Massima
Le fondazioni si connotano come enti privati che tuttavia perseguono degli scopi di pubblica utilità, presentando un’ambiguità di fondo che si palesa in modo più che mai evidente, dal punto di vista dinamico-funzionale, nella vicenda delle c.d. fondazioni bancarie; dal punto di vista statico, nella struttura dei comitati (che vengono in genere assimilati a fondazioni di fatto o non riconosciute) e delle c.d. fondazioni di partecipazione.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
La codificazione liberale non prevede una specifica disciplina per le associazioni o per le fondazioni; all’art.2 del codice civile si parla “in generale di tutti i corpi morali legalmente riconosciuti”, posti accanto a comuni, provincie ed istituti pubblici civili o ecclesiastici; essi sono “considerati come persone”, e poiché sono legalmente riconosciuti, si tratta in sostanza delle persone “giuridiche”.
1942
Il codice civile, agli articoli 11 e seguenti, disciplina le fondazioni assieme alle associazioni, dettando norme in parte comuni ad entrambi gli enti privati ed in parte riferite a ciascuno di essi. Di rilievo in particolare l’art.17 che – al fine di scongiurare la c.d. manomorta sugli immobili (diritti perpetui su immobili a favore di enti morali, specie ecclesiastici, che ne comportavano la sottrazione alla circolazione giuridica per lungo periodo di tempo, a causa dell’impossibilità di trasmetterli mortis causa) – impone per l’acquisto di immobili e per l’accettazione di donazioni, eredità o legati da parte delle persone giuridiche, e dunque anche delle fondazioni, la previa autorizzazione governativa.
1966
Il 28 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.835 secondo la quale la responsabilità personale e solidale di tutti i componenti del comitato per le obbligazioni assunte verso terzi si basa su di una presunzione iuris et de iure: un fascio di mandati che vengono conferiti (e ricevuti) da ciascun componente nei confronti degli altri. Per questo motivo la responsabilità personale e solidale di tutti può essere solo contrattuale, e non anche aquiliana (per fatto illecito commesso dal comitato).
1973
Esce l’11 ottobre la sentenza della III sezione della Cassazione n. 2561 la quale, in tema di comitati, sulla scia di precedente giurisprudenza ritiene che tutti i componenti siano responsabili personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte dal comitato, senza poter discriminare tra chi ha agito e chi non ha agito per conto del comitato medesimo (a differenza di quanto accade per le associazioni non riconosciute), e senza che abbia alcun rilievo la spendita o meno del nome del comitato.
1982
Il 12 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.134 che, in tema di comitati, ritiene che la responsabilità personale e solidale dei componenti del comitato medesimo si estende anche al fatto illecito commesso nell’esercizio delle relative attività: tutti i componenti del comitato rispondono dunque anche in via aquiliana.
1989
Il 7 aprile esce una sentenza della Corte d’Appello di Palermo sulle c.d. fondazioni holding, secondo la quale va distinto il caso in cui tali fondazioni si limitino ad una gestione conservativa delle partecipazioni, nel qual caso non possono considerarsi imprenditori commerciali, dal diverso caso in cui esse operino in modo dinamico finanziando, indirizzando o coordinando l’attività delle partecipate, circostanza nella quale si tratta di imprese commerciali a tutti gli effetti.
1990
Il 30 luglio viene varata la legge n.218, legge delega c.d. Amato-Carli, con la quale per la prima volta si mette mano alla privatizzazione delle casse di risparmio pubbliche, prevedendone la scissione in enti conferenti (le future fondazioni bancarie) e società per azioni conferitarie (le banche vere e proprie): ciò anche al fine di renderle più appetibili per gli investitori stranieri, attraverso la separazione tra le attività di pubblica utilità (attribuite agli enti conferenti) e le attività creditizie vere e proprie, di natura privata, affidate alla s.p.a. conferitaria.
Il 20 novembre viene pubblicato il decreto legislativo n.356, attuativo della “Amato-Carli”, con il quale la previsione della delega viene concretamente posta in essere.
1994
Il 31 maggio vede la luce il decreto legge n.332 che, in tema di c.d. fondazioni bancarie, promuove la dismissione delle partecipazioni degli enti conferenti pubblici (le fondazioni bancarie appunto) nelle società per azioni conferitarie: in tal modo viene agevolata la collocazione sul mercato dei pacchetti azionari delle banche, ai fini di una reale privatizzazione delle medesime, vista anche l’ambiguità di un regime ancipite nel quale gli enti conferenti, dovendo gestire il controllo dei pacchetti azionari delle società per azioni conferitarie, non sono sempre messi nelle condizioni di ben espletare la propria mission pubblicistica (perseguire fini di utilità sociale).
Il 23 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 6032 che individua, nella disciplina del comitato, una struttura bifasica: nella prima fase si assiste ad un vero e proprio accordo associativo, e dunque il comitato è assimilabile ad una associazione non riconosciuta; una volta raccolte le oblazioni ed impresso al patrimonio che ne deriva il vincolo di destinazione, il comitato si atteggia piuttosto a fondazione, e poiché laddove ottenga il riconoscimento esso diventa una persona giuridica fondazione, prima del detto riconoscimento esso deve essere considerato fondazione di fatto o non riconosciuta. Il comitato non è persona giuridica, ma è comunque una figura soggettiva giuridicamente rilevante e può essere direttamente titolare di rapporti patrimoniali relativi a beni immobili.
Il 30 luglio esce la legge n.474 che converte il decreto legge n.332 in tema di fondazioni bancarie
1997
Esce il 15 maggio la legge n.127 il cui art. 13 abroga l’art.17 del codice civile, eliminando così la necessità della previa autorizzazione governativa per l’accettazione, da parte delle fondazioni, di donazioni ovvero eredità o legati, nonché per l’acquisto di immobili.
1998
Il 23 dicembre viene varata la legge delega n.461 (c.d. legge Ciampi), che tende a fare ormai delle fondazioni bancarie – rompendo definitivamente l’originario vincolo genetico con le s.p.a. conferitarie di azienda bancaria – dei veri e propri enti non-profit votati, come tali, a scopi non lucrativi ed orientati al solo perseguimento di fini di pubblica utilità, con totale sganciamento rispetto all’attività bancaria vera e propria.
1999
Il 17 maggio vede la luce il decreto legislativo n. 153, che attua la delega contenuta nella c.d. legge Ciampi prevedendo esplicitamente quali siano i settori di attività ammessi per le fondazioni bancarie: famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologie e disturbi psichici e mentali; ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale; arte, attività e beni culturali. Viene inoltre definita la natura giuridica delle fondazioni bancarie, quali enti di diritto privato senza scopo di lucro dotati di personalità giuridica e piena autonomia statutaria e gestionale; esse possono perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, e vengono obbligate a dismettere le partecipazioni di controllo nelle s.p.a. conferitarie (banche); viene ad esse vietato l’esercizio di attività creditizia ed il finanziamento a qualsiasi ente lucrativo (eccettuati quelli strumentali ai propri fini statutari).
2000
Esce il 22 giugno la legge n.192 che ribadisce l’abrogazione dell’art.17 del codice civile, rinforzandone il disposto: vengono infatti abrogati anche l’articolo 600, il quarto comma dell’articolo 782 e l’articolo 786 del codice civile, nonché ogni altra disposizione che prescriva autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredita’ e legati da parte di persone giuridiche, ovvero il riconoscimento o autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredita’ e legati da parte delle associazioni, fondazioni e di ogni altro ente non riconosciuto.
2001
Il 20 novembre esce la sentenza della Cassazione, sezione tributaria, che assume che la fondazione bancaria conferente deve essere considerata impresa, come tale non potendo fruire dei benefici fiscali previsti per gli enti non lucrativi: la partecipazione nel capitale della s.p.a. conferitaria ne rende l’attività commerciale, in quanto sono possibili ingerenze, seppure indirette, negli indirizzi di governo della società conferitaria medesima.
2002
Esce il 9 maggio la sentenza n.6607 della sezione tributaria della Cassazione che afferma che le fondazioni bancarie conferenti, dovendo avere esclusiva finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, non possono essere considerate imprese e, dunque, possono godere dei benefici fiscali spettanti agli enti senza finalità lucrative (non profit).
Esce il 01 luglio il parere del Consiglio di Stato n.1354 che, alla luce della normativa pertinente per come si è avvicendata, ritiene che le fondazioni di origine bancaria abbiano natura di fondazioni di diritto privato.
2003
La Corte costituzionale, con le sentenze gemelle n.300 e 301, ribadisce che le fondazioni di origine bancaria hanno subito una evoluzione in senso privatistico quanto alla relativa natura giuridica: esse perseguono un esclusivo fine di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, e possono farlo anche mediante la partecipazione al capitale di imprese c.d. strumentali (senza tuttavia dire se, in quest’ultimo caso, la fondazione bancaria possa essere considerata impresa a tutti gli effetti).
2004
Il 23 marzo esce l’ordinanza della Cassazione tributaria n.8319, che presenta un doppio rinvio: viene rimessa alle SSUU la questione se le fondazioni di origine bancaria possano essere considerate imprese o meno e se possano dunque godere o meno dei benefici fiscali spettanti agli enti privi di finalità lucrative; viene rimessa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la questione se, una volta qualificate come imprese, il regime agevolativo per le fondazioni bancarie violi i principi in materia di concorrenza e di aiuti di Stato.
2006
Il 10 gennaio esce la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (causa C-222/04) che afferma che le fondazioni di origine bancaria non possono essere considerate imprese per il solo fatto di detenere pacchetti azionari, anche di controllo, nelle società bancarie conferitarie: si tratta di attività meramente conservativa, statica e dunque non commerciale. Se invece la partecipazione nella s.p.a. bancaria conferitaria diviene dinamica e si compendia in una concreta ingerenza nell’attività sociale da parte della fondazione conferente, quest’ultima assume i connotati dell’impresa vera e propria.
Il 29 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 27619, sulla scia della decisione comunitaria di gennaio, che afferma come il fatto che la fondazione bancaria abbia dismesso la propria partecipazione di controllo nella società bancaria conferitaria non esclude la possibilità che – stanti gli ingenti capitali a disposizione – la prima (fondazione) possa continuare a svolgere un ruolo di primo piano, se non in certi casi una diretta influenza gestionale, sulla seconda (società bancaria): in simili casi, sottrarsi al pagamento delle imposte facendo leva sui benefici fiscali previsti per gli enti non lucrativi può atteggiarsi a vero e proprio abuso (del diritto).
2007
Il 12 marzo esce la sentenza della sezione Tributaria della Cassazione n. 5740 che, sulla scorta delle pertinenti pronunce del 2006, ritiene necessario, al fine di escludere il carattere d’impresa della fondazione bancaria: a) che la fondazione provi di avere, per legge o per statuto, uno scopo “esclusivo” di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica e che, oltre a tale aspetto formale, essa svolga “effettivamente” dette attività, soggette al potere ispettivo dell’amministrazione finanziaria; b) che sia altresì provata l’esclusione di qualunque possibilità della fondazione di influire, quale azionista maggioritario o non maggioritario o in virtù di accordi para-sociali o di patti di sindacato, sulla gestione dell’impresa bancaria conferitaria (o di altre imprese di cui la fondazione abbia acquisito partecipazioni). Tuttavia, precisa la Corte, la natura d’impresa della fondazione non risulta esclusa in base alla pura e semplice mancanza di uno scopo di lucro o in virtù della sola circostanza consistente nell’avere investito i proventi dell’attività economica (qualificabile come attività d’impresa) per il raggiungimento dei suddetti fini culturali o sociali, trattandosi di requisiti in ogni caso compatibili col concetto d’impresa, secondo le regole eurounitarie.
Il 30 marzo esce la sentenza della sezione Tributaria della Cassazione n. 7883 che, tornando su quanto affermato dalle SS.UU. nel 2006, pone in evidenza l’ordine logico delle questioni che il giudice deva affrontare nel verificare un possibile contrasto con il diritto eurounitario: è in primo luogo necessario effettuare una precisa ricostruzione della disciplina nazionale, con le regole che sono proprie della stessa, e giungere all’applicazione del diritto europeo solo quando l’esito di tale verifica conduca a risultati che contrastino col diritto dell’UE. In particolare, in tema di fondazioni bancarie, giusta la relativa, precipua finalità di gestione di partecipazioni degli istituti di credito, la ridetta verifica non può essere condotta soltanto sul modo con cui viene gestita la partecipazione originaria, ma deve estendersi alla complessiva attività esercitata dalla fondazione, proprio perché la norma agevolativa richiede l’esclusivo perseguimento di compiti non profit; peraltro, i provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria coi quali viene riconosciuta o negata la fruibilità dell’agevolazione si riferiscono soltanto all’anno d’imposta in contestazione, con l’ulteriore precipitato onde l’eventuale giudicato non può svolgere efficacia al di là dei predetti limiti temporali.
2009
Il 22 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 1593 che torna nuovamente sulle agevolazioni tributarie fruibili dalle fondazioni bancarie confermando la tesi dell’Amministrazione finanziaria circa la ordinaria non spettanza delle stesse, non potendosi parificare tali enti a quelli che presentano effettivi e incontestabili finalità no profit. Invero, nelle fondazioni bancarie le attività sociali rivestono un ruolo di assoluta marginalità rispetto alle diverse (e più corpose) attività di gestione del patrimonio, salva in ogni caso la prova contraria fornita da ciascun soggetto fondazionale circa l’effettiva incidenza delle attività assogettabili a sconti fiscali rispetto al complessivo operare dell’ente.
2016
Il 19 agosto viene varato il Decreto Legislativo n. 175, Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (pubblicato in G.U. 8 settembre 2016, n. 210), che verrà poi integrato dal decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100. Per quanto riguarda le fondazioni, il decreto prevede (art. 1, comma 4, lett. b) che restano ferme le disposizioni di legge riguardanti la partecipazione di amministrazioni pubbliche a enti associativi diversi dalle società e a fondazioni. Pertanto, nella fase di prima applicazione del D.Lgs. n. 175 del 2016, è venuta in rilievo la tematica delle società partecipate da fondazioni di diritto pubblico. In particolare, la dottrina ha sollevato dubbi sul fatto se le suddette società debbano rientrare nell’opera straordinaria di ricognizione e revisione delle partecipazioni o se, essendo partecipate o controllate da una fondazione, possano, in virtù dell’espressa deroga relativa a quest’ultime (articolo 1, comma 4, lettera b (22)), considerarsi al di fuori dell’ambito di applicazione del testo unico.
2017
Il 25 maggio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 13178 che riconosce la natura privatistica delle fondazioni IRCCS – derivanti da una trasformazione ex lege degli IRCCS (Istituti di Ricerca e Cura a carattere scientifico) – partendo da un’indagine sul rapporto di lavoro dei relativi dipendenti che, a seguito della mentovata trasformazione, hanno potuto optare per il passaggio dal regime pubblicistico a quello privatistico rimanendo comunque, nel primo caso (regime pubblicistico), in un ruolo “ad esaurimento” per essere le nuove assunzioni tutte regolate da contratti di diritto privato.
Il 4 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 16409 che, superando un ormai risalente orientamento che ricostruiva l’erezione di una fondazione come il collegamento tra un atto istitutivo ed un atto traslativo di beni (richiedendo per quest’ultimo la necessità della presenza di testimoni all’atto pubblico, in quanto negozio donativo), inquadra l’atto di fondazione come, ad un tempo, atto di disposizione patrimoniale, mediante il quale il fondatore si spoglia della proprietà di beni che assoggetta ad un vincolo di destinazione allo scopo, nonché atto di organizzazione della struttura preordinata alla realizzazione dello scopo stesso: l’atto – enunciativo dello scopo, determinativo della struttura organizzativa ad attributivo dei necessari mezzi patrimoniali – è per la Corte unico sotto un profilo funzionale, come unico è il conferimento dell’associato rispetto all’adesione al contratto di associazione.
Il 31 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 5026 che ricomprende una fondazione di carattere culturale (Fondazione Teatro Regio di Torino) fra le Amministrazioni soggette alle disposizioni in tema di contenimento dei costi pubblici facendo leva sui parametri già enucleati dalla giurisprudenza (comunitaria prima e nazionale poi) per l’individuazione degli organismi di diritto pubblico: a) la finalizzazione istituzionale al soddisfacimento di specifiche “esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale”; b) il possesso di personalità giuridica (anche di natura privata); c) l’attività finanziata in percentuale maggioritaria dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, o – in alternativa – la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, o da altri organismi di diritto pubblico. Il tutto per aderire all’attuale contesto normativo orientato alla spending review (si richiama in particolare l’art.1 della legge 196.09 in tema di coordinamento della finanza pubblica), laddove assume ormai un rilievo preminente il carattere elastico della nozione di P.A., secondo le regole imposte dall’adesione agli organismi europei; una nozione che deve essere dunque adeguata alle finalità settoriali perseguite, talvolta estensive (ad esempio in materia di gare e di evidenza pubblica), talaltra limitative (come nel caso dei presupposti per accedere al pubblico impiego).
Il 27 novembre esce la sentenza della sezione III Quater del Tar Lazio – Roma n. 11733 che riconosce la giurisdizione del GO, per una controversia concernente una procedura di gara indetta dalla Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma per l’affidamento di un servizio (gestione, organizzazione, esecuzione delle attività di lavanderia e guardaroba), poiché tale fondazione, statutariamente indicata come ente privato senza scopo di lucro sub specie di “fondazione di partecipazione” (nella quale il fondatore partecipa alla vita della fondazione), non è qualificabile, a norma del nuovo codice degli appalti, come “amministrazione aggiudicatrice” obbligata alle regole dell’evidenza pubblica e comunque non è configurabile come un organismo di diritto pubblico.
2018
Il 7 febbraio esce la sentenza della I sezione del Tar dell’Umbria n.98 che nega la legittimazione ad agire di un comitato (nella specie, il “Comitato per il Diritto alla Salute – Art. 32 Costituzione”), laddove esso sia stato costituito ad hoc successivamente alla notifica del ricorso per la cui legittimazione si tratta, occorrendo al contrario – per il Tar – che l’attività di un comitato spontaneo di cittadini, affinché radichi la legittimazione ad agire in giudizio di questi ultimi riuniti appunto in comitato, si sia protratta nel tempo e non nasca quindi solo e proprio in funzione dell’impugnativa di singoli atti e provvedimenti amministrativi.
Il 12 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Lombardia – Milano n. 970 la quale si è pronunciata in merito all’interesse a ricorrere (ovvero, legittimazione processuale) di una Fondazione di Architetti e Liberi Professionisti. Nel caso di specie, La Fondazione aveva impugnato un avviso esplorativo con cui una P.A. aveva sollecitato manifestazioni di interesse per il conferimento dell’incarico professionale per le pratiche antincendio. Il giudice amministrativo ha statuito che il ricorso proposto fosse inammissibile per carenza di interesse a ricorrere, ritenendo che oggetto delle possibili iniziative giudiziarie che la Fondazione può intraprendere è soltanto il contrasto alle attività delle amministrazioni “pregiudizievoli degli interessi della categoria di cui la Fondazione è ente esponenziale”. Ciò significa che il ricorso deve indicare quale sia il pregiudizio che i vizi di legittimità rilevati comporta alla categoria di riferimento, trasformandosi altrimenti l’azione proposta in una sorta di azione a tutela dell’interesse generale alla legittimità degli atti amministrativi, che, come è noto, è ammissibile soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, o ponendosi addirittura tale azione in potenziale conflitto con l’interesse dei singoli soggetti che teoricamente ne dovrebbero ricevere beneficio. Nella concreta fattispecie in esame, la Fondazione ricorrente non ha allegato quale sia l’interesse che sorregge la sua iniziativa giudiziaria, in relazione al pregiudizio subito dalla categoria di cui è ente esponenziale. Né dagli atti è evincibile quale sia tale pregiudizio. Invero, esaminando le censure proposte, viene contestata all’amministrazione convenuta la decisione di procedere ad un affidamento diretto senza individuazione esatta della base d’asta, l’omessa attenta e puntuale analisi dei prezzi di mercato e di quelli praticati presso altre amministrazioni per le stesse prestazioni, oltre che lo sforamento del tetto massimo del 30% per l’attribuzione del punteggio economico. Si tratta di censure che attengono al rispetto di norme del codice dei contratti pubblici o più in generale di regole di trasparenza delle procedure selettive, la cui eventuale violazione, però, non costituisce di per sé un pregiudizio per la categoria di riferimento.
Il 13 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4288 in merito ai requisiti che deve possedere il controllo pubblico sulle Fondazioni, esercitato ai sensi dell’art. 25 c.c. In una causa di appello promossa da una Fondazione contro la Regione Veneto, la quale aveva annullato una delibera di licenziamento adottata dalla Fondazione, ex art. 25 c.c., il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa ha ritenuto che il controllo nel caso di specie fosse stato esercitato illegittimamente, precisando che le forme di controllo pubblico cui l’art. 25 c.c. assoggetta le fondazioni sono funzionalmente (e restrittivamente) preordinate alla tutela dell’ente, trovando ragione nell’assenza di un controllo interno analogo a quello esercitato nelle associazioni dei membri o da appositi organi a ciò deputati. Questi poteri dell’autorità amministrativa dell’art. 25 c.c. esprimono non una funzione di tutela nel merito, o di controllo sulla mera opportunità delle determinazioni o gestionale o di indirizzo, che sarebbero – specie alla luce delle riforme liberalizzatrici del 1997/2000 (art. 13, comma 1, l. 15 maggio 1997, n. 127; art. 1, comma 1, l. 22 giugno 2000, n. 192; d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361) – incompatibili con l’autonomia privata degli enti destinatari; ma piuttosto una funzione di vigilanza, cioè di controllo di legittimità rispetto alla legge e all’atto di fondazione; il quale controllo a sua volta non è astratto e generale, ma funzionale alla salvaguardia dell’interesse interno e istituzionale dell’ente, in rapporto a quanto giustifica la sua esistenza giuridica come tale, cioè alla preservazione del vincolo di destinazione del patrimonio allo scopo voluto dal fondatore e a suo tempo stimato meritevole di separazione di responsabilità con l’atto di riconoscimento giuridico della fondazione. Nel caso in esame, l’intervento di annullamento operato dalla Giunta regionale, pur formalmente ancorato sulla violazione delle disposizioni statutarie sulla composizione degli organi fondazionali, si appalesa in realtà funzionalmente ispirato a un controllo che in realtà non è di legittimità rispetto alle finalità istituzionali ma di contingente convenienza su singoli atti di gestione del personale dipendente, riguardo a una vicenda di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La finalità appare pertanto sviata e comunque del tutto eccedente rispetto alle descritte ragioni del circoscritto potere dell’art. 25 c.c., e indebitamente compressiva delle autonome determinazioni assunte dall’ente, priva di autentico rapporto funzionale con la salvaguardia degli scopi istituzionali e programmatici dell’ente controllato.
Il 25 ottobre esce la sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-331/17, derivante dal rinvio pregiudiziale disposto dal giudice italiano, afferma che la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro, e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa, non sono applicabili al settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore (nel caso di specie, il quesito sottoposto alla Corte era nel senso se la normativa nazionale (in particolare di cui all’art. 3, comma 6, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, [recante disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali], convertito, con modificazioni, nella legge 29 giugno 2010, n. 100, nella parte in cui stabilisce che: “Non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni dell’articolo 1, commi 01 e 2, del decreto legislativo [n. 368/2001]”), sia contraria alla clausola 5 dell’[accordo quadro]”.
Questioni intriganti
E’ ammissibile la fondazione di fatto?
- una parte della dottrina ritiene che sia ammissibile, e dunque che esista già una fondazione anche in pendenza del procedimento di riconoscimento come persona giuridica: il fondatore e gli amministratori rispondono delle obbligazioni contrattuali ed aquiliane nei limiti dei beni della fondazione;
- altra parte ritiene che – a differenza di quanto accade per le associazioni (che possono essere “non riconosciute”) non sia ammissibile una fondazione “di fatto”: in pendenza del procedimento di riconoscimento, delle obbligazioni contrattuali ed aquiliane risponde il fondatore e gli amministratori anche oltre il valore dei beni della fondazione;
- si esclude che siano fondazioni di fatto i comitati, in considerazione della circostanza onde il comitato ha natura intrinsecamente provvisoria, mentre la fondazione ha natura stabile e permanente.
Che tipo di scopi persegue la fondazione?
- si tratta di scopi di pubblica utilità, seppure perseguiti con mezzi privati;
- i beni privati vengono in modo duraturo sottratti al mercato, ma ciò viene temperato dal perseguimento di scopi di interesse pubblico.
Gli atti di erezione della fondazione e di dotazione patrimoniale sono atti distinti ovvero compendiano un solo atto?
- una parte della dottrina, maggioritaria, assume che si tratta di atti distinti, collegati tra loro, dovendosi nell’atto di dotazione patrimoniale vedere una donazione, se inter vivos, ovvero una disposizione testamentaria, se mortis causa;
- altra parte della dottrina ritiene si tratti di un atto unico in cui prevarrebbe la causa organizzativa dell’atto di erezione rispetto alla dotazione patrimoniale che avrebbe causa ancillare.
Che rapporti ci sono tra l’elemento patrimoniale e quello personale?
- è del tutto prevalente l’elemento patrimoniale – la fondazione compendia un patrimonio destinato ad uno specifico scopo;
- si assiste ad una progressiva rivalutazione dell’elemento personale dovuta: b.1 all’ampiezza sempre maggiore dei poteri riconosciuti agli amministratori; b.2) ai penetranti poteri di controllo del fondatore sugli amministratori.
Quale è la caratteristica specifica delle fondazioni di famiglia?
- i beni della fondazione sono destinati al vantaggio di una o più famiglie determinate:
- tuttavia non può mancare lo scopo di pubblica utilità, sicché non è sufficiente essere membri della famiglia divisata per avvantaggiarsi dei beni della fondazione, occorrendo anche il possesso di ulteriori requisiti che lambiscono il pubblico interesse (il fatto di essere povero; il fatto di essere particolarmente meritevole sotto uno specifico profilo come ad esempio nello studio, o altro).
Che rapporti intercorrono tra la fondazione e l’impresa?
La fondazione pura non è un’impresa, e tuttavia si delineano tre possibili modelli di rapporto tra la fondazione e l’impresa:
- la fondazione persegue uno scopo di pubblica utilità di tipo non profit, e l’attività di impresa è meramente strumentale a tale attività non economica, costituendo un modo per perseguire in modo indiretto, finanziandolo, lo scopo fondativo: si resta nell’ambito della fondazione;
- la fondazione persegue uno scopo di pubblica utilità e lo fa – in modo immediato e diretto – attraverso la produzione o lo scambio di beni e servizi: si parla in tali casi di fondazione-impresa, soggetta allo statuto dell’imprenditore commerciale;
- la fondazione 1 è collegata ad una fondazione 2: la fondazione 1, c.d. fondazione finanziaria o fondazione holding, amministra un patrimonio o gestisce un impresa, ma lo fa con l’obbligo di devolvere le rendite del patrimonio o gli utili di impresa alla fondazione 2, che persegue direttamente lo scopo non profit (mentre, all’evidenza, la fondazione holding lo fa in modo indiretto e mediato).
Che cosa sono le fondazioni bancarie?
- per capirlo occorre muovere dal presupposto che l’attività bancaria in genere, pur essendo formalmente privata, riveste una palese connotazione di interesse pubblico, finendo in tal modo con lambire la figura della fondazione che nasce con beni privati, ma per perseguire finalità di pubblica utilità;
- quando si è deciso di privatizzare, si è proceduto alla scissione di ciascuna banca pubblica in due soggetti distinti e separati: b.1) l’ente conferente dell’azienda bancaria, originariamente con un profilo spiccatamente pubblicistico, ma che alla fine del processo sarà poi la vera e propria fondazione bancaria (una sorta di successore “statico”, dal punto di vista del concreto esercizio dell’attività creditizia, rispetto all’originario soggetto pubblico); l’ente conferente si limita a mantenere il pacchetto azionario di controllo della s.p.a. di cui al punto 2), continuando a promuovere lo sviluppo sociale, culturale ed economico di un dato territorio (mission, fino ad allora, della cassa di risparmio pubblica); b.2) la p.a. conferitaria, ovvero la banca vera e propria (successore “dinamico” o “funzionale” dell’originaria banca pubblica); la società per azioni bancaria esercita la vera e propria attività creditizia.
Quali sono le tesi sulla natura giuridica delle fondazioni c.d. “di partecipazione”?
- si tratta comunque di fondazioni tipiche, rientrando – come species – nel relativo e più ampio genus, anche se l’elemento personalistico appare più spiccato (fondatori, partecipanti sostenitori, partecipanti istituzionali) rispetto al modello tradizionale: resta infatti comunque in primo piano l’elemento patrimoniale, costituito dal d. fondo di dotazione;
- la mancanza di ingenti patrimoni e la struttura aperta della fondazione di partecipazione (possono aderirvi via via soggetti diversi dai fondatori, privati e pubblici, come nel caso degli enti pubblici territoriali) ne fa una fondazione atipica, riconducibile alle “altre istituzioni di diritto privato” di cui all’abrogato art.12 c.c.;
- va valorizzato caso per caso l’atto costitutivo e lo statuto, ritraendo dalla concreta struttura dell’ente talvolta la conclusione che si tratta di una fondazione e talaltra che si tratta di una associazione, con ovvi, differenti riflessi sulla disciplina applicabile.
Quali sono i profili più interessanti del comitato?
- le offerte del pubblico – c.d. oblazioni – compendiano delle donazioni;
- l’elemento personalistico si fonde in modo ambiguo con quello patrimonialistico;
- il patrimonio raccolto attraverso le oblazioni è destinato ad uno specifico scopo;
- tutti i componenti (promotori, organizzatori, ma esclusi coloro che versano le oblazioni) del comitato non riconosciuto di cui all’art.41 c.c. rispondono verso terzi a titolo contrattuale (e dunque non solo chi ha agito per conto, come invece avviene nel caso delle associazioni non riconosciute); è più discusso se rispondano anche a titolo aquiliano.