Cass. civ., lav., sent., 29.09.2022, n. 28398
MASSIMA
La registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex art. 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa; il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali degli artt. 167 e 183 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta.
La condotta di registrazione d’una conversazione tra presenti, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa, e quindi “essendo coperta dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico”, non può di per sé integrare illecito disciplinare, esigendosi un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra.
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il diritto di difesa ex. art. 24 Cost. non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Ricorso principale di Moderna s.p.a. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 1, comma 60, della legge n. 92 del 2012, per avere la Corte d’appello letto il dispositivo all’udienza del 16.7.2018 e depositato la sentenza completa di motivazione in un momento successivo, esattamente in data 3.9.2018.
- Con il secondo motivo si deduce omessa pronuncia, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
- Si addebita alla sentenza impugnata di aver rigettato il reclamo senza esaminare specificamente i motivi addotti, usando frasi non pertinenti al caso concreto; inoltre, di non avere esaminato le due eccezioni di nullità sollevate dalla società: la nullità degli atti del giudizio di primo grado, fase di opposizione, per avere il giudice, all’udienza del 22.3.2018, concesso solo cinque giorni per il deposito di note difensive prima dell’udienza di discussione, anziché dieci giorni come previsto dall’art. 1, comma 57, legge 92 del 2012, così comprimendo il diritto di difesa della parte; la nullità della sentenza n. 1118/2018 emessa all’esito del giudizio di opposizione per avere il giudice all’udienza del 19.4.2018 Corte di Cassazione sdoppiato la decisione pronunciando solo il dispositivo e depositando in data 3.5.2018 la sentenza completa di motivazione.
- Si critica inoltre la sentenza d’appello per aver omesso di motivare su un punto decisivo della controversia concernente il carattere ritorsivo o meno del licenziamento; per avere genericamente affermato l’infondatezza degli addebiti contestati alla lavoratrice senza esaminare specificamente i motivi di reclamo, in tal modo omettendo l’esame di fatti decisivi e valutando erroneamente le prove dedotte nel giudizio; per aver violato gli artt. 112 e 277 cod. proc. civ. atteso che la società aveva fornito prova documentale e testimoniale dei fatti contestati.
- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 42, della legge n 92 del 2012; la mancata applicazione dell’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970 come modificato dalla legge n. 92 del 2012; l’errata valutazione dei fatti provati, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. Corte di Cassazione.
- Si rileva che il giudice dell’opposizione ha ritenuto sussistenti i fatti contestati ma ha considerato gli stessi punibili con sanzioni conservative; che in base alla legge n. 92 del 2012, in ipotesi di sussistenza del fatto contestato, il giudice deve applicare la disciplina dettata dal comma 5 dell’art. 18 cit.; che la sentenza è errata per non avere detratto ciò che la lavoratrice ha guadagnato nel periodo di estromissione, svolgendo un’altra occupazione come amministratrice titolare della società MAPIER s.r.l.; che la Corte di merito ha errato nella valutazione delle prove documentali e testimoniali elencate e trascritte.
- Con il quarto motivo di ricorso si addebita alla sentenza la violazione e falsa applicazione del contratto individuale stipulato il 27.2.2013, dell’art. 220, comma 1, del CCNL di categoria, degli artt. 2119 e 1453 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
- Si premette che la società ha assunto la Berritto nel febbraio 2013 come responsabile dell’ufficio fornitori, con la qualifica di quadro; Corte di Cassazione che la lavoratrice aveva contratto, tra l’altro, l’obbligo di seguire scrupolosamente le direttive generali dell’amministratore, di osservare le procedure interne, di conservare i dati aziendali e non diffondere all’esterno la banca dati della società; che la lavoratrice aveva violato tutti gli obblighi assunti e realizzato una strategia illecita per danneggiare l’azienda; che la falsità delle deposizioni rese da Rosanna Mastromartino e da Marcello Addivinola era emersa nel corso dei procedimenti penali svolti; che i fatti contestati e provati portavano alla risoluzione del contratto di lavoro ai sensi dell’art. 1453 cod. civ. e alla dimostrazione di esistenza di una giusta causa di licenziamento; che la Corte d’appello non ha contestualizzato i fatti, non ha valutato in maniera completa gli atti del giudizio e non ha considerato che la lavoratrice avesse violato il contratto individuale.
- Con il quinto motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione ai sensi dell’art. 277 cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ; omessa valutazione Corte di Cassazione delle prove documentali e testimoniali proposte dalla società; errato uso del prudente apprezzamento, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. 15. Si assume che la Corte d’appello abbia valutato in maniera errata le risultanze probatorie; che i documenti prodotti siano stati ignorati; che non siano state valutate le prove proposte dalla società e assemblate nella relazione peritale di parte redatta dal presidente del collegio sindacale; che sia stato omesso l’esame di circostanze fattuali e di documenti decisivi per l’esito della causa; che sia erronea la valutazione di lieve entità degli inadempimenti della lavoratrice.
- Con il sesto motivo si deduce la mancata ammissione di n. 21 capitoli di prova testimoniale, di n. 4 capitoli di interrogatorio formale e della consulenza tecnica di parte giurata nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 245 e 277 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
- Si sostiene che la Corte di merito abbia limitato il diritto di difesa della società non ammettendo tutti i mezzi istruttori ritualmente introdotti dalla stessa e puntualmente trascritti.
- Il primo motivo di ricorso è infondato. 19. Questa Corte, premesso che nel rito c.d. Fornero, di cui all’art. 1, commi 47 e ss., della l. n. 92 del 2012, non è prevista la lettura del dispositivo in udienza, ha chiarito che l’eventuale pronuncia, che comunque vi sia stata, costituisce una mera anticipazione della pubblicazione del dispositivo rispetto alla motivazione, di tal che non è ravvisabile alcuna nullità della sentenza depositata, successivamente, entro il termine di dieci giorni dalla data dell’udienza di discussione, di cui al comma 57 del citato art. 1, essendo fatta salva la finalità acceleratoria del rito speciale e non configurandosi alcun pregiudizio del diritto di difesa ai fini dell’impugnazione, i cui termini decorrono dal deposito della motivazione (v. Cass. n. 5649 del 2022).
- Neppure il secondo motivo di ricorso merita accoglimento.
- Va anzitutto precisato che il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non ove si deduca l’omesso esame di questioni processali (v. Cass. n. 25154 del 2018; n. 1876 del 2018), come nel caso di specie. Peraltro, il ricorso in esame non indica in che termini e in quali atti processuali sia stata posta, nella fase di reclamo, la questione della violazione del termine di cui all’art. 1, comma 57 cit., per il deposito di note difensive, rilevandosi che, comunque, la citata disposizione prevede la concessone di termine alle parti per il deposito di note difensive “fino” a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La questione della nullità per avvenuta lettura del dispositivo separatamente dal deposito della sentenza completa di motivazione deve ritenersi implicitamente respinta dai giudici del reclamo, che hanno a loro volta dato lettura del dispositivo ed eseguito il successivo deposito della sentenza completa motivazione, legittimamente secondo i precedenti di questa Corte di legittimità.
- Quanto al dedotto vizio di “motivazione insufficiente e contraddittoria”, deve ribadirsi che, a seguito della riforma del 2012, è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, residuando unicamente il controllo sulla esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, cioè con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (in tal senso, Cass., S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014), requisiti certamente non rinvenibili e neanche dedotti nel caso in esame.
- Le residue censure sollevate col secondo motivo di ricorso, di omesso esame di fatti decisivi e di errata valutazione delle prove dedotte nel giudizio, così come le critiche oggetto del quarto, del quinto e del sesto motivo, sono tutte inammissibili.
- Sebbene formulate attraverso la denuncia di errores in procedendo e in iudicando, le critiche investono la mancata ammissione dei mezzi di prova orale e la valutazione, come operata dai giudici del reclamo, dei dati probatori raccolti. Tali censure, in quanto attengono al merito della controversia, sono suscettibili di esame in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c.; al riguardo, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 cit.) e dalle successive pronunce conformi (v. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili giuridici, ma il Corte di Cassazione riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., anche l’omesso esame di determinati elementi probatori. I motivi di ricorso in esame non soddisfano in alcun modo i requisiti del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. in quanto non solo non individuano un fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso ma sollecitano nella sostanza una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, di per sé estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
- La violazione del contratto collettivo e dell’art. 1453 cod. civ., oggetto del quarto motivo di ricorso, è articolata in base ad una ricostruzione in fatto diversa rispetto a quella accertata dai giudici di merito e si colloca, come tale, all’esterno del perimetro del vizio di violazione di legge. 26. Questa Corte (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del 2016) ha più volte definito i confini in cui si articola il giudizio di diritto che l’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. descrive attraverso le espressioni di violazione o falsa applicazione di legge; il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie ivi delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; si è parallelamente precisato che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità; il discrimine tra la violazione o falsa applicazione di norme e l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.
- Nel caso di specie, la violazione di legge e di contratto collettivo è veicolata esclusivamente sul presupposto che la Corte di merito abbia errato nel valutare le prove e, a causa di ciò, non abbia avuto percezione del complessivo inadempimento della dipendente ai propri obblighi e di come la stessa avesse realizzato una strategia illecita per danneggiare l’azienda. 28. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso atteso che l’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, contempla espressamente, tra le ipotesi per cui è prevista la tutela reintegratoria cd. attenuata, quella in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo Corte di Cassazione soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro […] perché il fatto (ndr., sussistente) rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”. Ed è quanto ha ritenuto la Corte d’appello riguardo all’addebito accertato nei confronti della lavoratrice. 29. Non può trovare accoglimento la censura in tema di aliunde perceptum poiché la parte ricorrente principale non ha specificato in quali atti processuali e in che termini abbia sollevato l’eccezione nei gradi di merito e neppure ha indicato gli estremi processuali sulla cui base la circostanza del conseguimento di compensi per lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte della Berritto potesse considerarsi pacifica perché non contestata.
- Le considerazioni finora svolte portano al rigetto del ricorso principale. Ricorso incidentale di Paola Berritto.
- Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 18, commi 1 e 4 e dell’art. 15 della legge n. 300 del 1970 e s.m., nonché dell’art. 3, legge n. 108 del 1990, dell’art. 1345 cod. civ. per la natura discriminatoria del licenziamento intimato; violazione degli artt. 2712 e 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’appello valutato le registrazioni foniche in atti, non contestate.
- Si censura la sentenza impugnata per avere escluso la ritorsività del licenziamento muovendo da un presupposto errato e cioè la non utilizzabilità delle registrazioni dei colloqui tra presenti, in contrasto con l’orientamento di legittimità e sebbene controparte non avesse in alcun modo contestato lo svolgimento dei colloqui registrati e il relativo contenuto.
- Con il secondo motivo di ricorso si critica la statuizione, adottata in sede di reclamo, di compensazione delle spese del doppio grado di giudizio per reciproca soccombenza, rilevando l’assenza di soccombenza reciproca nel primo grado di giudizio.
- Il primo motivo di ricorso incidentale è fondato. Questa Corte ha affermato che la registrazione di una conversazione tra presenti possa costituire fonte di prova entro i limiti e le condizioni specificamente individuate. Si è, in particolare, statuito che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione possa costituire fonte di prova, ex art. 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa; il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali degli artt. 167 e 183 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (Cass. n. 1250 del 2018; n. 5259 del 2017; n. 27424 del 2014).
- Nel valutare se la condotta di registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi presenti, all’insaputa dei conversanti, potesse integrare una grave violazione del diritto alla riservatezza che giustifica il licenziamento, questa Corte ha chiarito (v. Cass. n. 11322 del 2018; v. anche Cass. n. 12534 del 2019 e n. 31204 del 2021, entrambe in motivazione) che l’art. 24, d.lgs. 196 del 2003 permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612); sicché, l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio. Si è quindi affermata la legittimità (ídest: inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322 cit.).
- Questa Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento”. Da tali premesse si è tratta la conseguenza che la condotta di registrazione d’una conversazione tra presenti, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa, e quindi “essendo coperta dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico”, non può di per sé integrare illecito disciplinare (Cass. n. 27424 del 2014 cit.), esigendosi un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra (così Cass. n. 31204 del 2021 cit.).
- La sentenza impugnata, pur citando i precedenti di legittimità nel senso appena indicato, ha deciso di discostarsene sul presupposto che le conversazioni tra la Berritto e Michele Mastromartino fossero di per sé “abusive e illegittimamente captate e registrate”, senza in alcun modo indagare sulla ricorrenza dei requisiti a cui questa Corte subordina la legittimità a fini di prova delle registrazioni di conversazioni tra presenti, senza farsi carico del contemperamento dei concorrenti diritti fondamentali e senza fornire alcuna spiegazione della soluzione adottata. Adempimenti tanto più necessari in relazione alle difficoltà di assolvimento dell’onere probatorio gravante sul lavoratore che denunci la ritorsività del licenziamento intimatogli.
- Per le ragioni esposte, respinto il ricorso principale, va accolto il primo motivo di ricorso incidentale e dichiarato assorbito il secondo motivo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi di diritto richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità. 40. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.