti</a> e per perseguire tutta una serie di scopi che saranno via via implementati dal legislatore nel corso degli anni, con elencazione da assumersi nondimeno tassativa. L’associazione di stampo mafioso si differenzia dalla comune associazione per delinquere di cui all’art.416 c.p. proprio con riguardo alle (tassative) finalità che essa persegue atteso come - oltre alla commissione di delitti - l'associazione con tale foggia possa perseguire anche finalità lecite avvalendosi nondimeno del mezzo illecito della forza di intimidazione, che la qualifica penalmente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre esce la sentenza del Tribunale di Napoli che ammette la legittimità di clausole dello statuto associativo che riconoscano il diritto di voto solo a determinate categorie di associati (nel caso di specie, i soci fondatori), escludendolo per altri.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 febbraio viene varata la legge n.52, recante modifiche al libro VI del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento alla introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari. Si tratta di un importante provvedimento che all’art.1 modifica l’art.2659 c.c. in tema di nota di trascrizione e consente la trascrizione di acquisti immobiliari direttamente a nome di associazioni non riconosciute, così implicitamente ammettendo la possibilità per tali enti senza personalità giuridica di assumere la titolarità di diritti reali immobiliari (al pari delle associazioni riconosciute) senza tuttavia toccare il resto della scarna disciplina per esse prevista dal codice civile; del pari, l’art.14 della legge modifica l’art.2839 c.c. in tema di formalità per l’iscrizione dell’ipoteca, anche in questo caso annoverando innovativamente le associazioni non riconosciute e così confermando appunto la possibilità per le stesse di essere titolari di diritti reali immobiliari (oggetto di potenziale garanzia ipotecaria). La dottrina commenta il provvedimento come inteso a favorire partiti politici e sindacati, con particolare riferimento al relativo (spesso ingente) patrimonio immobiliare. In sostanza, viene prevista la possibilità per le associazioni non riconosciute di trascrivere acquisti immobiliari <em>inter vivos</em> a titolo oneroso, così implicitamente confermando la sottrazione di tali acquisti al controllo (autorizzazione governativa) previsto dall’art.17 che, essendo norma eccezionale perché limitatrice dell’esercizio di diritti, va assunta riferita (per le associazioni non riconosciute) ai soli acquisti a titolo gratuito. Da questo momento in poi dunque, l’incapacità immobiliare non è più con certezza elemento distintivo tra persone giuridiche riconosciute ed associazioni non riconosciute, potendo queste ultime acquistare senza controllo governativo, seppure solo a titolo oneroso; la distinzione, tradizionalmente fondata sulla autonomia patrimoniale imperfetta delle associazioni non riconosciute rispetto agli enti-persone giuridiche (se non addirittura su una presunzione di incapacità immobiliare delle prime, rispetto alla piena capacità immobiliare delle seconde), si impernia ormai sulla sola incapacità per le associazioni non riconosciute di operare acquisti a titolo gratuito, capacità garantita invece alle associazioni riconosciute.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 agosto viene varata la legge n.266, legge quadro sulle organizzazioni di volontariato, che prevede la possibilità per tali organizzazioni, laddove iscritte in appositi registri, di accettare donazioni e, con beneficio di inventario, lasciti testamentari in deroga agli articoli 786 e 600 c.c.: viene dunque consentito ad associazioni di volontariato, ancorché prive di personalità giuridica, e laddove iscritte in appositi registri, di accettare donazioni e lasciti testamentari senza essere costrette a chiedere previamente il riconoscimento e dunque la personalità giuridica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 4266 alla cui stregua la responsabilità aggiuntiva, personale e solidale, di cui all’art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute concerne non già solo coloro cui risulti attribuita la rappresentanza o la direzione della compagine, quanto piuttosto coloro che abbiano concretamente agito contraendo obbligazioni in nome e per conto dell’associazione, in modo indipendente dalla specifica carica ricoperta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3980 alla cui stregua, anche laddove l’aspirante socio possegga i requisiti previsti nell’atto costitutivo o nello statuto dell’associazione, non può assumersi configurabile a carico dell’associazione medesima un obbligo di accogliere le domande di ammissione ricevute, la decisione afferente a ciascuna ammissione rimanendo sempre – tanto da parte dell’associazione quanto da quella dell’aspirante socio – un atto di autonomia contrattuale per il quale è richiesto, a pena di nullità, l’accordo delle parti ex art.1325 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio viene varata la legge n.127 il cui art. 13 abroga l’art.17 del codice civile, eliminando così la previa autorizzazione governativa per l’accettazione di donazioni ovvero eredità o legati, nonché per l’acquisto di immobili, da parte delle persone giuridiche.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 21 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 5089 alla cui stregua la responsabilità aggiuntiva, personale e solidale, di cui all’art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute concerne non già solo coloro cui risulti attribuita la rappresentanza o la direzione della compagine, quanto piuttosto coloro che abbiano concretamente agito contraendo obbligazioni in nome e per conto dell’associazione, in modo indipendente dalla specifica carica ricoperta.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio viene varato il D.p.R. n.361, ovvero il regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (ex n. 17 dell'allegato 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59). Importante quanto viene richiesto ai fini del riconoscimento dell’associazione, con riguardo al relativo patrimonio: alla domanda di riconoscimento va infatti allegata documentazione idonea che dimostri la consistenza patrimoniale dell’associazione che chiede il riconoscimento, in relazione evidentemente allo scopo che essa si prefigge; l’importanza riconosciuta al patrimonio è riconnessa alla funzione dello stesso che non è solo quella di consentire l’adeguato perseguimento dello scopo associativo, ma anche quella di garantire i creditori della futura associazione riconosciuta.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.2471 alla cui stregua la responsabilità di chi ha agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.38 c.c., ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’ente, e non concerne dunque – neppure <em>pro quota</em> od in parte – un debito proprio del socio; si tratta di una riaffermazione dell’autonomia patrimoniale, seppure imperfetta, dell’associazione non riconosciuta quale autonomo soggetto di diritto.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.6350 alla cui stregua la responsabilità aggiuntiva, personale e solidale, di cui all’art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute concerne non già solo coloro cui risulti attribuita la rappresentanza o la direzione della compagine, quanto piuttosto coloro che abbiano concretamente agito contraendo obbligazioni in nome e per conto dell’associazione, in modo indipendente dalla specifica carica ricoperta.</p> <p style="text-align: justify;">Esce il 22 giugno la legge n.192 che ribadisce l’abrogazione dell’art.17 del codice civile, rinforzandone il disposto: vengono infatti abrogati anche l'articolo 600, il quarto comma dell'articolo 782 e l'articolo 786 del codice civile, nonché ogni altra disposizione che prescriva autorizzazioni per l'acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredita' e legati da parte di persone giuridiche, ovvero il riconoscimento o autorizzazioni per l'acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredita' e legati da parte delle associazioni, fondazioni e di ogni altro ente non riconosciuto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 6 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11759 alla cui stregua la responsabilità di chi ha agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.38 c.c., ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’ente, e non concerne dunque – neppure <em>pro quota</em> od in parte – un debito proprio del socio; si tratta di una riaffermazione dell’autonomia patrimoniale, seppure imperfetta, dell’associazione non riconosciuta quale autonomo soggetto di diritto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 agosto viene varata la legge n.228, il cui articolo 4 aggiunge un comma all’art.416 bis c.p., onde se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti in tema di riduzione in schiavitù di cui agli articoli <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-i/art600.html">600</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-i/art601.html">601</a> e <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/art602.html">602</a>, nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applicano pene più severe rispetto alle altre ipotesi di associazione per delinquere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.17907 che si occupa della delicata questione del sindacato affidato al GO sulle delibere associative di esclusione del socio; si tratta di un giudizio che, per la Corte (sulla scia degli impulsi dottrinali), non può assumersi di mera legittimità formale, non dovendosi indagare dunque solo se la delibera abbia rispettato le regole di procedura previste dalla legge o dall’atto costitutivo, connotandosi anche come sindacato di legittimità sostanziale dovendo, come tale, accertare se l’esclusione sia stata disposta in presenza delle condizioni legali e statutarie che la giustificano quale provvedimento escludente. Da questo punto di vista, i “<em>gravi motivi</em>” si atteggiano per la Corte a concetto relativo per intendere il quale occorre fare riferimento all’autonomia organizzatoria propria di ciascuna compagine e dunque al modo in cui i soci della associazione considerata lo hanno di volta in volta inteso. Da questo punto di vista, gli organi associativi – e segnatamente l’assemblea – godono di una discrezionalità escludente che può essere sindacata dal GO in via meramente estrinseca, giusta controllo della legittimità formale e sostanziale della pertinente delibera in relazione agli specifici fini sociali perseguiti, senza giungere ad un sindacato di tipo intrinseco, che toccando l’autonomia associativa si atteggerebbe ad indebitamente invasivo della medesima. Il GO deve dunque verificare, scandagliando la motivazione dell’esclusione, se la pertinente delibera sia o meno manifestamente contraddittoria, ovvero affetta da sviamento di potere perché resa per il perseguimento di fini o per il soddisfacimento di interessi che esulano da quelli associativi. Si è al cospetto, come chiosa la dottrina, di un interesse legittimo di diritto privato giustapposto ad un potere dell’associazione, e per essa dei relativi organi, che si atteggia a discrezionale, ma non già ad arbitrario, non essendo libero nei pertinenti fini.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 aprile esce l’importante sentenza della Corte costituzionale n.138 che, nel definire il concetto di “<em>formazione sociale</em>” ai sensi dell’art.2 della Costituzione, addìta per tale ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona umana nella vita di relazione, in un contesto di valorizzazione del modello pluralistico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 ottobre viene varata la legge n.172, il cui articolo 4 aggiunge un comma all’art.416 bis c.p., onde se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti in tema di prostituzione minorile e di violenza sessuale previsti dagli articoli <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-i/art600bis.html">600.bis</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-i/art600ter.html">600.ter</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-i/art600quater.html">600.quater</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-i/art600quinquies.html">600.quinquies</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-ii/art609bis.html">609.bis</a>, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-ii/art609quater.html">609.quater</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-ii/art609quinquies.html">609.quinquies</a>, <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-ii/art609octies.html">609.octies</a>, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-ii/art609undecies.html">609.undecies</a>, si applicano pene più severe rispetto alle altre ipotesi di associazione per delinquere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1451 alla cui stregua il principio dell'apparenza del diritto nella relativa declinazione di apparenza colpevole – operante, in materia di rappresentanza negoziale, con riguardo al rappresentato apparente laddove si configuri una situazione di fatto difforme da quella di diritto in una con la buona fede del terzo che abbia stipulato con il falso rappresentante ed al cospetto di un comportamento colposo del rappresentato oggettivamente idoneo ad ingenerare nel terzo medesimo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente - trova applicazione anche nei confronti delle associazioni non riconosciute al fine di rendere le stesse obbligate in via principale, ai sensi dell'art. 38 cod. civ., per l'attività posta in essere da soggetto privo dei poteri rappresentativi ed appartenente all'associazione stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 12508 onde, in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale di chi abbia agito in nome e per conto dell'associazione è inquadrabile tra le garanzie "<em>ex lege</em>" assimilabili alla fideiussione, sicché trova applicazione l'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/02/21/della-fideiussione#art1957">art. 1957 cod. civ.</a> e il termine di decadenza ivi stabilito, senza che tale assetto, comportando una sorta di avvalimento di una garanzia personale, menomi alcun diritto, determini un trattamento deteriore per eventuali terzi ovvero - attesa la durata semestrale (e, dunque, non meramente apparente) del termine decadenziale - leda il diritto di azione del creditore. Per la Corte, nell'associazione non riconosciuta la responsabilità personale grava esclusivamente sui soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, attesa l'esigenza di tutela dei terzi che, nell'instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti; onde l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile tra le garanzie ed è <em>ex lege</em> assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli artt. <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/02/21/della-fideiussione#art1944">1944</a> (solidarietà e beneficio di escussione) e <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/02/21/della-fideiussione#art1951">1951</a> (regresso in caso di più condebitori solidali) del codice civile.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 23401 alla cui stregua le associazioni, ancorché non riconosciute e dunque prive di personalità giuridica, sono considerate dall’ordinamento come centri di imputazione di situazioni giuridiche e dunque come soggetti di diritto distinti dagli associati, dotate di un proprio patrimonio costituito dal fondo comune, di una propria capacità sostanziale e processuale e di una propria organizzazione regolata dai patti dell’accordo associativo o, in difetto, ove non incompatibili, dalle norme che disciplinano le associazioni riconosciute e le società. L’art. 2 della Costituzione infatti – prosegue la Corte - garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e tra questi vi è il diritto alla tutela del nome e dell’identità, che è da intendersi spettante non solo alle persone fisiche o giuridiche, ma anche alle associazioni non riconosciute.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 dicembre esce il parere della I sezione del Consiglio di Stato n. 2581 che riconosce alle associazioni non riconosciute che abbiano nel proprio statuto l’espressa finalità di fornire assistenza legale gratuita alle persone senza fissa dimora, ovvero la promozione di iniziative volte ad affermare e promuovere i diritti fondamentali delle persone senza fissa dimora e svantaggiate, la legittimazione ad impugnare un’ordinanza contingibile ed urgente con la quale il sindaco di un Comune abbia fatto divieto nel territorio comunale di porre in essere forme di accattonaggio, con qualunque modalità, in ogni spazio pubblico o aperto al pubblico ed abbia disposto altresì l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 160 onde è applicabile anche ai debiti di natura tributaria il principio elaborato dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di responsabilità personale e solidale, <em>ex</em> <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2013/04/11/delle-persone-giuridiche#art38">art. 38 c.c.</a>, di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta e secondo cui detta responsabilità non è legata alla sola titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra questa e i terzi. La CTR si conforma dunque al consolidato orientamento della Cassazione in tema di responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta <em>ex</em> <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2013/04/11/delle-persone-giuridiche#art38">art. 38 c.c.</a>, accogliendo l’appello del contribuente – l’<em>ex</em> presidente di una associazione non riconosciuta – e statuendo che nell’identificare il soggetto o i soggetti solidalmente responsabili per il debito di imposta non è sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita, ma occorre individuare chi, in forza del ruolo concretamente rivestito, ha diretto la complessa gestione della compagine nel periodo considerato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio viene varato il decreto legislativo n.117, il cui articolo 98, comma 1, inserisce nel codice civile l’art.42.bis alla cui stregua - se non è espressamente escluso dall'atto costitutivo o dallo statuto - le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni (esclusi dunque i comitati) possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni. La trasformazione produce gli effetti di cui all'articolo 2498 onde con la trasformazione l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione. L'organo di amministrazione deve predisporre una relazione relativa alla situazione patrimoniale dell'ente in via di trasformazione contenente l'elenco dei creditori, aggiornata a non più di 120 giorni precedenti la delibera di trasformazione, nonché la relazione di cui all'articolo 2500-sexies, secondo comma, c.c. in tema di trasformazione di società per azioni. Più in generale, alle trasformazioni si applicano gli articoli 2499, 2500, 2500-bis, 2500-ter, secondo comma, 2500-quinquies e 2500-nonies del codice civile, in quanto compatibili, ed alle fusioni e alle scissioni – parimenti - si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alle sezioni II e III del capo X, titolo V, libro V del codice civile, sempre in quanto compatibili. Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V del codice civile (in tema di società) prevede l'iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 26066 che, in tema di poteri degli amministratori di un’associazione, ribadisce l’orientamento secondo cui il divieto di compiere nuove operazioni previsto dall’art. 29 c.c. non si estende all’impugnazione giurisdizionale del provvedimento di messa in liquidazione, giacché tale attività rientra tra quelle di mera gestione e di conservazione del patrimonio dell’ente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 29886 che ritiene le pubblicazioni di un’associazione religiosa, se prodotte per la vendita, attività commerciale, come tale assoggettata alla relativa disciplina fiscale. Unica eccezione può considerarsi la fattispecie in cui la cessione di tale materiale avvenga prevalentemente nei confronti degli associati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 gennaio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.92 che precisa come ciascun gruppo parlamentare non può ritenersi prosecuzione o continuazione di un gruppo parlamentare della precedente legislatura: non va infatti trascurato di considerare, per la Corte, che si e’ al cospetto di soggetti giuridici diversi, sicché l’estinzione di uno di essi (ovvero di un gruppo parlamentare) non comporta alcun fenomeno di successione nel debito in capo al diverso soggetto, venuto a giuridica esistenza successivamente. La Corte richiama poi il proprio orientamento che, negando l'autodichia, disconosce ogni pretesa di giurisdizione domestica ed attribuisce al giudice ordinario le controversie dei gruppi parlamentari con i loro dipendenti, siccome ribadito - anche in relazione ai dipendenti dei gruppi parlamentari del Senato della Repubblica (il cui regolamento contiene, sul punto, disposizioni analoghe a quelle presenti nel regolamento della Camera dei deputati) - dalla sentenza a SS.UU. n. 27396 del 2014, laddove si è statuito come dette controversie spettino appunto alla cognizione del GO, quale giudice comune dei diritti che nascono dal rapporto di lavoro, giacché nei confronti dei relativi dipendenti i gruppi parlamentari si configurano non come organi dell'istituzione parlamentare, ma come associazioni non riconosciute, e quindi come soggetti privati, analogamente ai partiti politici dei quali sono peraltro espressione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 gennaio esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia, Brescia, n. 105, alla cui stregua va esclusa da una competizione elettorale una lista nel caso in cui, sia nel simbolo (il fascio), sia nella dizione letterale (fasci italiani del lavoro), sia, infine, nelle finalità statutarie del collegato movimento politico, vi sia un riferimento e/o un richiamo ideologico al disciolto partito fascista, il diritto di associarsi in un partito politico, scolpito all’art. 49 Cost., e quello di accesso alle cariche elettive, <em>ex</em> art. 51 Cost., trovando un limite indefettibile nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione; si tratta per il Tar di un precetto costituzionale che, fissando un’impossibilità giuridica assoluta e incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 14247 sugli enti ecclesiastici. Secondo la Corte, è riconosciuta la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto ai sensi dell’art. 7, comma 2, l. 121/1985. Gli altri enti ecclesiastici non riconosciuti dallo Stato, sono soggetti di diritto per l’ordinamento statuale assumendo, perciò, la natura di enti di fatto con conseguente applicazione delle norme di diritto comune.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 14954 che ritiene necessaria e indispensabile, ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 460 del 1997, affinché l'associazione possa legittimamente dirsi Onlus e quindi avere diritto all'iscrizione nell’apposito registro l'uso dell'espressione «organizzazione lucrativa di utilità sociale» nell'attività con la quale la fondazione si denomina verso gli altri, nelle comunicazioni da lei rivolte al pubblico o nei segni distintivi da lei utilizzati</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 120 che scrutina la legittimità della norma che vieta di costituire associazioni professionali di militari a carattere sindacale, ovvero di aderire ad altre associazioni sindacali. La Costituzione repubblicana ha superato radicalmente la logica istituzionalistica dell'ordinamento militare e ha ricondotto anche quest'ultimo nell'ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini, militari oppure no. In un precedente la Corte era chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, della L. n. 382 del 1978, in relazione all'art. 39, letto in sistema con l'art. 52, terzo comma, Cost.. La disposizione, abrogata a seguito dell'adozione del D.Lgs. n. 66 del 2010, era sostanzialmente identica a quella oggetto di scrutinio, prevedendo che "<em>I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali</em>", e la Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha affermato la sussistenza di peculiari esigenze di "<em>coesione interna e neutralità", che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali; ha rilevato in particolare che l'art. 52, terzo comma, Cost.</em> "<em>parla di</em> "<em>ordinamento delle Forze armate", non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all'ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l'assoluta specialità della funzione</em>". Le specificità dell'ordinamento militare giustificano, pertanto, la esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unità degli organismi che tale ordinamento compongono. Analogamente, prosegue la Consulta, l'inammissibilità di tale limite non può desumersi dalla disposizione della Carta sociale europea, la cui formulazione − come si è visto − non si discosta da quella convenzionale. Né in senso contrario può essere addotta la decisione assunta dal Comitato europeo dei diritti sociali il 27 gennaio 2016 e pubblicata il 4 luglio 2016, Conseil Européen des Syndicats de Police (CESP) contro Francia (reclamo n. 101/2013). A differenza della CEDU, la Carta sociale europea non contiene una disposizione di effetto equivalente all'art. 32, paragrafo 1, secondo cui "<em>La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa ...</em>". A sua volta, il Protocollo addizionale alla Carta sociale europea, che istituisce e disciplina il sistema dei reclami collettivi, non contiene una disposizione di contenuto analogo all'art. 46 della CEDU, ove si afferma che "<em>Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti</em>", disposizione che fonda l'autorità di <em>res iudicata</em> delle sentenze rese dalla Corte EDU relativamente allo/agli Stato/Stati in causa ed alla controversia decisa dalla Corte stessa. Pertanto, rispetto alle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, non può trovare applicazione quanto affermato dalla Corte medesima nella sentenza n. 348 del 2007: "<em>Poiché ... le norme della CEDU vivono nell'interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea, la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell'interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata</em>". Nel contesto dei rapporti così delineati fra la Carta sociale europea e gli Stati sottoscrittori, le pronunce del Comitato, pur nella loro autorevolezza, non vincolano i giudici nazionali nella interpretazione della Carta, tanto più se − come nel caso in questione − l'interpretazione estensiva proposta non trova conferma nei nostri princìpi costituzionali. Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale nella parte che investe il divieto di "<em>aderire ad altre associazioni sindacali</em>", divieto dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e che esse non possano aderire ad associazioni diverse. La corretta attuazione della disciplina costituzionale della materia impone alla Corte un'ulteriore verifica; difatti i valori che essa sottende sono di tale rilevanza da rendere incompatibile con la disciplina stessa un riconoscimento non specificamente regolamentato del diritto di associazione sindacale. La previsione di condizioni e limiti all'esercizio di tale diritto, se è infatti facoltativa per i parametri internazionali, è invece doverosa nella prospettiva nazionale, al punto da escludere la possibilità di un vuoto normativo, vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale. Occorre dunque accertare se tale evenienza nella specie si verifica, ovvero se sono rinvenibili nell'ordinamento disposizioni che, in attesa dell'intervento del legislatore, siano idonee a tutelare questi valori. Quanto alla costituzione delle associazioni sindacali, trova allo stato applicazione la non censurata disposizione dell'art. 1475, comma 1, del D.Lgs. n. 66 del 2010, secondo cui <em>"La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa</em>". Si tratta di una condizione di carattere generale valida a fortiori per quelle a carattere sindacale, sia perché <em>species</em> del genere considerato dalla norma, sia per la loro particolare rilevanza. In ogni caso gli statuti delle associazioni vanno sottoposti agli organi competenti, e il loro vaglio va condotto alla stregua di criteri che senza dubbio è opportuno puntualizzare in sede legislativa, ma che sono già desumibili dall'assetto costituzionale della materia. A tal fine fondamentale è il principio di democraticità dell'ordinamento delle Forze armate, evocato in via generale dell'art. 52 Cost., che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari. Sotto altro profilo tale principio viene in evidenza nella prospettiva del personale interessato, quale titolare della libertà di associazione sindacale sancita dal primo comma dell'art. 39 Cost.: l'esercizio di tale libertà è infatti possibile solo in un contesto democratico. Altresì rilevante è il principio di neutralità previsto dagli artt. 97 e 98 Cost. per tutto l'apparato pubblico, e valore vitale per i Corpi deputati alla "<em>difesa della Patria</em>"; anch'esso ha come necessario presupposto il rigoroso rispetto della democrazia interna all'associazione. La verifica dell'esistenza di questi requisiti comporta in particolare l'esame dell'apparato organizzativo, delle sue modalità di costituzione e di funzionamento; ed è inutile sottolineare che tra tali modalità spiccano per la loro rilevanza il sistema di finanziamento e la sua assoluta trasparenza. Quanto ai limiti dell'azione sindacale, va anzitutto ricordato il divieto di esercizio del diritto di sciopero. Si tratta indubbiamente di una incisione profonda su di un diritto fondamentale, affermato con immediata attuazione dall'art. 40 Cost. e sempre riconosciuto e tutelato da questa Corte, ma giustificata dalla necessità di garantire l'esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti (sentenza n. 31 del 1969). Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, è indispensabile una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l'adeguamento agli obblighi convenzionali, la Consulta ritiene che, in attesa dell'intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del D.Lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza "le materie concernenti l'ordinamento, l'addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l'impiego del personale". Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato, adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce la sentenza della VI sezione penale della Cassazione n. 27202 onde la qualifica di soggetto di incaricato di pubblico servizio non può conseguire né alla semplice attività socio-assistenziale, né alla ricezione del corrispettivo per le prestazioni rese. Per tale ragione, anche in caso di esercizio di attività convenzionata da enti pubblici, non può configurarsi il reato di peculato a carico del gestore di una Onlus, giacché siffatta entità giuridica non acquisisce in nessun caso natura pubblicistica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 16031 che stabilisce la non applicabilità dell’art. 4 4, L. n. 108 del 1990, l’associazione che, per statuto, non persegue un fine ideologicamente orientato di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto ed operi con criteri di economicità, ossia non semplicemente rivolti al perseguimento dei fini sociali dell’ente ma finalizzati al tendenziale pareggio tra costi e ricavi, restando, a tal fine, irrilevante la distribuzione di utili. Di conseguenza, in caso di licenziamento del dipendente si applicherà la tutela reale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 luglio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 170 che dichiara non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», nel testo sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), nella parte in cui prevede quale illecito disciplinare l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del ruolo organico della magistratura perché collocati in aspettativa per motivi elettorali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n- 22861 che stabilisce come la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta ai sensi dell'art. 38 c.c., si applica anche ai debiti di natura tributaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce la sentenza della III sezione del TAR Veneto n. 951 onde è illegittima la indizione, da parte di un’Azienda Sanitaria, di una apposita gara per l’affidamento del servizio di trasporto con ambulanza in emergenza; infatti, l’art. 17, 1° comma, lett. h) del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">D.Lgs. n. 50/2016</a> ha stabilito, in conformità con l’art. 10 della direttiva n. 2014/24/UE – derogando alla regola generale secondo cui i servizi pubblici sono affidati attraverso una gara volta ad individuare il soggetto che garantisca le condizioni ottimali -, che i “servizi di ambulanza” (servizi di soccorso sanitario in emergenza da attuarsi mediante ambulanza) sono esclusi dalle disposizioni del codice; di conseguenza, il servizio potrà essere affidato mediante stipula di una convenzione diretta, con un’organizzazione di volontariato iscritta nel registro regionale delle OdV ed accreditata per l’esercizio del trasporto e soccorso con ambulanza.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre esce la sentenza della I sezione del TAR Emilia Romagna – Parma n. 340 che ribadisce come la somministrazione di alimenti e bevande all’interno dei circoli privati è consentita in favore dei soli soci e la qualità di socio si acquisisce unicamente a seguito del perfezionamento della procedura di iscrizione, a nulla rilevando il fatto che sia stata già presentata la domanda di iscrizione e si sia quindi in attesa di accoglimento da parte dell’Associazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 32618 onde la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti, vista la natura essenzialmente pubblicistica di tali gruppi in relazione alla funzione strumentale da essi svolta.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n. 32727 che ribadisce come a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 396 del 1988 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un’istituzione privata), la natura pubblica o privata degli enti di assistenza e beneficenza deve essere accertata, in concreto, dal giudice ordinario, facendo ricorso ai criteri indicati dal d.p.c.m. 16 febbraio 1990 (ricognitivo dei principi generali dell’ordinamento, e ritenuto legittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 1990), indipendentemente dalle denominazioni assunte dagli enti, dalla volontà dei loro organi direttivi e dall’esito delle procedure amministrative eventualmente esperite.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 gennaio esce l’ordinanza delle VI sezione della Cassazione n. 100 onde Laddove non venga individuato l’autore materiale dell’affissione di una locandina contente un messaggio sindacale in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 507/1993, la prova del rapporto di avvalimento configura la responsabilità solidale dell’organizzazione sindacale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio esce la sentenza della sezione III quater del TAR Lazio n. 500 onde l’esplicita legittimazione, ai sensi degli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, delle Associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all’azione giudiziale non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in un ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i comitati che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio. Le previsioni normative citate hanno introdotto un criterio di legittimazione “legale” “aggiuntivo”, e non “sostitutivo”, rispetto ai criteri elaborati precedentemente dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. “interessi diffusi”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 33 che dichiara illegittima la previsione generalizzata dell’obbligo di gestione associata per tutte le funzioni fondamentali dei comuni sotto i 5.000 abitanti, eccetto limitate deroghe legislativamente fissate, è illegittima nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile esce la sentenza della II sezione del TAR Piemonte n. 447 onde è legittima la deliberazione con la quale un Comune (nella specie si trattava del Comune di Rivoli) ha impegnato l’amministrazione “a non concedere spazi o suolo pubblici a coloro i quali non garantiscano di rispettare i valori sanciti dalla Costituzione, professando e/o praticando comportamenti fascisti, razzisti e omofobi”, dando mandato di adeguare i regolamenti comunali a quanto espresso nell’atto di indirizzo, in particolare “subordinando la concessione di suolo pubblico, spazi e sale di proprietà del Comune, a dichiarazione esplicita di rispetto dei valori antifascisti sanciti dall’ordinamento repubblicano”; è altresì legittimo il provvedimento con il quale, in attuazione di tale delibera ed in relazione ad una richiesta di un soggetto il quale, agendo “in nome e per conto di Casapound Italia”, aveva chiesto al Comune l’autorizzazione ad occupare il suolo pubblico con un gazebo, al fine dichiarato di svolgere “propaganda politica e di promozione delle attività politiche e del pensiero politico”, ha sospeso l’esame della istanza stessa perché a quest’ultima era stata allegata una dichiarazione difforme dal modello-tipo approvato dall’amministrazione ed ha invitato il richiedente a regolarizzare la dichiarazione, precisando che l’autorizzazione sarebbe stata rilasciata non appena fosse stata trasmessa la dichiarazione in questione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 2887 che dichiara illegittima la nota del Comando Generale della Guardia di Finanza con cui è stata dichiarata inammissibile l’istanza presentata da un agente della Guardia di Finanza, tesa ad ottenere l’autorizzazione alla “costituzione di un’associazione professionale a carattere sindacale tra il personale dipendente del Ministero della Difesa e/o del Ministero dell’Economia e delle Finanze” o, comunque, alla “adesione ad altre associazioni sindacali già esistenti”, poiché “la costituzione di associazioni fra militari a carattere sindacale e l’adesione ad associazioni della specie già esistenti sono espressamente vietate dall’art. 1475 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/1950">d.lgs. 66/2010</a> (Codice dell’ordinamento militare)”, a tenore del quale , “i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”. Infatti, a seguito della <a href="http://www.lexitalia.it/a/2018/104427">sentenza della Corte costituzionale, n. 120 del 7 giugno 2018</a>, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1475, comma 2, <a href="http://www.lexitalia.it/n/1950">cod. ord. mil.</a>, in quanto prevede che “i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”, invece di prevedere che “i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”, il riconoscimento di tale libertà sindacale deve essere armonizzato con i “princìpi costituzionali che presiedono all’ordinamento militare”, connotato da specialità e percorso da un’insopprimibile e caratterizzante esigenza di “coesione interna e neutralità”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 12714 secondo cui la responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, da un lato, non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente; dall’altro, non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa; ne consegue che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per l'ente è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione, ed è disposta a tutela dei terzi, che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro.</p> <p style="text-align: justify;">In virtù della distinzione soggettiva tra l'ente ed i suoi organi ed in considerazione dei presupposti della eventuale responsabilità accessoria di detti organi, il titolo esecutivo ottenuto nei confronti dell'associazione non riconosciuta non può consentire al creditore di procedere ad esecuzione forzata direttamente nei confronti dei soggetti (che si assumono) solidalmente obbligati con la stessa, senza la previa formazione di un distinto titolo esecutivo nei confronti di questi ultimi.</p> <p style="text-align: justify;">Diversamente da quanto questa stessa Corte afferma in relazione ai soci illimitatamente responsabili delle società di persone (in virtù dell'automatica estensione ad essi della responsabilità per i debiti sociali), in tale ipotesi non può in alcun modo postularsi l'automatica estensione dell'efficacia esecutiva del titolo ottenuto verso l'associazione, nei confronti dei rappresentanti di questa, occorrendo il positivo accertamento, da effettuarsi necessariamente in un giudizio di cognizione, della circostanza che detti rappresentanti abbiano concretamente agito in nome dell'ente nella costituzione dello specifico rapporto obbligatorio fatto valere.</p> <p style="text-align: justify;">La fattispecie che, ai sensi dell'art. 38 c.c., dà luogo alla responsabilità dei soggetti che hanno agito in nome e per conto delle associazioni non riconosciute è in effetti radicalmente differente da quella prevista per i soci illimitatamente responsabili delle società di persone ed è invece, per certi aspetti, assimilabile a quella del fideiussore per le obbligazioni del debitore principale (in relazione alla quale non risulta mai prospettata una possibile automatica estensione al garante dell'efficacia del titolo esecutivo ottenuto contro il debitore principale).</p> <p style="text-align: justify;">La responsabilità personale del socio riguarda tutti i debiti della società rappresentata e deriva dalla sua qualità (restando peraltro contestabile mediante opposizione all'esecuzione). Si tratta di una situazione per certi aspetti analoga a quanto avviene ad esempio, ai sensi dell'art. 477 c.p.c., per gli eredi del debitore: in entrambi i casi l'estensione dell'efficacia esecutiva del titolo non richiede alcun ulteriore accertamento di fatto in ordine ad una condotta del soggetto, quale fatto costitutivo della sua responsabilità per il singolo e specifico rapporto obbligatorio, ma deriva semplicemente dalla sua qualità o "posizione" e riguarda indistintamente tutti i debiti dell'obbligato principale.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, quella del socio costituisce una responsabilità per una obbligazione propria, derivante direttamente dalla legge (tanto che il socio illimitatamente responsabile di società di persone è automaticamente dichiarato fallito, in caso di fallimento della società), non di una responsabilità solidale per una obbligazione altrui assimilabile alla fideiussione.</p> <p style="text-align: justify;">Nelle associazioni non riconosciute i legali rappresentanti (e, in particolare, il presidente) non rispondono affatto dei debiti dell'ente in base a tale loro qualità. La responsabilità è prevista dall'art. 38 c.c. esclusivamente per coloro i quali hanno agito in nome e per conto dell'associazione nell'ambito del singolo e specifico rapporto obbligatorio fatto valere in giudizio: essa non riguarda quindi tutti i debiti dell'ente e non si traduce in una obbligazione propria di tali soggetti ma, come già chiarito, si tratta di una obbligazione di garanzia per uno specifico debito altrui.</p> <p style="text-align: justify;">Il creditore dell'associazione non riconosciuta, se intende valersi della disposizione di cui all'art. 38 c.c., potrà convenire, nel giudizio di cognizione diretto a ottenere il titolo esecutivo, insieme all'associazione, il soggetto che pretende obbligato in solido con la stessa, in proprio, chiedendo accertarsi la sua responsabilità solidale, onde ottenere la condanna sia dell'associazione che del soggetto solidalmente responsabile per la relativa obbligazione, ai sensi dell'art. 38 c.c. (allegando e provando in giudizio, naturalmente, che sussistono i presupposti per siffatta responsabilità).</p> <p style="text-align: justify;">In caso contrario, se il giudizio di cognizione si svolge esclusivamente nei confronti dell'associazione (e quindi non ha - e non può avere - ad oggetto l'accertamento dei presupposti per la sussistenza della responsabilità personale accessoria del soggetto che abbia agito per la stessa), il titolo esecutivo che si formerà all'esito del giudizio di cognizione avrà efficacia esecutiva esclusivamente contro l'associazione; ciò è a dirsi pure nell'ipotesi in cui l'associazione sia convenuta in giudizio in persona del suo legale rappresentante, laddove quest'ultimo non sia evocato in giudizio anche in proprio, oltre che nella qualità. Per ottenere un titolo esecutivo efficace anche contro il preteso responsabile, sarà dunque necessario in tale ipotesi un ulteriore giudizio di cognizione da promuovere direttamente contro lo stesso.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8 onde il requisito dell’omogeneità dell’interesse fatto valere in giudizio attraverso l’intervento in adesione o per opporsi ad un ricorso giurisdizionale amministrativo da parte di un ente collettivo deve essere accertato nell’ambito della sola base associativa, oltre che in relazione alla natura della questione controversa in giudizio e alla relativa riconducibilità agli scopi statutari dell’ente. Sulla base di tali rilievi non può ritenersi sfornita della legittimazione ad intervenire in giudizio un’associazione di imprese quando, incontestata da un lato la rilevanza della questione per le finalità statutarie dell’interveniente, non risulta dall’altro lato che alcuno degli operatori economici che ad essa partecipi abbia assunto iniziative di carattere giurisdizionale contrastanti con l’intervento in giudizio dell’ente collettivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 14442 onde l'accettazione dell'eredità ad opera di una persona giuridica non può che avvenire, a norma dell'art. 473, comma 1°, c.c., con beneficio d'inventario, con la conseguenza che il mancato perfezionamento del modulo legale, per omessa redazione dell'inventario nei termini e modi previsti dalla legge, comporta che l'ente chiamato non acquisti la qualità di erede. L'accettazione con beneficio d'inventario, infatti, costituisce una fattispecie a formazione progressiva che si compone d'una pluralità di atti (e cioè la dichiarazione, da riceversi da un notaio o dal cancelliere del tribunale o della sezione distaccata di esso territorialmente competente e soggetta a pubblicità, e la redazione dell'inventario nei termini e con le modalità stabiliti dalla legge) l'uno dei quali, a seconda delle ipotesi considerate, precede o segue l'altro ma tra loro indissolubilmente connessi in quanto intesi entrambi al fine (voluto dall'erede ovvero imposto, come nel caso delle persone giuridiche, dalla legge) di evitare la confusione del patrimonio dell'erede con quello ereditario e di limitare intra vires la responsabilità dello stesso per le obbligazioni ereditarie. L'art. 484 c.c., in effetti, nella parte in cui dispone che "<em>l'accettazione col beneficio d'inventario si fa mediante dichiarazione ..</em>." e che questa "<em>deve essere preceduta o seguita dall'inventario</em>", delinea chiaramente una fattispecie la cui realizzazione richiede il compimento, quali suoi elementi costitutivi, tanto dell'uno (la dichiarazione di accettazione beneficiata), quanto dell'altro (la redazione del relativo inventario) adempimento: sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione degli stessi in termini di necessarietà, sia, infine, la mancanza di distinte discipline dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l'attribuzione all'uno dell'autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell'altro.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, le norme che impongono il compimento dell'inventario in determinati termini non ricollegano mai all'inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza la quale, al contrario, è chiaramente ancorata solo ed esclusivamente ad altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione (art. 493, 494 e 505 c.c.), e sono, quindi, necessariamente successive alla redazione dell'inventario, del quale, pertanto, confermano la natura di elemento costitutivo della fattispecie in esame. Ne consegue che "il mancato perfezionamento della fattispecie - per non esserne stato realizzato e non essere più realizzabile uno degli elementi costitutivi, come nell'ipotesi dell'omessa redazione dell'inventario, nei termini imposti dalla legge, successivamente alla dichiarazione d'accettazione beneficiata - determina, non potendosi più produrre l'effetto giuridico finale riconosciuto dall'ordinamento, il venir meno anche degli effetti, prodromíci e strumentali, degli atti già posti in essere": e poiché le persone giuridiche diverse dalle società, ai sensi dell'art. 473 c.c., non possono accettare le eredità loro devolute se non con il beneficio d'inventario, "ove l'accettazione, nell'unica forma consentita loro dalla legge, sia divenuta inefficace, si deve ritenere che, non potendo trovare applicazione, per evidente incompatibilità, la diversa disposizione in forza della quale il chiamato è da considerare erede puro e semplice, devesi escludere che sussista accettazione alcuna" (Cass. n. 19598 del 2004).</p> <p style="text-align: justify;">L'omessa redazione dell'inventario nei termini prescritti da parte dell'ente chiamato all'eredità comporta, poi, oltre al mancato acquisto dello status di erede (che non può che essere beneficiato), anche, ed a maggior ragione, l'impossibilità, per l'ente medesimo, di decadere dallo stesso pur avendo provveduto, dopo la dichiarazione di accettazione ma senza aver redatto l'inventario nei termini prescritti, all'alienazione, in via transattiva, di beni ereditari.</p> <p style="text-align: justify;">Una volta stabilito che le persone giuridiche non acquistano, in caso di mancata redazione dell'inventario nei termini perentori di cui agli artt. 485 e 487 c.c., lo status di erede, si pone l'ulteriore problema di stabilire se la mancata redazione dell'inventario nei termini stabiliti comporta l'incapacità della persona giuridica a succedere nell'eredità ad essa devoluta ovvero se, al contrario, la persona giuridica, pur non avendo redatto l'inventario nel termine, conserva il diritto di accettare l'eredità fino alla sua prescrizione, posto che, "stante il regime di tassatività delle decadenze, in assenza di una norma specifica che prevede espressamente una decadenza, essa non possa essere ritenuta applicabile in via analogica (in assenza di una lacuna della legge)".</p> <p style="text-align: justify;">La prima soluzione è stata sostenuta da alcuni precedenti della Cassazione sul rilievo che, in caso di "omessa redazione dell'inventario nei termini e con le modalità normativamente stabiliti", "il mancato completamento" "della fattispecie a formazione progressiva dell'accettazione con beneficio d'inventario, con la quale è stato regolato l'acquisto dell'eredità da parte delle persone giuridiche diverse dalle società", unitamente alla sua sopravvenuta impossibilità, "si traduce nella mancata acquisizione della capacità speciale a succedere da parte delle persone giuridiche stesse, in quanto condizionata ad una valida aditio nella forma stabilita ..." (Cass. n. 19598 del 2004, in motiv.; Cass. n. 2617 del 1979).</p> <p style="text-align: justify;">Da tale indirizzo, tuttavia, il collegio reputa di doversi discostare. Non risulta, infatti, condivisibile la tesi per cui, in caso di mancata o tardiva formazione dell'inventario, la persona giuridica subisca la perdita non solo, come visto, degli effetti "prodromici e strumentali" della dichiarazione di accettazione beneficiata precedentemente assunta, dovendosi in tal caso escludere che sussista alcuna accettazione, ma anche, in conseguenza di una speciale incapacità a succedere (peraltro sopravvenuta rispetto all'apertura della successione) del diritto stesso di accettare l'eredità. Ritiene, al contrario, la Corte che - una volta che la dichiarazione di accettazione dell'eredità abbia perduto i suoi effetti in conseguenza della mancata formazione dell'inventario nei termini stabiliti dalla legge - la persona giuridica, in mancanza di un'espressa disposizione normativa che ne preveda espressamente la perdita, conserva (salvi, naturalmente, gli effetti estintivi conseguenti, secondo le norme comuni, alla sua prescrizione ovvero al decorso del termine fissato a norma dell'art. 481 c.c.) il diritto di accettare l'eredità. In quest'ultimo senso, in effetti, depone il rilievo secondo il quale la soluzione qui avversata, nella misura in cui prospetta la definitiva perdita del diritto di accettare l'eredità in conseguenza della mancanza o della tardiva formazione dell'inventario successivamente alla dichiarazione di accettazione beneficiata, finisce per individuare una causa di decadenza da tale diritto, che, in realtà, nessuna norma prevede: tanto più se si considera che, negli altri casi di accettazione beneficiata, la stessa evenienza (e cioè la mancata o tardiva formazione dell'inventario dopo la dichiarazione di accettazione con il relativo beneficio) comporta non la perdita del diritto di accettare l'eredità ma soltanto l'acquisto dello status di erede, che consegue all'esercizio di quel diritto, in modo puro e semplice (artt. 485, comma 1°, 487, comma 2°, e 489 c.c.).</p> <p style="text-align: justify;">Deve, pertanto, ritenersi che l'ente al quale sia stata devoluta un'eredità, una volta che l'accettazione beneficiata abbia perduto i suoi effetti per la mancata formazione dell'inventario nei termini prescritti, possa senz'altro procedere ad una nuova dichiarazione di accettazione beneficiata ed al successivo inventario nei predetti termini: vale a dire - nell'impossibilità di applicare alle persone giuridiche forme di acquisto dell'eredità diverse da quella imposta dall'art. 473 c.c., ivi compresa l'accettazione ex lege prevista dagli artt. 485, comma 2°, e 487, comma 2°, seconda parte (cfr., sul punto, Cass. n 19598 del 2004) - i termini stabiliti, in generale, dagli artt. 484, comma 3°, e 487, comma 2°, prima parte, c.c.. Del resto, se l'accettazione dell'eredità può essere compiuta perfino dal chiamato che via abbia in precedenza rinunziato (art. 525 c.c.), non si vede come, sia pur nei limiti della prescrizione del relativo diritto, possa essere impedito alla persona giuridica di accettare nuovamente l'eredità dopo che l'accettazione beneficiata precedentemente compiuta sia divenuta, per le ragioni dette, giuridicamente inefficace. Soltanto così, del resto, è possibile, per un verso, conservare gli effetti della disposizione testamentaria con la quale il de cuius ha nominato l'ente quale suo erede, e, per altro verso, tutelare le ragioni dello stesso ente e del suo diritto ad accettare, sia pur in forma necessariamente beneficiata, l'eredità ad esso devoluta. Le ragioni dei creditori e dei legatori, del resto, non sono necessariamente affidate all'inventario redatto dall'erede che ha accettato con il relativo beneficio ed alla sua tempestiva redazione rispetto ai termini stabiliti dagli artt. 485 e 487 c.c., ben potendo essere tutelate, a norma degli artt. 512 ss c.c., con la separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede, che assicura tanto la rapida formazione dell'inventario (e la pronuncia delle disposizioni necessarie per la conservazione dei beni), quanto la soddisfazione delle predette ragioni, analogamente a quanto accade con l'accettazione beneficiata, con preferenza rispetto a quelle dei creditori dell'erede. L'inefficacia giuridica della dichiarazione di accettazione beneficiata non seguìta dalla tempestiva redazione dell'inventario, non esclude, in definitiva, che, entro il termine di prescrizione e salva la scadenza del termine fissato ai sensi dell'art. 481 c.c., l'ente chiamato all'eredità possa nuovamente dichiarare la sua accettazione con beneficio d'inventario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14886 secondo cui, ai fini del riconoscimento della fondatezza della domanda avente a oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale proposta nelle forme processuali dell'azione di classe di cui all'art. 140-bis cod. cons., spetta al giudice di merito coordinare, l'indagine condotta sulla serietà e la gravità dell'offesa inferta all'interesse costituzionalmente protetto, con le esigenze proprie dell'azione di classe disegnata dal legislatore italiano, con particolare riguardo alla necessità che le situazioni soggettive lese e i diritti concretamente pregiudicati (di necessaria rilevanza costituzionale) siano caratterizzati (non solo dalla gravità e serietà della relativa lesione, bensì anche) dall'essenziale requisito della relativa omogeneità (ex art. 140-bis cit.), inteso, quest'ultimo, come il tratto proprio di pretese individuali che, vantate da un insieme di consumatori o di utenti, siano accomunate da caratteristiche tali da giustificarne un apprezzamento 'seriale' e una gestione processuale congiunta, dovendo escludersi, sul piano logico, prima ancora che su quello giuridico, la compatibilità dello strumento processuale così delineato dal legislatore con l'esecuzione di accertamenti calibrati su specifiche situazioni personali o con valutazioni che si soffermino sulla consistenza specifica della sfera emotiva o dell'esperienza dinamico-relazionale di singoli danneggiati.</p> <p style="text-align: justify;">Nei casi in cui, infatti, le doglianze dei danneggiati siano tali da non lasciare prefigurare la possibilità di una valutazione tendenzialmente standardizzata anche delle relative conseguenze pregiudizievoli (sia per quel che specificamente riguarda l'<em>an</em> che il <em>quantum</em> del danno), il meccanismo della tutela di classe deve ritenersi per ciò stesso impraticabile.</p> <p style="text-align: justify;">Da tali premesse deriva che - lungi dall'escludere in astratto la compatibilità del risarcimento del danno non patrimoniale con il ricorso alle forme processuali dell'azione di classe (una soluzione, per vero drastica, pur sostenuta da talune voci della letteratura specialistica) - l'azione di classe rimane pur sempre compatibile con la rivendicazione della tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali là dove di questi ultimi siano tuttavia posti rigorosamente in risalto i tratti in qualche modo comuni a tutti i membri della classe (purché adeguatamente specificati e comprovati), con la conseguenza che l'originario proponente ha l'onere di domandare la riparazione di un danno non patrimoniale che non sia individualizzato, ma sia fondato su circostanze comuni a tutti i membri della classe.</p> <p style="text-align: justify;">Una simile soluzione (nella misura in cui esclude l'obbligo di personalizzazione del danno non patrimoniale nell'ambito dell'azione di classe) ha il pregio di prefigurare la possibilità, per ciascun singolo danneggiato, di scegliere liberamente se promuovere o aderire a un'azione di classe (rinunciando a un'istruttoria individuale e accettando di fatto un risarcimento forfettizzato), ovvero promuovere un'azione individuale insistendo per una liquidazione personalizzata del danno non patrimoniale subito.</p> <p style="text-align: justify;">In ciascuna di tali ipotesi, tuttavia, sarà in ogni caso necessaria la precisa identificazione delle situazioni soggettive lese, della qualità della relativa protezione a livello costituzionale (fuori dai casi di danni non patrimoniali da reato o da tipizzazione legislativa del fatto) e dei termini concreti dell'effettiva serietà e gravità delle lesioni inferte e dei pregiudizi subiti, non confondibili con meri disagi, fastidi, disappunti, ansie o con ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita.</p> <p style="text-align: justify;">Con l'ulteriore specificazione, nei casi di danni non patrimoniali rivendicati nelle forme dell'azione di classe (e proprio al fine di scongiurare un'inammissibile declinazione in chiave 'punitiva' della responsabilità risarcitoria, in assenza di indici legislativi suscettibili di giustificarla: cfr. Sez. U, Sentenza n. 16601 del 05/07/2017) dell'allegazione e della prova dei profili concreti dei pregiudizi lamentati capaci di valorizzarne i tratti condivisi da tutti i membri della classe, non personalizzabili in relazione a singoli danneggiati, bensì accomunati da caratteristiche tali da giustificarne, tanto l'apprezzamento 'seriale', quanto la gestione processuale congiuntamente rivendicata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 19982 in tema di efficacia soggettiva del ruolo e sua opponibilità ai coobbligati solidali non intestatari di esso, ai quali la notizia della pretesa tributaria sia stata partecipata per la prima volta con la notificazione della cartella di pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">Quest'ultima cumula la natura esattiva e quella di primo atto partecipativo della pretesa fiscale, sicchè nulla vieta al destinatario (rappresentante del soggetto passivo) di far valere le proprie ragioni nel processo tributario, impugnando l'avviso di accertamento e svolgendo in quella sede le opportune difese dirette, eventualmente, a contestare non soltanto il rapporto di rappresentanza e la propria responsabilità, ma, occorrendo, la stessa esistenza o entità del debito principale.</p> <p style="text-align: justify;">Tale conclusione è coerente con la prospettiva generale sottesa al principio affermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 5791 del 2008), che, nell'ipotesi di omessa notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente, riconosce a quest'ultimo, in relazione al vizio procedurale, la possibilità, tra l'altro, "di impugnare cumulativamente anche quello presupposto non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest'ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria", con la differenza, rispetto a tale ipotesi, che nella fattispecie in considerazione l'atto presupposto è stato regolarmente emesso e notificato nei confronti del debitore principale (e, dunque, non sussiste vizio procedurale), mentre la procedura di riscossione è stata attivata nei confronti del debitore solidale, cui spetta, per tale titolo, la possibilità di piena difesa. A nulla rileva, in altri termini, che il coobbligato sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo, atteso che il suo diritto di difesa è inequivocamente garantito dalla possibilità di contestare la pretesa originaria, impugnando insieme all'atto notificato anche quelli presupposti, la cui notificazione risulti irregolare o sia stata addirittura omessa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 dicembre esce la sentenza della I sezione del TAR Emilia Romagna n. 976 che dichiara illegittima la sanzione disciplinare della pena pecuniaria, irrogata dal Ministero dell’Interno nei confronti di un Assistente Capo della Polizia di Stato, motivata con riferimento al fatto che l’interessato, in vista di future elezioni comunali, ha partecipato a tre occasioni di dibattito politico interno ad un movimento politico tenutesi nella città ove svolge la propria attività di poliziotto, ove sia risultato che l’interessato: a) non è iscritto e non ricopre alcuna carica nel suddetto movimento politico, né in altri partiti o movimenti politici; b) non ha mai partecipato a manifestazioni del movimento o di altri partiti; c) non si è mai presentato a terzi come rappresentante di alcun partito; d) ha partecipato assiduamente alle discussioni tra membri e simpatizzanti del movimento, ai soli fini della scelta del candidato Sindaco e della lista, ma lo ha sempre fatto in forma strettamente privata.</p> <p style="text-align: justify;">Se si dovessero estendere anche a forme di estrinsecazione della propria personalità quali la manifestazione del proprio pensiero anche in ambito politico, i divieti di cui all'art. 81 L. 121/81, assimilando ogni discussione politica in vista di elezioni ad un'indebita intromissione in competizione politica, vi sarebbe un eccesso di garanzia delle esigenze che la norma tende a salvaguardare con violazione del dettato costituzionale sulle libertà di partecipazione politica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 dicembre esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 277 che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma regionale che limitava alle sole associazioni riconosciute talune attività riconducibili alla tutela degli animali e alla prevenzione del randagismo.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, proprio il codice del terzo settore che ora disciplina le associazioni riconosciute, all’art. 5, riconduce le attività in questione a quelle d’interesse generale che possono essere svolte da tutti i vari soggetti del Terzo settore. E anche l’art. 4 della legge n. 281 del 1991, con particolare riferimento all’affidamento della gestione dei canili e delle colonie feline, non pone alcuna limitazione in tal senso, consentendo l’affidamento in convenzione in via generale alle associazioni «protezioniste», «animaliste» e «zoofile» (nonché ai privati), senza nulla specificare riguardo alla tipologia di tali associazioni.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, sebbene le Regioni possano regolare le attività dei soggetti del Terzo settore nelle materie attribuite alla propria competenza, come nel caso oggetto di scrutinio, limitare alle sole organizzazioni di volontariato animalista lo svolgimento delle attività consentite a tutte le associazioni animaliste risulta senz’altro discriminatorio. Non è possibile rinvenire, infatti, una ragione alla base dell’esclusione delle altre tipologie di soggetti, tenuto conto che la differenziazione si fonda esclusivamente sullo status giuridico di dette organizzazioni, che di per sé non è indice di alcuna ragionevole giustificazione della disciplina restrittiva della concorrenza dettata dalla Regione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 34538 onde ai fini della configurabilità di un rapporto associativo seppur atipico, rileva, in primo luogo, l'esistenza di un fondo comune - inteso come patrimonio distinto da quello personale dei singoli associati - elemento che, peraltro, caratterizza anche altri enti collettivi come le associazioni non riconosciute, a norma dell'art. 37 cod. civ.. Inoltre, altro elemento qualificante il rapporto associativo è la partecipazione alle spese, sulla base di un ragionamento che, in quanto fondato sull'esame dei documenti, attiene alla valutazione in fatto riservata dal giudice di merito, ed è come tale non è sindacabile dal giudice di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 febbraio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 2862 che si allinea all’orientamento secondo cui il T.U. del 2014, nella stessa ottica dell'Accordo Interconfederale del 1993, ha confermato la facoltà delle associazioni sindacali, anche presenti all'interno della RSU, di indire singolarmente l'assemblea in quanto non tutti i diritti attribuiti dalla legge alla singola RSA sono stati attratti e si sono disgregati all'interno delle RSU.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio esce l’ordinanza della sezione Lavoro n. 3279 che si pone in continuità con l’indirizzo secondo cui non ricorrono gli estremi della prestazione di volontariato nel caso in cui, per l'attività espletata, siano state corrisposte somme di danaro, essendo onere della parte convenuta in giudizio per il riconoscimento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dimostrare che la loro corresponsione sia avvenuta, invece, a titolo di rimborso spese, non superando l'ammontare di queste.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 febbraio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 secondo cui gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso.</p> <p style="text-align: justify;">Com’è noto, la protezione degli interessi “diffusi”, ossia adesposti, non consentita in via teorica a causa della mancata sussistenza del requisito della differenziazione che tradizionalmente qualifica la posizione giuridica di interesse legittimo, è stata sin dagli anni ’70 assicurata attraverso il riconoscimento dell’esistenza di un interesse legittimo di natura collettiva imputabile ad un ente che, in forza del possesso di alcuni requisiti giurisprudenzialmente individuati (effettiva rappresentatività, finalità statutaria, stabilità e non occasionalità, in taluni casi collegamento con il territorio) diviene idoneo ad assumerne la titolarità (Cons. Stato, V, 9.3.1973, n. 253; Cass., S.U., 8.5.1978, n. 2207; Cons. Stato, A.P., 19.11.1979, n. 24).</p> <p style="text-align: justify;">Il riconoscimento legislativo degli interessi collettivi in materia ambientale e la conseguente legittimazione riconosciuta alle associazioni dall’articolo 18, comma 5, della legge n. 349 del 1986 (comma sopravvissuto all’abrogazione disposta dall’art. 318 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) – norma che consente alle associazioni ambientaliste individuate in base all’art. 13 (ossia quelle ricomprese in un elenco approvato con decreto del Ministro dell’Ambiente) di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi” - ha poi generato un dibattito circa l’esclusività di tale legittimazione.</p> <p style="text-align: justify;">In relazione a tale aspetto, è ben noto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 13 della legge 349/86 non determina un rigido automatismo, potendo il giudice, all’esito di una verifica della concreta rappresentatività, ammettere all’esercizio dell’azione anche associazioni non iscritte, secondo il criterio del cd “doppio binario” che distingue tra la legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello nazionale riconosciute (che non necessita di verifica) e la legittimazione delle altre associazioni (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760; sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554). Quest’ultima deve essere accertata in ciascuno dei casi concreti con riguardo alla sussistenza di tre presupposti: gli organismi devono perseguire statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e devono avere un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (ex plurimis, Cons. Stato., IV, 16.2.2010, n. 885).</p> <p style="text-align: justify;">L’esperienza e l’evoluzione ordinamentale hanno nel tempo mostrato l’esistenza di una serie di fattispecie di rilievo superindividuale che, sebbene nel dibattito siano state descritte come di interesse collettivo, assumono valenza specifica o addirittura si ascrivono ad altri ed eterogenei fenomeni quali quello degli interessi isomorfi, fortemente avvertito soprattutto nell’ambito della tutela civilistica dei consumatori. La varietà delle fattispecie ha impegnato la giurisprudenza in una considerevole attività di selezione e di differenziazione che non ha tuttavia alterato i profili fondamentali della questione relativa alla tutela degli interessi collettivi dinanzi al giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Il fondamento teorico della cd. collettivizzazione dell’interesse diffuso a mezzo della sua entificazione risiede, come già accennato, nella individuazione di interessi che sono riferibili ad una collettività o a una categoria più o meno ampia di soggetti (fruitori dell’ambiente, consumatori, utenti, etc.) o in generale a una formazione sociale, senza alcuna differenziazione tra i singoli che quella collettività o categoria compongono, e ciò in ragione del carattere sociale e non esclusivo del godimento o dell’utilità che dal bene materiale o immateriale, a quell’interesse correlato, i singoli possono trarre (sul punto, Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554, cit.).</p> <p style="text-align: justify;"> E’ evidente da questa definizione, che il <em>discrimen</em> più complesso da stabilire sia, non quello sul versante dell’interesse legittimo individuale (caratterizzato dall’esclusività del godimento o dell’utilità riconoscibile in capo ai singoli) ma, piuttosto, sul diverso e più generale versante dell’interesse pubblico vero e proprio, la cui cura è rimessa, secondo la tradizionale impostazione, unicamente all’amministrazione sulla base del principio di legalità.</p> <p style="text-align: justify;">La circostanza che la cura dell’interesse pubblico generale (ad es. all’ambiente) sia rimessa all’amministrazione non toglie, tuttavia, che essa sia soggettivamente riferibile, sia pur indistintamente, a formazioni sociali, e che queste ultime, nella loro dimensione associata, rappresentino gli effettivi e finali fruitori del bene comune della cui cura trattasi. Le situazioni sono infatti diverse ed eterogenee: l’Amministrazione ha il dovere di curare l’interesse pubblico e dunque gode di una situazione giuridica capace di incidere sulle collettività e sulle categorie (potestà); le associazioni rappresentative delle collettività o delle categorie invece incarnano l’interesse sostanziale, ne sono fruitrici, e dunque la situazione giuridica della quale sono titolari è quella propria dell’interesse legittimo, id est, quella pertinente alla sfera soggettiva dell’associazione, correlata a un potere pubblico, che, sul versante processuale, si pone in senso strumentale ad ottenere tutela in ordine a beni della vita, toccati dal potere riconosciuto all’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto - rileva il Collegio - che possano esservi situazioni soggettive di natura diffusa e collettiva è confermato dal legislatore, il quale, all’art. 2 del codice del consumo, espressamente prevede che “sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa”; o ancora, dallo Statuto delle imprese (l. 11 novembre 2011, n. 180) che all’art. 4, co. 2, riconosce alle associazioni di categoria maggiormente rappresentative ai diversi livelli territoriali la legittimazione a impugnare gli atti amministrativi “lesivi di interessi diffusi”; finanche, e soprattutto, dalla legge generale sul procedimento amministrativo, la quale, all’art. 9 prevede che “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”.</p> <p style="text-align: justify;">Tale ricostruzione è stata da ultimo sottoposta a critica con dovizia di argomenti dalla Sezione VI, con sentenza del 21 luglio 2016 n.3303, la quale dubita, in radice, della tenuta attuale della tradizionale impostazione basata sulla collettivizzazione dell’interesse diffuso a mezzo dell’associazionismo spontaneo.</p> <p style="text-align: justify;">Il primo argomento, di carattere sistematico, utilizzato, è teso a mettere in dubbio la persistente validità e attualità dell’elaborazione giurisprudenziale attraverso la quale si è ammessa la tutela degli interessi legittimi collettivi dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere da una specifica previsione di legge (tesi del doppio binario). Secondo tale impostazione, “in una prima fase, a fronte di un ordinamento ancora non adeguato alle emergenti istanze di tutela degli interessi meta-individuali, il ruolo degli enti esponenziali è stato….determinante e meritorio, perché ha consentito a questi interessi di assumere una dimensione giuridica e di avere un centro soggettivo di riferimento. Successivamente, tuttavia, nel corso del tempo l’esigenza di supplire alla carenza di un sistema istituzionale di tutela si è via via attenuata, perché il legislatore ha progressivamente preso atto dei cambiamenti in corso e ha iniziato a prevedere – introducendole per legge – forme e modalità specifiche di tutela. Si è avuta così la progressiva istituzionalizzazione di quella tutela che prima, pretoriamente, era affidata, o lasciata, all’iniziativa dei gruppi e delle associazioni private.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre più spesso, quindi, la legittimazione ad agire degli enti esponenziali trova espresso riconoscimento in una puntuale disciplina normativa, che si preoccupa però anche di stabilire chi può agire e, soprattutto, il tipo di azione che può essere esercitata. Si riscontra, in sostanza, l’affermazione di una nuova e più matura “tassatività” delle azioni esperibili (sia sul piano soggettivo, sia su quello oggettivo) nei predetti ambiti”.</p> <p style="text-align: justify;">Come può evincersi dalla parte finale del riportato brano della sentenza, la tesi sostenuta fonde, in un’unica considerazione, legittimazione ad agire e tipologia delle azioni esperibili, per limitarne il riconoscimento in capo ai soggetti, e limitatamente agli oggetti, specificamente previsti per legge.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria non condivide una siffatta lettura interpretativa della descritta evoluzione e ritiene che il percorso compiuto dal legislatore sia stato piuttosto contraddistinto dalla consapevolezza dell’esistenza di un diritto vivente che, secondo una linea di progressivo innalzamento della tutela, ha dato protezione giuridica ad interessi sostanziali diffusi (ossia condivisi e non esclusivi) riconoscendone il rilievo per il tramite di un ente esponenziale che ne assume statutariamente e non occasionalmente la rappresentanza. In altri termini, secondo l’Adunanza plenaria, l’evoluzione del dato normativo positivo non può certamente essere letto in una chiave che si risolva nella diminuzione della tutela.</p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore è infatti intervenuto dopo oltre un decennio dall’emersione giurisprudenziale degli interessi collettivi a mezzo dell’articolo 18, comma 5, della legge n. 349 del 1986 (comma sopravvissuto all’abrogazione disposta dall’art. 318 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), istitutiva del Ministero dell’Ambiente, consentendo alle associazioni ambientaliste individuate in base all’art. 13 di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”, e così dando veste positiva ad un fenomeno che, come si è detto, scinde la titolarità della funzione di cura dell’ambiente imputata al neo costituito Ministero dell’Ambiente dalla titolarità dell’interesse sostanziale collettivo, invece riconosciuto alle associazioni, quali organismi rappresentativi dei fruitori ultimi.</p> <p style="text-align: justify;">A questa ipotesi, speciale <em>ratione materiae</em>, si aggiunge la previsione generale di cui all’art. 4, co. 2, l. 11 novembre 2011, n. 180, che riconosce alle associazioni di imprenditori maggiormente rappresentative ai diversi livelli territoriali la legittimazione a impugnare gli atti amministrativi lesivi di interessi diffusi.</p> <p style="text-align: justify;">Questi interventi normativi non devono essere letti nel senso di previsioni che scindono, in via straordinaria, la legittimazione, dalla lesione di una situazione giuridica, ma quale emersione positiva dell’esigenza di protezione giuridica di interessi diffusi, secondo lo schema già delineato in via generale dalla giurisprudenza, e in linea con il ruolo che l’art. 2 Cost. assegna alle formazioni sociali, oltre che con la più attenta ed evoluta impostazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Ma ciò che forse è ancora più significativo è il silenzio del legislatore sul generale tema della tutela degli interessi collettivi, che testimonia più di ogni altro elemento, soprattutto in epoca di iperproduzione legislativa come quella attuale, la stabilità e la profonda condivisione di un orientamento che da ormai un cinquantennio caratterizza l’approccio giurisprudenziale, e che è del tutto incompatibile con l’affermazione di un opposto principio di tipizzazione ex lege, soggettiva o oggettiva, della legittimazione a ricorrere o delle azioni esperibili, in controtendenza con l’orientamento “storico” della giurisdizione amministrativa di selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, e perciò necessariamente tutelabili, nel confronto dinamico con il potere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il secondo argomento critico, utilizzato al fine di trarre indizi in relazione al preteso affermarsi di un principio di necessaria tipizzazione della legittimazione straordinaria delle associazioni, è ricavato da una norma processuale impeditiva, sostanziantesi nel generale divieto di sostituzione processuale sancito dall’art. 81 del Codice di procedura civile: a mente del quale “fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.</p> <p style="text-align: justify;">“È ben vero” – secondo l’impostazione in commento – “che uno dei risultati raggiunti attraverso la sopra richiamata teoria dell’interesse collettivo è stato quello di trasformare l’interesse diffuso dei singoli in interesse collettivo proprio dell’ente esponenziale; è altrettanto vero, tuttavia, che tale trasformazione sia stato il frutto di una fictio iuris, che non altera il connotato sostanziale del rapporto sottostante e non riesce, quindi, a superare il dato ontologico rappresentato dalla oggettiva alterità esistente tra la effettiva titolarità dell’interesse (il singolo) e il soggetto che lo fa valere (l’ente). Tale <em>fictio iuris</em>, pertanto, non può tradursi in una non consentita forma di legittimazione processuale straordinaria e generalizzata, priva di base legislativa (in contrasto con la regola sancita dall’art. 81 c.p.c.); giacché ogni affermazione di legittimazione ad agire, per avere fondamento, deve trovare in ogni singolo caso una base normativa positiva”.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio ritiene di soffermarsi in particolare su questo argomento.</p> <p style="text-align: justify;">L’interesse diffuso del quale si sta discorrendo è un interesse sostanziale che eccede la sfera dei singoli per assumere una connotazione condivisa e non esclusiva, quale interesse di “tutti” in relazione ad un bene dal cui godimento individuale nessuno può essere escluso, ed il cui godimento non esclude quello di tutti gli altri.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò chiarito, l’interesse sostanziale del singolo, inteso quale componente individuale del più ampio interesse diffuso, non assurge ad una situazione sostanziale “personale” suscettibile di tutela giurisdizionale (non è cioè protetto da un diritto o un interesse legittimo) posto che l’ordinamento non può offrire protezione giuridica ad un interesse sostanziale individuale che non è in tutto o in parte esclusivo o suscettibile di appropriazione individuale.</p> <p style="text-align: justify;">E’ solo proiettato nella dimensione collettiva che l’interesse diviene suscettibile di tutela, quale sintesi e non sommatoria dell’interesse di tutti gli appartenenti alla collettività o alla categoria, e che dunque si dota della protezione propria dell’interesse legittimo, sicché - per tornare alla critica mossa dall’orientamento giurisprudenziale citato, incentrata sull’asserita violazione dell’art. 81 cpc - seppur è lecito opinare circa l’esistenza o meno, allo stato dell’attuale evoluzione sociale e ordinamentale, di un interesse legittimo collettivo, deve invece recisamente escludersi che le associazioni, nel richiedere in nome proprio la tutela giurisdizionale, azionino un “diritto” di altri. La situazione giuridica azionata è la propria. Essa è relativa ad interessi diffusi nella comunità o nella categoria, i quali vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo, non li incarni. Non in forza di una fictio ma di un giudizio di individuazione e selezione degli interessi da proteggere, nonché della rigorosa verifica della rappresentatività del soggetto collettivo che ne promuove la tutela.</p> <p style="text-align: justify;">Sin qui la ricostruzione della tutela dell’interesse diffuso, da ritenersi ancora pienamente attuale.</p> <p style="text-align: justify;">La concreta questione portata all’attenzione dell’Adunanza, riguarda, tuttavia, un caso concernente la tutela consumeristica che richiede ulteriori approfondimenti in considerazione della sussistenza di peculiari norme di settore.</p> <p style="text-align: justify;">Tali norme di settore, secondo la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, 21 luglio 2016 n. 3303, più volte citata quale caposaldo dell’orientamento contrario a quello prevalente, escluderebbero l’esperibilità dell’azione di annullamento.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 32-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza) prevede testualmente che: “Le associazioni dei consumatori inserite nell'elenco di cui all'articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo”.</p> <p style="text-align: justify;">Dallo specifico riferimento alle “forme previste dagli articoli 139 e 140” deriverebbe – secondo la ricostruzione giurisprudenziale citata - che le uniche azioni possibili sono quelle proponibili dinanzi al giudice ordinario, tese a: a) inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate” (così l’art. 140 cit.)</p> <p style="text-align: justify;">Dunque mancherebbe, nell’attuale ordinamento, nella materia de qua, una norma che abiliti le associazioni ad agire dinanzi al giudice amministrativo a mezzo dell’azione di annullamento.</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene l’Adunanza plenaria che nemmeno questo argomento, specificatamente riferito alla tutela consumeristica, sia in grado di incidere sull’attualità e validità della lunga elaborazione giurisprudenziale assolutamente prevalente, e in effetti consolidata.</p> <p style="text-align: justify;">Le disposizioni citate, a ben vedere, riguardano il diritto civile e il relativo processo. La circostanza che il legislatore sia intervenuto espressamente a disciplinare, in ambito processual-civilistico, un caso di legittimazione straordinaria per la tutela di interessi collettivi non può certamente leggersi come l’epilogo di un generale percorso di delimitazione soggettiva della legittimazione degli enti associativi e di tipizzazione delle azioni esperibili in ogni e qualsiasi altro ambito processuale, come, nello specifico, quello amministrativo. Piuttosto essa rappresenta il definitivo riconoscimento della rilevanza giuridica degli interessi nella loro dimensione collettiva, persino in un ambito, quello civilistico, in cui non viene in rilievo l’esercizio di un potere suscettibile di concretizzarsi in atti autoritativi generali lesivi, impugnabili a mezzo dell’azione demolitoria secondo la traiettoria già tracciata dalla giurisprudenza amministrativa, ma in cui piuttosto assumono importanza anche i temi della disparità di forza contrattuale, dell’asimmetria informativa, dell’abuso di posizione dominante. Temi, questi ultimi, connotati da una dimensione eccedente la sfera giuridica del singolo e da situazioni giuridiche omogenee e seriali di una vasta platea di consumatori, espressamente qualificate come “diritti fondamentali” dalla legge, anche nella loro dimensione collettiva (art. 2 codice dei consumatori).</p> <p style="text-align: justify;">Questo processo di espansione delle posizioni giuridiche verso una dimensione collettiva in ambito civilistico consente di spostare avanti la soglia di tutela, affrancandola dal vincolo contrattuale individuale, e di conferire alla stessa una caratteristica inibitoria idonea a paralizzare, ad un livello generale, gli atti e i comportamenti del soggetto privato “forte” suscettibili di ripercuotersi pregiudizievolemente sui diritti collettivi fondamentali dei consumatori.</p> <p style="text-align: justify;">Interessando posizioni giuridiche paritarie, seppur asimmetriche, è chiaro che tale processo non avrebbe potuto inverarsi senza l’emersione positiva di situazioni giuridiche collettive e la tipizzazione delle azioni giuridiche esperibili da parte di un soggetto – quello a base associativa e con funzioni rappresentative, come anche il Codancos incluso nell’elenco citato – che non sia parte dei rapporti giuridici instaurandi e instauratisi tra il soggetto “forte” e i singoli consumatori.</p> <p style="text-align: justify;">Non è così nei rapporti di diritto pubblico, in cui le posizioni non sono connesse a negozi giuridici, e trovano piuttosto genesi nell’esercizio non corretto del potere amministrativo, tutte le volte che esso impatti su interessi sostanziali (cd. “beni della vita”) meritevoli di protezione secondo l’apprezzamento che ne fa il giudice amministrativo sulla base dell’ordinamento positivo.</p> <p style="text-align: justify;">La cura dell’interesse pubblico, cui l’attribuzione del potere è strumentale, non solo caratterizza, qualifica e giustifica, nel diritto amministrativo, la dimensione unilaterale e autoritativa del potere rispetto agli atti e ai comportamenti dell’imprenditore o del professionista -nel diritto civile invece subordinati al principio consensualistico - ma vale anche a dare rilievo, a prescindere da espliciti riconoscimenti normativi, a posizioni giuridiche che eccedono la sfera del singolo e attengono invece a beni della vita a fruizione collettiva della cui tutela un’associazione si faccia promotrice sulla base dei criteri giurisprudenziali della rappresentatività, del collegamento territoriale e della non occasionalità.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, la tenuta del diritto vivente sulla tutela degli interessi diffusi non è messa in dubbio nemmeno dagli articoli 139 e 140 del codice del consumo (oggi trasposti nel nuovo titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile, in materia di azione di classe dalla L. 12/04/2019, n. 31), che riguardano altro ambito processuale, e che di certo non possono essere letti nell’ottica di un ridimensionamento della tutela degli interessi collettivi nel giudizio amministrativo, nei termini sin qui chiariti dalla giurisprudenza amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">Deve quindi ritenersi che un’associazione di utenti o consumatori, iscritta nello speciale elenco previsto dal codice del consumo oppure che sia munita dei requisiti individuati dalla giurisprudenza per riconoscere la legittimazione delle associazioni non iscritte, sia abilitata a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">La legittimazione, in altri termini, si ricava o dal riconoscimento del legislatore quale deriva dall’iscrizione negli speciali elenchi o dal possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza. Una volta “legittimata”, l’associazione è abilitata a esperire tutte le azioni eventualmente indicate nel disposto legislativo e comunque l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio prosegue poi chiedendosi se sia ravvisabile, a latere dell’interesse plurisoggettivo dei singoli risparmiatori (id est una sequenza di interessi legittimi di identico contenuto), anche un più ampio interesse collettivo proprio dell’associazione nei termini sino ad ora indicati, ossia una posizione giuridica derivante dalla diffusione nella comunità di meri interessi omogenei non individualmente protetti. Ovvero, detto altrimenti, chiedendosi se la sussistenza di interessi individualmente protetti, e quindi azionabili dagli interessati <em>uti singuli</em>, escluda di per sé la possibilità di una “personalizzazione” in capo all’ente di un interesse diffuso e la sua conseguente azionabilità quale interesse proprio di natura collettiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il tema si pone in relazione alle deduzioni concernenti il profilo dell’omogeneità degli interessi tutelati rispetto alla generalità dei consumatori rappresentati, interessi di cui l’ente esponenziale assume di farsi portatore, in modo da poter escludere qualsiasi contrasto “interno” tra i potenziali interessati.</p> <p style="text-align: justify;">In proposito l’Adunanza ritiene che quando vi sia compresenza di interessi collettivi in capo all’ente associativo e di interessi individuali concorrenti, autonomamente azionabili, sia necessario acclarare che l’ente non si sta affiancando alle posizioni individuali di più soggetti nella difesa di un interesse che resta individuale pur se plurisoggettivo –il che potrebbe al più sorreggere una legittimazione al mero intervento- ma sta facendo valere un interesse proprio, di natura collettiva nei termini dianzi evidenziati, che può coesistere con più posizioni individuali.</p> <p style="text-align: justify;">Tale accertamento non può che essere condotto alla luce dei seguenti punti fermi:</p> <p style="text-align: justify;">- l’interesse collettivo del quale si è occupata la giurisprudenza, sin qui considerata, è una "derivazione" dell'interesse diffuso per sua natura adespota, non già una "superfetazione" o una "posizione parallela" di un interesse legittimo comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività (sul punto, Consiglio di Stato, Sez V, 12 marzo 2019, n. 1640).</p> <p style="text-align: justify;">- esso può considerarsi sussistente ove riferito a beni materiali o immateriali a fruizione collettiva e non esclusiva, tenendo comunque presente, in linea generale, che è pur possibile che un provvedimento amministrativo incida al contempo su interessi sia collettivi che individuali, ma che l’associazione è legittimata ad agire solo quando l’interesse collettivo possa dirsi effettivamente sussistente secondo la valutazione che ne fa il giudice;</p> <p style="text-align: justify;">- la diversità ontologica dell’interesse collettivo (ove accertato secondo il criterio sin qui rappresentato), rispetto all’interesse legittimo individuale, porta ad escludere, in radice, la necessità di un’indagine in termini di omogeneità (oltre che degli interessi diffusi dal quale quello collettivo promana, anche) degli interessi legittimi individuali eventualmente lesi dall’esercizio del potere contestato. Nel senso che se l’interesse collettivo c’è, si tratta di un interesse dell’ente e quindi diventa non pertinente in radice porsi anche il tema dell’omogeneità degli interessi legittimi individuali dei singoli (in tal senso, chiaramente, Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451).</p> <p style="text-align: justify;">E’ ben noto al Collegio quanto affermato dall’Adunanza plenaria con la decisione n. 9/2015, a mente della quale “E’, inoltre, indispensabile che l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 27 aprile 2015, n.2150)”.</p> <p style="text-align: justify;">L’affermazione deve però essere rettamente intesa, in coerenza con quanto si qui detto, in guisa da evitare che in casi come quello di specie (in cui accanto agli interessi diffusi, coagulatisi nella loro dimensione collettiva in capo all’associazione, convivono interessi legittimi in senso proprio dei singoli) si finisca per porre a raffronto, in nome del requisito dell’omogeneità, gli interessi indistinti e diffusi nella comunità o categoria, con i plurimi interessi legittimi individuali, posto che, com’anzi detto, la tipologia e la natura degli interessi in questione restano ontologicamente distinti.</p> <p style="text-align: justify;">L’omogeneità dell’interesse diffuso nella comunità o categoria rappresentata è infatti requisito consunstanziale dell’interesse collettivo tutelato, inteso quale aggregazione di interessi diffusi oggettivamente assonanti secondo la valutazione che ne fa il giudicante; per converso, l’omogeneità non è requisito che debba riferirsi agli interessi legittimi individuali.</p> <p style="text-align: justify;">Trasferita sul piano pratico, l’affermazione può tradursi nel senso che non è affatto necessario che la tutela dell’interesse collettivo ridondi anche in un materiale ed effettivo vantaggio per tutti i singoli componenti della comunità o della categoria che, in relazione agli atti contestati, vantino un interesse individuale, concreto e qualificato.</p> <p style="text-align: justify;">Esemplificando, e con riferimento al caso di specie, se l’interesse collettivo incarnato dall’associazione è quello di tutelare i risparmiatori in presenza di vicende amministrative o normative che ne possano mettere in pericolo il relativo patrimonio, il requisito dell’omogeneità potrà escludersi solo se può ragionevolmente ipotizzarsi che nell’ambito della categoria rappresentata, vi possano essere risparmiatori presso i quali è diffuso un interesse opposto.</p> <p style="text-align: justify;">Sarebbe invece ultroneo verificare se, in concreto, tutti i singoli risparmiatori, nessuno escluso, siano stati effettivamente lesi nel patrimonio, o se piuttosto vi siano uno o più risparmiatori, controinteressati, che da quegli atti impugnati abbiano invece ritratto un vantaggio materiale, poiché così procedendo – se si aprisse cioè ad un’indagine circa la coerenza dell’interesse collettivo (oltre che rispetto all’interesse diffuso, anche) rispetto alle posizioni di interesse legittimo in ordine a “beni della vita” dei singoli - l’inevitabile risultato sarebbe quello di confondere i piani dell’interesse collettivo e della sua lesione con quello della lesione delle singole posizioni giuridiche di ciascuno dei componenti la comunità o la categoria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende in genere per associazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il codice civile non ne fornisce una definizione precipua;</li> <li>si tratta di una formazione sociale ai sensi dell’art.2 della Costituzione;</li> <li>dal punto di vista strutturale, si tratta di una organizzazione a base soggettiva e personale; in sostanza più soggetti si organizzano per perseguire un interesse che hanno in comune; si è al cospetto di una organizzazione interna di tipo corporativo o “<em>collettivistico</em>”;</li> <li>la caratteristica spiccatamente personale dell’organizzazione consente che essa sia aperta all’adesione di membri ulteriori rispetto ai soci fondatori, purché vogliano perseguire il medesimo interesse già comune ai soci fondatori medesimi;</li> <li>all’interesse da perseguire è connesso lo scopo dell’associazione, di natura non lucrativa, che distingue l’associazione dalla società;</li> <li>lo scopo non può consistere nella mera gestione di cose comuni, ricadendosi in quest’ultima evenienza nella comunione;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per associazione riconosciuta, e quale ne è la disciplina?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>per la relativa costituzione occorre l’atto pubblico (art.14 c.c.), onde in difetto di atto pubblico l’associazione esiste ed è validamente costituita, ma non può essere riconosciuta;</li> <li>lo scopo deve essere non lucrativo, onde non deve essere prevista la distribuzione di utili tra gli associati;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dell’atto costitutivo e dello statuto di una associazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>sono atti che vanno a braccetto tra loro, e che possono contenere entrambi gli elementi (tanto obbligatori che facoltativi) previsti dalla legge;</li> <li>più in particolare, l’atto costitutivo ha natura contrattuale, e precisamente di contratto plurilaterale ex art.1332 c.c.; esso è in genere poco articolato ed individua semplicemente l’associazione rinviando per la disciplina dell’ente allo statuto, che è dunque per tale via integrato nell’atto costitutivo e ne condivide la natura contrattuale plurilaterale, la eventuale modifica dello statuto riverberandosi dunque sull’atto costitutivo in modo omogeneo e pertinente;</li> <li>vi partecipano più soggetti, che mettono in comune un certo patrimonio per il perseguimento di uno scopo che coltivano in comune;</li> <li>il contenuto dell’atto costitutivo è in parte obbligatorio e in parte facoltativo (art.16 c.c.);</li> <li>contenuto obbligatorio: scopo e patrimonio devono essere indicati nell’atto costitutivo, quale contratto plurilaterale che fonda l’associazione; il patrimonio si compendia tanto di diritti reali quanto di diritti personali, essendone esclusi secondo accreditata dottrina solo quelle peculiari situazioni giuridiche soggettive di vantaggio incompatibili con un titolare privo di fisicità, come è il caso dei diritti di uso e di abitazione; vanno indicate nell’atto costitutivo anche la denominazione dell’associazione – tutelata allo stesso modo del nome nella persona fisica (art.7 c.c.), e che è il predicato di identificazione della compagine - e la relativa sede, quale luogo di prevalente svolgimento dell’attività della compagine, che è il corrispondente della residenza e del domicilio per le persone fisiche (ai pertinenti effetti di legge), tenendo conto del fatto che, secondo il disposto dell’art.46 c.c., laddove la sede effettiva sia diversa da quella indicata nell’atto costitutivo, nello statuto o nel registro delle persone giuridiche, i terzi (che provino tale effettività) possono considerare come sede anche, appunto, tale diversa sede effettiva; l’atto costitutivo indica poi i diritti ed obblighi degli associati e le condizioni per l’ammissione di nuovi soci, configurando l’associazione un ente a struttura aperta; sempre nell’atto costitutivo vanno indicate le regole che disciplinano l’amministrazione dell’associazione, con particolare riferimento ai nomi degli amministratori (ove da subito nominati) ed i limiti ai relativi poteri di rappresentanza della compagine: ai terzi che non ne abbiano conoscenza specifica, sono inopponibili i limiti ai poteri degli amministratori che non risultino dall’atto costitutivo dell’associazione;</li> <li>contenuto facoltativo: possono essere indicati nell’atto costitutivo la disciplina dell’estinzione dell’associazione e le regole attinenti alla conseguente devoluzione del relativo patrimonio.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dei rapporti tra socio (o aspirante tale) e associazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si fa riferimento al c.d. rapporto associativo;</li> <li>esso si acquista: b.1) sottoscrivendo <em>ab origine</em> il contratto associativo; b.2) aderendo <em>ex post</em> al medesimo, quale contratto plurilaterale aperto; ex art.16 c.c., proprio la natura “<em>aperta</em>” del contratto associativo viene assunta dalla dottrina un elemento essenziale del pertinente negozio istitutivo, dovendo atto associativo e statuto prevedere non solo i diritti e gli obblighi degli associati, ma anche le condizioni di relativa ammissione, così prefigurando giocoforza possibili nuovi soci, onde un contratto associativo che non prevedesse l’adesione possibile successiva di terzi, escludendola <em>a priori</em>, sarebbe da assumersi giuridicamente nullo;</li> <li>la situazione giuridica soggettiva dell’aspirante socio, più che al diritto soggettivo “<em>puro</em>” (incondizionato), appare maggiormente assimilabile all’interesse legittimo, ovvero al diritto condizionato alla compatibilità con l’interesse (collettivo) associativo;</li> <li>l’eventuale diniego di ammissione nell’associazione deve essere motivato, ma non appare giustiziabile innanzi al GO, proprio perché l’acquisizione dello status di associato non è oggetto di un diritto soggettivo dell’aspirante socio (pur potendo gli amministratori deneganti essere assoggettati alle sanzioni eventualmente previste dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto);</li> <li>per quanto concerne i diritti che può vantare il socio, occorre distinguere: e.1) quelli di fonte legale, generalmente assunti non derogabili in funzione delle categorie di soci: diritto di voto; diritto di impugnativa delle delibere assembleari invalide; diritto di recesso dall’associazione; e.2) quelli di fonte convenzionale, che dipendono fondamentalmente dallo scopo che ciascuna associazione si prefigge e che possono essere derogati <em>ratione socii</em>, potendo essere attribuiti dunque a particolari categorie di soci e non a tutti;</li> <li>per quanto riguarda gli obblighi gravanti sui soci, essi si ricollegano allo scopo associativo e possono essere di natura personale o, più spesso, patrimoniale (versamento di quote associative, contributi o simili);</li> <li>l’estinzione del rapporto associativo – esclusa in ogni caso la possibilità per il socio cessato di ripetere le quote versate, o comunque di vantare diritti sul patrimonio associativo – è effetto che può prodursi (art.24 c.c.): g.1) per recesso del socio: lo <em>status</em> di socio ha natura strettamente personale, onde il socio che non voglia più far parte della compagine non può cedere il proprio <em>status</em> a terzi, ma può sempre recedere esercitando, in negativo, quella libertà di associazione che gli garantisce l’art.18 della Costituzione; salvo il caso in cui il socio si sia obbligato a rimanere tale per un tempo determinato (o la diversa ipotesi in cui lo stesso contratto associativo preveda effetti del recesso posticipati rispetto alla data della pertinente domanda), egli può dunque recedere <em>ad nutum</em> dalla compagine, senza dover motivare la propria scelta proprio perché espressione del proprio diritto costituzionalmente garantito di “<em>non associarsi</em>”; altra figura di recesso configurata dalla dottrina è quella del recesso per giusta causa, ipotesi nella quale il recesso viene motivato sulla base di un sopraggiunto <em>deficit</em> di fiducia rispetto al perseguimento degli scopi associativi; g.2) per esclusione deliberata dall’Assemblea: condizione per la legittima adozione di tale delibera di esclusione sono “<em>gravi motivi</em>” che possono avere foggia patrimoniale (mancato pagamento delle quote associative) ovvero personale (contegno reiterato in grave frizione con gli scopi dell’associazione); dalla notifica della delibera assembleare che lo esclude il socio ha a disposizione un termine di decadenza di 6 mesi per impugnare la propria esclusione innanzi al GO, secondo uno schema assimilabile a quello che presiede l’impugnativa degli atti amministrativi; importante, correlativamente, la consistenza del sindacato affidato al GO sulla delibera di esclusione, potendone egli indagare la legittimità – in termini di non scarsa importanza (“<em>gravi motivi</em>”) dell’inadempimento del socio, analogamente a quanto previsto dall’art.1455 c.c. in tema di risoluzione per inadempimento nei contratti commutativi a prestazioni corrispettive – ma non anche, secondo l’impostazione tradizionale, la mera opportunità e dunque il “<em>merito</em>” dell’esclusione, affidato alla discrezionalità dell’associazione che esclude; in sostanza, quella dei “<em>gravi motivi</em>” è una clausola generale che si risolve nella possibilità per il GO di indagare la legittimità della delibera assembleare escludente assumendo a parametro tanto la legge quanto il contratto associativo, seppure intesa sempre più come legittimità sostanziale e non già meramente procedurale e formale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono gli organi dell’associazione e cosa occorre rammentare del relativo regime?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’Assemblea; quanto alla pertinente natura giuridica: a.1) si tratta, secondo l’opinione prevalente, di un organo collegiale, con conseguente natura collegiale unilaterale anche della delibera assembleare che ne costituisce il precipitato, e che è espressione della volontà unica dell’ente; a.2) non si tratta, per la tesi minoritaria, di organo collegiale, onde la manifestazione di volontà di ciascun socio resta distinta ed autonoma rispetto a quella degli altri soci, configurandosi un fascio di atti di epifania volontaria autonomi e separati; il <em>quorum</em> strutturale (art.21 c.c.) è in prima convocazione almeno la metà degli associati e, in seconda convocazione, qualunque sia il numero dei soci presenti; il <em>quorum</em> funzionale è invece costituito sempre dalla maggioranza dei partecipanti; riunisce tutti i soci e va convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per approvare il bilancio associativo; deve essere convocata anche quando se ne ravvisi la necessità; deve essere altresì convocata quando lo chiedano motivatamente almeno 1/10 dei soci, circostanza nella quale, in difetto di convocazione da parte degli amministratori, essa può essere ordinata dal Presidente del Tribunale competente; modifica l’atto costitutivo e lo statuto; nomina amministratori diversi da quelli indicati nell’atto costitutivo o nello statuto, e promuove l’azione di responsabilità nei relativi confronti (art.24, comma 3, c.c.); delibera lo scioglimento dell’associazione, in via integrale o limitatamente ad uno o più soci, escludendoli per gravi motivi; gli organi dell’ente, qualunque socio ed il PM (art.23 c.c.) possono fare istanza di annullamento delle delibere associative contrarie alla legge, all’atto costitutivo ed allo statuto, senza che tale impugnazione implichi automatica sospensione della esecutività della delibera gravata, che può tuttavia essere disposta sia – per gravi motivi – con decreto motivato del Giudice, sia dell’Autorità governativa laddove si tratti di delibere contrarie all’ordine pubblico o al buon costume, in tal caso anche in difetto di gravi motivi; importante anche il disposto del comma 2 dell’art.23, onde l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1780.html">annullamento</a> della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima (norma che è stata chiamata in causa in ambito amministrativo con riguardo alla sorte del contratto “<em>a valle</em>” in caso di annullamento dell’aggiudicazione di una gara); in tema di patologia della delibera assembleare occorre distinguere: a.1) la delibera inesistente, ad esempio presa da soggetti estranei all’assemblea, come tale non vincolante; a.2) la delibera annullabile, che per dottrina maggioritaria è l’unica forma di invalidità prevista dal sistema, analogamente a quanto accade ex art.2377 c.c. in tema di annullabilità della delibera di società per azioni; più in particolare, non sarebbe configurabile una delibera assembleare nulla, neppure laddove essa confligga con norme imperative, non potendo in simili ipotesi scattare l’art.1418 , comma 1, c.c. in tema appunto di nullità ma appunto il solo art.23 c.c. in tema di annullabilità; peraltro, mentre in tema di società per azioni l’art.2379 c.c. prevede la delibera nulla laddove il relativo oggetto sia impossibile o illecito, non esiste una analoga disposizione in tema di associazioni riconosciute, onde la delibera associativa sarebbe sempre annullabile e mai nulla; a.3) la delibera nulla, che per dottrina minoritaria è invece predicabile quanto meno nei casi più gravi di contrarietà a norme imperative, come nelle ipotesi di oggetto illecito (in analogia a quanto previsto dall’art.2379 c.c. per le società per azioni); laddove sia invalida la manifestazione di volontà del singolo associato in sede di assemblea (voto), solo in caso di superamento della c.d. “<em>prova di resistenza</em>” (per incidenza sul <em>quorum</em> strutturale o su quello funzionale) tale invalidità si riverbera sulla delibera assembleare;</li> <li>gli amministratori: sono l’organo esecutivo della compagine; possono essere uno o più, in quest’ultimo caso (più frequente) parlandosi di consiglio di amministrazione; i relativi poteri di rappresentanza sono pubblicizzati e, in difetto, eventuali limiti che vi afferiscano non possono essere opposti ai terzi dei quali non si provi l’effettiva conoscenza dei poteri medesimi e delle pertinenti limitazioni; gestiscono l’associazione e ne sono responsabili verso la compagine secondo le norme in tema di mandato (art.18 c.c.), con responsabilità di natura contrattuale (art.1218 c.c.), ad esclusione – in caso di pluralità – di quello tra gli amministratori che non abbia partecipato all’atto dannoso per l’associazione o che, essendo a conoscenza del prossimo compimento dell’atto dannoso medesimo, se ne sia dissociato manifestando il proprio, pertinente dissenso; secondo l’opinione prevalente in dottrina, decidono in ordine all’ammissione di nuovi associati, trattandosi di attuare in tal modo il contratto associativo, necessariamente “<em>aperto</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dell’estinzione dell’associazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>le cause di estinzione ex art.27 c.c.: a.1) cause formali: quelle previste esplicitamente dall’atto costitutivo o dallo statuto; a.2) cause soggettive: vengono a mancare tutti gli associati; a.3) cause oggettive: lo scopo è stato raggiunto, ovvero non sia più raggiungibile;</li> <li>i rapporti tra causa di estinzione ed effettiva estinzione: decorre tra questi due poli un torno temporale, onde alla causa estintiva non consegue immediatamente l’estinzione dell’associazione, dovendo quest’utlima essere liquidata giusta definizione dei rapporti attivi e passivi pendenti; gli amministratori non possono in questa fase compiere nuove operazioni, potendo compiere i soli atti di ordinaria amministrazione orientati a meramente gestire e conservare il patrimonio della persona giuridica in vista della relativa liquidazione; in caso di nuove operazioni (vietate), gli amministratori rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni contratte;</li> <li>gli effetti post liquidazione ex art.31 c.c.: esaurita la liquidazione, i creditori che siano rimasti tali per non aver fatto valere i propri diritti in tale sede possono richiedere – entro 1 anno dalla liquidazione - l’adempimento ai soggetti cui siano stati devoluti i beni associativi residui, in proporzione e nei limiti del valore di quanto ricevuto; a valle della liquidazione, gli eventuali beni residui pertinenti rispetto allo scopo perseguito dall’ente estinto sono devoluti in conformità del relativo atto costitutivo, mentre i beni donati o lasciati all’ente per scopi eterodossi rispetto ai fini dell’ente medesimo sono devoluti dall’autorità governativa, con il medesimo onere, ad altre persone giuridiche con fini analoghi.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare delle associazioni non riconosciute o “di fatto”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>hanno la medesima struttura delle associazioni riconosciute;</li> <li>si contrappongono due tesi: b.1) si applicano direttamente le norme (compatibili) sulle associazioni riconosciute; b.2) si applicano le norme sulle associazioni riconosciute solo in via analogica;</li> <li>per la costituzione non occorre forma <em>ad substantiam</em> (salva l’applicazione dell’art.1350 c.c. allorché il contratto associativo preveda la confluenza nel fondo comune di diritti reali immobiliari ovvero di diritti di godimento oltre i nove anni);</li> <li>gli esempi più noti sono: partiti, sindacati, associazioni di volontariato, associazioni ambientaliste, associazioni di consumatori e utenti;</li> <li>sono governate dal principio di libertà e di auto-organizzazione, essendo gli accordi tra gli associati (art.36 c.c.) a disciplinare la relativa amministrazione e, più in generale, il relativo ordinamento interno;</li> <li>dal punto di vista processuale, stanno in giudizio in persona di coloro che ne hanno la presidenza o la direzione;</li> <li>dal punto di vista sostanziale, il potere di rappresentanza spetta del pari a chi ha la presidenza o la direzione della compagine, anche laddove atto costitutivo e statuto restino muti in proposito (dovendosi sopperire all’assenza di pubblicità previsto per le persone giuridiche e lì compendiantesi in appositi registri);</li> <li>il fondo comune (art.37) è costituito dai contributi degli associati e dai beni che con essi vengono acquistati, potendo ormai la compagine operare acquisti immobiliari e ricevere per donazione o per testamento senza bisogno di chiedere il riconoscimento (e quindi senza necessità di divenire persona giuridica); occorre in proposito distinguere due fasi temporali precise: h.1) il periodo di vita dell’associazione: i soci non possono chiedere la divisione del fondo comune, né – in caso di recesso – pretendere la liquidazione della propria quota; h.2) il periodo successivo all’estinzione della compagine: la liquidazione può essere prevista anche in forma di ripartizione del patrimonio comune tra gli associati, stante la relativa, ampia libertà di accordarsi in tal senso ex art.36 c.c.; proprio queste disposizioni consentono di predicare per l’associazione non riconosciuta la natura giuridica di autonomo soggetto di diritto, dotato di una propria dotazione patrimoniale, assai più che un esempio di comunione di tipo germanico tra i soci (che pure è stata da parte della dottrina adombrata); quando chi rappresenta l’associazione contrae obbligazioni, di esse risponde dunque la compagine con il proprio patrimonio, configurandosi una forma di autonomia patrimoniale che è tuttavia imperfetta giacché - ai sensi dell’art.38 c.c. - rispondono delle obbligazioni contratte anche, personalmente e solidalmente, coloro che abbiano agito in nome e per conto dell’associazione, spendendone dunque il nome e dichiarando di agire nel relativo interesse, che per la più recente giurisprudenza si atteggiano a fideiussori <em>ex lege</em> dell’associazione medesima; ciò al fine di tutelare l’affidamento di chi entra in contatto con esponenti della compagine e che, non potendo avvalersi di un regime di pubblicità idoneo a consentire una verifica della garanzia patrimoniale spendibile dall’ente, devono poter contare (anche) sul patrimonio di coloro che hanno agito per esso; si tratta – testualmente - di una responsabilità ex art.1218 c.c. che tuttavia viene univocamente assunta operare anche nell’ipotesi di illecito aquiliano ex art.2043 c.c.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>