<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 2 settembre 2020 n. 199</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale).</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 51 della Costituzione; va del pari dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 81 Cost..</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.; va del pari dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost..</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarato estinto il processo, limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse, dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost..</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– In via preliminare, occorre evidenziare che con atto depositato in data 14 maggio 2019, l’Avvocatura generale ha rinunciato all’impugnazione proposta nei confronti dei commi 2 e 3 dell’art. 22 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in quanto tali disposizioni non erano state ricomprese nella deliberazione di impugnativa del Consiglio dei ministri.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Regione ha dichiarato di accettare tale rinuncia parziale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le parti, pertanto, hanno chiesto a questa Corte di dichiarare l’estinzione del giudizio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In vero, da un lato, non è stata depositata dalla difesa della Regione alcuna delibera di accettazione della rinuncia ad opera della Giunta regionale. Deve però rilevarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 37 del 2016; ordinanze n. 23 del 2020 e n. 78 del 2017), la deliberazione dell’organo politico è necessaria soltanto per la rinuncia al ricorso, non anche per l’accettazione della rinunzia all’impugnazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Dall’altro, la mancata inclusione dell’art. 23, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, nella delibera di autorizzazione al ricorso è di per sé significativa dell’assenza dell’interesse dello Stato a ricorrere. Essendo mancata, in positivo, la delibera di autorizzazione a impugnare tale disposizione, non occorre il contrarius actus, in negativo, di una deliberazione di rinuncia da parte dell’organo politico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del processo in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– Ancora in via preliminare, occorre delimitare il thema decidendum, con riferimento ai parametri costituzionali evocati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte ha costantemente affermato che la questione proposta in via principale, rispetto alla quale difetti la necessaria piena corrispondenza tra il ricorso e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato, è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 83 del 2018, n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In primo luogo, deve osservarsi che con riferimento all’art. 11 della legge reg. Siciliana impugnata, l’esame delle censure va limitato alle sole questioni promosse in riferimento alla violazione degli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost. e non anche dell’art. 3 Cost., ancorché indicato nella delibera di autorizzazione all’impugnazione, in quanto tale parametro non è stato poi riportato nel ricorso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con riferimento poi all’impugnato art. 14, la questione di legittimità costituzionale deve essere limitata al solo parametro di cui all’art. 97 Cost. (e segnatamente all’art. 97, quarto comma, Cost.); l’art. 51 Cost., infatti, è stato indicato nel ricorso, ma non è stato ricompreso nella delibera di autorizzazione all’impugnazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È, quindi, inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento alla violazione dell’art. 51 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Analogamente, con riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana citata, la questione di legittimità costituzionale va circoscritta al solo parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost, e non può essere esaminata in riferimento all’art. 81 Cost, parametro ricompreso nel ricorso, ma non indicato nella delibera di autorizzazione ad impugnare.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È, dunque, inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento all’art. 81 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– Proseguendo nell’esame dei profili di ammissibilità del ricorso, deve rilevarsi che la Regione Siciliana – anche con riferimento ad altra disposizione impugnata con lo stesso ricorso n. 54 del 2019 e già oggetto di una precedente decisione di questa Corte (sentenza n. 144 del 2020) – ha evidenziato «in via generale che nel ricorso non si fa mai cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù dello Statuto speciale».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale rilievo, nel caso in esame deve essere limitato alla sola questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, perché nei confronti delle altre disposizioni impugnate, il ricorrente non ha fatto valere la lesione di una sfera di competenza legislativa, ai sensi dell’art. 127, secondo comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò precisato, si deve evidenziare il costante l’orientamento di questa Corte, secondo cui nel caso in cui venga impugnata, in via principale, la legge di una Regione ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio, onere di cui è gravato il ricorrente, non può prescindere dalla indicazione delle competenze legislative assegnate allo statuto (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) alle quali le disposizioni impugnate sarebbero riferibili qualora non operasse il nuovo testo dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 194 del 2020, n. 119 del 2019, n. 58 del 2016, n. 151 del 2015 e n. 288 del 2013).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve tuttavia rilevarsi che, nel caso di specie, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il contrasto con l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella fattispecie, il contenuto di rilievo privatistico della disposizione censurata, che incide sull’ammontare delle risorse destinate alla retribuzione di risultato e di posizione del personale anche dirigenziale, e la natura del parametro evocato, che fa riferimento alla materia dell’ordinamento civile, escludono di per sé l’utilità di uno scrutinio alla luce delle disposizioni statutarie, avendo il ricorrente ben presente che lo statuto speciale per la Regione Siciliana nulla dispone sulla competenza legislativa regionale nella materia «ordinamento civile» (sentenze n. 194 e n. 25 del 2020, n. 103 del 2017, n. 252 e n. 58 del 2016).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.– Parimenti infondate sono le ulteriori eccezioni di inammissibilità espressamente formulate dalla Regione Siciliana.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1.– Con specifico riferimento agli artt. 11 e 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la resistente ha eccepito la inadeguata descrizione del quadro normativo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Analoga eccezione di inammissibilità la Regione ha formulato in riferimento alle censure sollevate nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge regionale citata, evidenziando, in particolare, che il ricorrente ha omesso di dar conto della pertinenza del richiamato parametro interposto in riferimento ai parametri costituzionali evocati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali eccezioni non possono essere accolte.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali si lamenta la violazione e di proporre una motivazione che non sia meramente assertiva e che contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pure sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 194 e n. 25 del 2020, n. 83 del 2018 e n. 261 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella fattispecie va osservato che il ricorso – nel riportare il testo integrale dell’art. 11 della legge regionale citata, evidenziando che la norma reca con sé la previsione della stabilizzazione del personale ivi indicato, senza l’espletamento della procedura concorsuale e, con riferimento all’art. 14 della medesima legge regionale, nel sottolineare che la norma determina «un inquadramento riservato» del personale forestale – contiene una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno dell’impugnazione, per cui può ritenersi raggiunta quella «soglia minima di chiarezza e completezza» (ex plurimis, sentenza n. 83 del 2018), «che rende ammissibile l’impugnativa proposta (sentenza n. 201 del 2018)» (sentenza n. 25 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.– Altresì infondata è l’eccezione di inammissibilità diretta nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana citata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorrente, nel richiamare la disposizione statale in tema di salario accessorio, che rimette alla contrattazione collettiva nazionale la distribuzione delle risorse finanziarie destinate alla integrazione dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione ha, sia pure concisamente, dato conto dell’attinenza di detto parametro interposto, rispetto alla violazione della competenza legislativa esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., da parte della disposizione regionale impugnata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.– Ciò precisato, si può ora passare all’esame del merito delle censure.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, non è fondata in riferimento ad alcuno dei parametri evocati, nei termini di seguito indicati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione in esame, rubricata «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», dispone che «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ad avviso del ricorrente, la norma regionale determinerebbe una stabilizzazione del personale ivi indicato senza procedura concorsuale, con ciò ponendosi in contrasto con gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.1.– Deve, in primo luogo, premettersi che i destinatari della disposizione indubbiata, ai quali rinvia l’art. 1 della legge della Regione Siciliana 5 novembre 2001, n. 17 (Interventi urgenti in materia di lavoro), sono quelli contemplati dall’art. 70 della legge della Regione Siciliana 7 marzo 1997, n. 6 (Programmazione delle risorse e degli impieghi. Contenimento e razionalizzazione della spesa e altre disposizioni aventi riflessi finanziari sul bilancio della Regione).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale disposizione regionale a sua volta si riferisce a categorie di lavoratori disciplinate da una pluralità di leggi regionali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In particolare, vengono in rilievo i soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili, di cui all’art. 1 della legge 28 novembre 1996, n. 608 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), e i giovani coinvolti in piani di inserimento professionale che prevedono lo svolgimento di lavori socialmente utili, di cui all’art. 15 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1994, n. 451.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Inoltre, sempre per il tramite dell’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 17 del 2001, la disposizione regionale censurata si rivolge anche ai lavoratori che, ai sensi dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l’inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all’articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l’attuazione di politiche attive del lavoro), svolgono progetti di utilità collettiva secondo quanto specificamente previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)», il quale si riferisce, in particolare, ai giovani di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni, privi di occupazione ed iscritti nella prima classe delle liste di collocamento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In sostanza, la disposizione regionale censurata è indirizzata ad una pluralità di soggetti, tutti riconducibili, in via generale, alla categoria dei lavoratori socialmente utili (d’ora in avanti: LSU).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sul piano della legislazione statale, la disciplina di tale forma flessibile di impiego si è caratterizzata per il susseguirsi di testi normativi costituiti, in origine, dal decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196), poi in parte abrogato dall’art. 10, comma 3, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144), e definitivamente soppresso dall’art. 34, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>I progetti in cui tali lavoratori – cosiddetti soggetti utilizzati – sono impiegati possono essere promossi da amministrazioni pubbliche, da enti pubblici economici, da società a totale o prevalente partecipazione pubblica, e dalle cooperative sociali, i quali sono dunque denominati «enti utilizzatori».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ai fini che qui interessano, deve in particolare rilevarsi che l’art. 26 del d.lgs. n. 150 del 2015, allo scopo di permettere il mantenimento e lo sviluppo delle competenze acquisite da detti lavoratori, prevede l’impiego diretto dei medesimi, titolari di strumenti di sostegno al reddito, che si svolge sotto la direzione e il coordinamento di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), attraverso apposite convenzioni tra le Regioni e le Province autonome e le amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n.165 del 2001.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’utilizzo diretto da parte delle amministrazioni pubbliche di lavoratori socialmente utili era già previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 468 del 1997 come modalità alternativa alla procedura tramite i centri per l’impiego, i quali dunque provvedevano all’assegnazione dei LSU in base alla domanda formulata dall’ente utilizzatore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.2.– La peculiare natura giuridica dell’attività dei LSU risulta, in modo espresso, dall’art. 4 del d.lgs. n. 81 del 2000 e dall’art. 26, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2015, secondo cui l’utilizzazione dei lavoratori nelle attività socialmente utili non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro con l’ente utilizzatore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’esclusione delle attività socialmente utili dalla sfera dei rapporti di lavoro, e in particolare della qualità subordinata della prestazione lavorativa, trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui per tali lavoratori è estranea ex lege la disciplina dell’impiego subordinato, di talché anche in caso di prestazioni rese in difformità dal programma originario o in contrasto con le norme poste a tutela del lavoratore, non si costituisce un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trovando applicazione solo la disciplina sul diritto alla retribuzione prevista dall’art. 2126 del codice civile (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 21 ottobre 2014, n. 22287 e 15 giugno 2010, n. 14344; sezione sesta civile, ordinanza 9 novembre 2018, n. 28841).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nello stesso senso si è, sostanzialmente, espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha affermato che «[l]a clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella in cui al procedimento principale, che prevede che il rapporto costituito tra i lavoratori socialmente utili e le amministrazioni pubbliche per cui svolgono le loro attività non rientri nell’ambito di applicazione di detto accordo quadro, qualora, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare, tali lavoratori non beneficino di un rapporto di lavoro quale definito dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi nazionale in vigore, oppure gli Stati membri e/o le parti sociali abbiano esercitato la facoltà loro riconosciuta al punto 2 di detta clausola» (Corte giustizia dell’Unione europea, sezione sesta, sentenza 15 marzo 2012, in causa C-157/11, Sibilio contro Comune di Afragola).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.3.– Ciò premesso, è alla luce di tale contesto normativo e giurisprudenziale che deve essere interpretato l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione regionale in esame, allo scopo di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, dai lavoratori socialmente utili specificamente indicati nella disposizione e, per non disperderne le competenze già da questi acquisite, prevede che essi «transitano in utilizzazione presso gli stessi».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La norma censurata si rivolge, dunque, a quei LSU i cui enti utilizzatori sono soggetti diversi dalla Regione e, in loro favore, dispone il transito in utilizzazione diretta da parte della Regione, presso gli stessi uffici.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali lavoratori, pertanto, continuano a espletare l’attività socialmente utile in favore degli uffici dell’assessorato regionale, ma per effetto della disposizione censurata, come lavoratori utilizzati in via diretta dalla Regione, la quale quindi diventa il nuovo ente utilizzatore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quale espressione della competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana, nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» di cui all’art. 14, lettera p), dello statuto, la norma impugnata è quindi funzionale alle esigenze organizzative dell’amministrazione regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Essa va dunque interpretata nel senso che la previsione del «transito in utilizzazione» non comporta l’instaurarsi di alcun rapporto di lavoro subordinato con l’amministrazione regionale; ma, piuttosto, determina il solo mutamento del soggetto utilizzatore, che ora va individuato nella Regione che si assume direttamente gli oneri derivanti dall’impiego dei soggetti coinvolti in attività lato sensu socialmente utili.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Invece, la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili potrà avvenire nel rispetto e nell’ambito delle procedure regolate dalla legge e con l’osservanza della regola del concorso pubblico posta dall’art. 97, quarto comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tale direzione è, infatti, intervenuto il legislatore statale, dapprima con l’art. 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, poi con l’art. 1, commi 446 e 448, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e, in tempi più recenti, con l’art.1, comma 495, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si tratta di interventi normativi attraverso i quali le amministrazioni pubbliche utilizzatrici dei lavoratori socialmente utili possono procedere all’assunzione a tempo indeterminato dei suddetti lavoratori, anche con contratti di lavoro a tempo parziale, nei limiti della dotazione organica e del piano di fabbisogno del personale, attraverso il ricorso a procedure selettive, in conformità alle disposizioni di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in tema di assunzione del personale con forme flessibili, e all’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, il quale detta le condizioni per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Così interpretata la norma censurata, devono dunque essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, che, come prima evidenziato, deve essere circoscritta alla sola violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost., è, invece, fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione regionale dispone che «al fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La censura del ricorrente si fonda sull’argomentazione secondo cui tale disposizione, in assenza di un termine finale e in mancanza di una limitazione numerica, determinerebbe una stabilizzazione del personale forestale mediante un inquadramento riservato nel ruolo dell’amministrazione regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.1.– Va in primo luogo brevemente descritto il contesto normativo al cui interno si colloca la disposizione regionale impugnata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il personale considerato dalla norma regionale è quello di cui all’art. 12 della legge della Regione Siciliana 28 gennaio 2014, n. 5 (Disposizione programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale), il quale si riferisce al personale impiegato nel servizio di antincendio boschivo, inserito nell’elenco speciale dei lavoratori forestali, di cui all’art. 45-ter della legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), disposizione introdotta dall’art. 43 della legge della Regione Siciliana 14 aprile 2006, n. 14 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 “Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione”. Istituzione dell’Agenzia della Regione siciliana per le erogazioni in agricoltura - A.R.S.E.A.).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, rubricato «Elenco speciale dei lavoratori forestali», dispone, ai fini che qui interessano, l’istituzione dell’elenco speciale regionale dei lavoratori forestali, articolato su base provinciale, presso i competenti uffici periferici provinciali del dipartimento regionale del lavoro.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In questo elenco sono iscritti, a domanda, tutti i lavoratori già utilmente inseriti nelle graduatorie distrettuali o che abbiano espletato compiutamente, a partire dall’anno 1996, almeno quattro turni di lavoro di cinquantuno giornate lavorative ai fini previdenziali, esclusi i casi di malattia, infortunio o documentate cause di forza maggiore, alle dipendenze dell’amministrazione forestale nel periodo di vigenza della legge, ovvero almeno due turni nel triennio 2003-2005.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò che precipuamente rileva nella fattispecie è che l’iscrizione nell’elenco speciale è prevista quale condizione essenziale per l’avviamento al lavoro alle dipendenze del dipartimento regionale delle foreste e dell’Azienda regionale delle foreste demaniali (art. 45-ter, commi 1, 2 e 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Inoltre, l’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2014 rinvia poi all’art. 44 della legge reg. Siciliana n. 14 del 2006, rubricato «Misure urgenti per l’occupazione forestale», il quale, anche, si riferisce al personale operaio impiegato dall’amministrazione forestale e, al fine di favorire il processo di progressiva stabilizzazione di detto personale, dispone, al comma 1, che non è consentito l’ulteriore avviamento di lavoratori non inseriti nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, introdotto, come visto, proprio dall’art. 43 della legge reg. citata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Più in particolare, poi, al successivo comma 2, si prevede un incremento del personale, «[p]er le mutate esigenze connesse all’attuazione degli interventi del programma operativo regionale 2000-2006 ed al fine di procedere all’incremento della superficie forestale e migliorare la fruizione sociale dei boschi e delle aree protette gestite dall’Azienda regionale delle foreste demaniali».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tale contesto normativo si inquadra la disposizione regionale censurata che, come suoi destinatari, individua solo i lavoratori forestali di cui all’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2014 che, nel quinquennio 2014-2018, abbiano prestato servizio di antincendio boschivo presso le sale operative provinciali. In relazione a tale personale la disposizione prevede che esso «è mantenuto nelle medesime mansioni».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.2.– La Regione Siciliana, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 14, comma primo, lettera a), dello statuto, nella materia «agricoltura e foreste», ha disciplinato il settore forestale con la legge reg. Siciliana n. 16 del 1996.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale settore, a livello statale, è stato oggetto di riorganizzazione da parte del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale però non ha ricompreso le Regioni a statuto speciale e le Province autonome nel processo di assorbimento del Corpo forestale dello Stato, lasciando, dunque inalterate tutte le attribuzioni spettanti ai rispettivi Corpi forestali regionali e provinciali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, la Regione Siciliana, con la legge regionale n. 16 del 1996, ha disciplinato una materia di competenza legislativa esclusiva, e attraverso la disposizione censurata è intervenuta anche sulla disciplina della gestione del personale impiegato nel settore forestale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Regione Siciliana ha competenza legislativa esclusiva anche nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, primo comma, lettera p, dello statuto).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È, infatti, sulla scorta di tali competenze che è stato adottato il decreto del Presidente della Regione Siciliana 29 maggio 2014 (Approvazione della convenzione di cui all’art. 12, comma 3, della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, per l’avvalimento del personale appartenente all’elenco speciale dei lavoratori forestali di cui all’art. 45-ter della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e di cui all’art. 44 della legge regionale 14 aprile 2006, n. 14, da impiegare nel servizio antincendio boschivo), mediante il quale sono state dettate le norme che regolano l’organizzazione del personale di cui all’elenco speciale in oggetto (art. 7), prevedendo, ai fini che qui interessano, le condizioni per il trasferimento della titolarità dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (art. 3) e a tempo determinato (art. 4), da parte del Comando del Corpo forestale, al Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non di meno la disposizione regionale censurata, là dove stabilisce che il descritto personale «è mantenuto nelle medesime mansioni», ha ecceduto dalle competenze statutarie, in quanto si pone in contrasto con l’art. 97, quarto comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Infatti, alla previsione regionale in esame, che non contempla alcun termine di durata, non può essere attribuito altro significato se non quello di determinare la trasformazione dei rapporti di lavoro di tali lavoratori forestali, avviati attraverso l’iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, in rapporti di impiego a tempo indeterminato nel ruolo dell’amministrazione regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel prevedere il mantenimento nelle medesime mansioni senza alcun limite temporale, l’art. 14 impugnato determina la stabilizzazione del personale antincendio boschivo adibito alle sale operative provinciali, già impiegato in quelle mansioni, con periodicità stagionale, per effetto della specifica disciplina sopra riportata, in violazione della regola del pubblico concorso, che rappresenta il necessario sistema di reclutamento per l’accesso ai pubblici impieghi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, il pubblico concorso costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare l’efficienza, il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2020, n. 40 del 2018 e n. 251 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Invece, la disposizione regionale censurata, non indicando un termine finale del “mantenimento” nelle pregresse mansioni, consente un generalizzato e implicito meccanismo di proroga dei rapporti in essere con l’amministrazione regionale, senza limiti temporali, determinando la prosecuzione del rapporto di lavoro, da parte dell’amministrazione regionale, tendenzialmente in via definitiva senza l’indizione di una selezione pubblica (sentenza n. 36 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, per violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 26, comma 2, della reg. Siciliana n. 1 del 2019, che, come sopra evidenziato, va limitata alla sola violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione regionale, rubricata «Fondo per il trattamento accessorio dei dipendenti», dispone la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, il quale testualmente prevedeva: «1. Per effetto della disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 49 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione siciliana, come determinato ai sensi dell’articolo 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, è ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La censura del ricorrente si incentra sull’argomentazione per cui la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, rubricato «Norme di contenimento della spesa della Pubblica Amministrazione regionale», renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, per il mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. Più specificamente la disposizione regionale inciderebbe sulla materia «ordinamento civile» di competenza esclusiva dello Stato, in quanto interviene sulla regolamentazione dei rapporti di diritto privato, oggetto di contrattazione collettiva integrativa regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.1.– Per meglio inquadrare la questione, si deve evidenziare che l’art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017, rubricato «Salario accessorio e sperimentazione», dispone, al comma 1, che «[a]l fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione opera, tenuto conto delle risorse di cui al comma 2, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Inoltre, al comma 2, specificamente richiamato dal ricorrente quale parametro interposto, dispone, inoltre, che: «2. [n]elle more di quanto previsto dal comma 1, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali disposizioni statali stabiliscono, dunque, un tetto massimo dell’ammontare complessivo delle risorse destinate, annualmente, al trattamento economico accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, rimettendone la differenziata distribuzione alla contrattazione collettiva.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Più in particolare, il citato comma 2, disponendo che l’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento economico accessorio non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016, si pone come limite alla contrattazione collettiva.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò precisato, deve rilevarsi che la disposizione regionale censurata ha «soppresso» la norma regionale (art. 13 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016) che aveva previsto la riduzione delle risorse del fondo destinato alla retribuzione di posizione e di risultato del solo personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, determinato in un ammontare complessivo definito secondo i criteri indicati dall’art. 49, comma 27, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale ultimo articolo, come modificato dall’art. 26, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 dispone testualmente: «[a] decorrere dal 1°gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, incluse le retribuzioni di posizione e di risultato del personale dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2014 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale comunque cessato dal servizio».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.2.– Da tale quadro normativo risulta che la norma regionale censurata non incide sulla competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», in quanto essa non interviene sullo strumento di regolamentazione del trattamento accessorio, che resta rimesso alla contrattazione collettiva.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Essa, piuttosto, incide sulla spesa concernente l’indennità di risultato e di posizione destinata, in particolare, al personale dirigenziale regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, tra i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni, compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia «ordinamento civile» (ex multis, sentenze n. 196 del 2018, n. 175 e n. 72 del 2017 e n. 257 del 2016); e ciò significa che detta disciplina «è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva» (sentenza n. 160 del 2017), cui la legge dello Stato rinvia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disciplina impugnata, dunque, in linea con la giurisprudenza di questa Corte non si sostituisce alla contrattazione collettiva nella determinazione delle risorse destinate al trattamento economico accessorio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve, pertanto, essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.3.– Non è superfluo evidenziare, infine, che dal quadro normativo sopra riportato, non risulta che la disposizione regionale censurata, abrogando l’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, abbia facoltizzato il superamento dei limiti di spesa previsti, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, in via generale, per il trattamento accessorio dei dipendenti pubblici; limiti rimasti invariati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>D’altra parte, è rimasto in vigore anche l’art. 49, comma 27, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015, il quale, come sopra già evidenziato, per il periodo intercorrente dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, dispone che l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio del personale, incluse le retribuzioni di posizione e di risultato del personale dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2014.</em></p>