<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 26 novembre 2020 n. 254</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro) e degli artt. 1, 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella versione antecedente alle modifiche dettate dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 (Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35, 38, 41, 76, 111, 10 e 117, primo comma, della Costituzione, questi ultimi due in relazione agli artt. 20, 21, 30 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all’art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, dalla Corte d’appello di Napoli.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>1.1.– Le disposizioni censurate contrasterebbero, anzitutto, con l’art. 3 Cost., in quanto, nel contesto della medesima procedura di licenziamento collettivo, introdurrebbero «un ingiustificato differente regime sanzionatorio» nell’ipotesi di violazione dei criteri di scelta.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Pur in presenza di «identiche violazioni relative a fattispecie del tutto omogenee, intervenute simultaneamente nella medesima procedura comparativa», sarebbero previsti due regimi sanzionatori «del tutto disomogenei per livelli di tutela», con una conseguente «irragionevole disparità di trattamento».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il fluire del tempo non giustificherebbe una tale disomogeneità, nell’àmbito di un medesimo licenziamento collettivo, né si potrebbe invocare la finalità di «favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei nuovi assunti attraverso una flessibilizzazione dell’uscita», finalità che di per sé si contrappone alla disciplina dei licenziamenti collettivi.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il giudice a quo denuncia, inoltre, il contrasto con l’art. 3 Cost., sotto un distinto profilo, correlato con gli artt. 4 e 35 Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il legislatore avrebbe attuato un irragionevole bilanciamento tra gli interessi di rilievo costituzionale, coinvolti nella disciplina dei licenziamenti collettivi. I lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015 vedrebbero fortemente compresso il diritto, tutelato costituzionalmente, a restare occupati, mentre un’ampia flessibilità sarebbe riconosciuta al datore di lavoro nell’effettuare scelte di riduzione del personale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il sistema così congegnato, «del tutto svincolato dal danno effettivo» e parametrato alla retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto (TFR), che la contrattazione collettiva potrebbe perfino azzerare, sarebbe privo di efficacia dissuasiva e non contribuirebbe a orientare il datore di lavoro verso un esercizio responsabile del potere di recesso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le medesime considerazioni inducono il rimettente a ritenere violato anche l’art. 41 Cost.: la disciplina in esame sacrificherebbe i «valori della dignità umana e dell’utilità sociale», che il datore di lavoro non può ignorare, neanche quando esercita la scelta di ridurre il personale occupato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’inadeguatezza della tutela si coglierebbe anche guardando al profilo previdenziale, come pure a quello processuale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Per il profilo previdenziale, la Corte rimettente sostiene che solo la reintegrazione assicura «[i]l ripristino della posizione previdenziale effettiva». La tutela indennitaria implicherebbe la «perdita della posizione contributiva», che non sarebbe compensata dal sistema degli ammortizzatori sociali. Vi sarebbe dunque contrasto con l’art. 38 Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nel considerare il profilo processuale, le censure si incentrano sulla scelta del legislatore di eliminare lo speciale e più celere “rito Fornero” (art. 1, commi da 47 a 68, della legge n. 92 del 2012), applicabile «alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le controversie in esame sarebbero ora trattate secondo il meno spedito rito ordinario di cognizione. Il legislatore avrebbe violato gli artt. 24 e 111 Cost., rendendo «meno efficace, perché privo di immediatezza», il rimedio giurisdizionale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>1.2.– L’inefficace sistema sanzionatorio infrangerebbe anche gli «obblighi derivanti dall’adesione ai Trattati dell’Unione» e la «normativa interposta», in particolare la Carta sociale europea, che prevedono sanzioni effettive «quale necessaria tutela di un diritto sociale fondamentale».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La Corte d’appello di Napoli muove dal presupposto che, per effetto della direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, tale disciplina sia «ormai “attratta” nelle competenze concretamente attuate dall’Unione Europea» e che tanto basti per ricondurla nell’àmbito di applicazione della CDFUE.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le previsioni censurate lederebbero il diritto a una tutela effettiva, efficace, adeguata e dissuasiva contro i licenziamenti ingiustificati, in violazione degli artt. 10 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 30 CDFUE e all’art. 24 della Carta sociale europea.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Secondo la Corte rimettente, l’art. 30 CDFUE non rappresenterebbe «una disposizione meramente programmatica priva di un proprio nucleo precettivo specifico attuabile nel giudizio», ma porrebbe «un vincolo nei confronti del Legislatore nazionale», poiché, interpretato alla luce dell’art. 24 della Carta sociale europea, dovrebbe comportare un congruo indennizzo o altre misure adeguate nel caso di licenziamento ingiustificato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il giudice a quo denuncia il contrasto con gli art. 10 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20 e 21 CDFUE, in quanto «un sistema sanzionatorio, suscettibile di generare per violazioni del tutto equiparabili una sostanziale difformità di disciplina rispetto alla misura applicabile in capo al soggetto responsabile dell’illecito» rischierebbe di penalizzare «i lavoratori più giovani» e di introdurre disparità di trattamento.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Gli artt. 10 e 117, primo comma, Cost. sarebbero violati anche per il tramite dell’art. 47 CDFUE, che sancisce il diritto a rimedi adeguati, poiché il legislatore non avrebbe assicurato «un rimedio efficace, effettivo e con capacità di inibire la violazione di un diritto fondamentale».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>1.3.– La scelta del legislatore delegato di estendere il nuovo regime sanzionatorio anche ai licenziamenti collettivi violerebbe, infine, l’art. 76 Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La Corte d’appello di Napoli denuncia il contrasto con l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della legge delega che, nel citare i licenziamenti economici, farebbe riferimento alle sole «ipotesi di recesso individuale per motivo oggettivo».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’inadeguato modello di tutela delineato dal legislatore contrasterebbe con l’art. 76 Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dei criteri direttivi enunciati dall’art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014, che vincolano il legislatore delegato al «puntuale rispetto dei principi e dei diritti sanciti» dalla normativa dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.– Occorre preliminarmente evidenziare taluni tratti peculiari che contraddistinguono la vicenda oggi sottoposta al vaglio di questa Corte e dare conto delle novità sopravvenute all’ordinanza di rimessione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Con riguardo alla violazione delle norme della Carta di Nizza, il giudice a quo ha ritenuto di proporre contemporaneamente rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea e incidente di costituzionalità. La questione proposta in via pregiudiziale si prefigge, nell’ottica del doppio rinvio che il rimettente esperisce, di chiarire il «contenuto della Carta dei Diritti fondamentali», per assumere poi «una diretta rilevanza nel giudizio di costituzionalità»</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.1.– Come questa Corte ha ribadito di recente (sentenze n. 63 e n. 20 del 2019 e ordinanze n. 182 del 2020 e n. 117 del 2019), l’attuazione di un sistema integrato di garanzie ha il suo caposaldo nella leale e costruttiva collaborazione tra le diverse giurisdizioni, chiamate – ciascuna per la propria parte – a salvaguardare i diritti fondamentali nella prospettiva di una tutela sistemica e non frazionata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A tale riguardo, non è senza significato che l’art. 19, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, consideri nel medesimo contesto – così da rivelarne il legame inscindibile – il ruolo della Corte di giustizia, chiamata a salvaguardare «il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati» (comma 1), e il ruolo di tutte le giurisdizioni nazionali, depositarie del compito di garantire «una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione» (comma 2).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.2.– A séguito del rinvio pregiudiziale avviato dall’odierno rimettente, si è pronunciata per prima la Corte di giustizia dell’Unione europea che, con ordinanza del 4 giugno 2020 (causa C-32/20, TJ contro Balga srl), ha dichiarato manifestamente irricevibili le questioni proposte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tale decisione è incentrata sull’assenza «di un collegamento tra un atto di diritto dell’Unione e la misura nazionale in questione», collegamento richiesto dall’art. 51, paragrafo 1, della Carta di Nizza. Esso non si identifica nella mera affinità tra le materie prese in esame e nell’indiretta influenza che una materia esercita sull’altra (punto 26).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In consonanza con tali indicazioni, anche questa Corte opera una rigorosa ricognizione dell’àmbito di applicazione del diritto dell’Unione europea ed è costante nell’affermare che la CDFUE può essere invocata, quale parametro interposto, in un giudizio di legittimità costituzionale soltanto quando la fattispecie oggetto di legislazione interna sia disciplinata dal diritto europeo (sentenza n. 194 del 2018, punto 8. del Considerato in diritto e, già in precedenza, sentenza n. 80 del 2011, punto 5.5. del Considerato in diritto).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La direttiva 98/59/CE istituisce una procedura di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori e di informazione dell’autorità pubblica competente, al fine di limitare il ricorso a riduzioni del personale e attenuarne le conseguenze mediante «misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati» (Corte di giustizia, ordinanza 4 giugno 2020, già citata, punto 30). Questa fonte di diritto secondario ha dato luogo, per la natura procedurale delle disposizioni ora richiamate, a una «armonizzazione parziale», che tuttavia «non si propone di realizzare un meccanismo di compensazione economica generale a livello dell’Unione in caso di perdita del posto di lavoro né armonizza le modalità della cessazione definitiva delle attività di un’impresa» (punto 31).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, così come le modalità adottate dal datore di lavoro nel dar séguito ai licenziamenti, sono materie che, nella ricostruzione fornita dalla Corte di Lussemburgo, non si collegano con gli obblighi di notifica e di consultazione derivanti dalla direttiva 98/59 CE e restano, in quanto tali, affidate alla competenza degli Stati membri (punto 32).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Da questi rilievi discende che la situazione giuridica della ricorrente nel procedimento principale «non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione» e che l’interpretazione delle disposizioni della Carta dunque «non ha alcun rapporto con l’oggetto del procedimento principale» (punto 23).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Sulle vicende ora richiamate questa Corte non ha ragione di esprimersi. Sussistono, infatti, molteplici profili di inammissibilità da esaminare d’ufficio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– Il primo di tali profili attiene alla descrizione della fattispecie concreta e alla motivazione in ordine al requisito della rilevanza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.1.– La parte ricorrente nel giudizio principale ha impugnato il licenziamento collettivo, intimato il 1° luglio 2016, «per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5 della legge 223/91 e comunque per violazione della procedura» (punto 4.), come confermano anche le argomentazioni svolte nell’atto di costituzione della parte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La Corte rimettente riferisce di dover decidere sull’appello proposto contro la sentenza di primo grado, che ha rigettato l’impugnazione del licenziamento collettivo «per genericità ed infondatezza dei motivi» (punto 3.).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In ordine alla rilevanza, il giudice a quo si limita a puntualizzare che un rapporto di lavoro sorto dopo il 7 marzo 2015 è assoggettato alla disciplina dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, che regola le «conseguenze sanzionatorie nel caso di accoglimento delle domande» (punto 8.).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La declaratoria di illegittimità costituzionale implicherebbe «un cambiamento del quadro normativo assunto dal giudice rimettente» e, in tale prospettiva, troverebbe conferma la rilevanza delle questioni proposte, che il giudice a quo sarebbe chiamato a illustrare con «una motivazione non implausibile» (punto 7.).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.2.– La rilevanza del dubbio di costituzionalità non si identifica nell’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare (sentenza n. 174 del 2019, punto 2.1. del Considerato in diritto). Essa presuppone la necessità di applicare la disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione e si riconnette all’incidenza della pronuncia di questa Corte su qualsiasi tappa di tale percorso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.3.– A fronte di un’impugnazione che investe l’inosservanza dei criteri di scelta e, in via subordinata, il mancato rispetto delle procedure, la Corte d’appello di Napoli non illustra in alcun modo le ragioni che inducono a privilegiare l’inquadramento della vicenda controversa nella prima delle fattispecie dedotte nel ricorso e, pertanto, a censurare la relativa disciplina sanzionatoria, comparandola, quanto a efficacia dissuasiva, a quella antecedente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È proprio con riguardo alla violazione dei criteri di scelta, difatti, che appare netta la cesura tra la tutela reintegratoria assicurata dall’art. 5, comma 3, terzo periodo, della legge n. 223 del 1991 e la tutela meramente indennitaria introdotta dall’art. 10 del d.lgs. n. 23 del 2015. Per la violazione delle procedure, al contrario, non si riscontra una apprezzabile discontinuità, poiché anche la disciplina anteriore (art. 5, comma 3, secondo periodo, della legge n. 223 del 1991) contempla una tutela meramente indennitaria, pur se diversamente configurata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’onere di motivazione si rivela, peraltro, ancor più pregnante in un giudizio di appello, chiamato a sindacare, sulla base di specifici motivi di gravame, la correttezza di una decisione di primo grado che ha rigettato integralmente il ricorso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La Corte rimettente non offre alcun ragguaglio sulle ragioni che fondano l’illegittimità del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta e inducono, dunque, a disattendere le valutazioni di segno contrario espresse dal giudice di primo grado.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Con riguardo alla disciplina sanzionatoria dei licenziamenti individuali viziati sotto il profilo sostanziale (sentenza n. 194 del 2018) o dal punto di vista formale o procedurale (sentenza n. 150 del 2020), questa Corte ha potuto scrutinare il merito delle censure anche alla luce dell’argomentazione esaustiva svolta in punto di rilevanza dai giudici a quibus, che hanno di volta in volta illustrato il ricorrere di una ipotesi di illegittimità, sostanziale o formale, dei licenziamenti impugnati e la necessità di applicare la corrispondente disciplina di protezione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Pur consapevole del fatto che il dubbio di costituzionalità verte sulle conseguenze sanzionatorie previste solo nel caso di accoglimento delle domande (punto 8 citato), l’odierno rimettente trascura di descrivere la fattispecie concreta e di allegare elementi idonei a corroborare l’accoglimento dell’impugnazione in virtù di una violazione dei criteri di scelta, già esclusa dal giudice di prime cure.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’applicazione della disciplina sanzionatoria, che il giudice a quo sospetta di incostituzionalità, richiede preventivamente l’individuazione dei vizi del licenziamento collettivo. Tale presupposto riveste un rilievo cruciale alla luce sia dell’alternativa che la parte delinea tra inosservanza dei criteri di scelta e inosservanza della procedura, sia dell’intervento di una pronuncia di primo grado che ha escluso ogni vizio dell’impugnato licenziamento collettivo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Su tale ineludibile antecedente logico, il rimettente non si sofferma e omette, anche solo con un’argomentazione non implausibile, di avvalorare la rilevanza dei prospettati dubbi di costituzionalità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tali lacune nella descrizione della fattispecie concreta impediscono, dunque, a questa Corte di valutare la rilevanza delle questioni sollevate.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.– A determinare l’inammissibilità delle questioni concorre, inoltre, l’incertezza in ordine all’intervento richiesto a questa Corte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.– Dalla formulazione delle censure, non è dato comprendere se il rimettente prefiguri l’integrale caducazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui sanziona la violazione dei criteri di scelta, o una pronuncia sostitutiva, che allinei il contenuto precettivo di tale previsione alle soluzioni dettate dall’art. 5, comma 3, terzo periodo, della legge n. 223 del 1991, come ridefinito dall’art. 1, comma 46, della legge n. 92 del 2012.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È la stessa parte ricorrente nel giudizio principale che auspica, nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, «una pronuncia ablativa o manipolativa», con una indicazione perplessa, di per sé rivelatrice dell’ambiguità del petitum.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Né spetta a questa Corte sciogliere l’alternativa descritta, in difetto di indicazioni univoche da parte del rimettente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.– Egualmente irrisolta permane l’alternativa, che comunque investe le scelte eminentemente discrezionali del legislatore, tra il ripristino puro e semplice della tutela reintegratoria o la rimodulazione della tutela indennitaria, in una più accentuata chiave deterrente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 150 del 2020, punto 9. del Considerato in diritto, n. 194 del 2018, punto 9.2. del Considerato in diritto, e n. 46 del 2000, punto 5. del Considerato in diritto) e dalle stesse fonti internazionali evocate dal giudice a quo (art. 24 della Carta sociale europea), si ricava, difatti, che molteplici possono essere i rimedi idonei a garantire una adeguata compensazione per il lavoratore arbitrariamente licenziato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Sia la tutela reintegratoria sia la tutela indennitaria possono essere diversamente modulate e ampio è il margine di apprezzamento che spetta al legislatore nell’attuazione dei diritti sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost. e, in una prospettiva convergente, dall’art. 24 della Carta sociale europea.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A fronte di una vasta gamma di soluzioni, la Corte rimettente non enuncia in termini nitidi l’intervento idoneo a sanare le numerose sperequazioni censurate, sulla base di precisi punti di riferimento già presenti nella trama normativa.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche per tali ulteriori ragioni, le questioni di legittimità costituzionale devono essere dichiarate inammissibili.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.– Tali profili assorbono ogni ulteriore ragione di inammissibilità.</em></p>