Corte di Cassazione, Sez. II Penale, sentenza 24 febbraio 2025 n. 7456
PRINCIPIO DI DIRITTO
Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, a ricoprire la carica di amministratore di una società.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è inammissibile;
- Con il primo motivo si deduce l’erronea valutazione delle prove acquisite […];
2.1. Si evidenzia come l’ipotesi accusatoria – secondo cui l’imputato avrebbe costretto la persona offesa […] a mantenere la carica di amministratore della D.D. Group Srl che sarebbe stato assertivamente indotto ad assumere attraverso documenti dì cui ignorava il contenuto e da cui aveva ripetutamente manifestato la volontà di dimettersi – mal si conciliasse con la circostanza che costui aveva mantenuto la carica di amministratore per un periodo considerevole (dal 2011 sino al fallimento della società nel 2014), attivandosi per la gestione della società, come dimostrato dal fatto che provvedeva, su richiesta del curatore, alla nomina di un legale per avviare la procedura fallimentare;
Si era, quindi, al cospetto di comportamenti denotanti lo svolgimento di un ruolo attivo nella società, non affatto dovuto alla ritenuta costrizione;
Né confacenti risultavano le fonti di prova dichiarative citate dalla Corte di merito […];
2.2. Difettavano, poi, gli elementi costitutivi dell’estorsione: la stessa p.o. aveva affermato che l’imputato gli aveva assicurato aiuto e rassicurazioni come il pagamento di una cambiale per consentirgli di aprire un conto corrente;
Tale atteggiamento rassicurante era del tutto incoerente con la condotta tipica di chi attua una coartazione della volontà altrui, la quale deve essere caratterizzata da un’ingerenza costante e coercitiva che si riveli idonea a ledere la libertà morale e psichica della persona offesa e non alternata a momenti di rassicurazione e supporto;
Inoltre, prive di idoneità minacciosa erano le affermazioni che avrebbe reso l’imputato, come pure del necessario supporto del dolo, dovendo la condotta essere volta a procurarsi un ingiusto profitto;
Il motivo è manifestamente infondato sotto entrambi i profili denunciati;
Il giudizio di attendibilità della persona offesa è stato condotto secondo i canoni dettati dalla Corte di legittimità secondo cui le dichiarazioni della persona offesa – […] – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, […]);
Nel caso in esame, la Corte territoriale risulta essersi fatta carico di apprezzare le dichiarazioni della persona offesa in punto sia di attendibilità soggettiva che oggettiva, alla luce degli altri elementi di tipo dichiarativo acquisiti nel processo di cui si è dato conto nella sentenza impugnata;
Quanto alla sussistenza dell’estorsione, la tesi difensiva esclude la sussistenza della minaccia facendo leva sulla possibilità di scelta lasciata al lavoratore dal datore di lavoro, quanto alla possibilità di proseguire il rapporto di lavoro e ricoprire la carica di amministratore (quale prestanome) della società D.D. Group Srl ;
Tale argomentazione, però, non considera che la stessa nozione di minaccia implica proprio che sia rimessa alla vittima del reato la scelta della condotta ultima da adottare, ma nella consapevolezza che ove questa dovesse essere diversa da quella rappresentata e pretesa dal soggetto attivo, si avrebbe la conseguenza del male ingiusto prospettato;
Da tale caratteristica propria della minaccia discende che l’estorsione è il tipico reato per la cui perpetrazione è richiesta la cooperazione della vittima mediante la coartazione della sua volontà;
Da ciò discende che la rimessione al soggetto passivo della scelta della condotta da adottare non è considerazione cui poter fare ricorso al fine di escludere la sussistenza della minaccia e – con essa – dell’estorsione, così che l’argomento in esame è certamente fallace;
Il lavoratore è posto di fronte all’alternativa di accettare le condizioni imposte, (implicanti l’accettazione della carica di amministratore della società D.D. Group Srl, pur rimanendo, in realtà, inalterata la sua posizione di lavorator subordinato), dal datore di lavoro o di perdere il lavoro, risultando indifferente che tale evenienza si possa realizzare per una decisione “volontaria” del lavoratore o a iniziativa del datore di lavoro;
Va aggiunto che tale ultima evenienza assume rilievo penale perché, nel caso in esame, la prospettiva di figurare come legale rappresentante della società D.D. Group Srl indicata come alternativa alla perdita del lavoro è iniqua e illegittima, per come pacificamente riconosciuto dagli stessi giudici di merito, in quanto intesa ad obbligarlo a ricoprire una carica da cui nascevano formalmente obbligazioni di un certo rilievo a suo carico;
Tanto che lo stesso si è reso conto che una cambiale era stata protestata, sì che non poteva aprire un conto corrente;
Invero, a fronte di un tale (pacifico) stato di fatto, va ribadito che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, a ricoprire la carica di amministratore di una società, la D.D. Group Srl, posizione da cui sorgevano formalmente comunque per il titolare degli obblighi di non poco conto […];
Pacifico è che il contratto era esclusivamente funzionale agli interessi del D.D., che avrebbe fatto ricadere sulla persona offesa, le eventuali future responsabilità derivante dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società (che è poi fallita) e certamente non giovava alla parte lesa;
In tale ottica, come correttamente evidenziato dalla pronuncia, era sicuramente nota all’imputato la condizione di fragilità economica del B.B., visto che lavorava alle loro dipendenze sin dal 2011, sì che lo stesso non avrebbe avuto la possibilità e la forza di opporsi alla richiesta riguardante l’accettazione della carica di amministratore della D.D. Group Srl e nemmeno di cercarsi un altro lavoro, dovendo garantirsi la sopravvivenza;
In ogni caso per quanto sopraindicato la condizione di fragilità economica non appare comunque necessaria al fine di configurare la coartazione alla stipulazione del contratto, in quanto la prospettazione del licenziamento costituisce di per sé un male ingiusto.;
E nessun rilievo assume il fatto che l’imputato in diverse occasioni si fosse prestato a favore della persona offesa: se il filo conduttore delle minacce è stato individuato nel disegno perseguito dal ricorrente di far assumere alla persona offesa la carica di amministratore affinché poi la mantenesse in modo tale che potessero ricadere sullo stesso le eventuali future responsabilità derivanti dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società, nessuna interferenza col proposito criminoso assumono gli interventi ad adiuvandum in quanto volti proprio a consolidare quella situazione di formale apparenza che lo stesso imputato aveva preordinatamente creato;
E sul punto il pagamento della cambiale assume valida conferma dell’ordito criminoso perseguito, in quanto i giudici di merito precisano che tale episodio costituì l’incipit con cui la persona offesa ebbe contezza delle implicazioni connesse alla titolarità della carica di amministratore (v. pag. 3);
- Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione e violazione dell’art. 49 cod. pen. ed il vizio di motivazione;
Si premette in fatto che l’imputato non era il legale rappresentante della società presso cui lavorava la persona offesa come operaio (la Infissi D.D.), risultando la società amministrata da un soggetto terzo […];
Di conseguenza non avrebbe potuto dar seguito alla minaccia di licenziamento, né questa avrebbe potuto essere realizzata, per come confermato dal fatto che la persona offesa aveva continuato a lavorare per l’azienda anche dopo che la D.D. Group Srl venne dichiarata fallita e da quanto dichiarato dallo stesso G.G.: questi aveva escluso di avere ricevute confidenze da parte del padre circa un possibile licenziamento del B.B. ove lo stesso si fosse dimesso dalla carica di amministratore della D.D. Group Srl;
Inoltre, aveva precisato che anche laddove il padre avesse manifestato una tale volontà, non rivestiva alcun ruolo all’interno della Infissi D.D. e, dunque, non ne aveva ruolo e facoltà;
Errato e contraddetto dalle risultanze istruttorie era il dato, al quale la Corte di merito aveva fatto riferimento per escludere il reato impossibile, che l’imputato fosse il dominus dell’impresa di famiglia. Il motivo è manifestamente infondato e ridonda in censure di fatto;
Allorché il giudice del merito dia ragionevolmente conto – sulla scorta del convergente narrato delle diverse fonti di prova acquisite – che all’imputato spetti il ruolo di dominus dell’impresa di famiglia ([…]), la circostanza dei ruoli formalmente rivestiti da terzi nelle compagini sociali perde della necessaria rilevanza;
Con la conseguenza che la minaccia di licenziamento proveniente da chi è riconosciuto e/o additato di rivestire tali poteri gestori è idonea, secondo l’id quoad plerumque accidit, ad ingenerare il timore di perdere il proprio lavoro e, dunque, ad integrare quella prospettazione di un male ingiusto integrante la condotta minacciosa;
- Con il terzo motivo si denuncia l’erronea applicazione e violazione dell’art. 56 cod. pen. ed il vizio di motivazione;
Il motivo investe la prospettata derubricazione della fattispecie delittuosa in tentativo, che la difesa fonda sull’assenza dell’evento lesivo e, in particolare, sul conseguimento dell’illecito profitto avuto di mira: il mantenere la carica di amministratore non ha sortito alcun effetto negativo (danno ingiusto) per la persona offesa, la quale ha potuto nominare un avvocato nella procedura fallimentare e ha continuato a mantenere il proprio posto di lavoro nell’altra società riconducibile alla famiglia D.D., né ha consentito all’imputato di locupletare un illecito profitto, in quanto la carica di amministratore rivestita dalla persona offesa non ha provocato alcun vantaggio personale e/o patrimoniale all’imputato;
Il motivo è manifestamente infondato;
Nel caso in esame, in aderenza al capo di imputazione e per come sottolineato dal Tribunale, il vantaggio tratto dall’imputato dalla condotta posta in essere si è concretizzato nel proseguimento dell’esercizio dell’attività imprenditoriale che esso imputato a continuato a svolgere, indisturbato;
E il profilo del danno, aggiunge il Collegio, può ben individuarsi nel coinvolgimento della persona offesa nella procedura fallimentare (tanto che ha dovuto anche nominare un avvocato a sua difesa) e nelle conseguenze che la legge fa derivare alla dichiarazione di fallimento che accentrano su di sé conseguenze pregiudizievoli foriere di ricadute sia personali che di carattere patrimoniale (si pensi alle preclusioni all’accesso a certe professioni o al pubblico mercato derivanti dall’incapacità, ovvero alle responsabilità patrimoniali strettamente conseguenti);
Peraltro, va escluso che il fine perseguito dall’imputato, ossia quello di “far ricadere sul terzo, le eventuali future responsabilità derivanti dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società, esuli dalla nozione di illecito profitto a cui si riferisce la fattispecie di estorsione, posto che la minaccia di licenziamento era volta ad evitare che potessero ridondare sul ricorrente le conseguenze di carattere personale e patrimoniale che la legge civile e penale riconduce a detta qualità;
Inoltre, per come osservato dalla sentenza impugnata, la condotta aveva la piena idoneità a produrre l’evento, che infatti ha puntualmente prodotto, inducendo il B.B. inizialmente ad assumere la carica e poi, a più riprese, a desistere dal suo proposito di dimettersi dalla carica formalmente ricoperta, onde non perdere anche il suo lavoro di operaio, il che implica l’avvenuta consumazione del reato;
- Depone, infine, ai fini dell’inammissibilità del ricorso anche il rilievo che i profili di errata valutazione del compendio probatorio che la difesa prospetta in relazione a ciascun motivo di ricorso, finiscono per prefigurare una rivalutazione e/o alternativa lettura delle fonti di prova estranea al giudizio di legittimità, in quanto avulsa da specifici travisamenti, con conseguente in conferenza delle allegazioni probatorie;
- All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di […] in favore della Cassa delle ammende in ragione di profili di colpa ravvisati a fondamento della causa di inammissibilità.