<p style="text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO - ordinanza 10 marzo 2020, n. 6750</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong><em>: </em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em> I</em></strong><strong><em>l nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico che conc</em></strong><strong><em>erne l'omesso esame di un fatto </em></strong><strong><em>storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal te</em></strong><strong><em>sto della sentenza o dagli atti </em></strong><strong><em>processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le p</em></strong><strong><em>arti e abbia carattere decisivo </em></strong><strong><em>(vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta dunque estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti che implichi un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE </em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Il ricorrente, nel caso di specie, pur formalmente deducendo violazioni di legge, non si duole del mancato esame di un fatto storico ma, in sostanza, della valutazione di merito in ordine ai fatti esaminati in sentenza, non sindacabile - per quanto sopra detto - da questa Corte</em></strong><em>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In particolare, la gravata sentenza, ha evidenziato, nel negare riconoscimento al danno alla professionalità, che il lavoratore non ha allegato, per il periodo considerato, i pregiudizi scaturenti dall'accertato demansionamento; (cfr. pag. 4 primo capoverso), con la conseguenza che, fermo l'inadempimento del datore di lavoro ad adibire il lavoratore alle mansioni precedenti, non possa trovare ingresso il risarcimento del danno ulteriore, a meno di non volere inammissibilmente, ritenere coincidente il mero demansionamento con il danno alla professionalità (cfr. Cass. S.U. 26972/2008, n. 5067/2010, n. 24143/2010).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La corte, oltre a puntualizzare la mancanza di ulteriori allegazioni, e la omessa descrizione delle mansioni svolte (cfr. pag. 5) in particolare, per respingere la domanda, senza incorrere in alcuna delle denunciate contraddizioni, ha richiamato le dichiarazioni dello stesso ricorrente, con le quali questi aveva assicurato come sarebbe stato in grado, al momento del rientro, di svolgere i compiti precedentemente assegnatigli, poiché "le procedure operative della Banca sono rimaste le medesime", ed ha poi coerentemente escluso, sulla scorta delle medesime dichiarazioni, che i tre anni precedenti alla reintegra avessero comportato un danno alla professionalità, di carattere patrimoniale;</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>che, a fronte di tale motivazione <strong>le censure di cui al secondo, terzo e quarto motivo, pur dedotte quali violazioni di legge, formulano, invece, una motivazione alternativa e in disaccordo a quella logicamente sviluppata dalla corte di merito, proponendo un nuovo apprezzamento dei fatti e delle prove inammissibile in questa sede; né emerge alcun vizio di motivazione quale omesso esame di fatti decisivi, poiché la corte ha correttamente applicato (e richiamato) la costante giurisprudenza di questa corte quanto agli oneri di allegazione in caso di danno alla professionalità e ne ha escluso correttamente la sussistenza.</strong></em></p> <p style="text-align: justify;"><em>che del pari infondato è il ricorso incidentale, che sostanzialmente censura il capo di sentenza che riconosce, in favore del ricorrente, il danno biologico, poiché tale pregiudizio appare correttamente accertato e liquidato dalla corte di appello conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità;</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>ed invero, al riguardo, la corte territoriale, ha correttamente dato conto della deduzione, da parte del ricorrente, del fatto storico dell'inadempimento datoriale, che lo aveva lasciato pressoché inattivo, della indicazione delle patologie contratte e del nesso di causalità tra esse e l'intervenuto demansionamento, nonché della produzione della documentazione medica attestante la malattia e la sua dipendenza dal dedotto demansionamento, chiarendo, in termini generali sulla scorta della giurisprudenza di questa corte (cfr. ex multis Cass. 14 ottobre 2016, n. 20807; vedi anche Cass. 10 aprile 2017, n. 9166; Cass. n. 27669 del 2017 e n. 25618 del 2018), come il mero indennizzo previdenziale non possa essere considerato esaustivo del diritto alla tutela integrale della salute, di matrice costituzionale, dovendosi ammettere risarcibilità integrale del danno biologico, e quindi accogliendo la domanda di risarcimento, liquidando il danno e ponendolo integralmente a carico del datore di lavoro poiché quantificabile - nel caso concreto - nella misura del 3% di invalidità accertata dal CTU (in un contesto normativo in cui risulta indennizzabile, dall'INAIL, solo il danno pari o superiore al 6% ed escludendo correttamente, pertanto, ogni questione di danno differenziale); il primo motivo, in particolare, con il quale la ricorrente incidentale censura le argomentazioni della corte relative all'utilizzo di misure quali il trasferimento d'ufficio o il potere disciplinare in alternativa alla adibizione a mansioni inferiori, appare inammissibile, poiché, per un verso, è incentrato su affermazioni di contorno, che non costituiscono il nucleo essenziale della pronuncia adottata dalla corte territoriale e non si confronta con la autentica "ratio decidendi" della pronuncia, fondata – come visto - sulla corretta applicazione e deduzione dell'art. 2087 c.c., per altro verso denuncia, in sostanza (pur nella formale indicazione del vizio di violazione di legge) un vizio di motivazione, con conseguente inammissibilità del motivo, che travalica i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>analogamente inammissibile il secondo motivo di ricorso incidentale; che contesta la valutazione operata dalla cote quanto alla liquidazione del danno biologico del 5%, interamente a carico del datore di lavoro, che risponderebbe del solo danno cd. differenziale; ed infatti, la corte ha correttamente evidenziato come il lavoratore abbia fornito tutte le allegazioni necessarie al risarcimento di un danno totalmente a carico del datore poiché inferiore, per come pacificamente accertato, all'area coperta dell'indennizzo previdenziale</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pietro Gerardo Tozzi</em></p>