<div style="text-align: justify;"></div> <div style="text-align: justify;"></div> <div style="text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO - sentenza 6 marzo 2020 n. 6437</strong></div> <div style="text-align: justify;"></div> <div style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE </em></strong></div> <div style="text-align: justify;"></div> <div style="text-align: justify;"><em>Le norme giuridiche, fra le quali si annovera la richiamata disposizione codicistica in tema di giusta causa di recesso, si dicono "elastiche" perché, al fine di sanzionare fatti omissivi o commessivi illeciti posti in essere da soggetti appartenenti a determinate categorie (o tenuti ad osservare determinati comportamenti), rimandano - per quanto attiene alla definizione di illiceità della condotta - a modelli o clausole di contenuto generale, stante l’impossibilità di identificare in via preventiva ed astratta tutti i possibili comportamenti materiali configuranti l’illecito nonché il collegamento della previsione normativa astratta al caso concreto tanto da imporre accertamenti di fatti che si compenetrano strettamente con valutazioni di carattere giuridico.</em></div> <div style="text-align: justify;"></div> <div style="text-align: justify;"><em>Da tali premesse consegue, tenuto conto del tradizionale criterio distintivo tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità, che l’applicazione delle norme elastiche non può essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto, mentre rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 3, nei casi in cui gli "standars" valutativi, sulla base dei quali è stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, ed infine anche nei casi in cui i suddetti "standars" valutativi si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziali e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente.</em></div> <div style="text-align: justify;"></div> <p style="text-align: justify;"><em>6. Detti principi affermati dai giudici di legittimità (cfr. di recente anche Cass. 20/5/2019 n. 13534; Cass. 23/3/2018 n. 7305) trovano conforto pieno anche nella portata e nel significato che si è dato alle clausole generali di "correttezza e buona fede" ed al principio della "ragionevolezza", che se anche a non volerle ritenere norme flessibili o clausole generali costituiscono di certo criteri o canoni giuridici di valutazione su cui deve comunque misurarsi la tenuta di ciascuna fattispecie scrutinata, dal momento che, come si è rilevato in dottrina, il diritto non può disattende “la ragionevolezza”, cioè tutto ciò che è "ragionevole", "congruo", "adeguato" o che risponda "alla buona fede" o alla "diligenza"; termini questi che come si è fatto rilevare anche in sede dottrinaria, ricorrono con frequenza nelle direttive Europee e nelle sentenze della Corte di Giustizia.</em></p> <div style="text-align: justify;"><em>In altri e riassuntivi termini <strong>la giusta causa di recesso integra una clausola generale (o norma elastica), che richiede di essere concretizzata dall’interprete mediante specificazioni che si traducano in parametri normativi e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi fattuali da esaminare sul piano normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e come tale incensurabile in cassazione se rispondente al requisito del minimo costituzionale del nucleo motivazionale</strong>.</em></div> <div style="text-align: justify;"></div> <div style="text-align: justify;"><em>(Nella fattispecie concreta, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione impugnata con cui la Corte di merito aveva affermato che l’inadempienza della società datrice di lavoro all’obbligazione retributiva, protrattasi per un breve lasso temporale, non costituisce giusta causa di dimissioni, in presenza degli ulteriori elementi fattuali quali il difetto di immediatezza nella reazione del lavoratore rispetto alla maturazione del diritto, il godimento da parte di questi degli ammortizzatori sociali e l’assenza, a fronte della condotta del lavoratore e della crisi in cui versa la società, di alcuna condotta, di parte datoriale, meritevole di essere sanzionata).</em></div> <div></div> <div></div> <div style="text-align: justify;"><em> Pietro Gerardo Tozzi</em></div>