Corte Costituzionale, sentenza 22 febbraio 2022 n. 39
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Siciliana 4 marzo 2021, n. 6 (Disposizioni per la crescita del sistema produttivo regionale. Disposizioni varie).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.‒ In via preliminare, deve rilevarsi che le questioni di costituzionalità sono ammissibili.
2.1.‒ Il ricorrente, sia pure sinteticamente, ha evidenziato i motivi per cui la disposizione regionale impugnata confligge con i parametri invocati deducendo argomentazioni di merito, a sostegno della censura, che consentono di ritenere raggiunta la «soglia minima di chiarezza e completezza» (ex plurimis, sentenze n. 25 del 2020, n. 201 e n. 83 del 2018).
2.2.‒ Deve, inoltre, rilevarsi che le questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili anche se il ricorrente non si è espressamente confrontato con le competenze legislative esclusive assegnate alla Regione dallo statuto speciale, essendosi limitato a richiamarne l’art. 14, che prevede, in particolare, la competenza esclusiva della Regione in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali».
Al riguardo deve confermarsi la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel caso in cui venga impugnata in via principale la legge di una Regione ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio, onere di cui è gravato il ricorrente, richiede che quest’ultimo si confronti con le competenze legislative previste dallo statuto di autonomia (ex plurimis, sentenza n. 279 del 2020 e n. 119 del 2019). Si è altresì affermato che «“il ricorrente ben può dedurre la violazione dell’art. 117 Cost. e postulare che la normativa regionale o provinciale impugnata eccede dalle competenze statutarie quando a queste ultime essa non sia in alcun modo riferibile (sentenza n. 16 del 2012), fermo restando che la motivazione del ricorso su tale profilo dovrà divenire tanto più esaustiva, quanto più, in linea astratta, le disposizioni censurate appaiano invece inerenti alle attribuzioni dello statuto di autonomia (sentenza n. 213 del 2003)” (sentenza n. 151 del 2015)» (sentenza n. 25 del 2021).
Nella specie, il ricorrente ha dedotto la violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile», facendo riferimento anche all’art. 25 TUSP, che reca la disciplina per la «riallocazione totale o parziale» del personale eccedente delle società a partecipazione pubblica. Sicché, il contenuto privatistico (nella prospettazione del ricorrente) della disposizione regionale impugnata, nella parte in cui attiene alla disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le società in liquidazione a partecipazione pubblica, e la natura del parametro invocato, che fa riferimento alla competenza esclusiva statale in materia «ordinamento civile», escludono, di per sé, l’utilità del confronto con le disposizioni statutarie, dal momento che lo statuto per la Regione Siciliana non prevede alcuna competenza regionale nella materia dell’ordinamento civile (sentenze n. 25 del 2021, n. 194 e n. 25 del 2020).
In ogni caso, l’indicazione, come parametro, anche dell’art. 14 dello statuto reg. Siciliana sta proprio a significare la implicita deduzione dell’Avvocatura secondo cui la materia dell’«ordinamento civile» non rientra nel catalogo delle competenze esclusive della Regione Siciliana, nemmeno in quella avente ad oggetto l’«ordinamento degli uffici e degli enti regionali».
3.– Passando al merito, deve premettersi il quadro normativo, regionale e statale, nel quale si colloca la disposizione impugnata.
L’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2021, rubricato «[d]isposizioni in materia di albo del personale delle società partecipate in liquidazione», testualmente dispone nel suo unico comma: «[c]oloro che hanno maturato il requisito ai sensi dell’articolo 64 della legge regionale 12 agosto 2014, n. 21 e successive modificazioni nonché ai sensi del comma 1 dell’articolo 4 della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 e successive modificazioni e che, per oggettivi impedimenti, non sono stati inseriti nell’albo, possono essere immessi su espressa richiesta, da presentarsi entro e non oltre 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».
La norma censurata si riempie di contenuto mediante l’espresso richiamo di due precedenti disposizioni regionali in tema di disciplina del personale delle società a partecipazione pubblica in liquidazione.
3.1.– In primo luogo, viene in rilievo l’art. 64 della legge della Regione Siciliana 12 agosto 2014, n. 21 (Assestamento del bilancio della Regione per l’anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie), il quale, ai fini che qui interessano, ha previsto l’istituzione, presso l’Ufficio speciale delle società in liquidazione, dell’«albo dei dipendenti delle medesime società in liquidazione a totale o maggioritaria partecipazione regionale» (comma 1), in cui «devono essere iscritti tutti i dipendenti attualmente in servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le società in liquidazione, assunti prima del 31 dicembre 2009» (comma 2). Oltre ai dipendenti con una minore anzianità lavorativa perché assunti dopo tale data, sono anche «esclusi dall’albo i dipendenti non in possesso dei superiori requisiti soggettivi, nonché quelli assunti in violazione alle vigenti disposizioni regionali e statali in materia di reclutamento di personale e divieti di assunzioni» (comma 3).
La formazione di tale albo aveva l’effetto che le società partecipate – nonché l’IRFIS FinSicilia spa e gli organismi strumentali della Regione – non potevano procedere a nuove assunzioni se non attingendo all’albo stesso (comma 4). I dipendenti iscritti nell’albo potevano essere assegnati o trasferiti ad altre società (comma 7), realizzandosi così una forma di mobilità orizzontale del personale delle società partecipate in liquidazione, in sintonia con la procedura di mobilità prevista, all’epoca, dalla normativa statale sulle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni in applicazione dell’espressamente richiamato comma 563 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)».
La formazione dell’albo aveva anche un indiretto limite temporale perché le società partecipate in liquidazione avrebbero dovuto trasmettere – entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge stessa (19 agosto 2014) – all’Ufficio speciale delle società in liquidazione e alla Ragioneria generale della Regione il piano «con la individuazione del numero dei soggetti inserito nell’albo di cui al comma 1 che, in base ai rispettivi fabbisogni e nei limiti finanziari previsti nei propri bilanci, intendono assumere» (comma 5 dell’art. 64 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2014).
Si trattava quindi di una disciplina speciale a carattere temporaneo, che coniugava aspetti organizzativi relativi alla formazione dell’albo, rientranti nella competenza del legislatore regionale (art. 14 dello statuto reg. Siciliana), con la disciplina sostanziale del rapporto di lavoro quanto agli effetti della procedura di mobilità, rientrante nella materia dell’«ordinamento civile», di competenza esclusiva del legislatore statale.
3.2.– La disposizione regionale impugnata, poi, richiama anche il comma 1 dell’art. 4 della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale), il quale – come sostituito dall’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 9 agosto 2018, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 8 maggio 2018, n. 8. Norma transitoria in materia di gestione commissariale degli enti di area vasta) – stabiliva che «[n]ell’albo dei dipendenti delle società in liquidazione di cui all’articolo 64 della legge regionale 12 agosto 2014, n. 21 e successive modifiche ed integrazioni devono essere iscritti anche i dipendenti delle società a totale o maggioritaria partecipazione regionale poste in liquidazione successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo articolo 64 della legge regionale 12 agosto 2014, n. 21».
La disposizione, impugnata nella sua formulazione originaria dal Presidente del Consiglio dei ministri (con ricorso iscritto al n. 44 del 2018 e deciso con sentenza n. 25 del 2020), conteneva l’espressa previsione che al suddetto albo dei dipendenti delle società partecipate in liquidazione non si applicava l’art. 19 TUSP sulla disciplina (privatistica) dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico.
Proprio in ragione dell’impugnativa del Governo, che censurava specificamente tale esclusione dell’applicazione della disciplina privatistica del rapporto, la Regione Siciliana ha subito approvato la menzionata legge di modifica che ha sostituito i primi quattro commi della disposizione, in particolare eliminando la previsione di non applicabilità dell’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016 (con conseguente dichiarazione di cessazione della materia del contendere in parte qua: sentenza n. 25 del 2020, citata).
Inoltre, nel novellato comma 2 della disposizione (art. 4 della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018) era espressamente richiamato l’art. 25, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016, secondo il quale le società a controllo pubblico non potevano procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato se non attingendo dagli elenchi del personale fuoriuscito dalle altre società per la totalità delle assunzioni.
In sostanza, il legislatore regionale del 2018 ha ampliato la platea dei lavoratori delle società partecipate in liquidazione che potevano essere iscritti all’albo, istituito nel 2014 (dall’art. 64 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2014), riaprendo il termine di operatività delle procedure di mobilità e fissandone uno nuovo (31 dicembre 2018), nel contesto dell’applicabilità della speciale e temporanea disciplina statale della mobilità del personale eccedentario delle società a partecipazione pubblica, che quindi valeva anche per il personale delle società a partecipazione pubblica.
In particolare, la disposizione statale menzionata (l’art. 25 del d.lgs. n. 175 del 2016), nel quadro del più ampio programma perseguito dal TUSP, volto alla razionalizzazione e alla revisione delle partecipazioni delle pubbliche amministrazioni e alla efficiente gestione delle stesse, aveva dettato una disciplina, di carattere transitorio, per effetto della quale, entro il 30 settembre 2017, le società a controllo pubblico hanno dovuto effettuare la ricognizione del personale in servizio, per individuare eventuali eccedenze, prevedendo, altresì, a carico delle Regioni l’onere di formare e gestire l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti, anche al fine di agevolare processi di mobilità in ambito regionale.
Più specificamente, il comma 4 dell’art. 25 TUSP ha stabilito che, fino al 30 giugno 2018, le società a controllo pubblico non potevano procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato se non attingendo, con le modalità definite dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza unificata, agli elenchi dei lavoratori dichiarati eccedenti.
L’eliminazione (nell’originaria formulazione dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018) della deroga all’art. 19 TUSP assicurava poi l’applicabilità generalizzata della disciplina privatistica del rapporto di lavoro delle società a partecipazione pubblica.
4.– Per effetto di questo duplice richiamo – dell’art. 64 della legge reg. n. 21 del 2014 e dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018 – la disposizione attualmente impugnata, dunque, collocandosi nel solco della precedente disciplina regionale indicata, consente – ai dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, assunti presso le società in liquidazione prima del 31 dicembre 2009, e ai dipendenti delle società a partecipazione regionale che, alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018, risultavano essere state poste in liquidazione successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo art. 64 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2014 – l’inserimento nell’albo dei dipendenti delle società in liquidazione partecipate dalla Regione, i quali in precedenza per «oggettivi impedimenti» non vi fossero stati inseriti.
Dall’inclusione, ora per allora, di questi dipendenti in tale albo consegue – peraltro condizionatamente alla ricorrenza di un presupposto oltremodo vago (consistente in «oggettivi impedimenti») – che viene riattivata l’applicazione, solo nei loro confronti, della disciplina della mobilità di cui all’art. 64 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2014, la quale invece, coniugandosi alla disciplina statale dell’epoca di regolamentazione degli effetti sostanziali della mobilità (anteriore al TUSP), aveva esaurito la sua funzione.
Si ha, quindi, che questa riattivazione dell’operatività dell’albo, istituito nel 2014, si colloca ora nell’area di applicazione della disposizione di cui all’art. 25 TUSP, nella formulazione vigente attualmente dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 162 del 2019, come convertito.
Deve, infatti, sottolinearsi che la norma statale, alla quale l’impugnato art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2021 non può che relazionarsi, è mutata, in quanto l’art. 25 TUSP è stato sostituito dal richiamato d.l. n. 162 del 2019.
La disposizione statale, nella formulazione attualmente vigente stabilisce, infatti, che «[e]ntro il 30 settembre di ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022, le società a controllo pubblico effettuano una ricognizione del personale in servizio, per individuare eventuali eccedenze, anche in relazione a quanto previsto dall’art. 24. L’elenco del personale eccedente, con la puntuale indicazione dei profili posseduti, è trasmesso alla Regione nel cui territorio la società ha sede legale secondo modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131». E prosegue prescrivendo che «[l]e regioni formano e gestiscono l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti ai sensi del comma 1 e agevolano processi di mobilità in ambito regionale, con le modalità stabilite dal decreto previsto dal medesimo comma 1 e previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, tramite riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza presso altre società controllate dal medesimo ente o da altri enti della stessa regione, sulla base di un accordo tra le società interessate».
In particolare, tale disciplina statale, il cui termine ultimo di operatività non è ancora decorso, non ha riprodotto l’obbligo previsto, in via transitoria, dal comma 4 dell’art. 25 TUSP, nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 162 del 2019, come convertito, ma ha stabilito che la ricollocazione di detto personale, mediante assunzione o trasferimento, debba avvenire attraverso le procedure indicate al comma 2, le quali prevedono l’intervento delle organizzazioni sindacali e l’accordo tra le società interessate.
La norma regionale impugnata ha, invece, riattivato la diversa disciplina previgente che aveva previsto l’obbligo per le società a controllo pubblico di attingere i lavoratori dagli elenchi del personale soltanto fino al 30 giugno 2018.
5.– Alla luce di tale articolata disciplina regionale e statale, le questioni di legittimità costituzionale sono fondate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e all’art. 14 dello statuto reg. Siciliana.
6.– Come è emerso sopra dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, la disposizione regionale impugnata, nel prevedere per i dipendenti ivi indicati l’inserimento nel relativo albo delle società partecipate dalla Regione in liquidazione, consente loro di beneficiare di una procedura riservata, a carattere transitorio, non più vigente, con ciò reintroducendo l’obbligo per le società controllate dalla Regione di attingere a tale elenco, prima di poter procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato, e richiamando la disciplina statale dell’epoca quanto alla mobilità orizzontale del personale eccedentario delle società stesse mediante trasferimenti o nuove assunzioni.
Si tratta di una regolamentazione attinente, nel suo complesso, a profili eminentemente privatistici e che, inoltre, attualmente si pone in dissonanza con le nuove specifiche previsioni statali vigenti, concernenti la gestione delle eccedenze di personale delle società a controllo pubblico, quali dettate dall’art. 25 TUSP, come modificato dal d.l. n. 162 del 2019.
L’impugnato intervento del legislatore regionale contempla, quali destinatari, soggetti che avevano maturato i requisiti di cui all’art. 64 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2014 e all’art. 4, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018 e, pertanto, finisce con l’incidere su rapporti lavorativi in corso con le società in liquidazione, partecipate dalla Regione Siciliana, già costituiti (prima del 2018) con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
In ragione di tale ricaduta sulla disciplina sostanziale dei rapporti di lavoro, la norma impugnata si colloca nell’area della materia dell’«ordinamento civile».
A tal riguardo, questa Corte ha affermato che l’attrazione della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni nell’alveo dell’ordinamento civile trova fondamento proprio nella sua privatizzazione, in conseguenza della quale esso «è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti» (ex plurimis, sentenza n. 186 del 2016).
In generale, la giurisprudenza costante di questa Corte ha più volte precisato il confine fra ciò che è ascrivibile alla materia dell’«ordinamento civile» e ciò che, invece, è riferibile alla competenza legislativa residuale regionale, affermando che sono da ricondurre alla prima gli interventi legislativi che dettano misure relative a rapporti lavorativi già in essere, e rientrano nella seconda i profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale (ex multis, sentenze n. 195 del 2021, n. 194 e n. 126 del 2020 e n. 191 del 2017).
E ciò vale anche per una Regione ad autonomia speciale, quale la Regione Siciliana, che ha competenza esclusiva limitatamente a «ordinamento degli uffici e degli enti regionali», ossia a profili organizzativi del personale e degli uffici. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato la riconducibilità della regolamentazione del rapporto di pubblico impiego privatizzato ovvero contrattualizzato, ivi compreso quello relativo al personale delle Regioni a statuto speciale, alla materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (ex plurimis, sentenze n. 194 e n. 16 del 2020, n. 81 del 2019, n. 172 del 2018, n. 257 del 2016, n. 211 del 2014, n. 151 del 2010 e n. 189 del 2007).
7.– Questi principi trovano applicazione anche con riferimento al personale dipendente delle società partecipate pubbliche di cui al TUSP.
Questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 227 del 2020) ha, infatti, ricondotto le disposizioni inerenti al personale delle società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali alla materia dell’ordinamento civile, in quanto volte a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato (sentenze n. 251 del 2016 e n. 326 del 2008).
In particolare, l’art. 19 TUSP prevede che si applichi la disciplina del codice civile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a partecipazione pubblica, come già rilevato da questa Corte (sentenza n. 25 del 2020) con riferimento proprio ad una legge della Regione Siciliana riguardante anche le società partecipate dalla Regione; sicché occorre avere riguardo alla competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile.
Si tratta, infatti, di rapporti di lavoro privato «quali sono, pur con profili di specialità, quelli intercorrenti con le società a partecipazione pubblica» (sentenza n. 159 del 2020).
8.– Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2021, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e dell’art. 14 dello statuto reg. Siciliana.
All’esito di tale dichiarazione di illegittimità costituzionale, per la mobilità del personale delle società a prevalente partecipazione della Regione Siciliana, trova applicazione l’art. 25 TUSP, modificato dal citato d.l. n. 162 del 2019, come convertito, che prevede l’approntamento dell’elenco del personale eccedente, trasmesso alla Regione nel cui territorio la società ha sede legale e gestito dalla Regione stessa nel contesto della disciplina sostanziale statale di tale speciale fattispecie di mobilità del personale.
9.– Resta assorbita la censura proposta in riferimento all’art. 3 Cost.