Corte Costituzionale, sentenza 28 marzo 2023 n. 52
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 39, primo e quarto comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice del lavoro.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con ordinanza del 3 febbraio 2022 (reg. ord. n. 94 del 2022) la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 39, primo e quarto comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, «nella parte in cui estende l’efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un Sindacato non firmatario del contratto collettivo».
Tale disposizione stabilisce, al comma 1, che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese, riguardanti la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività; e, al comma 2-bis, che, fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le predette materie e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
La Corte rimettente denuncia la violazione degli artt. 2 e 39, primo comma, Cost. per lesione della libertà dell’organizzazione sindacale, intesa sia quale libertà del singolo lavoratore di associarsi in formazioni sindacali (costituendo organizzazioni sindacali o aderendo a organizzazioni già costituite), sia come libertà del sindacato di organizzarsi per svolgere la funzione di rappresentanza dei propri iscritti.
Inoltre, assume la violazione dell’art. 39, quarto comma, Cost., che subordina la possibilità per i sindacati di stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes alla sussistenza di specifici presupporti procedurali e soggettivi e in particolare alla previa registrazione – condizionata alla previsione di un ordinamento interno a base democratica – e alla conseguente acquisizione della personalità giuridica.
2.– Va, innanzi tutto, puntualizzato l’oggetto delle censure che la Corte rimettente, in riferimento ai suddetti parametri, muove all’art. 8 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, dubitando della legittimità costituzionale di tale disposizione nella parte in cui prevede l’efficacia generale (erga omnes) dei contratti «aziendali o di prossimità» estesa a tutti i lavoratori in azienda, anche se non firmatari del contratto o appartenenti a un sindacato non firmatario del contratto collettivo.
Benché il testuale ampio richiamo ai contratti «aziendali o di prossimità» possa essere inteso come far riferimento a tutte le fattispecie di contratto collettivo di secondo livello (id est non nazionali), previste dalla disposizione censurata, ossia tanto a quelli aziendali che territoriali, in realtà la puntualizzazione, contenuta nell’ordinanza stessa, che il contratto collettivo rilevante nel giudizio principale abbia avuto, come parti stipulanti, «un Sindacato ritenuto maggiormente rappresentativo e il datore di lavoro» mostra che si tratta di un contratto aziendale e non già di un contratto territoriale, come del resto riconosce la stessa Avvocatura dello Stato nel suo atto di intervento.
Può allora ritenersi che le questioni di legittimità costituzionale siano state poste, in realtà, con riferimento al solo contratto collettivo aziendale di prossimità e non anche a quello territoriale.
È, del resto, rimesso a questa Corte il potere di individuare l’oggetto della questione da scrutinare, laddove lo stesso non coincida con la portata letterale del petitum formulato dal rimettente, interpretando il dispositivo dell’ordinanza di rimessione alla luce della sua motivazione, così delimitando correttamente il thema decidendum (ex plurimis, sentenze n. 2 del 2023 e n. 223 del 2022).
3.– Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili.
L’ordinanza di rimessione non motiva sufficientemente la riconducibilità della fattispecie censurata, oggetto del giudizio principale, a quella legale del contratto di prossimità, recata dalla disposizione censurata e quindi la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
In tanto è possibile, nel merito, il sindacato di legittimità costituzionale della disposizione censurata per contestare la efficacia generale (erga omnes) del contratto di prossimità in quanto, in rito, ne sussista la rilevanza nel giudizio principale. Ossia il giudice rimettente avrebbe dovuto motivare, seppur in termini di mera plausibilità, in ordine alla dedotta circostanza che l’accordo aziendale, oggetto della sua cognizione, rientrasse proprio nella fattispecie del contratto collettivo aziendale di prossimità, al quale la disposizione censurata assegna un’efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessati, e non fosse invece un ordinario accordo aziendale.
Non è, infatti, sufficiente che in giudizio venga in rilievo un accordo aziendale ordinario; occorre che sia dedotto – e ricorra – un vero e proprio contratto collettivo aziendale di prossimità di cui sia invocata l’efficacia generale estesa a tutti i lavoratori in azienda. Ciò invece non emerge dall’ordinanza di rimessione – sotto i profili di cui si viene a dire – con conseguente inammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
4.– La perimetrazione della fattispecie legale del contratto collettivo aziendale di prossimità, al quale la disposizione censurata assegna un’efficacia generale ex lege, ha come naturale termine di raffronto l’accordo aziendale ordinario che è dotato, invece, di un’efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda.
È infatti costante nella giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 2 novembre 2021, n. 31201; 15 novembre 2017, n. 27115; 18 aprile 2012, n. 6044 e 28 maggio 2004, n. 10353) l’affermazione che l’efficacia generale (per tutti i lavoratori) degli accordi aziendali è tendenziale – in ragione dell’esistenza di interessi collettivi della comunità di lavoro nell’azienda, i quali richiedono una disciplina unitaria –, trovando un limite nell’espresso dissenso di lavoratori o associazioni sindacali; limite coessenziale alla riconducibilità anche di tali accordi, non diversamente da quelli nazionali o territoriali, a un sistema di contrattazione collettiva fondato su principi privatistici e sulla rappresentanza negoziale – non già legale o istituzionale – delle organizzazioni sindacali. L’accordo aziendale – come in generale il contratto – «ha forza di legge tra le parti» e la sua efficacia può essere estesa a terzi solo nei «casi previsti dalla legge» (art. 1372 del codice civile). Sicché – si è affermato in giurisprudenza – «sarebbe illecita la pretesa datoriale aziendale di esigere il rispetto dell’accordo aziendale anche dai lavoratori dissenzienti perché iscritti ad un sindacato non firmatario dell’accordo medesimo» (Cass., n. 27115 del 2017).
L’accordo aziendale ordinario, quindi, non estende la sua efficacia anche nei confronti dei lavoratori e delle associazioni sindacali che, in occasione della stipulazione dell’accordo stesso, siano espressamente dissenzienti. Il loro dichiarato dissenso non inficia la validità dell’accordo aziendale, ma incide sull’efficacia, la quale quindi, in tale evenienza, risulta non essere “generale”.
La disposizione censurata mira a colmare questo possibile limite di applicabilità dell’accordo prevedendo una speciale fattispecie di contratto collettivo aziendale – quello qualificato come di «prossimità» – che, appunto, ha «efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati», come espressamente dispone l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, e come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanze 10 novembre 2021, n. 33131 e 15 giugno 2021, n. 16917; sentenza 22 luglio 2019, n. 19660); norma della quale questa Corte ha affermato il «carattere chiaramente eccezionale» (sentenza n. 221 del 2012).
E tale eccezionalità è ancor più marcata in ragione della prevista possibilità che il contratto collettivo aziendale di prossimità deroghi alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 dell’art. 8 e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, pur sempre nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dal diritto europeo e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.
Siffatta efficacia generale (erga omnes), proprio perché «eccezionale», sussiste solo se ricorrono gli specifici presupposti ai quali l’art. 8 la condiziona; presupposti previsti testualmente dalla disposizione censurata e così declinati:
- a) occorre che l’accordo aziendale sia sottoscritto «da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda»;
- b) è necessario che tali «specifiche intese» – ossia gli accordi aziendali – siano «sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali»;
- c) inoltre l’accordo – nel perseguire un interesse collettivo della comunità dei lavoratori in azienda, che la giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 16917 del 2021 e n. 19660 del 2019) identifica soprattutto nel superamento di crisi aziendali ed occupazionali – deve risultare alternativamente finalizzato – secondo la tipizzazione del medesimo art. 8, comma 1, – «alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività»;
- d) infine occorre che l’accordo riguardi «la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione» con riferimento a specifici settori elencati dall’art. 8, comma 2. Con l’espressa esclusione della materia dei licenziamenti discriminatori, l’accordo può riguardare: gli impianti audiovisivi e la introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore, la classificazione e l’inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell’orario di lavoro e le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro.
5.– Orbene, nella specie, la Corte rimettente omette, in realtà, di verificare la riconducibilità, o no, dell’accordo aziendale, rilevante nel giudizio principale, alla fattispecie del contratto collettivo aziendale di prossimità, prevista dalla disposizione censurata; ciò al fine di poter contestare poi, sul piano della legittimità costituzionale, la prevista efficacia generale ex lege di quest’ultimo, della quale è invece sprovvisto ogni ordinario accordo aziendale, solo tendenzialmente applicabile a tutti i lavoratori in azienda.
5.1.– Innanzi tutto, la Corte rimettente riferisce che «il Sindacato firmatario del contratto di prossimità, la Cisal Si.Nalv è un sindacato maggiormente rappresentativo».
Invece, la disposizione censurata richiede, perché sia configurabile un contratto collettivo di prossimità, che esso sia sottoscritto «da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda».
La legislazione meno recente ha fatto riferimento al criterio della «maggiore rappresentatività», come presupposto della normativa di sostegno dell’azione sindacale, in particolare nell’originaria disciplina delle rappresentanze sindacali aziendali prevista dallo statuto dei lavoratori (art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento»).
Ma in seguito il legislatore ha fatto ricorso, sempre più spesso, ad un presupposto maggiormente selettivo: essere l’associazione sindacale comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale (così ora, in generale, l’art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183»). A tale più restrittivo presupposto fa testualmente riferimento anche la disposizione censurata perché sia configurabile un contratto collettivo aziendale di prossimità e non soltanto un ordinario accordo aziendale.
La Corte d’appello rimettente nulla dice in ordine alla riconducibilità, prescritta dall’art. 8, del sindacato, firmatario dell’accordo aziendale in oggetto, ad una delle associazioni sindacali «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale», limitandosi a riconoscere, invece, la diversa (e in realtà non determinante) connotazione di «sindacato maggiormente rappresentativo». Marginalmente può anche notarsi che, seppur al diverso fine dell’accesso del datore di lavoro alla cosiddetta cassa integrazione in deroga, proprio la confederazione alla quale fa riferimento il sindacato firmatario dell’accordo aziendale, oggetto del giudizio a quo, è stata ritenuta, da ultimo, non essere comparativamente più rappresentativa (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 26 settembre 2022, n. 8300).
5.2.– Soprattutto nell’ordinanza di rimessione nulla è detto in ordine all’ulteriore presupposto che ancor più connota la identificabilità di un contratto collettivo aziendale di prossimità: essere stato l’accordo sottoscritto «sulla base di un criterio maggioritario»; presupposto necessario e determinante, in presenza di un dichiarato dissenso di associazioni sindacali o di lavoratori, della cui possibile interpretazione il giudice a quo non dà affatto conto.
L’efficacia generale dell’accordo di prossimità implica che, quando ci sia un tale dissenso in azienda, la sottoscrizione del contratto collettivo avvenga, appunto, «sulla base di un criterio maggioritario» sì da vincolare la “minoranza” che tale accordo non vuole.
La disposizione censurata non precisa in cosa possa consistere il «criterio maggioritario». Solo per i contratti collettivi aziendali, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, essa (art. 8, comma 3) fa riferimento all’approvazione «con votazione a maggioranza dei lavoratori». Per quelli stipulati successivamente c’è il ripetuto riferimento a tale accordo interconfederale, contenuto anche nel comma 1 dell’art. 8. Ma la Corte rimettente neppure prende ciò in considerazione per valutare se tale riferimento possa, o non, significare che il legislatore abbia inteso richiamare il criterio «maggioritario» ivi adottato (id est il possibile voto dei lavoratori in azienda) per assicurare efficacia generale al contratto aziendale, in caso di dissenso di associazioni sindacali e di lavoratori che si oppongono a tale accordo.
La Corte rimettente riferisce, in punto di fatto, che i lavoratori appellanti, ricorrenti in primo grado, «avevano aderito ad altro Sindacato non firmatario dell’accordo di prossimità» e tramite il loro sindacato avevano reso palese il loro dissenso mediante “disdetta” dell’accordo.
In tale evenienza, affinché nella specie il contratto aziendale potesse superare il dissenso dell’associazione sindacale non firmataria e dei lavoratori che si opponevano all’accordo, e rendere efficace le sue disposizioni a «tutti i lavoratori interessati», occorreva che esso fosse stato approvato «sulla base di un criterio maggioritario», da identificarsi secondo scelte interpretative rimesse al giudice della controversia.
Invece, la Corte d’appello – nulla dicendo sul punto – avvalora semmai l’ipotesi che si sia trattato di un ordinario contratto aziendale, che ha un’efficacia tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda, ma che – secondo la giurisprudenza sopra richiamata – non supera l’eventuale espresso dissenso di associazioni sindacali e di lavoratori. Ciò tanto più che, nella specie, il dissenso dei lavoratori ricorrenti in giudizio parrebbe – per quanto riferito nell’ordinanza di rimessione – essere stato espresso solo nel corso della vigenza dell’accordo aziendale mediante la sua “disdetta” e non già contestualmente – o comunque all’epoca – della sua stipulazione.
5.3.– Anche gli ulteriori presupposti di identificabilità della fattispecie del contratto collettivo aziendale di prossimità sono rimasti insufficientemente esplorati dalla Corte d’appello rimettente.
Per un verso poco è detto delle finalità perseguite dall’accordo aziendale, che solo se riconducibili a quelle tipizzate dall’art. 8, come espressive dell’interesse collettivo della comunità dei lavoratori in azienda, consentono l’identificabilità di un contratto collettivo di prossimità. L’ordinanza di rimessione si limita a riferire, in termini meramente assertivi, che «l’accordo di prossimità era volto ad aumentare l’occupazione e a rendere sempre più competitiva l’azienda al fine di salvaguardare i livelli occupazionali».
Per altro verso, non è specificata la materia che risulterebbe regolata dall’accordo aziendale. Nell’ordinanza si legge che l’accordo «aveva stabilito un peggioramento delle condizioni economiche dei lavoratori», sì che i ricorrenti rivendicavano in giudizio il «pagamento delle differenze retributive per scatti di anzianità, ferie, ed altri istituti retributivi». Ma il mero contenimento del trattamento retributivo non rientra, per ciò solo, tra le “materie” di cui al comma 2 dell’art. 8 (Cass., n. 33131 del 2021).
6.– In conclusione, l’ordinanza di rimessione non contiene, con riferimento ai profili sopra indicati, una plausibile motivazione in ordine alla circostanza che nel giudizio principale si controverta proprio di un contratto collettivo aziendale di prossimità ex art. 8 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, dotato di quell’efficacia generale (erga omnes) prevista dalla disposizione censurata, che il giudice a quo ritiene contrastante con gli invocati parametri, e non già di un ordinario contratto aziendale, provvisto di efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda, ma che non supera l’eventuale espresso dissenso di associazioni sindacali o lavoratori.
Da ciò, l’inammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale per incompleta ricostruzione della fattispecie, che dà luogo a un difetto di motivazione sulla rilevanza, in riferimento a tutti gli indicati parametri.