<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima </strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella teoria dei soggetti occorre distinguere le ipotesi in cui un rapporto si instauri tra soggetti diversi da quella in cui tale rapporto avvinca organi di un medesimo soggetto e, dunque, “interni” ad esso. E’ “in house” qualcosa che appare esterno e, dunque, “soggetto altro” rispetto ad una Amministrazione aggiudicatrice, ma che in realtà ne costituisce un mero organo interno, una mera articolazione senza autonoma soggettività giuridica, come tale sottratta alle regole dell’evidenza pubblica che presuppongono, all’opposto, una più autentica “esternalizzazione”.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile prevede agli articoli 2449 e 2450 le società a partecipazione pubblica e a “<em>nomina pubblica</em>” (vengono nominati gli amministratori dallo Stato o dall’ente pubblico anche se esso non è socio), e all’articolo 2451 le società di interesse nazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede riserve di legge in tema di soggetti amministrativi, ed in particolare di ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, numero, attribuzioni ed organizzazione dei Ministeri (art.95) e di organizzazione dei pubblici uffici, in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (art.97): le norme riguardano i soggetti pubblici e dunque, in modo più o meno diretto, anche le società <em>in house</em>, specie per quanto riguarda gli obblighi di buon andamento e di imparzialità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia <em>Arnhem</em>, C-360/96: è una delle primissime occasioni in cui la Corte si occupa di una compagine societaria in house, affermando che una società è tale se non è terza rispetto all’Amministrazione, il che accade quando la PA aggiudicatrice spieghi sulla società un potere assoluto di direzione, coordinamento e controllo delle relative attività, quale soggetto affidatario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 9 settembre esce la sentenza della Corte di Giustizia <em>RI.SAN</em>, C-108/98, che ribadisce non essere “<em>terza</em>” una società allorché l’Amministrazione aggiudicatrice spieghi su di essa un potere assoluto di direzione, coordinamento e controllo delle relative attività, quale soggetto affidatario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia <em>Teckal</em>, C-107/98, che chiarisce meglio i contorni del c.d. <em>in house providing</em> con conseguente non obbligatorietà di far luogo ad una gara per la selezione del contraente, a cagione del fatto che si configura un mero rapporto di delegazione interorganica (e non già intersoggettiva). Occorre in primo luogo un elemento strutturale, onde l’Amministrazione deve spiegare sul soggetto aggiudicatario un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi interni; occorre poi un elemento funzionale, onde il soggetto aggiudicatario deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico (aggiudicatore) di appartenenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 gennaio vede la luce una risoluzione del Parlamento europeo, il c.d. Libro verde sui servizi di interesse generale, che - in specifico ossequio al principio di sussidiarietà – auspica soprattutto per gli enti locali la valorizzazione del canone di auto-organizzazione, <em>sub specie</em> di principio di auto-produzione dei servizi di interesse generale, purché non si violi la concorrenza uscendo dall’ambito territoriale del singolo ente locale (<em>extra moenia</em>): si tratta di una presa di posizione che incoraggia le Amministrazioni all’auto-organizzazione e che in qualche modo sdogana, per la dottrina, l’<em>in house providing</em> come modulo organizzativo generale del settore pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-26/03, <em>Stadt Halle</em>, che si pronuncia sul requisito del c.d. controllo analogo assumendo imprescindibile, a fini di relativa configurabilità, la partecipazione totalitaria della società <em>in house</em> da parte della PA aggiudicatrice, dovendosi altrimenti fare ricorso alla gara. Anche in caso di mera compartecipazione del pubblico e del privato nella società, e quand’anche il pubblico sia maggioritario, l’affidamento diretto non è ammesso, dovendosi altrimenti intendersi vulnerati i principi di libera concorrenza e di parità di trattamento tra <em>competitors</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-458-03, <em>Parking Brixen</em>, che si pronuncia ancora sul c.d. controllo analogo richiedendo, a fini di relativa configurabilità, la partecipazione totalitaria da parte della PA aggiudicatrice sulla società in house, corroborata dal requisito sostanziale della possibilità di influire concretamente sulle decisioni più importanti e strategiche della società medesima. Peraltro, la società presunta in house non deve avere acquisito una vocazione commerciale capace di rendere precario il controllo da parte del soggetto pubblico che ne detiene la partecipazione totalitaria, come nel caso di oggetto sociale eccessivamente ampliato, di apertura obbligatoria della società ad altri capitali entro breve termine, ovvero nel caso di espansione territoriale dell’azione sociale rispetto agli obiettivi per i quali è stata costituita.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-29/04, <em>Modling</em> (ovvero Commissione / Austria) che ribadisce le conclusioni cui è giunta la sentenza <em>Parking Brixen</em> in ordine alla natura sostanziale del controllo analogo spiegabile dalla PA aggiudicatrice sulla società partecipata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 maggio esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-340/04, <em>Carbotermo</em>, che si pronuncia sulla ammissibilità del c.d. in house providing a cascata: il pacchetto azionario non è detenuto direttamente dall’ente pubblico, ma in modo indiretto ed avvalendosi di una <em>holding</em> (società per azioni capogruppo) che esso possiede in misura totalitaria. La Corte di Giustizia avverte nondimeno come in taluni specifici casi il controllo analogo, che in tal modo si atteggia ad indiretto, potrebbe uscirne indebolito. Nella stessa pronuncia la Corte si occupa anche dell’altro requisito dell’<em>in house providing</em>, vale a dire quello della c.d. “<em>attività più importante</em>” che la società in house deve spiegare a favore della PA affidataria: da questo punto di vista non conta l’ambito territoriale di svolgimento, né il fatto che dette attività siano remunerate dalla stessa PA affidataria o dagli utenti terzi; conta solo la verifica della preponderanza delle attività prestate, complessivamente intese, a favore della PA affidataria. Per la Corte, quando si dice “<em>parte più importante</em>” dell’attività si vuole intendere che le prestazioni della società in house sono sostanzialmente destinate in via esclusiva (o comunque “<em>principale</em>”) all’ente pubblico affidatario, dovendo avere ogni altra attività mero carattere marginale, secondo una valutazione da effettuare caso per caso, in concreto e tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti nella singola fattispecie.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio viene varato il decreto legge n.223, c.d. decreto Bersani, il cui art.13, comma 1, detta una generale disciplina per le società strumentali alle Pubbliche Amministrazioni. Si muove dalla necessità di scongiurare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori economici; se questo è il fine, le protagoniste della norma sono le società a capitale interamente pubblico ovvero misto che siano state costituite o che siano partecipate dalle Amministrazioni pubbliche regionali o locali al fine di produrre beni o servizi strumentali all’attività di tali enti ed in funzione di tale attività e, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di rispettiva competenza; esse debbono operare esclusivamente con gli enti costituenti (o partecipanti, o affidanti), non potendo invece eseguire prestazioni a favore di altri soggetti né pubblici né privati, né essere beneficiarie di affidamenti diretti, né partecipare a gare, né potendo partecipare ad altre società o enti. Vengono esclusi da questa disciplina i servizi pubblici locali e le centrali di committenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto il decreto legge n.223 viene convertito (con modifiche) nella legge 248.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 agosto esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 5072 secondo la quale ogni qual volta lo statuto sociale preveda la possibilità che le quote sociali siano cedute a soggetti privati va recisamente esclusa la configurabilità di un <em>in house providing</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 ottobre vede la luce la risoluzione del Parlamento europeo sui “PPP”, ovvero i partenariati pubblico-privati e il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, secondo la quale allorché gli enti locali offrano prestazioni sul mercato la regola è l’appalto, mentre allorché essi intendano svolgere in proprio un servizio, anche attraverso moduli organizzativi che li coinvolgono, l’applicazione delle norme in materia di appalti deve assumersi recessiva: si tratta di una conferma di quanto già espresso nel 2004 con il Libro verde sui servizi di interesse generale, onde l’<em>in house providing</em> viene in qualche modo additato quale possibile modulo generale di auto-organizzazione pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre esce la sentenza del C.G.A.R.S. n. 589 che assume – in tema di società miste - occorrere due gare in successione, la prima per individuare il socio privato della società mista, e la seconda per affidare il servizio pubblico (che dunque potrebbe alla fine non essere affidato alla società mista). In altri termini, non appare bastevole al GA, per l’affidamento diretto di un servizio pubblico (locale) ad una società mista il fatto che il socio privato, in sede di costituzione della ridetta società mista, sia stato scelto con gara. Secondo il Consiglio siciliano, la concorrenzialità viene assicurata a monte, ma imponendo al soggetto interessato (magari solo) a gestire il servizio di divenire socio della società mista; peraltro, fare la gara per selezionare chi gestirà il servizio significa scegliere quale è il privato che ha migliori capacità per gestire tale servizio, con presupposti diversi rispetto a quelli che presiedono, a monte, la scelta di un socio privato da parte di un’Amministrazione pubblica, e che si compendiano nei seguenti: a) capacità organizzativa; b) affidabilità economica; c) solidità finanziaria.</p> <p style="text-align: justify;">*L’8 novembre esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia – Lecce n.5197 che ribadisce come ogni qual volta lo statuto sociale preveda la possibilità che le quote sociali siano cedute a soggetti privati va recisamente esclusa la configurabilità di un <em>in house providing</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5 secondo la quale, per aversi <em>in house providing</em>, occorre – sul crinale del controllo analogo - che le decisioni sociali più importanti debbano essere sottoposte al preventivo vaglio della PA aggiudicatrice, sicché il consiglio di amministrazione non può ritenersi avere i consueti ed ordinari poteri previsti dal codice civile.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 febbraio viene varato il decreto legge n.10, che abroga l’art.2450 c.c., ovvero la norma che consente allo Stato o a un ente pubblico, pur non essendo socio, di nominare gli amministratori di una data società.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 1514 secondo la quale, per aversi società in house e controllo analogo, occorre che la PA aggiudicatrice spieghi sulla società considerata poteri maggiori rispetto a quelli che il codice civile riconosce alla maggioranza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 aprile viene varata la legge n.46 che converte il decreto legge n.10.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile esce il parere della II sezione del Consiglio di Stato n.456 che, in tema di società miste, ritiene che in taluni casi particolari non sia necessario il ricorso alla gara per l’affidamento del servizio pubblico alla società mista allorché il relativo socio privato sia stato esso selezionato con gara: si tratta delle ipotesi in cui il socio privato non è mero socio “<em>finanziario</em>”, ma si connota quale socio “<em>operativo</em>”, ovvero “<em>industriale</em>”, ovvero “<em>di lavoro</em>”. In sostanza, allorché la gara a monte non sia stata solo rivolta alla selezione del socio privato, ma più pertinentemente del socio privato X per l’attività operativa della costituenda società Y, a quel punto l’affidamento a valle è solo apparentemente diretto e senza gara, essendo invece, nella sostanza, un’affidamento con gara in cui la gara è stata svolta per individuare il socio privato migliore nell’ottica della gestione di uno specifico servizio. Da questo punto di vista non può essere invocata in senso ostativo la sentenza della Corte di Giustizia <em>Stadt Halle</em> del 2005, in quanto una relativa interpretazione troppo rigorosa (non è mai ammesso l’affidamento diretto di un servizio senza gara, salvi i casi di <em>in house</em> e controllo analogo: e ciò anche se la gara a monte ha avuto luogo in vista della selezione del miglior socio privato futuro gestore del servizio) implicherebbe una sorta di incoraggiamento delle PA aggiudicatrice a circondarsi di compagini in house.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 ottobre esce la sentenza della sezione V del Consiglio di Stato n.5587 che rimette all’Adunanza Plenaria la questione se, in caso di selezione con gara del socio privato di una società mista, il successivo affidamento del servizio possa essere diretto, ovvero occorra una ulteriore gara alla quale far partecipare la neo-costituita società mista.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 novembre esce la importante sentenza della Corte costituzionale n. 401 in tema di contratti pubblici, che appare significativa laddove si occupa del concetto di tutela della concorrenza: gli operatori economici di un determinato settore devono vedersi garantita la più ampia apertura del mercato, dovendosi rispettare i principi europei di libera circolazione delle merci, di libera prestazione dei servizi e di libero stabilimento. Proporzionalità, trasparenza, non discriminazione, parità di trattamento debbono allora presidiare le procedure di evidenza pubblica, così inverando quella nozione di concorrenza che è la medesima a livello europeo ed interno, e che si sostanzia nella formula della concorrenza “<em>per</em>” il mercato, onde ciascun operatore del settore deve essere posto nelle condizioni di accedere al mercato di riferimento giusta specifiche procedure garantite.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre esce la sentenza della I sezione della Corte di Giustizia n.463, <em>Federconsumatori</em>, secondo la quale l’art. 56 del Trattato Ce deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale, quale l’art. 2449 del codice civile italiano, secondo cui lo statuto di una società per azioni può conferire allo Stato o a un ente pubblico che hanno partecipazioni nel capitale di tale società la facoltà di nominare direttamente uno o più amministratori, quando tale disposizione - di per sé o in combinato con un’altra disposizione, quale l’art. 4 d.l. 31 maggio 1994 n. 332, conv., in seguito a modifiche, nella l. 30 luglio 1994 n. 474, come modificata dalla l. 24 dicembre 2003 n. 350, che conferisce allo Stato o all’ente pubblico in parola il diritto di partecipare all’elezione (mediante voto di lista) degli amministratori non direttamente nominati da esso stesso - è tale da consentire a detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società. In sostanza, per la Corte in caso di società con partecipazione pubblica il potere di nomina degli amministratori deve essere comunque proporzionale alla partecipazione del soggetto pubblico al capitale sociale della società.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.136 che in tema di consiglio di amministrazione di società in house ribadisce come esso debba ritenersi munito di poteri che non sono quelli ordinari.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio vede la luce la Comunicazione interpretativa della Commissione UE in tema di applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai PPPI (partenariati pubblico-privato istituzionalizzati), ovvero, in buona sostanza, alle società miste. Il punto di partenza è la necessità di una procedura equa e trasparente finalizzata a selezionare il partner privato. Per la Commissione si può evitare la doppia gara utilizzando una procedura trasparente e concorrenziale per selezionare il socio privato, ponendo contemporaneamente a gara sia l’appalto pubblico o la concessione da aggiudicare alla futura società mista, sia il contributo operativo richiesto al partner privato per l’esecuzione delle prestazioni oggetto di appalto o concessione e/o il contributo amministrativo che al partner privato viene richiesto per la gestione della società mista. A quel punto, per la Commissione, è possibile in sequenza ravvicinata scegliere il partner privato, costituire la società mista (PPPI) ed affidargli l’appalto o la concessione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio viene varata la legge n. 34 che – dando seguito a quanto statuito dalla Corte di Giustizia nel caso <em>Federconsumatori</em> dell’anno prima – modifica l’art.2449 c.c. prevedendo che la facoltà di nomina degli amministratori da parte dello Stato o di un ente pubblico sia proporzionale alla relativa partecipazione al capitale sociale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 marzo esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 che esclude la configurabilità di un <em>in house providing</em> ogni qual volta nel capitale sociale vi sia una partecipazione privata, seppure di minoranza: in altri termini, una società a capitale misto pubblico-privato non può mai configurare un <em>in house providing</em>, in quanto il controllo analogo a quello spiegato sui propri servizi interni da parte della PA aggiudicatrice è riconoscibile solo se vi è partecipazione pubblica totalitaria. Né quest’ultima basta, occorrendo anche, dal punto di vista sostanziale, una influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni più importanti della società partecipata (ed affidataria diretta). Per l’Adunanza, che si esprime in modo volutamente pilatesco (temendo di incorrere negli strali della normativa e della giurisprudenza comunitaria), in tema di società miste e affidamento diretto di servizi non è percorribile la strada di una soluzione univoca, né è rinvenibile un modello definitivo di operatività. Peraltro nel caso di specie la questione viene assunta non rilevante, in quanto non si è verificata in concreto la condizione che potrebbe astrattamente ammettere la non necessità della gara, vale a dire una gara a monte orientata contemporaneamente a selezionare il socio e a definire il servizio operativo che la società mista (con il socio privato) svolgerà. Affiora tuttavia dalla sentenza come l’affidamento diretto di un servizio debba assumersi del tutto eccezionale e di stretta interpretazione, sulla scorta dei noti principi di ascendenza comunitaria di <em>par condicio</em>, non discriminazione, parità di trattamento, pubblicità, trasparenza e soprattutto concorrenza, e di quelli interni di buon andamento e di imparzialità (art.97 Cost.). L’Adunanza richiama anche la recente sentenza della Corte costituzionale n. 401.07, mutuandone le conclusioni in tema di concorrenza “<em>per</em>” il mercato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 marzo esce la sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n.946 onde il divieto di erogare prestazioni a soggetti terzi deve assumersi colpire le società pubbliche “<em>strumentali</em>” (rispetto alle amministrazioni regionali o locali) che esercitano attività amministrativa in forma privatistica e che come tali vanno assunte come <em>longa manus</em> dell’Amministrazione pubblica che le costituisce o le partecipa; detto divieto non concerne invece le società destinate a gestire servizi pubblici locali che, come tali, esercitano attività di impresa di enti pubblici, e che non operano per l’Amministrazione che le ha costituite o che le partecipa, ma appunto per il pubblico. Si tratta di un filone giurisprudenziale che si accredita in seguito fino a ricevere l’avallo dell’Adunanza Plenaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 luglio esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-371-05, <em>Commissione / Italia</em>, che riguarda il caso in cui la società in house presenti un capitale posseduto non già da un solo ente pubblico, ma da più PA collettivamente intese: in questa ipotesi, il requisito dell’attività più importante è tale se spiegato nei confronti di tali enti pubblici soci complessivamente considerati, e non già solo e necessariamente se spiegata a favore di un ente socio o di un altro.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 agosto esce la sentenza della Corte costituzionale n.326 che, in tema di art.13 del decreto Bersani sulle c.d. società strumentali, afferma trattarsi di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, ma anche di ordinamento civile, trattandosi di disciplina che traccia i confini tra attività amministrativa e attività di impresa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-324/07, <em>Coditel Brabant S.A.,</em> che legittima il c.d. in house a controllo analogo congiunto o pluripartecipato: secondo la Corte plurime PA aggiudicatrici (e non già soltanto una sola di esse) possono esercitare in modo congiunto un controllo analogo sulla persona giuridica in house (rispetto a tutte), avvalendosi all’uopo degli strumenti giuridici messi a disposizione dal diritto pubblico e privato. Quello che è importante è che questi strumenti giuridici siano realmente idonei ad orientare, controllandola, l’azione del comune soggetto in house.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1555 che affronta il tema delle società miste e dei c.d. PPPI, recependo e facendo proprio il modello della c.d. gara a doppio oggetto siccome scolpito dalla Commissione nella Comunicazione interpretativa del febbraio 2008. Più in specie, il Consiglio di Stato elenca le condizioni che devono sussistere affinché possa dirsi legittimo il ricorso ad una società mista per l’affidamento di un appalto o di una concessione, occorrendo: a) che tale modello sia autorizzato dalla legge; b) che il socio privato sia scelto a valle di una gara; c) che la società mista sia chiamata a svolgere una attività prevalente in favore della PA che la costituisce; d) che, in caso di gara unica per la scelta del socio privato ed il contestuale affidamento del servizio, tale servizio sia “<em>determinato</em>” e, come tale, definito esattamente nel relativo oggetto in sede di bando; e) che la selezione della migliore offerta in termini di possibile socio privato venga parametrata non alla solidità finanziaria dell’offerente, ma alla relativa capacità di svolgere le prestazioni oggetto dell’affidando servizio; f) che vi sia una durata predeterminata per il rapporto da instaurare.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 giugno esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-480/06, Amburgo, che si pronuncia sulla legittimità di un particolare accordo concluso da una serie di Comuni della Germania; tale accordo prevede di affidare congiuntamente da parte di detti Comuni – ad uno solo di loro – il trattamento dei rifiuti attraverso un termovalorizzatore; in cambio, gli altri Comuni mettono a disposizione la capacità ricettiva delle discariche ubicate presso di essi e non sfruttate (per l’utilizzo del termovalorizzatore nel Comune affidatario). Si tratta di una fattispecie che viene catalogata in termini di “<em>partenariato pubblico – pubblico</em>”, in quanto realizza un modulo di tipo cooperativo in cui non si fa luogo ad un’organizzazione istituzionalizzata, procedendosi piuttosto ad un mero accordo tra le singole Amministrazioni stipulanti. Dal momento che lo smaltimento dei rifiuti compendia una funzione di servizio pubblico, e che tale funzione è comune a più amministrazioni territoriali, esse secondo la Corte possono cooperare tra loro al fine di garantire l’adempimento di tale funzione pubblica comune. Perché non si verifichino pregiudizi alla concorrenza occorre tuttavia che la stella polare resti il perseguimento dell’interesse pubblico, e che venga assicurata la piena parità di trattamento rispetto agli imprenditori privati interessati, onde nessuna impresa deve essere posta in posizione privilegiata rispetto alle altre concorrenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce la sentenza della III sezione della Corte di Giustizia in causa C-196/08, <em>Acoset</em>, che si occupa dei PPPI, delle società miste e degli affidamenti diretti: la Corte riprende il tema della c.d. gara a doppio oggetto, dichiarando legittimo, a date condizioni, l’affidamento diretto del servizio pubblico alla costituita società mista. La società affidataria deve essere stata costituita specificamente al fine di fornire il divisato servizio; il relativo oggetto sociale deve essere esclusivo in tal senso; il socio privato deve essere stato selezionato a mezzo gara; per conferirgli la qualità di socio a valle della gara, devono essere stati verificati in capo al detto soggetto privato i requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere; l’offerta del privato aspirante socio deve essere stata valutata in considerazione delle prestazioni da fornire; la gara deve essersi svolta conformemente ai principi di libera concorrenza, di trasparenza, di parità di trattamento siccome imposti in ambito europeo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 8970 che ritiene imprescindibile il controllo effettivo, sia strutturale che funzionale, della PA aggiudicatrice sulla società in house, che si sostanzia in una influenza determinante sulle scelte più importanti e sugli obiettivi strategici della società medesima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1037 secondo la quale sarebbe il fine di evitare distorsioni della concorrenza la ratio sottesa all’art.13 del decreto Bersani sulle c.d. società strumentali onde esse, oltre a non poter erogare prestazioni a favore di soggetti terzi rispetto all’ente pubblico strumentalmente al quale operano, non possono neppure partecipare ad altre società (c.d. società di terza generazione), in quanto in tal caso l’alterazione della concorrenza sarebbe mediata: la società strumentale finisce infatti con l’investire capitali in altra società che, lungi dall’essere anch’essa strumentale, persegue finalità imprenditoriali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria n.17 che si occupa delle c.d. società strumentali, e del divieto per esse previsto di fornire prestazioni a soggetti terzi rispetto a quelli pubblici per i quali esse sono, per l’appunto, strumentali (nella realizzazione di opere e lavori o nella produzione e fornitura di beni e servizi): l’Adunanza condivide quella parte della giurisprudenza amministrativa che ritiene trattarsi di un divieto che concerne le società pubbliche strumentali (rispetto alle amministrazioni regionali o locali) che esercitano attività amministrativa in forma privatistica e che come tali vanno assunte come <em>longa manus</em> dell’Amministrazione pubblica che le costituisce o le partecipa; detto divieto non concerne invece le società destinate a gestire servizi pubblici locali che, come tali, esercitano attività di impresa di enti pubblici, che non operano per l’Amministrazione che le ha costituite o che le partecipa, ma appunto per il pubblico. Proprio il fine di evitare distorsioni della concorrenza, che è poi la ratio sottesa all’art.13 del decreto Bersani sulle c.d. società strumentali, fa dire all’Adunanza Plenaria che dette società “<em>strumentali</em>”, oltre a non poter erogare prestazioni a favore di soggetti terzi rispetto all’ente pubblico strumentalmente al quale operano, non possono neppure partecipare ad altre società (c.d. società di terza generazione), in quanto in tal caso l’alterazione della concorrenza sarebbe mediata: la società strumentale finisce infatti con l’investire capitali in altra società che, lungi dall’essere anch’essa strumentale, persegue finalità imprenditoriali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-182/11, <em>Econord</em>, che assume imprescindibile per configurare un <em>in house providing</em> il fatto che la PA aggiudicatrice spieghi sulla società una influenza determinante sui relativi obiettivi strategici e sulle decisioni più importanti che la connotano, così facendosi luogo ad un controllo effettivo, strutturale e funzionale. Nella medesima pronuncia la Corte torna sul c.d. <em>in house</em> congiunto, rappresentando come esso sia pienamente ammissibile a condizione che ciascuna delle PA aggiudicatrici controllanti sia in grado di influire sugli obiettivi strategici e sulle decisioni più rilevanti della comune società in house, sia pure in maggiore o minor misura l’una rispetto all’altra.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-159/11, <em>Asl Lecce</em>, in tema di accordi di cooperazione tra Pubbliche Amministrazioni, con particolare riguardo alla dispensa dall’obbligo di far luogo a gare che li concerne: tale dispensa può essere ammessa solo in presenza di condizioni stringenti, quali a) la partecipazione esclusiva di enti pubblici, senza la presenza di privati; b) la garanzia che nessun imprenditore privato sia privilegiato rispetto alla concorrenza; c) la istituzione della cooperazione al solo fine di realizzare esigenze connesse alla necessità di perseguire obiettivi di interesse pubblico. La Corte esclude pertanto che si possa parlare di cooperazione orizzontale tra Pubbliche Amministrazioni quando vi sia la presenza in seno all’accordo anche di un operatore economico (privato), quand’anche per quest’ultimo sia previsto il mero (ed esclusivo) rimborso delle spese sostenute: anche in questo caso si è al cospetto di un appalto ed occorre la gara.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 762 che rappresenta come, specie a livello di servizi pubblici locali, l’<em>in house providing</em> rappresenti una ordinaria (e non già eccezionale e residuale) forma organizzativa di gestione del servizio pubblico medesimo: avvalendosi della propria discrezionalità, e dunque operando una scelta pienamente discrezionale, una PA può scegliere di perseguire l’interesse pubblico che la legge le affida avvalendosi di propri strumenti e senza essere costretta a rivolgersi a terzi esterni rispetto ai servizi propri dei quali si avvale, se del caso anche in collaborazione con altre autorità pubbliche. Una giurisprudenza che verrà ampiamente ripresa da sentenze successive, e che fa perno sulla interpretazione dell’<em>in house providing</em> quale generale modulo di auto-organizzazione dell’azione pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 maggio esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-564/11, <em>Consulta regionale Ordine degli Ingegneri della Lombardia</em>, che afferisce agli accordi di partenariato tra Pubbliche Amministrazioni, ed alla connessa esenzione dall’obbligo di esperire una gara. Nella fattispecie si tratta di redigere un piano urbanistico, attività compendiante un servizio di architettura: all’uopo interviene un accordo tra il Comune di Pavia e l’Università di Pavia. Secondo la Corte, in fattispecie come questa si è al di fuori della fattispecie degli accordi c.d. orizzontali o di partenariato tra Amministrazioni, con la conseguente necessità di far luogo ad una gara: non si tratta infatti di ricerca scientifica, ma di attività normalmente affidate ad ingegneri o architetti (ancorché basate su fondamento scientifico). Osservato dal punto di vista degli aspetti materiali che lo compendiano, tale accordo solo apparentemente istituisce una cooperazione tra enti pubblici il cui oggetto è una funzione di servizio pubblico, in quanto detta funzione di servizio pubblico (predisporre un piano urbanistico), se può essere considerata tale sul versante del Comune di Pavia, non è invece tale sul crinale dell’Università di Pavia.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3849, che si occupa dei c.d. partenariati pubblico-pubblico e della contermine figura degli accordi tra Amministrazioni ex art.15 della legge 241.90: ciò che accomuna i due istituti e la dispensa dalla gara e, dunque, i rischi di possibile aggiramento delle norme sulla concorrenza. Nel caso di specie, una Azienda sanitaria ed una Università si accordano ma si tratta in realtà – sotto le mentite spoglie di un accordo organizzativo orientato al perseguimento di un interesse comune ex art.15 della legge 241.90 – di un affidamento diretto di un servizio di architettura ed ingegneria. Secondo il Consiglio di Stato sono accordi tra amministrazioni pubbliche ai sensi del menzionato art.15 tutti quelli che si riferiscono ad attività che non formano oggetto di contratti di diritto privato, in quanto non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni previste, in particolare, dalla Direttiva 2004/18 sugli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. Tali accordi disciplinano le rispettive attività funzionali (pubbliche) degli enti (pubblici) che vi partecipano, senza che da nessuna parte di vi sia un’appropriazione di attività verso corrispettivo (anche solo corrispondente al rimborso delle spese e dei costi sostenuti), perché in simili ipotesi si ha sempre non già una cooperazione, quanto piuttosto uno scambio tra un operatore economico (anche pubblico) ed una Pubblica Amministrazione, che non è ammesso al di fuori della disciplina dell’evidenza pubblica perché si finirebbe col sottrarre delle economie al mercato. Nella logica della cooperazione (e non dello scambio), occorre allora uno scopo comune ed una compartecipazione degli enti che si accordano per il relativo perseguimento, quand’anche intervenga tra Amministrazioni non omologhe: ma deve sempre trattarsi di attività pubblicistica, e non – per una delle ridette parti – mera prestazione di servizi (comunemente) reperibili sul mercato, verso un indennizzo o un rimborso o, peggio, un corrispettivo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4832, che ribadisce nella sostanza quanto affermato dalla VI nella precedente pronuncia n.762 in ordine alla discrezionalità della scelta di internalizzare la gestione del servizio attraverso il modulo organizzativo dell’<em>in house</em>, da assumersi dunque quale forma ordinaria di gestione del servizio in parola.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 novembre esce la sentenza delle SSUU n.26283, secondo cui le società <em>in house</em> costituiscono mere articolazioni della pubblica amministrazione e quindi necessariamente ne dovrebbero rispettare le regole generali di funzionamento a cominciare dall’obbligo costituzionale di assumere attraverso pubblici concorsi. Secondo le SSUU sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti anche per amministratori o dipendenti delle società <em>in house</em>, istituite da uno o più enti pubblici per l’espletamento di pubblici servizi, che svolgono la loro attività prevalente in favore degli enti partecipanti e che siano assoggettate a forme di controllo di gestione analoghe a quelle previste per enti pubblici: in queste fattispecie la società non può dirsi in rapporto di terzietà ed alterità rispetto alla pubblica amministrazione, e dunque la <em>mala gestio</em> degli organi di amministrazione o di controllo si traduce in danno erariale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio viene varata la Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Particolarmente importante l’art. 2 che codifica il principio c.d. di libera organizzazione, o di autorganizzazione, delle Amministrazioni, e che consente ad esse – per l’appunto – di auto-organizzarsi dotandosi di articolazioni interne proprie per la realizzazione di ciò di cui hanno bisogno, così evitando di esternalizzare a terzi la relativa soddisfazione. L’art.17 provvede inoltre a codificare l’<em>in house providing</em> nello specifico settore delle concessioni. Viene altresì varata la Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE), ed il cui art. 12 codifica l’<em>in house providing</em> nello specifico settore degli appalti; di questa Direttiva è importante il considerando 32, laddove prevede che con riguardo agli organismi pubblici a partecipazione obbligatoria (quali in particolare le organizzazioni responsabili della gestione o dell’esercizio di taluni servizi pubblici) sia possibile anche la partecipazione di un soggetto privato al capitale della società in house, laddove tale partecipazione sia resa obbligatoria dalla legge nazionale in conformità ai Trattati, senza tuttavia che essa implichi un potere di veto al socio privato né gli garantisca una influenza dominante sulla società partecipata; in seno alla Direttiva in parola viene collocato il principio di piena equiordinazione tra la possibilità di esternalizzare e la possibilità per le Amministrazioni di auto-organizzarsi al fine del perseguimento degli interessi pubblici ad esse affidati. Infine, viene varata la Direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei c.d. settori speciali dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (che abroga la direttiva 2004/17/CE), il cui art.28, del pari, codifica l’<em>in house providing</em> nello specifico settore degli appalti per i settori speciali. La figura normativa europea dell’<em>in house providing</em>, siccome delineata dalle Direttive del 26 febbraio 2014, rappresenta un compromesso tra la rigidità degli elementi richiesti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e la maggiore elasticità richiesta dagli Stati membri dell’Unione; anche da questa Direttiva traspare poi la piena equiordinazione tra il principio di esternalizzazione e quello di auto-organizzazione nel perseguimento dell’interesse pubblico. In tutte e tre le Direttive viene legittimato il c.d. partenariato pubblico-pubblico o partenariato cooperativo orizzontale, rispettivamente, all’art.17, comma 4, della Direttiva 23; all’art.12, comma 4, della Direttiva 24 e all’art.23, comma 4, della Direttiva 25.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce la sentenza della V sezione della Corte di Giustizia, in causa C-15/13, <em>Tecnische Universitat</em>, che si occupa della ammissibilità del c.d. in house orizzontale, in cui l’affidamento diretto coinvolge due soggetti – uno in veste di aggiudicatore, l’altro in veste di aggiudicatario – rispetto ad una comune PA controllante. La Corte – in un caso concernente un contratto di fornitura - muove dalla considerazione onde ogni deroga alla applicazione delle norme comunitarie in tema di gare, concorrenza ed evidenza pubblica subisce giocoforza una interpretazione di tipo restrittivo. Ciò non induce la Corte a negare <em>a priori</em> la ammissibilità del c.d. in house orizzontale, anche se nel caso di specie tale ammissibilità viene esclusa per non essere il soggetto aggiudicatore presunto in house (Università di Amburgo) un soggetto realmente in house (a differenza della società aggiudicataria His) rispetto alla Città di Amburgo, non esercitando quest’ultima un controllo realmente “<em>analogo</em>” e, con esso, una influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni importanti del presunto soggetto <em>in house</em> (difetto di controllo effettivo, tanto strutturale quanto funzionale, sull’Università di Amburgo).</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4599 che ribadisce quanto affermato da precedente giurisprudenza in ordine alla discrezionalità della scelta di internalizzare la gestione del servizio attraverso il modulo organizzativo dell’<em>in house providing</em>, da assumersi dunque quale forma ordinaria di gestione del servizio in parola.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce il parere della II sezione del Consiglio di Stato n. 298 che assume fondamentalmente il Consorzio inter-universitario CINECA un soggetto <em>in house providing</em>, come tale possibile destinatario di affidamenti diretti da parte delle Università pubbliche che vi partecipano. A nulla varrebbe per il Consiglio di Stato il fatto che a detto Consorzio partecipano anche delle Università private, in quanto il Consorzio medesimo non può dirsi controllato da capitale privato, né potendo i privati spiegare influenza dominante sulla compagine, la quale risulta composta per il 98% da Università pubbliche; gli atenei privati partecipanti non hanno potere di veto e non svolgono alcuna influenza consistente sul Consorzio, del quale piuttosto contribuiscono al raggiungimento dei fini pubblici istituzionali attraverso una attività funzionalizzata e correlata ad una quota minima e di assoluta minoranza del capitale posseduto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 aprile esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 2154, che si occupa di una fattispecie in cui campeggia una società consortile operante in ambito sanitario e a totale capitale pubblico, controllata da più Amministrazioni aggiudicatrici, una delle quali (ASO AL) – detentrice di appena il 2,5% del capitale sociale – ha provveduto ad operare a favore del ridetto consorzio un affidamento diretto. Dopo aver accortamente scandagliato lo statuto della società consortile in parola, il Consiglio di Stato annulla il provvedimento di affidamento diretto senza gara per assunta insussistenza, nel caso di specie, del c.d. controllo analogo congiunto in capo alla PA aggiudicatrice diretta, valorizzando taluni indici sintomatici capaci di palesare come all’interno tanto del consiglio di amministrazione quanto del comitato di controllo pesi molto – in termini di valore del voto – proprio la quota di compartecipazione al capitale sociale, nel caso di specie assunta troppo esigua per fondare un controllo analogo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 maggio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2291 che, occupandosi della figura dell’<em>in house providing</em>, afferma che la regola generale di diritto europeo prevede per l’affidamento di appalti e concessioni lo strumento della gara: da ciò si evince il ruolo del tutto eccezionale dell’<em>in house providing</em>, e del legittimo affidamento diretto che ne consegue, non potendolo assimilare ad un modulo organizzativo generale della Pubblica Amministrazione; il libero mercato, e le aziende che in esso liberamente competono, si vede infatti sottratta una quota di contratti pubblici, da identificarsi in quelli affidati direttamente alla compagine in house. Si tratta di un orientamento pretorio che interpreta in modo recessivo il principio di auto-organizzazione delle Pubbliche Amministrazione, e che considera l’<em>in house providing</em> come una eccezione alla regola del ricorso al pubblico mercato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 2660, caso Consorzio CINECA, che si occupa della possibilità per un Consorzio di Università – tra le quali vi sono anche delle Università private – di rendersi affidatario diretto da una delle Università pubbliche consorziate, in quanto (presunto) soggetto in house rispetto all’Università pubblica affidataria. Il Consiglio esclude che nel caso di specie si sia al cospetto in un <em>in house providing</em> proprio per la presenza nel Consorzio anche di soggetti universitari di natura privata (difetta dunque la partecipazione pubblica totalitaria). Né sarebbe rinvenibile quella prescrizione legislativa che, ai sensi della nuova disciplina europea degli appalti e delle concessioni del 2014, consentirebbe una deroga al requisito della partecipazione pubblica totalitaria attraverso la previsione esplicita di una partecipazione di soggetti privati al Consorzio. L’art.7, comma 42.bis, del decreto legge 95.12 ha si previsto l’accorpamento di taluni preesistenti consorzi universitari nel CINECA, ma si è trattato di un effetto “<em>di fatto</em>” della legge, e non già una esplicita prescrizione legislativa richiesta dalle nuove Direttive del 2014; in ogni caso, rimarrebbe tutta da dimostrare la condizione di compatibilità con i Trattati ed il connesso rispetto dei principi di proporzionalità, trasparenza e necessità (a fini di rispetto del requisito dei motivi di interesse generale). Nella stessa pronuncia, il Consiglio di Stato esclude – sotto altro profilo – la possibilità di configurare una ipotesi di controllo analogo congiunto e dunque di in house pluripartecipato, in quanto rispetto alle varie Università consorziate (paritarie tra loro), il MIUR riveste una posizione assolutamente predominante per quanto concerne il controllo, l’organizzazione ed il funzionamento del CINECA, essendo il relativo consenso imprescindibile per dare il via libera alle delibere consortili di maggiore importanza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 giugno viene varato il decreto legge n.78, il cui articolo 9 – nel prescrivere <em>ex lege</em> la possibilità per il consorzio CINECA di essere partecipato obbligatoriamente da soggetti universitari privati – garantisce quella copertura legislativa che consente di assumere detto Consorzio quale <em>in house providing</em> (come tale, possibile destinatario di affidamenti diretti) anche se il relativo capitale è partecipato anche da atenei privati.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.124, contente delega al Governo (tra le altre cose) per il riordino della disciplina vigente in tema di partecipazioni azionarie delle PPAA e di servizi pubblici locali di interesse economico generale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 ottobre esce l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4793 che – ai sensi dell’art.267 del TFUE – rimette alla Corte di Giustizia la questione relativa alla effettiva configurabilità del requisito dell’attività prevalente (spiegata dalla società in house nei confronti della PA affidataria) in un caso particolare, ovvero quando nel computo della ridetta attività ai fini delle percentuali previste dalla disciplina europea di cui alle Direttive del 2004 (80%) si facciano rientrare le quote di attività imposte da una PA non socia a favore di enti pubblici del pari non soci (anche in questo caso, per il Consiglio di Stato l’attività parrebbe sottratta alla concorrenza e al mercato): in questi casi, una quota rilevante del fatturato della società in house non deriva da decisioni dell’ente controllante, quanto piuttosto da decisioni di una PA terza non socia.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 novembre esce la sentenza delle SSUU n. 23306 che, occupandosi di Alitalia, afferma il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto l’autonomia patrimoniale della società esclude ogni rapporto di servizio tra soggetto agente (presidenti, amministratori delegati, consiglio di amministrazione e dirigenti) ed ente “<em>pubblico</em>” danneggiato e ciò impedisce di configurare quali perdite erariali delle perdite che restano in realtà della società (e non dello Stato che vi partecipa), alla stregua di qualsiasi altro soggetto di diritto privato: si tratta di danno diretto per la società partecipata ed indiretto per l’Ente pubblico che partecipa al relativo capitale. Sebbene le società partecipate abbiano natura privata, si è affermata la giurisdizione della Corte dei Conti nei casi particolari dell’<em>in house providing</em>, in cui non si ha rapporto di alterità tra società in house e soggetto pubblico partecipante; del danno diretto al socio pubblico (che non sia conseguenza indiretta del danno arrecato alla società) come nel caso del danno all’immagine; del soggetto che avrebbe dovuto rappresentare l’ente pubblico socio ed abbia colpevolmente trascurato di esercitare i diritti dell’ente, ovvero li abbia esercitati in maniera pregiudizievole, avuto riguardo al valore della partecipazione (ma in questi casi la responsabilità erariale ricade su chi rappresenta il soggetto pubblico che partecipa al capitale della società). Altri casi in cui è possibile predicare la giurisdizione contabile sono quelli in cui rilevi la peculiarità dello statuto di talune società partecipate, laddove si configuri una forte compenetrazione della sfera pubblica (es. Rai Radio Televisione Italiana S.p.A., Enav. S.p.A., Anas. S.p.A.).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della sezione V del Consiglio di Stato n. 1028, che si occupa di distinguere la società in house dalla società mista: la società in house si configura ed agisce quale vero e proprio organo sostanziale della PA, perseguendone l’interesse pubblico; la società mista vede invece la presenza del privato scelto con procedura ad evidenza pubblica e configura un modello nuovo e diverso, esterno rispetto alla PA partecipante, in cui convergono l’interesse pubblico e l’interesse privato. Nel caso della società mista, precisa il Consiglio di Stato, è possibile con unica gara selezionare il socio privato ed affidare alla costituenda società il servizio divisato, purché in sede di gara detto servizio sia stato delimitato sia sul piano dell’oggetto che sul piano del tempo: se l’affidamento del servizio fosse a tempo indefinito e con oggetto generico, si rischierebbe di aggirare le norme che tutelano la concorrenza e la <em>par condicio</em> tra gli imprenditori del settore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, n. 1034, che ribadisce ancora una volta come la scelta (discrezionale) di avvalersi dell’<em>in house providing</em> corrisponda non già ad una eccezione, quanto piuttosto ad una forma ordinaria di gestione del servizio, alternativa alle altre possibili e, in particolare, a quella che si rivolge al mercato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, nuovo codice dei contratti pubblici, il cui art.5, comma 1, prevede i requisiti necessari per l’in house proving sulla scorta delle Direttive europee del febbraio 2014. Occorre in proposito il consueto requisito strutturale (il soggetto pubblico aggiudicatore deve spiegare sulla società affidataria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi); il consueto rapporto funzionale (la società controllata affidataria deve esercitare oltre l’80% della propria attività nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’ente pubblico aggiudicatore ovvero da altre persone giuridiche controllate dall’Amministrazione aggiudicatrice); deve poi essere esclusa dalla società controllata (persona giuridica) la partecipazione diretta di capitali privati, potendo tali capitali privati partecipare solo nelle forme previste dalla legislazione nazionale, in conformità ai Trattati, e senza in ogni caso che vi venga spiegata una influenza determinante sulla persona giuridica controllata (dalla PA aggiudicatrice). Sempre all’art.5 del codice viene scolpito il requisito del “<em>controllo analogo</em>”, che – sulla scorta dell’evoluzione giurisprudenziale di settore, deve avere carattere sostanziale (e non meramente formale), onde la PA aggiudicatrice deve esercitare sulla società controllata una influenza determinante sia con riguardo agli obiettivi strategici che alle decisioni significative: la società è in house quando è etero-diretta dalla PA aggiudicatrice. All’art.5, comma 2, viene esplicitamente assunto ammissibile il c.d. in house a cascata: la PA aggiudicatrice controlla un soggetto terzo che, a propria volta, controlla la società in house. Viene inoltre previsto dal nuovo codice anche il requisito c.d. funzionale dell’<em>in house providing</em>, onde la società deve realizzare la parte più importante della propria attività in favore della PA aggiudicatrice: la percentuale viene fissata all’80%, onde occorre che almeno l’80% dell’attività della società in house si atteggi ad esecuzione di compiti ad essa affidati dalla PA aggiudicatrice (o da soggetti che essa controlla); si parla di requisito della “<em>attività prevalente</em>” (e non già esclusiva), che si evince da una serie di indici quali il fatturato totale medio o altra idonea misura che trova fondamento nell’attività della società di cui si tratta (art.5, comma 7 e 8). Di assoluto rilievo dal punto di vista della novità è la previsione dell’art.5, lettera c), del nuovo codice, secondo il cui disposto – che si rifà al considerando 32 della Direttiva 24/2014/UE - il fatto che un soggetto privato detenga una parte del capitale sociale non esclude né il controllo analogo, né la configurabilità dell’<em>in house providing</em>, se tale partecipazione privata a) è prevista obbligatoriamente da una norma di legge nazionale; b) non è in contrasto con gli obiettivi comuni fissati nei Trattati; c) il socio privato non esercita una influenza dominante sulla società partecipata. Il codice, all’art.5, comma 3, codifica la c.d. bidirezionalità dell’<em>in house providing</em>, legittimando anche il c.d. in house inverso, ovvero il caso della PA aggiudicatrice controllata che aggiudica un appalto o una concessione alla propria PA aggiudicatrice controllante, ovvero ad altra PA aggiudicatrice (“<em>sorella</em>”) controllata da quest’ultima, sempre che nella PA controllante che si aggiudica l’appalto o la concessione non vi siano capitali privati (salvo il caso di capitali privati prescritti dalla legislazione nazionale in conformità ai Trattati, privi di controllo o potere di veto e che comunque non esercitano una influenza dominante sulla PA aggiudicatrice “<em>aggiudicataria</em>”). Sempre l’art.5, comma 3, codifica il c.d. in house orizzontale, che si verifica quando la PA aggiudicatrice controlla due soggetti entrambi in house rispetto ad essa e l’affidamento diretto (appalto o concessione) coinvolge - in linea orizzontale appunto – i due soggetti in house dei quali il primo si fa PA aggiudicatrice del secondo, reso PA aggiudicataria, il quale ultimo non deve annoverare capitali privati (salvo il consueto caso di capitali privati prescritti dalla legislazione nazionale in conformità ai Trattati, privi di controllo o potere di veto e che comunque non esercitano una influenza dominante sulla PA aggiudicatrice “<em>aggiudicataria</em>”). L’art.5, comma 4 e 5, del nuovo codice disciplina il c.d. in house a controllo congiunto, o pluripartecipato, o frazionato, che si verifica allorché più PA aggiudicatrici sono in posizione di controllo nei confronti di un unico soggetto in house rispetto a tutte esse, e che come tale può ricevere affidamenti diretti senza gara da ciascuna di esse. L’art.5, comma 6, si occupa dei c.d. partenariati orizzontali pubblico-pubblico o partenariati di cooperazione, vale a dire degli accordi conclusi esclusivamente tra più PA aggiudicatrici, per dichiararlo al di fuori del campo di applicazione del codice (con particolare riguardo alle gare), a talune precise condizioni: l’accordo deve far luogo (e rispondere) a una cooperazione tra gli Enti che vi partecipano finalizzata a far sì che i servizi pubblici che ciascuno deve svolgere siano prestati, per l’appunto, cooperando in vista della soddisfazione dell’interesse comune, facendo luogo ad una attività cooperativa ispirata esclusivamente al perseguimento dell’interesse pubblico e garantendo che meno del 20% delle attività coinvolte nella cooperazione sia svolta da ciascuno degli Enti partecipanti fuori dalla cooperazione medesima e, dunque, in regime di libero mercato (l’attività oggetto di cooperazione deve essere dunque svolta in regime di cooperazione, con riguardo a ciascuna PA aggiudicatrice partecipante, per una percentuale almeno dell’80%). Per quanto concerne le società miste, l’art.5, comma 9, prevede che laddove le norme in vigore consentano la costituzione, per l’appunto, di società miste finalizzate alla realizzazione e gestione di un’opera pubblica, ovvero alla organizzazione e gestione di un servizio di interesse economico generale, il socio privato deve giocoforza essere scelto con gara. Altra norma importante del nuovo codice è l’art.192, comma 2, che (disciplinando un punto sul quale la delega del Parlamento nulla ha disposto) si occupa del rapporto tra principio di auto-organizzazione e principio di esternalizzazione, non equiparandoli come avviene nel contesto Europeo, ma mostrando di preferire l’esternalizzazione, unita a diffidenza nei confronti del modello in house: la PA deve avere come proprio punto di riferimento degli obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio (pubblico), oltre che di ottimale impiego del denaro pubblico (in caso di prestazioni che le occorrono), e per questo deve motivare sul perché non ha fatto ricorso al mercato ed ha invece provveduto a far luogo ad un affidamento diretto alla società in house (alla quale è avvinta da delega interorganica). Viene prevista anche l’istituzione presso l’ANAC di un elenco delle stazioni appaltanti che affidano in via diretta a soggetti in house (con conseguente necessità di capire se tale iscrizione è condizione sospensiva di efficacia dell’affidamento diretto, o piuttosto si configuri la successiva mancata iscrizione quale condizione risolutiva di efficacia dell’affidamento medesimo previamente disposto). Il legislatore non si è peraltro limitato – come in passato - a semplicemente fissare i requisiti per l’affidamento <em>in house, </em>ma, all’art. 192 del codice dei contratti pubblici, ha anche delineato la procedura per verificare concretamente tali requisiti e quella per effettuare il successivo affidamento diretto, proprio laddove ha previsto la ridetta istituzione presso l’ANAC dell’elenco delle Amministrazioni e degli enti che operano mediante affidamenti diretti ai propri soggetti <em>in house: </em>si passa dunque da una verifica “<em>a valle</em> <em>e quando occorre</em>” ad una verifica “<em>a monte e in ogni caso</em>” dei requisiti che occorrono per riconoscere in una determinata persona giuridica i connotati dell’<em>in house providing</em> giusta preventiva, rigorosa disamina di tali requisiti che viene centralizzata ed affidata all’ANAC.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Liguria n.606, secondo la quale deve assumersi assente nella legislazione italiana un obbligo di esclusiva in capo alle società <em>in house</em> in relazione all’Ente territoriale di riferimento. A tal riguardo l’art. 13 d.l. 4 luglio 2006 n. 223 convertito nella l. 4 agosto 2006 n. 248 per il Collegio non positivizza simile obbligo con correlativo divieto di operazioni <em>extra moenia</em>. La norma, al comma uno, stabilisce: “<em>1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti</em>”. La norma introduce bensì un obbligo di esclusiva a carico delle società pubbliche ma tale obbligo investe esclusivamente “<em>le società costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività</em>” ed esclude espressamente quelle destinate allo svolgimento di servizi pubblici locali.</p> <p style="text-align: justify;">Anche la sentenza del Consiglio di Stato VI 8 maggio 2014 n. 2362, prosegue il Collegio, ammette che le società <em>in house</em> costituite per lo svolgimento di servizi pubblici locali possono svolgere servizi per enti diversi da quelli costituenti, partecipanti o affidanti purché si tratti di soggetti erogatori di servizi pubblici locali; “<em>i predetti servizi potrebbero, di conseguenza, essere svolti anche a favore di soggetti diversi da quelli "</em>costituenti, partecipanti o affidanti<em>", sempre però che si tratti di soggetti erogatori degli stessi, quali sono, appunto, i Comuni, …(cfr. Cons. Stato, IV, 15 marzo 2008, n. 946; V, 7 luglio 2009, n. 4346, 5 marzo 2010, n. 1282, 10 settembre 2010, n. 6527, 1 aprile 2011, n. 2012</em>).”. La normativa UE – prosegue ancora il Collegio - è intervenuta sul problema, prevedendo all’art. 12 della direttiva 24/2014 che la società <em>in house</em> deve svolgere più dell’80% della propria attività a favore dell’amministrazione controllante (si cfr. Parere C.S. Commissione speciale 21 aprile 2016 n. 968), conseguendone <em>a contrario</em> che è legittima nei limiti sopraindicati la attività <em>extra moenia</em> di una società <em>in house</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 agosto viene varato il decreto legislativo n.175, ovvero il testo unico sulle società a partecipazione pubblica. Importante l’art.4, comma 4, che disciplina l’oggetto sociale delle società in house, che deve consistere esclusivamente in una delle seguenti attività: a) produrre un servizio di interesse economico generale, compresa la realizzazione e gestione delle pertinenti reti ad esso funzionali; b) progettare e realizzare un’opera pubblica nell’ambito di una società pubblica di progetto; c) produrre servizi strumentali all’ente o agli enti controllanti; d) produrre servizi di committenza a supporto di enti no-profit o di amministrazioni aggiudicatrici. Di rilievo l’art.16, comma 4, che consente agli statuti delle società partecipate dal pubblico di derogare a talune norme del codice civile in tema di s.p.a. e di s.r.l., allo scopo di garantire la natura sostanziale del controllo analogo, valorizzando anche i patti parasociali che – in deroga all’art.2341.bis c.c. – possono avere una durata anche superiore ai 5 anni. La stessa norma prevede il limite di almeno l’80% dell’attività che deve essere spiegata dalla società in house nei confronti della PA affidataria socia (o comunque degli enti pubblici soci), mentre la produzione ulteriore rispetto a tale limite è permessa solo laddove consenta di conseguire economie di scala o comunque recuperi di efficienza rispetto al complesso dell’attività sociale (requisito c.d. dell’attività prevalente). Una disciplina stringente viene prevista laddove il limite della c.d. attività prevalente venga bypassato: si è al cospetto di una grave irregolarità ex art. 2409 c.c., ed entro 3 mesi la società deve o rientrare nell’alveo dell’80% sciogliendo i contratti con soggetti terzi, ovvero rinunciare essa agli affidamenti diretti ricevuti (in veste di <em>in house providing</em>) dalla PA aggiudicatrice. Altra norma di rilievo è l’art.4 che facoltizza le Amministrazioni a costituire direttamente o indirettamente delle società miste, ovvero a manterne le partecipazioni, con lo scopo di realizzare e gestire un’opera pubblica ovvero organizzare e gestire un servizio di interesse economico generale, varando un contratto di partenariato (ex art.10 del decreto legislativo 50.16), purché il socio privato sia scelto con gara, potendo quest’ultima anche essere unica ed avere ad oggetto, contemporaneamente, sia la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del privato vincitore, sia l’affidamento alla società del contratto di appalto o della concessione, quale oggetto esclusivo della società mista coinvolta; la partecipazione privata alla società mista ha una durata che si parametra direttamente a quella dell’appalto o della concessione per il cui affidamento è stata costituita, e non può essere inferiore al 30% del capitale sociale. Ancora, l’art.4 si occupa del problema delle c.d. società “strumentali” rispetto alla <em>mission</em> pubblica della singola Amministrazione, in primo luogo abrogando l’art. 13 del decreto legge n.223.06 (c.d. decreto Bersani), ed in secondo luogo consentendo alle Pubbliche amministrazioni di costituire una società strumentale (o di mantenere la partecipazione nella medesima): si tratta di una società che ha per oggetto l’autoproduzione di beni e servizi strumentali, appunto, rispetto all’ente che la costituisce o la partecipa, ovvero agli enti che la costituiscono o la partecipano, purché si rispettino le condizioni fissate nelle direttive europee in materia di contratti pubblici e nella disciplina nazionale di relativo recepimento; in sostanza, stando all’art.17, laddove una società sia strumentale, non si applica il codice dei contratti pubblici (50.16), ed è definibile come strumentale una società che, pur non atteggiandosi ad organismo di diritto pubblico, sia stata costituita per la realizzazione di lavori od opere, ovvero per la produzione di beni o servizi da non destinarsi al mercato in regime di concorrenza, purché l’eventuale socio privato sia stato scelto con gara e presenti i requisiti di qualificazione richiesti dal codice dei contratti, e purché la società in parola realizzi direttamente l’opera o presti direttamente il servizio in misura che superi il 70% dell’importo relativo, potendosi in questo caso dall’Amministrazione (o dalle Amministrazioni) affidarle direttamente i lavori o i servizi strumentali come se si trattasse di un <em>in house providing</em>. Importante anche l’art.16 del decreto in parola, il cui comma 4 – in ottica sostanzialistica – punta a rendere “<em>effettivo</em>” il requisito del controllo analogo da parte delle Amministrazioni aggiudicatrici sulle società <em>in house</em> attraverso una peculiare disciplina degli statuti di queste ultime: più nel dettaglio, gli statuti delle società <em>in house</em> possono derogare, se trattasi di società per azioni, agli articoli 2380.bis (amministrazione secondo il sistema della governance tradizionale) e 2409.novies (amministrazione secondo il sistema di governance dualistico) del codice civile; se si tratta di società a responsabilità limitata, all’art.2468, comma 3, c.c., potendosi prevedere l’attribuzione di particolari diritti all’ente pubblico socio (o agli enti pubblici soci, ove più di uno); in ogni caso, all’art.2341.bis c.c., potendosi concludere accordi parasociali appositi, anche di durata superiore a 5 anni, proprio al fine di garantire il ridetto “<em>controllo analogo</em>” effettivo. Da non sottovalutare l’art. 1, comma 3, a tenore del quale, per tutto quanto non derogato dalle relative disposizioni, le società a partecipazione pubblica sono disciplinate dalle norme sulle società contenute nel codice civile. In dottrina si segnala come il Testo Unico in parola sia frutto di un lavoro di codificazione complesso che nondimeno, anche attraverso una semplificazione del linguaggio normativo, ha consentito di dare un assetto organico ad una disciplina finora tutt’affatto frammentata; si tratta di un compendio organico di nuove regole che vanno lette, per tale dottrina, impiegando il corredo concettuale proprio di diritto societario “<em>comune</em>” e dunque del diritto privato, al fine non solo di armonizzare categorie giuridiche e discipline, ma anche di non privare le società con socio pubblico dei vantaggi propri dei modelli societari privati (quantunque la preferenza, in via di principio, per l’amministratore unico piuttosto che per un consiglio di amministrazione si palesi opzione normativa discutibile proprio laddove entra in rotta di collisione con questa logica).</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 novembre esce la sentenza della Corte Costituzionale n.251 che dichiara l’illegittimità costituzionale della legge delega n.124.15, tra le altre, anche con riferimento alle norme contenenti la delega al Governo per il riordino della disciplina vigente in tema di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale, delega che incide su una pluralità di materie e di interessi inscindibilmente connessi, riconducibili a competenze statali (ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della finanza pubblica) e regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi pubblici locali e trasporto pubblico locale). La Corte ne dichiara dunque l’illegittimità costituzionale nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, la detta delega prevede che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non è quella dell’intesa, ma quella del semplice parere, non idonea per la Corte a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 dicembre esce la sentenza delle SSSU n. 24591, che – in tema di potere di nomina di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica in regime di <em>in house providing</em> - afferma come il principio di cui alla sentenza delle medesime SSUU 26283/03, secondo cui le società <em>in house</em> costituiscono in realtà mere articolazioni della pubblica amministrazione e quindi necessariamente ne dovrebbero rispettare le regole generali di funzionamento, a cominciare dall’obbligo costituzionale di assumere attraverso pubblici concorsi, non ha una valenza generale che impone l’applicabilità di tutte le regole che disciplinano le pubbliche amministrazioni, essendo piuttosto riferita alla disciplina del riparto di giurisdizione nel caso di azione di responsabilità per danno erariale (laddove entra in gioco, nello in specifico, l’utilizzazione del denaro pubblico).</p> <p style="text-align: justify;">L’8 dicembre esce la sentenza della IV sezione della Corte di Giustizia UE, in causa C-553/15, <em>Undis servizi srl c. Comune di Sulmona</em>, che ribadisce come il requisito soggettivo compendiantesi nella circostanza onde il soggetto cui viene attribuito un affidamento diretto svolge l’”<em>attività prevalente</em>” nei confronti dell’ente o degli enti che lo controllano e che lo beneficiano di tale affidamento diretto ha la finalità di garantire che la Direttiva 2004/18 trovi applicazione anche nel caso in cui un’impresa controllata da uno o più enti sia attiva sul mercato e possa dunque entrare in competizione concorrenziale con altre imprese. Per la Corte, non può assumersi certamente privata della propria libertà di azione una impresa le cui decisioni siano prese dall’ente o dagli enti che la controllano, laddove essa può in realtà svolgere una importante porzione della propria attività economica presso altri operatori; all’opposto, laddove le prestazioni della ridetta impresa siano sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente o agli enti pubblici che la controllano, diventa giustificato il sottrarre tale impresa agli obblighi della Direttiva 2004/18 (con possibilità dunque di affidamento diretto ad essa di un appalto), avendo tali obblighi lo scopo di tutelare la concorrenza secondo una <em>ratio</em> che in simili fattispecie non può invece più dirsi presente; ancora, qualunque attività del soggetto affidatario diretto che sia rivolta a soggetti diversi da quelli che lo controllano, quantunque si tratti di Pubbliche Amministrazioni, deve considerarsi in ogni caso svolta a favore di terzi; secondo la Corte poi, al fine di stabilire se l’ente affidatario diretto svolga la propria attività prevalente a favore degli enti territoriali che ne siano soci e che lo controllino, non va ricompresa in detta attività quella imposta a detto ente da una PA che non ne sia socia a favore di enti territoriali a propria volta non soci e non “<em>controllanti</em>”, trattandosi anche in questo caso di attività svolta in favore di terzi; infine, per la Corte il giudice nazionale – al fine di valutare la presenza del requisito dello svolgimento di “<em>attività prevalente</em>” –è chiamato a prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative che quantitative.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3196, alla cui stregua la scelta del legislatore di consentire alle P.A. l’esercizio di determinate attività mediante società di capitali e, dunque, di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla relativa insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto, attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità. Per la Corte, dall’esistenza di specifiche normative di settore che - negli ambiti da esse delimitati - attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato può ricavarsi, <em>a contrario</em>, che ad ogni altro effetto tali soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica. L’ulteriore precipitato che per la Corte ne discende è che le società partecipate dagli enti pubblici possono fallire in quanto soggetti privati che acquistano la qualità di società commerciale e assumono il rischio di insolvenza sin dalla loro costituzione, affermazione che trova conferma nel Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica il quale, sebbene per la Corte non sia applicabile <em>ratione temporis</em> al caso di specie, assoggetta tutte le partecipate alla legge fallimentare e alla disciplina sulle grandi imprese in stato di insolvenza. Come ha indicato la dottrina di commento, trattasi di pronuncia che consolida l’orientamento pretorio inteso ad assoggettare le società pubbliche alla legge fallimentare prescindendo dal livello di partecipazione pubblica, dall’attività in concreto svolta, dallo scopo perseguito e dalla qualifica di società <em>in house</em>, schierandosi per il carattere generale del c.d. principio di “<em>fallibilità</em>” delle società pubbliche medesime.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 febbraio viene varata la delibera ANAC n.235 con la quale la ridetta Autorità approva le Linee guida n.7 in tema di iscrizione nell’Elenco delle Amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società <em>in house</em>, ai sensi dell’art.192 del decreto legislativo 50.16, nuovo codice dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 marzo esce la sentenza delle SSUU n. 7759 che afferma come le procedure seguite dalle società cosidette <em>in house providing</em> per l’assunzione del personale dipendente appartengono alla giurisdizione del Giudice ordinario. Secondo la Corte è bensì vero che le Sezioni unite stesse, nella precedente sentenza n.26283/13, hanno affermato che le società <em>in house</em> costituiscono in realtà articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi; tuttavia, hanno altresì avuto cura di precisare che siffatta affermazione va intesa ai limitati fini del riparto di giurisdizione con riguardo all’azione di responsabilità per danni arrecati dall’illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della società, che costituiva oggetto di quel giudizio. Il tipo di rapporto che lega gli organi di una società <em>in house</em> all’ente pubblico da cui la società promana è infatti – secondo la Corte - fin troppo simile a quello che intercorre tra la medesima amministrazione ed i propri dipendenti per poter giustificare un diverso regime di responsabilità, quanto alla giurisdizione ed ai riflessi sulle regole che presidiano la responsabilità di quei soggetti. Ciò non implica però, necessariamente, che anche sotto ogni altro profilo l’adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco. Sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta - ove non vi siano specifiche posizioni in contrario o ragioni ostative di sistema - comporti l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato, onde per l’assunzione dei dipendenti il giudice competente è quello ordinario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce la sentenza del Tar Abruzzo, I sezione, n.153 che assume legittima - e non in contrasto con le direttive comunitarie n. 2014/24/UE e n. 2014/23/UE, nonché con le norme di attuazione del nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 50 del 2016 - la clausola del bando di una procedura ristretta, indetta da un Comune per la selezione del socio privato e partner industriale, cui affidare la gestione del servizio di igiene ambientale e di altri servizi, nella parte in cui prevede l’espresso divieto per i concorrenti di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento; secondo il Tar Abruzzo, alla luce di un’interpretazione coordinata delle disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici, deve ritenersi esclusa la possibilità di applicare l’istituto dell’avvalimento alle gare indette ai sensi dell’art. 179 del d.lgs. n. 50/2016 nell’ambito del partenariato pubblico privato, quale appunto quella indetta per la selezione del socio operativo di una società mista affidataria di un servizio pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1894 onde, in tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del GA le controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con la quale un ente pubblico delibera di costituire una società o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa, mentre sono attribuite alla giurisdizione del GO le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, tali atti rimanendo interamente soggetti alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito. Ne consegue, per il Collegio, che appartengono alla giurisdizione ordinaria le domande relative alla validità ed efficacia della costituzione della società mista pubblico-privata, nonché all’acquisizione, da parte del socio privato minoritario, del 49% delle azioni della società stessa, mentre appartengono al GA le controversie aventi ad oggetto la procedura di selezione del socio privato, la conseguente aggiudicazione, nonché quella relativa all’affidamento della gestione del servizio. Rientra poi, sempre per il Collegio, nella giurisdizione del G.O. una controversia relativa alla scelta dell’ente pubblico di dismettere l’intero pacchetto pubblico di una società mista, atteso come tale scelta costituisca una “<em>scelta a valle</em>” del modello societario, anche considerato che, per effetto di essa, il soggetto pubblico si ritrae completamente dalla vicenda lasciandovi solo soggetti privati, per cui non si pongono problemi di selezione pubblicistica di un socio destinato a usufruire della collaborazione privilegiata con il soggetto pubblico, come accade invece nella fase iniziale di scelta del partner privato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Toscana n.745 alla cui stregua le controversie relative alle procedure selettive indette dalle società “<em>in house</em>” per l’assunzione di personale dipendente rientrano nella giurisdizione del GO. Di quello stesso giorno anche la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.2533 alla cui stregua anche le impugnazioni di affidamenti <em>in house</em> di contratti pubblici di lavori servizi e forniture sono soggette al c.d. “<em>rito appalti</em>” di cui agli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 del codice del processo amministrativo, con il corollario del dimezzamento del termine per proporre il ricorso di primo grado, ai sensi del comma 5 dell’art.120 c.p.a.. Ancora, sempre di quel giorno è il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, n.1257 che ha ad oggetto lo schema di Linee guida ANAC di aggiornamento per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno viene varato il decreto legislativo n.100, che reca disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno esce la sentenza della sezione II ter del Tar Lazio n.7254 alla cui stregua va dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione del GA, un ricorso proposto per ottenere l’annullamento del silenzio serbato sulla diffida ad adempiere per la pubblicazione degli esiti di una procedura selettiva interna per l’assunzione di personale e, in particolare, della graduatoria integrale e definitiva relativa a tale selezione interna, nel caso in cui si tratti di selezione esperita da un società <em>in house</em> (nella specie, l’ATAC spa di Roma), in materia di controversie relative alle procedure di assunzione di personale alle dipendenze di società c.d. <em>in house providing</em> dovendo assumersi sussistere la giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3554 onde <em>in primis</em> – stante l’abrogazione referendaria dell’art. 23 <em>bis</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/1572">del decreto legge n. 112/2008</a> e la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4 del decreto legge n. 238/2011 - è da assumersi venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello <em>in house</em> per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, secondo un percorso nel quale si inserisce a pieno titolo anche l’art. 34 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 197, laddove ha fatto venire meno ulteriori limitazioni all’affidamento <em>in house</em>, siccome in precedenza contenute nell’art. 4, comma 8 del predetto decreto legge n. 238 del 2011. Ne consegue per il Consiglio di Stato che l’affidamento di servizi pubblici ad una società <em>in house</em> ha natura ordinaria e non eccezionale e, ricorrendone i presupposti, la relativa decisione dell’amministrazione, laddove motivata, sfugge al sindacato di legittimità del GA rientrando nel merito amministrativo, salva l’ipotesi di macroscopico travisamento dei fatti o di illogicità manifesta. Sotto altro e differente profilo, per il Collegio nel caso di affidamento <em>in house</em> conseguente all’istituzione da parte di più enti locali di una società di capitali da essi interamente partecipata, il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella relativa totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente pubblico partecipante. Vengono poi dal Collegio riassunti i requisiti dell’<em>in house</em> onde, nel caso di affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società <em>in house</em>, sussistono tutti i presupposti di cui all’art. 12 della già Direttiva 2014/24/UE, nel caso in cui vi sia: a) la totale partecipazione pubblica del capitale della società incaricata della gestione del servizio, non essendo consentito (se non entro rigorosi limiti legalmente scolpiti) l’apporto di capitali privati; b) la realizzazione, da parte della suddetta società, della parte preponderante della propria attività con gli enti controllanti; c) il controllo analogo sulla società partecipata da parte dei medesimi enti (cd. controllo frammentato, ovvero congiunto). Di quello stesso giorno anche l’ordinanza delle SSUU n.17705 alla cui stregua, in materia di società per azioni partecipata da un ente locale, la revoca dell’amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell’art. 2449 cod. civ., può essere da lui impugnata presso innanzi al GO, e non già innanzi al GA, trattandosi di atto “<em>uti socius</em>”, non “<em>jure imperii</em>“, compiuto dall’ente pubblico “<em>a valle</em>” della scelta di fondo per l’impiego del modello societario, ogni dubbio dovendo intendersi risolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale in senso privatistico di cui all’art. 4, comma 13, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2338">decreto legge 6 luglio 2012, n. 95</a> (convertito in <a href="http://www.lexitalia.it/n/2353">legge 7 agosto 2012, n. 135</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Piemonte n.886, alla cui stregua va accolto un ricorso proposto innanzi al G.A. da un ex dipendente di una società di servizi a controllo pubblico, destinatario di un provvedimento di licenziamento, tendente ad ottenere il riconoscimento del diritto di accesso “<em>civico</em>” <em>ex </em><a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">D. L.vo 14 marzo 2013 n. 33</a> nei confronti delle deliberazioni del consiglio di amministrazione della società stessa (da una determinata data sino all’attualità); ciò in quanto gli atti organizzativi e gestionali di una società a controllo pubblico e i dati ivi contenuti sono <em>ex lege</em> soggetti a trasparenza e dunque, per l’appunto, ad accesso civico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 agosto esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4030, alla cui stregua devono assumersi illegittimi gli atti con i quali un Comune ha affidato direttamente un servizio pubblico (nella specie, il ciclo integrato dei rifiuti) ad una società a partecipazione integralmente pubblica di cui il Comune detiene circa il 16 % del capitale, nel caso in cui difetti il requisito dell’attività prevalente in capo alla società affidataria del servizio suddetto, stante la rilevante quota di attività svolta dalla società additata come “<em>in house</em>” in favore di enti pubblici non soci.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n.1940 sulle Linee guida ANAC per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società <em>in house</em>, previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4248 onde rientra nelle giurisdizione del GA una controversia relativa ad una deliberazione con la quale la Giunta della Regione Calabria ha disposto la revoca per giusta causa – ai sensi dell’art. 20, comma 6, della legge regionale 11 gennaio 2006, n. 1 – di alcuni componenti del consiglio di amministrazione di una società a partecipazione maggioritaria della Regione, avente come obiettivo statutario di concorrere, nel quadro della politica di programmazione economica della Regione, allo sviluppo economico e sociale della Calabria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 settembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.21299 che ribadisce come lee società per azioni con partecipazione pubblica non mutano la loro natura di soggetti di diritto privato solo perché la P.A. ne possegga – in tutto o in parte – le azioni, il rapporto tra società ed ente locale palesandosi di assoluta autonomia, ed al soggetto pubblico non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, potendo solo avvalersi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi della società. La Corte ne trae il corollario onde sono attribuite alla giurisdizione del GO le controversie aventi ad oggetto le vicende concernenti la revoca degli amministratori di società per azioni di cui la P.A. sia anche unico socio, costituendo gli atti impugnati espressione non già di potestà amministrativa quanto piuttosto dei poteri alla medesima dalla legge attribuiti e trasfusi nello Statuto della società per azioni, e quindi manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica, sicché la posizione soggettiva degli amministratori revocati – i quali non svolgono né esercitano un pubblico servizio – è configurabile in termini di diritto soggettivo, dovendo peraltro escludersi la riconducibilità di detta controversia al novero di quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del GA dall’art. 33 <a href="http://www.lexitalia.it/n/180">d.lgs. n. 80 del 1998</a>, novellato dall’art. 7 <a href="http://www.lexitalia.it/n/124">L. n. 205 del 2000</a>, dacché si è al cospetto di atti compiuti <em>uti socius</em>, e non già <em>iure imperii</em>, “<em>a valle</em>” della scelta di fondo per l’impiego del modello societario, anche quando trattasi di società c.d. “<em>in house providing</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4551, alla cui stregua - in conformità a quanto ritenuto di recente dalle Sez. Unite della Cassazione - va affermata la giurisdizione del GO in materia di controversie relative alle procedure di assunzione di personale alle dipendenze di società c.d<em>in house providing</em> come appunto nel caso di specie in cui viene gravato un avviso pubblico indetto da una società “<em>in house</em>” per la selezione di vari profili professionali, gli atti concorsuali eventualmente già intervenuti e le relative graduatorie.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 ottobre esce la sentenza del Tar Molise n.331 onde - in materia di atti adottati dalla P.A. per la partecipazione in società private, e come peraltro affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.10/11 - rientrano nella giurisdizione del GA gli atti prodromici all’adozione delle delibere societarie che maturano all’interno della sfera giuridica dell’ente pubblico azionista, atteso che tali atti prodromici vanno - sul piano logico, cronologico e giuridico - tenuti nettamente distinti dai successivi atti negoziali, sempre imputabili all’ente pubblico, con cui l’ente, esercitando la propria capacità di diritto privato, pone in essere un atto societario (costituzione di una società, acquisto o vendita di quote societarie, modifica o scioglimento di una società); simili atti prodromici attengono per il TAR al processo decisionale che alfine si esterna nel compimento di un negozio giuridico societario, e proprio in quanto tali sono appannaggio del Giudice amministrativo. Sempre per il Tar si configura una posizione legittimante in capo al socio privato di una società a partecipazione pubblica nel caso di impugnazione della determinazione posta a monte con cui l’Ente pubblico decide di pervenire all’aumento del capitale, invocando un interesse pubblico che, invece, il socio privato nella fattispecie ritiene insussistente ravvisandovi piuttosto il solo intendimento di escluderlo dalla compagine societaria per consentire all’Ente pubblico di esercitare un potere incontrastato nella gestione della società partecipata, in simili ipotesi la legittimazione attiva del socio privato non potendo essere esclusa sul presupposto che il socio stesso non abbia partecipato alla sottoscrizione dell’aumento del capitale, determinandosi così la relativa estromissione dalla compagine sociale. Il Tar conclude nel senso onde è illegittima la delibera con la quale un Ente pubblico (nella specie Regione Molise) stabilisce di dare disponibilità e mandato alla ricapitalizzazione societaria fino alla ricostituzione del capitale sociale, in conformità alla legge regionale n. 16/2010, eventualmente anche a titolo totalitario, di una società mista (nella specie, lo Zuccherificio del Molise S.p.A.) per finalità di salvaguardia della struttura produttiva regionale e dell’occupazione, violando tale delibera l’art. 3, comma 27, della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1469">legge n.244</a>.07 che non consente alle Amministrazioni pubbliche di procedere alla costituzione o di mantenere partecipazioni che abbiano per oggetto “<em>la produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, in causa C-567/15, alla cui stregua l’art. 1, paragrafo 9, secondo comma, della Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal Regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, deve essere interpretato nel senso che una società che, da un lato, è detenuta interamente da un’Amministrazione aggiudicatrice la cui attività consiste nel soddisfare esigenze di interesse generale e che, dall’altro, effettua sia operazioni per tale amministrazione aggiudicatrice sia operazioni sul mercato concorrenziale, deve essere qualificata come «<em>organismo di diritto pubblico</em>» ai sensi di tale disposizione, purché le attività di tale società siano necessarie affinché detta amministrazione aggiudicatrice possa esercitare la propria attività e, al fine di soddisfare esigenze di interesse generale, tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare, non incidendo a tale riguardo il fatto che il valore delle operazioni interne possa in futuro rappresentare meno del 90%, o una parte non essenziale, del fatturato totale della società.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce la sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE nella Causa C-413/15 che estende la portata degli effetti diretti delle direttive anche alle società <em>in house</em>. Afferma infatti la Corte che le disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva sono invocabili dagli amministrati non soltanto nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua amministrazione, quali gli enti territoriali, ma anche nei confronti di organismi o enti soggetti all’autorità o al controllo dello Statoo che dispongono di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli. Le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto sono dunque opponibili a un organismo di diritto privato cui sia stato demandato da uno Stato membro un compito di interesse pubblico e che, a tal fine, disponga per legge di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.4902, alla cui stregua deve assumersi che il ricorso all’<em>in house providing</em> non abbia natura eccezionale; per il Collegio infatti: a) stante l’abrogazione referendaria dell’art. 23 <em>bis</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/1572">del decreto legge n. 112/2008</a> e la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4 del decreto legge n. 238/2011, è venuto meno il principio, in tali disposizioni cristallizzato, della eccezionalità del modello <em>in house</em> per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; con l’art. 34 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 197, sono poi venute meno le ulteriori limitazioni all’affidamento <em>in house</em>, contenute nell’art. 4, comma 8 del ridetto decreto legge n. 238 del 2011; b) la decisione dell’Amministrazione di fare ricorso a tale tipo di affidamento, ove motivata, sfugge al sindacato di legittimità del GA facendo luogo a merito amministrativo, salva l’ipotesi di macroscopico travisamento dei fatti o di illogicità manifesta; c) va tenuta ben presente la chiara dizione del quinto “<em>considerando</em>” della Direttiva 2014/24/UE, laddove si ricorda che “<em>nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva</em>”. Ne consegue per il Collegio, con riguardo al caso di specie, che deve assumersi legittima la determinazione di una AUSL con la quale si è proceduto all’affidamento <em>in house </em>ad una società di un servizio pubblico (nella specie, il servizio triennale - eventualmente rinnovabile per ulteriori tre anni - inerente la registrazione dei dati contenuti nelle ricette di prescrizione farmaceutica, il controllo contabile delle fatturazioni e delle distinte contabili emesse dalle farmacie convenzionate, la registrazione e l’elaborazione statistica dei dati ricavabili dalle ricette con prescrizione farmaceutica per l’AUSL), ove sussistano i presupposti di cui all’art. 12 della Direttiva 2014/24/UE e dell’art. 5, comma 5, <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">del decreto legislativo n. 50/2016</a>, e cioè: a) la totale partecipazione pubblica del capitale della società incaricata della gestione del servizio; b) la realizzazione, da parte della suddetta società, della parte preponderante della propria attività con gli enti controllanti; c) il controllo analogo (anche nella forma del cd. controllo congiunto) sulla società partecipata da parte dei medesimi enti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 ottobre viene pubblicata la Segnalazione congiunta di 3 Autorities, AGCM, ANAC e ART (Autorità di Regolazione dei Trasporti), riguardante le procedure per l’affidamento diretto dei servizi di trasporto ferroviario regionale, con la quale si procede nella sostanza a modificare l’interpretazione fino ad ora più accreditata del Regolamento Ce n. 1370/2007 in tema appunto di affidamento di servizi di trasporto ferroviario regionale, assumendo residuale l’affidamento diretto (o <em>in house</em>) di tali servizi e consentendo ai terzi interessati di presentare offerte anche quando la PA affidante abbia escluso la procedura di gara. La dottrina di commento segnala come tale “<em>segnalazione</em>” si proponga finalità di tipo “<em>normativo</em>”, chiedendosi se sia concretamente esercitabile dalle 3 Autorità indipendenti un simile potere, laddove esso reca per l’Italia un’ermeneusi - maggiormente orientata alla concorrenza - di un Regolamento europeo <em>self executing</em> che continua ad essere applicato negli altri Stati membri in modo meno “<em>market oriented</em>”, chiedendosi se la pur auspicabile maggiore apertura alla concorrenza nel settore di riferimento (servizi di trasporto ferroviario regionale) non debba essere promossa a livello normativo europeo, anche al fine di garantire maggiore uniformità di applicazione sul territorio continentale di riferimento e nel mercato interno.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5074 alla cui stregua sussiste la giurisdizione del GO per le controversie relative alle procedure seguite dalle società cosiddette <em>in house providing</em> per l’assunzione di personale dipendente, simile principio trovando conferma nell’art. 19 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3237">T.U. sulle società pubbliche 19 agosto 2016 n. 175</a>, laddove esso ribadisce i principi della normativa del 2008 in ordine al reclutamento del personale da parte delle società a controllo pubblico; viene richiamato dal Consiglio di Stato, in particolare, il comma 4 dell’art. 19 laddove prevede che: “<em>Resta ferma la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5176 in tema di diritto di accesso dei consiglieri regionali. Per il Collegio, <em>in primis</em>, il diritto di accesso previsto dall’art. 43, comma 2, del D.Lgs. n. 267 del 2000 in favore dei consiglieri comunali non può estendersi anche alle società partecipate dal Comune in forma minoritaria, tanto più quando tali società non svolgano attività di gestione di servizi pubblici, la norma in questione espressamente prevedendo tale diritto di accesso in relazione alle attività delle aziende comunali, situazione non predicabile nel caso di società di cui l’Ente pubblico possiede una partecipazione minoritaria. Precisa poi il Consiglio di Stato che non sussiste il diritto di un consigliere regionale di accedere agli atti di una società partecipata in misura minoritaria dalla Regione e che comunque non svolge un servizio pubblico (nella specie, la Arexpo s.p.a., partecipata in misura minoritaria dalla Regione Lombardia), atteso che in tal caso la società stessa non può ritenersi “<em>dipendente</em>” dalla Regione, non possedendo quest’ultima una partecipazione maggioritaria e non svolgendo la società partecipata un servizio pubblico, onde l’accesso richiesto non può trovare giustificazione in relazione alla pretesa cura dell’interesse pubblico connesso al mandato conferito al consigliere regionale ai fini del controllo del comportamento complessivo dell’ente (ed in funzione del pertinente interesse pubblico da perseguire).</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5330, alla cui stregua l’art. 6, comma 4, del decreto legge n. 537 del 1993 - applicabile <em>ratione temporis</em> alla fattispecie scandagliata, ma abrogato dall’articolo 256 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/1686">D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163</a>, con decorrenza 1° luglio 2006 - secondo il quale “<em>tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo…” </em>che <em>“…viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6” deve assumersi essere stato operativo, ai sensi del relativo comma 1, solo al cospetto di Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni e integrazioni, non potendo dunque trovare applicazione anche a società (come Poste Italiane p.a.) a totale o parziale partecipazione pubblica, le quali non rientrano nel novero delle PPAA, così come definite dall’art. 1, comma 2, ridetto.</em></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Tar Campania, n.5901, che giudica illegittimo per difetto di motivazione il diniego di accesso civico opposto in merito ad una istanza ostensiva, avanzata <em>ex</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">decreto legislativo n. 33 del 2013</a> e tendente ad acquisire documenti ed informazioni concernenti la presenza sul luogo di lavoro di un dipendente a tempo indeterminato di una società a partecipazione pubblica e, in particolare, ai dati ed ai fogli di presenza e/o a corrispondenti strumenti, anche informatici, di rilevazione delle presenze sul luogo di lavoro, in quanto atti pubblici, relativi ad un determinato arco temporale, laddove tale diniego sia motivato con esclusivo riferimento alla opposizione del dipendente interessato; per il Tar la documentazione dalla quale emergono i rilevamenti delle presenze del personale in servizio rientra proprio nell’ambito della possibilità di controllo sul perseguimento da parte di un dato ente delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo da parte del medesimo delle risorse pubbliche, finalizzato alla partecipazione al dibattito pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 3566 alla cui stregua a rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, costituendo questione di massima di particolare importanza, la questione se la volontà contrattuale delle aziende speciali partecipate dallo Stato o dagli enti pubblici debba (o meno) essere necessariamente trasfusa in forma scritta, come è predicabile per quella delle Amministrazioni pubbliche tradizionali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio esce la sentenza della II sezione del Tar Calabria n.496, alla cui stregua in caso di <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=3%3dCaRRG%26H%3dLY%26z%3dXOTHc%260%3dQCaNUJ%26Q%3d3J6L_Cqev_N1_4wnp_DB_Cqev_M69SH.4uN4J6Kz7uQDJuV41.uP_Cqev_M6zAHI_4wnp_DBLV_4wnp_DBUZLfUXJWRZ_4wnp_DBa1xH4CqJEE_pA7Bm_O03uAE1_uJ_3E7Oz_G7775_sEF4u9z_FqN_7_1BE0Dq_N4ImNx96KC9m_0zB_oNz4uP0Hq_E9I10y95BvJ6K.3JyH_Cqev_N67P8_I1QC3q_Nlsb_Yydqm_959O756PzH_4wnp_DbFJy_Iz4uQ8_Hcyk_SpA81uH_C1m7vqev_MV7P8_3mIA1uC9_Hcyk_Spjzg%26p%3d%26ED%3dSFdPR">fallimento di società <em>in house</em>, l’eventuale azione risarcitoria del creditore insoddisfatto</a> va spiccata innanzi al <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=7%3d2ZOV6%26G%3dIc%26o%3dWLX7b%267%3dU2ZKY9%26P%3dzNuK_0uTu_K5_svkt_3A_0uTu_J0xRE.8jM1NuJwAjPANjU15.jO_0uTu_J0o0EM_svkt_3AIZ_svkt_3ARdAeRb9VOd_svkt_3AX5mG1GfIBI_e04Fb_N77j0B5_jI_zIvNw_Kv649_hDC8j8w_JfM_4_51D7Hf_M1MbMuCuJ0Cb_9wF_dMw8jO7Lf_D6Mp9vCtAsNuJ.zNnG_0uTu_K0vO5_MpP07f_MiwQ_Xvhfl_69xN49uOwL_svkt_3aCNn_Hw8jP5_LRxh_We055jG_05b6suTu_JZvO5_7bH85jB6_LRxh_Weiwk%26e%3d%26DA%3dW5cMV"> al G.O., la s.p.a. con partecipazione pubblica non mutando la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché la P.A. ne possiede - in tutto o in parte - le azioni: si configura un rapporto di assoluta autonomia tra natura pubblica del soggetto titolare del pacchetto azionario e regime applicabile, al soggetto pubblico non essendo consentito incidere unilateralmente sull'attività sociale giusta esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, potendo esso solo avvalersi degli strumenti previsti dal diritto societario.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 marzo esce la sentenza della Sezione Giurisdizionale della Lombardia della Corte dei Conti n. 49 che ricorda come, dopo l’intervento nomofilattico della Cassazione, la Corte dei conti ha giurisdizione sul danno arrecato da amministratori di società a partecipazione pubblica solo in caso di danno direttamente arrecato al valore delle quote dei soci pubblici o se il danno sia stato arrecato al patrimonio di società <em>in house</em>. La giurisdizione contabile affronta quindi: a) la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico che sia stato danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente (es.in caso di danno all’immagine, o in caso di perdita di valore della quota di partecipazione dei soci pubblici); b) la responsabilità di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così pregiudicando il valore della partecipazione. Ciò che ben può accadere quando il socio pubblico, in presenza di atti di <em>mala gestio</em> imputabili agli amministratori o agli organi di controllo della società partecipata, trascuri ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della partecipazione.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di società <em>in house</em>, chiarisce la Corte, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 agosto esce la sentenza delle SU della Cassazione n. 20684 onde, in dipendenza della natura imprenditoriale dell'attività svolta dall'azienda speciale di ente territoriale e della sua autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'ente di riferimento, l'azienda stessa, pur appartenendo - se non altro a diversi ed ulteriori fini e rimanendo soggetta ai controlli ed alle altre forme di funzionalizzazione agli scopi istituzionali dell'ente di riferimento espressamente previsti - al sistema con il quale la pubblica amministrazione locale gestisce i servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni ed attività rivolte a soddisfare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, non può qualificarsi, ai fini della normativa sulla forma dei contratti di cui agli artt. 16 e 17 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, pubblica amministrazione in senso stretto; con la conseguenza che per i suoi contratti, salva l'applicazione di speciali discipline per particolari categorie, non è imposta la forma scritta <em>ad substantiam</em>, né sono vietate la stipula <em>per facta concludentia </em>o mediante esecuzione della prestazione ex art. 1327 cod. civ., ma vige, al contrario, il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte chiarisce che l'azienda speciale si definisce quindi l'ente strumentale dell'ente pubblico territoriale, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto (approvato dal consiglio dell'ente territoriale), istituito per la gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto, nell'ambito delle competenze dell'ente territoriale stesso, la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.</p> <p style="text-align: justify;">Dopo un ampia ricostruzione storica dell’azienda speciale, la Corte afferma come questa oggi sia una figura a struttura composita o ibrida, caratterizzata dall'evidente compresenza e dalla reciproca interazione di elementi marcatamente pubblicistici e pienamente privatistici: in particolare, dalla coesistenza della stretta funzionalizzazione agli scopi dell'ente locale, attuata però in forme indirette o di controllo generale e mai con immediato intervento sulle scelte di politica economica ed imprenditoriale e meno che mai sui singoli atti di gestione di questa, con l'autonomia derivante non solo dall'evidente alterità soggettiva rispetto all'ente locale, ma soprattutto dalla libertà - almeno originaria e tendenziale - di quelle scelte, propria di ogni imprenditore in quanto tale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 settembre esce l’ordinanza delle SU della Cassazione n. 22406 onde, in caso di fallimento di una società in house, l’azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione, esercitata dal curatore ex art. 146, comma 2, l.fall., appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario senza che ciò ostacoli un possibile concorso della giurisdizione contabile. Invero, pur riguardando i medesimi fatti, la proposizione delle due azioni non viola il principio del <em>ne bis in idem</em>, stante la diversità di oggetto e di funzione tra i due giudizi.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre esce il parere della I sezione del Consiglio di Stato n. 2583 che, dopo aver ribadito le note definizioni di società <em>in house</em> e i relativi requisiti, afferma che anche se la normativa comunitaria e nazionale non fissa per le società <em>in house</em> una soglia per i soci privati di minoranza, occorre considerare con particolare attenzione la scelta di consentire al capitale privato giungere alla soglia del 33,3%, valutando l’opportunità di non raggiungere tale livello (pur non essendo la stessa espressamente vietata).</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce la sentenza della I sezione del TAR Abruzzi – Pescara n. 357 che riconosce la legittimità dell’affidamento della gestione di un bene pubblico ad una società interamente pubblica senza una procedura di gara. Nel caso di specie, infatti: a) la gestione di tale impianto sportivo può essere effettuata dall’amministrazione competente anche in forma diretta, oltre che mediante affidamento a terzi individuati con procedura selettiva; b) l’affidamento a una società in house totalitaria dell’Ente pubblico realizza proprio una forma di gestione diretta al pari dell’uso di un proprio organo o servizio interno, poiché non v’è alcuna apertura al mercato né per la scelta del socio né per la scelta dell’affidatario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 gennaio esce l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n. 138 che rimette alla Corte di Giustizia UE le seguenti questioni pregiudiziali:</p> <p style="text-align: justify;">1) se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, approvato con <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. n. 50 del 2016</a>) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: a) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché b) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento.</p> <p style="text-align: justify;">2) se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’art. 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina nazionale (come quella dell’art. 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate, approvato con <a href="http://www.lexitalia.it/n/3237">d.lgs. n. 175 del 2016</a>) che impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluripartecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipate.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio esce la sentenza delle SU della Cassazione n. 332 che riconosce la giurisdizione del GO nelle controversie riguardanti la contestazione della legittimità degli esiti della procedura di gara, volta ad individuare i contraenti per lo svolgimento dell’attività di bar ristorazione da stipularsi da parte del concessionario del trasporto locale, con riguardo agli immobili commerciali concessi ad una società <em>in house</em> dall’Ente controllante detta società. Secondo la Corte, infatti, il rapporto tra l’Ente concedente e la società concessionaria non ha alcun rilievo per il terzo contraente vincitore della gara, che resta del tutto estraneo al primo accordo, che ne costituisce un mero presupposto e, pertanto, il rapporto tra il concessionario e il terzo si risolve in un contratto di diritto privato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 gennaio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 412 che, stante la particolare natura di Poste Italiane, ha riconosciuto legittimo il diniego di accesso ad atti relativi al fascicolo personale di un dipendente in quanto ha ritenuto tali dati estranei a profili relativi alla gestione del servizio pubblico o ad aspetti di rilevanza pubblicistica del rapporto di lavoro, o relativi ad una procedura selettiva di accesso, laddove il diritto di accesso ai documenti è esercitabile dai dipendenti della società Poste Italiane s.p.a. limitatamente alle prove selettive di accesso, alla progressione in carriera ed ai provvedimenti di auto-organizzazione degli uffici, incidenti in modo diretto sulla disciplina, di rilevanza pubblicistica, del rapporto di lavoro.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della III sezione del TAR Sicilia – Catania n. 567 che, ritenendo una società aereoportuale come Gestore di un pubblico servizio, riconosce la propria giurisdizione su una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso pubblico indetto per la individuazione di operatori economici da invitare ad una procedura per la sub concessione di aree e locali da destinare ad attività di noleggio auto senza conducente di un aeroporto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° aprile esce la sentenza della I sezione del TAR Lombardia – Brescia n. 293 che riconosce la giurisdizione del GO in una controversia relativa all’impugnazione dell’esclusione da una gara indetta da una società soggetta a direzione e controllo da parte di CDP in quanto non rileva nel caso di specie gli elementi per poter qualificare l’appaltante un organismo di diritto pubblico alla luce del mercato di riferimento e delle modalità operative e di gestione di detta società.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 2275 che si allinea a numerosi precedenti conformi nel ritenere che l’Amministrazione sia libera di scegliere il modello di gestione del servizio pubblico locale, purché illustri la propria scelta in modo compiuto e ancorato agli specifici elementi del caso concreto, essendo peraltro richiesto un onere motivazionale rafforzato e più incisivo solo nel caso in cui si opti per l’affidamento diretto mediante in house.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 maggio esce il parere della Sezione Consultiva Atti Normativi del Consiglio di Stato n. 1433 sulla forma giuridica delle Università non statali. Secondo i magistrati amministrativi, le Università non statali possono, ad oggi, acquisire la forma di società di capitali, non potendo l’organo consultivo disegnare un ulteriore tipo speciale di società di capitali, caratterizzato da particolari limitazioni che non siano quelle già previste dalla legislazione vigente; ferme restando, dunque, come è ovvio, tutte le limitazioni e le caratterizzazioni – finalistiche, funzionali, strutturali, organizzative, gestionali – nascenti dalla disciplina di settore, dal regio decreto n. 1592 del 1933 fino alla legge n. 240 del 2010 e annessi decreti delegati – che ineriscono e sono immanenti all’Università degli studi in quanto tale, eventuali altre limitazioni e caratterizzazioni (ad esempio, l’esclusione ex ante di ogni contribuzione pubblica, oppure l’obbligo di collocarsi nell’ambito della tipologia delle società benefit o di porsi come impresa sociale o altro ancora) dovranno, se del caso, essere deliberate e introdotte nell’ordinamento giuridico dalla legge, nel rispetto dell’art. 33, ultimo comma, della Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 maggio esce la sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale n. 16 che interviene sulla definizione di “controllo” delle società pubbliche.</p> <p style="text-align: justify;">L'art. 2, lettera m), del TUSP, definisce ""società a controllo pubblico" le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)"e quest'ultima a sua volta definisce come ""controllo": la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile" e precisa inoltre che "Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo".</p> <p style="text-align: justify;">Rileva il Collegio l'impossibilità che il consenso unanime degli enti pubblici sia sufficiente per le "decisioni finanziarie e gestionali strategiche" e la circostanza che tutti i soci pubblici - pur volendo convergere verso una logica di riduzione dell'apparato amministrativo - non dispongano degli strumenti statutari per operare la riduzione del numero dei consiglieri senza il consenso del socio privato, ne costituisce la controprova.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto all'art. 2359 cod. civ. si osserva che le tre ipotesi ivi previste sono il cosiddetto controllo "di diritto" ("società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria"), quello cosiddetto di fatto ("le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria") e quello cosiddetto esterno ("società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa").</p> <p style="text-align: justify;">Né si potrebbe configurare il c.d "controllo pubblico congiunto", ipotizzando una pluralità di enti controllanti.</p> <p style="text-align: justify;">Al Collegio è noto l'orientamento giurisprudenziale formatosi antecedentemente all'emanazione del TUSP in relazione alla nozione pubblicistica di "controllo congiunto" (Cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 4 giugno 2014, n.1801) elaborata sulla scorta delle Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 rispettivamente sugli appalti pubblici e sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali che - secondo il Consiglio di Stato "va calata all'interno della fattispecie civilistica di controllo societario, affinché possa dirsi integrato il controllo sulla società da parte di una pluralità di soggetti pubblici, ciascuno dei quali non si trovi in alcuna delle situazioni contemplate dall'art. 2359 c.c.".</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, detta interpretazione giurisprudenziale estensiva delle disposizioni dell'art. 2359 che, invero, configura ben individuate ipotesi di controllo, operato da una società nei confronti di un'altra società, non viene condivisa alla luce delle successive norme di diritto positivo contenute nel TUSP che, ad avviso del Collegio, circoscrivono in modo più rigoroso la nozione di "controllo pubblico".</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, l'art. 2, lett. b), al fine della configurabilità della nozione di "controllo", introduce un'altra fattispecie, estranea alla nozione civilistica ex art.2359, affermando che "può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo"; la successiva lettera m) dello stesso articolo rimanda per la definizione di "società a controllo pubblico" alle seguenti ipotesi: 1) la situazione descritta all'art.2359 c.c., che si verifica allorquando una società pubblica esercita il controllo di diritto in un'altra società, ovvero il controllo di fatto o contrattuale; 2) la situazione in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano il controllo ai sensi della lett. b), ovvero, quando in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali le decisione strategiche per la vita sociale richiedano il consenso unanime delle amministrazioni pubbliche che esercitano il controllo.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio ritiene che dalla lettura di siffatte disposizioni possano evincersi due rilevanti conseguenze, ai fini del giudizio di cui è causa: la prima attiene alla inapplicabilità delle disposizioni dell'art.2359 c.c., che in modo chiaro ed univoco individua fattispecie tipiche di controllo operato da una società nei confronti di un'altra società; la seconda è che la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di "comportamenti univoci o concludenti" ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie a da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.</p> <p style="text-align: justify;">Viene altresì sottolineato che nel TUSP non viene mai utilizzata l'espressione "controllo congiunto" (coniata dalla giurisprudenza amministrativa e che evoca la possibilità di accordi più o meno formali tra pubbliche amministrazioni) mentre è previsto il "controllo analogo congiunto" che si realizza tutte le volte in cui "l'amministrazione esercita congiuntamente ad altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi": laddove il legislatore avesse voluto intendere analoga modalità di azione fra pubbliche amministrazioni avrebbe usato identica terminologia.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, sotto il profilo normativo, nessuna disposizione prevede espressamente che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle partecipazioni in modo associato e congiunto: l'interesse pubblico che le stesse sono tenute a perseguire, infatti, non è necessariamente compromesso dall'adozione di differenti scelte gestionali o strategiche che ben possono far capo a ciascun socio pubblico in relazione agli interessi locali di cui sono esponenziali.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza della III sezione del TAR Lazio n. 8341 che ribadisce il principio oramai incontestato che la RAI è tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, salve le relative specifiche deroghe ed eccezioni.</p> <p style="text-align: justify;">È stato precisato dalla Corte di Cassazione che "poiché la RAI è un'impresa pubblica (sotto forma societaria, in cui lo Stato ha una partecipazione rilevante) operante nel settore dei "servizi" pubblici di telecomunicazioni radio e televisive in concessione, assoggettata, ai poteri di vigilanza e di nomina da parte dello Stato e costituita per soddisfare finalità di interesse generale, essa deve essere qualificata come "organismo di diritto pubblico" tenuto ad osservare le norme comunitarie di evidenza pubblica, nonché le rispettive norme interne attuative, per la scelta dei propri contraenti in tutti gli appalti di valore eccedente le soglie indicate per i servizi di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 158 del 1995 (ad eccezione delle sole procedure per l'aggiudicazione di appalti che siano relativi specificamente a servizi di radiodiffusione e televisione - settore "escluso" dalla Direttiva 92/50/CEE del 18 giugno 1992)", con le relative conseguenze in ordine alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 33, lett. d) del D.Lgs. n. 80 del 1998 come sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. a) della L. n. 205 del 2000 (cfr. Corte di Cass. S.U. 23.4.2008 n. 10443).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 luglio esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18270 che, richiamando il precedente del 2017 n. 7759, ricorda che se è vero che le società in house costituiscono in realtà articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi, siffatta affermazione va intesa ai limitati fini del riparto di giurisdizione che, in quel giudizio, riguardava l'azione di responsabilità per danni arrecati dall'illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della società. Ciò non implica che, anche sotto ogni altro profilo, l'adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco: "<em>sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche di posizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l'applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato</em>" (così Cass. n. 7759/2017, cit.).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 luglio esce la sentenza della sezione giurisdizionale per la regione Lombardia della Corte dei Conti n. 196 che afferma, in base all'art. 12, co1, t.u. 19 agosto 2016, n. 175 la giurisdizione della Corte dei conti sulle controversie per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house.</p> <p style="text-align: justify;">Conseguenziale a tale affermata giurisdizione sulle società in house è quella sui dipendenti e amministratori di tali società, essendo pacifico, secondo consolidati indirizzi della Cassazione e giuscontabili espressi in molteplici "filoni" di danno erariale, che la Corte dei Conti possa convenire sia la persona giuridica (o l'associazione in taluni giudizi) che le persone fisiche materialmente autrici della condotta attiva o omissiva foriera di danno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 settembre esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 23541 onde, ai sensi dell’art. 133, comma primo, lett. e), n. 1 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del GA, tra l’altro, le controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. La disciplina interna vigente, costituita dal d.lgs. n. 50 del 2016 (c.d. codice dei contratti pubblici), individua i predetti soggetti nelle amministrazioni aggiudicatrici (per tali intendendosi, ai sensi dell’art. 3, comma primo, lett. a), le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni, unioni, consorzi costituiti da detti soggetti) e gli enti aggiudicatori (ovverosia, ai sensi della lett. e) n. 1 dell’art. 3, comma primo, cit., le imprese pubbliche che svolgono una delle attività di cui agli artt. 115-121 del d.lgs. n. 50 del 2016, e gli enti che, pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici né imprese pubbliche, esercitano una o più delle predette attività, operando in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente). Restano invece esclusi dall’ambito applicativo delle predette disposizioni, ai sensi dell’art. 14, comma primo, gli appalti e le concessioni aggiudicati dagli enti aggiudicatori per scopi diversi dal perseguimento delle attività di cui agli artt. 115-121, tra le quali sono inclusi, ai sensi dell’art. 120, i servizi postali, comprendenti non solo la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione di invii postali, ma anche altri servizi diversi da quelli postali, a condizione che siano prestati da un ente che fornisce anche servizi postali la cui attività, per quanto riguarda tali servizi, non sia direttamente esposta alla concorrenza su mercati liberamente accessibili.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua di tale disciplina, presupposto indispensabile per la devoluzione delle controversie alla giurisdizione amministrativa esclusiva è l’assoggettamento del contratto alle procedure di evidenza pubblica, il quale dipende sotto il profilo soggettivo dall’inquadramento del committente nelle categorie di soggetti indicate dall’art. 3, comma primo, lett. a) del d.lgs. n. 50 cit., e sotto quello oggettivo dalla riconducibilità dell’appalto ad una delle attività previste dagli artt. 115-121 del medesimo decreto. La sussistenza del primo requisito dovrebbe essere nella specie accertata con riferimento non già alla Poste Italiane S.p.a., che ha incorporato la Poste Tutela S.p.a. in epoca successiva all’aggiudicazione dell’appalto (anche se anteriore alla sottoscrizione del contratto), ma alla società incorporata, che ha provveduto all’espletamento della procedura di evidenza pubblica: prima della fusione, la Poste Tutela costituiva infatti un soggetto distinto dalla Poste Italiane, la cui autonoma personalità giuridica consentirebbe in questa sede di attribuire un rilievo soltanto indiretto alla circostanza che la società incorporante detenesse l’intero pacchetto azionario di quella incorporata. In concreto, tuttavia, il predetto accertamento può considerarsi superfluo, rivestendo una portata assorbente l’aspetto oggettivo della fattispecie, caratterizzata per un verso dalla non riconducibilità dell’oggetto dell’appalto all’ambito delle attività indicate negli artt. 115-121 del d.lgs. n. 50 del 2016, e segnatamente a quella dei servizi postali o di quelli diversi previsti dall’art. 120, e per altro verso dall’estraneità a tale settore dell’attività svolta dalla società committente, il cui oggetto non comprende in alcun modo servizi postali (cfr. in riferimento alla disciplina dettata dal previgente d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Cass., Sez. Un., 1/03/2018, n. 4899; 29/05/2012, n. 8511). L’appalto per la cui stipulazione è stata indetta la procedura aperta in modalità telematica, il cui esito ha costituito oggetto d’impugnazione da parte dell’Europolice dinanzi al Giudice amministrativo, non ha infatti nulla in comune con i servizi di raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione di invii postali, nel senso precisato dal comma secondo, lett. a) e b), del d.lgs. n. 50 del 2016, avendo ad oggetto la prestazione del «servizio di vigilanza armata e gestione chiavi presso siti di Poste Italiane S.p.a. e di società del Gruppo»; in quanto sostanzialmente consistente nello svolgimento del servizio di sorveglianza e custodia delle sedi in cui si svolgono l’attività postale e quelle anche diverse delle altre società controllate da Poste Italiane, esso non è riconducibile neppure all’ambito dei servizi diversi previsti dalla lettera c) dell’art. 120, comma secondo, i quali comprendono esclusivamente le attività precedenti e successive all’invio postale, ma strettamente connesse allo stesso, nonché i servizi di spedizione diversi da quelli postali propriamente detti: in tal senso depongono infatti chiaramente i riferimenti esemplificativi ai servizi di smistamento della posta e di spedizione di invii pubblicitari privi di indirizzo, contenuti rispettivamente nei nn. 1 e 2 della disposizione in esame. A propria volta, l’oggetto dell’attività esercitata dalla Poste Tutela non consisteva anche nello svolgimento di servizi postali, ma esclusivamente nella fornitura di prestazioni di pianificazione, progettazione, indagini di mercato, procedure di acquisto, coordinamento e monitoraggio finalizzate alla prestazione di servizi di trasporto, vigilanza armata, portierato e reception; in quanto notoriamente esercitata in via ordinaria anche da altri imprenditori privati operanti in competizione tra loro sia in sede locale che sull’intero territorio nazionale, tale attività deve inoltre considerarsi direttamente esposta alla concorrenza su un mercato liberamente accessibile, nel senso precisato dall’art. 8 del d.lgs. n. 50 del 2016: pertanto, anche a voler ritenere che le prestazioni dedotte nel contratto siano riconducibili al disposto dell’art. 120, comma secondo, lett. c), del d.lgs. n. 50 cit., dovrebbe ugualmente escludersi l’assoggettamento dell’appalto alle procedure di evidenza pubblica, non risultando soddisfatta la duplice condizione prevista dal comma primo, lett. b), del medesimo articolo.</p> <p style="text-align: justify;">Per effetto dell’estraneità del relativo oggetto alle attività di cui agli artt. 115-121 del d.lgs. n. 50 del 2016, l’appalto in questione deve considerarsi sottratto all’ambito di operatività della disciplina dettata da tale decreto, la cui applicazione alla fattispecie in esame non è quindi ricollegabile alla volontà della legge, ma esclusivamente a quella della committente, che si è liberamente determinata in favore dell’assoggettamento della scelta del contraente alle regole dell’evidenza pubblica: trova conseguentemente applicazione il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento all’art. 133, lett. e), del d.lgs. n. 104 del 2010 (e prima ancora all’art. 33, comma secondo, lett. d), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ed agli artt. 6 e 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205), secondo cui la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del GA delle controversie in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture postula che la sottoposizione dell’appalto al regime pubblicistico discenda esclusivamente dalle relative caratteristiche oggettive e da quelle soggettive della stazione appaltante, e non è pertanto configurabile nel caso in cui quest’ultima, pur non essendovi tenuta, si sia volontariamente vincolata all’osservanza del predetto regime, in tal modo procedimentalizzando l’individuazione in concreto dell’appaltatore (cfr. Cass., Sez. Un., 22/07/2013, n. 17782; 20/03/2009, n. 6771; 11/ 12/2003, n. 18954; 20/11/2003, n. 17635).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della III sezione del TAR Lazio n. 12486 che rigetta un ricorso avverso il diniego di accesso agli atti della RAI riguardanti il Festival di Sanremo in quanto i documenti richiesti non sono inerenti ad una "attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario" e, pertanto, manca, nella specie, uno dei presupposti necessari che la legge richiede per legittimare una istanza ostensiva dei confronti di un soggetto di diritto privato, quale è RAI S.p.a. che, per quanto controllata dallo Stato e sebbene gestore del servizio pubblico radiotelevisivo, è però equiparabile ad un soggetto privato sul piano del regime giuridico a cui sono soggetti i suoi atti, ove non sottoposti, in via di eccezione mediante norma "ad hoc", a diversa disciplina, in ragione del rilievo pubblicistico di determinate sue attività e/o specifici aspetti del servizio radiotelevisivo erogato.</p> <p style="text-align: justify;">La regola dell'assoggettamento della RAI alle norme del diritto privato, tanto nell'organizzazione interna quanto nello svolgimento delle attività di gestione del servizio, è ben scolpita dall'art. 49, comma 2, D.Lgs. n. 177 del 2005 (T.U. Radiotelevisivo), laddove prevede che "2. Per quanto non sia diversamente previsto dal presente testo unico la RAI Spa è assoggettata alla disciplina generale delle società per azioni, anche per quanto concerne l'organizzazione e l'amministrazione."</p> <p style="text-align: justify;">Come di recente statuito dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2019, n. 6603) “<em>il riconoscimento del diritto di accesso postula - indipendentemente dalla natura formalmente pubblica o privata del soggetto che ha formato o che detiene i documenti di interesse e dalla consistenza pubblicistica o privatistica del relativo regime operativo - che si versi in un contesto assoggettato alla applicazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213): il che accade (nella logica dell'art. 97 Cost.) solo in presenza di attività (autoritativa o paritetica, esercitata in forma pubblicistica o mercé il ricorso alle regole del diritto privato) "di interesse pubblico" (cfr. art. 22, comma 1 lett. e) L. n. 241 del 1990, che scolpisce una nozione "allargata" di "pubblica amministrazione"; e cfr., altresì, l'art. 1, comma 1 bis, quanto all'attività amministrativa resa in forma "non autoritativa", nonché il comma 1 ter, quanto ai "soggetti privati" che, in quanto "preposti all'esercizio di attività amministrative", sono tenuti al rispetto dei "criteri e dei principi di cui al comma 1" e, quindi, alla imparzialità, alla pubblicità ed alla trasparenza; cfr. anche, sotto il profilo processuale, l'art. 7, comma 2 cod. proc. amm.).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Solo entro questi limiti - che sono strettamente legati al perimetro delle attività di interesse pubblico o, se si preferisce, lato sensu, "amministrative" affidate al soggetto di diritto privato da disposizioni legislative speciali - il diritto di accesso può essere esercitato nei confronti di soggetti privati "gestori di pubblici servizi" (cfr. art. 23 L. n. 241 del 1990).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con riferimento a quest'ultima categoria soggettiva, nel cui novero va ricondotta anche RAI S.p.a., l'applicazione dell'istituto del diritto di accesso e, più in generale, dei principi di pubblicità e trasparenza (di cui l'accesso costituisce la prima e fondamentale, ma non unica, declinazione), è subordinata al ricorrere di un'attività di natura pubblicistica e, dunque, alla condizione dell'inerenza dei documenti pretesi a siffatta attività, come si ricava, agevolmente, dal comma 1-ter dell'art. 1 della L. n. 241 del 1990 (come introdotto dall'art. 1, comma 37, L. 6 novembre 2012, n. 190), secondo cui "1-ter. I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge.</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto precede la questione in esame si concentra tutta, in modo decisivo, sulla possibilità di qualificare o meno l'attività svolta da RAI Spa, nella regolamentazione e nella gestione della 64esima edizione del Festival di Sanremo, come attività avente carattere ovvero rilevanza pubblicistica, secondo le norme del diritto nazionale o comunitario (vedi art. 22, comma 1, lett. e), L. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">All'interrogativo il Collegio ritiene di dover dare risposta negativa. In effetti, per quanto già sopra esposto, non tutta l'attività imputabile al gestore del generale servizio radiotelevisivo può essere ineluttabilmente considerata quale esercizio di pubblico servizio (anzi, di regola, la RAI opera in regime di diritto privato) dovendo essere tenuta distinta da quest'ultima quella connessa all'attuazione di convenzioni e/o accordi di natura privatistica. Il Comune di Sanremo, titolare della manifestazione canora di cui si tratta, ha stipulato con la RAI una convenzione finalizzata alla realizzazione della stessa, con affidamento alla RAI medesima della connessa organizzazione; pertanto, il rapporto che ne è scaturito non è disciplinato da norme pubblicistiche, ma dalla convenzione privata stipulata, e dunque non può ritenersi assoggettato all'applicazione delle regole pubblicistiche in materia di pubbliche selezioni.</p> <p style="text-align: justify;">Ad avviso del Collegio non può essere inquadrata in ambito pubblicistico la modalità di gestione della partecipazione di alcuni soggetti ad una o più serate del Festival di Sanremo per la parte dedicata alla Sezione Giovani, "....né tale attività può ragionevolmente dirsi rivolta in via diretta ed immediata a realizzare un pubblico servizio, indirizzato alla generalità dei cittadini, in quanto è noto che le manifestazione canore si svolgono ordinariamente in ambito privatistico e non trovano alcuna regolamentazione normativa di natura pubblicistica (cfr. Cass. Sezione VI Penale, n. 2549/2003" (TAR Lazio, III-ter, 30 gennaio 2012, n. 955; TAR Lazio, III-ter, 16 giugno 2010, n. 18291).</p> <p style="text-align: justify;">Per le considerazioni che precedono, poiché nella specie gli atti e i documenti pretesi attengono alla selezione, partecipazione e votazione degli artisti nell'ambito di un Festival canoro, la cui organizzazione è stata affidata dal Comune di Sanremo alla RAI in base a rapporto convenzionale avente natura privatistica, si è al di fuori della "attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario" di cui all'art. 22, comma 1, lett. e), L. n. 241 del 1990. Manca, pertanto, uno dei presupposti necessari per poter porre il gestore del pubblico servizio in una posizione di dovere rispetto alla istanza del privato volta al soddisfacimento della pretesa di ostensione documentale, in quanto RAI S.p.a., con riguardo all'attività espletata (ed alla quale l'istanza di accesso di riferisce), non ha compiuto, come detto, atti di interesse generale disciplinati dal diritto nazionale o comunitario (art. 22 L. n. 241 del 1990 cit.), né è venuta in considerazione quale soggetto privato preposto all'esercizio di attività amministrative (cfr. art. 1, comma 1-ter, L. n. 241 del 1990) e, pertanto, mancano, in concreto, le condizioni per poter ritenere la resistente tenuta al rispetto delle norme sul diritto di accesso (art. 22 e ss. L. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre esce la sentenza della I sezione del TAR Veneto n. 1186 onde con l'espressione in house providing si fa riferimento all'affidamento di un appalto o di una concessione da parte di un ente pubblico in favore di una società controllata dall'ente medesimo, senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica, in virtù della peculiare relazione che intercorre tra l'ente pubblico e la società affidataria.</p> <p style="text-align: justify;">La società in house è una società dotata di autonoma personalità giuridica che presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione ad un "ufficio interno" dell'ente pubblico che l'ha costituita, una sorta di longa manus; non sussiste tra l'ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale.</p> <p style="text-align: justify;">Queste caratteristiche della società in house giustificano e legittimano l'affidamento diretto, senza previa gara, per cui un'amministrazione aggiudicatrice è dispensata dall'avviare una procedura di evidenza pubblica per affidare un appalto o una concessione.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò in quanto, nella sostanza, non si tratta di un effettivo "ricorso al mercato" (outsourcing), ma di una forma di "autoproduzione" o, comunque, di erogazione di servizi pubblici "direttamente" ad opera dell'amministrazione, attraverso strumenti "propri" (in house providing).</p> <p style="text-align: justify;">E' stato altresì osservato che la società in house avrebbe della società solo la forma esteriore, costituendo, in realtà, un'articolazione in senso sostanziale della Pubblica Amministrazione da cui promana e non un soggetto giuridico ad essa esterno e da essa autonomo.</p> <p style="text-align: justify;">Una tale configurazione, si giustifica in base al fatto che solo quando la società affidataria è partecipata in modo determinante dall'ente pubblico, esercita in favore del medesimo la parte più importante della propria attività ed è soggetta al suo controllo in termini analoghi a quello in cui si esplica il controllo gerarchico dell'ente sui propri stessi uffici, non sussistono esigenze di concorrenza e, quindi, si può escludere il preventivo ricorso a procedure di evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">L'assenza di alterità soggettiva sostanziale è stata valorizzata anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: la "<em>... società in house, come in qualche modo già la sua stessa denominazione denuncia, non pare invece in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna ... Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva. L'uso del vocabolo società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare ...</em>" (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò premesso in termini generali, va osservato, quanto alla questione del regime giuridico degli affidamenti disposti dalla società in house, che prima della recente "testunificazione" del diritto delle società a partecipazione pubblica ( D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175) la giurisprudenza era giunta alla conclusione secondo la quale le società in house - configurabili in termini sostanziali come organo dell'amministrazione controllante - sono tenute ad osservare, per i propri affidamenti "a valle", i principi e le norme dell'evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Sul piano normativo, poi, l'art. 16, ultimo comma, del citato D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, come modificato dal D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, stabilisce che le società in house sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 e che resta fermo quanto previsto dagli artt. 5 e 192 del medesimo D.Lgs. n. 50 del 2016.</p> <p style="text-align: justify;">Come quindi chiarito in giurisprudenza, le controversie attinenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture svolte dal gestore in house di un pubblico servizio rientrano nella giurisdizione amministrativa non già in ragione del carattere pubblicistico delle relative decisioni (giacché esse non sono assunte "in un procedimento amministrativo", come invece richiede l'art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm.), bensì in ragione del fatto che le società in house ex art. 133, lett. e), n. 1 cod. proc. amm. sono comunque tenute, nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, come appunto dispone il citato art. 16, ultimo comma, del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che costituisce una di quelle "specifiche disposizioni in contrario" di cui parla la sentenza Cass. civ., Sez. Un., 27 marzo 2017, n. 7759 che esigono - eccezionalmente - l'applicazione della normativa pubblicistica in luogo di quella privatistica.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio, al fine di ribadire la sussistenza della giurisdizione amministrativa in ordine alla controversia in esame,valorizza il fatto che la disciplina dettata dal citato art. 16, ultimo comma, del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 e ss. mm. ed ii., nella parte in cui stabilisce che le società in house sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016, definisce in modo nitido un "vincolo eteronomo" di rispetto delle procedure regolamentate dal richiamato compendio normativo: orbene, in base a consolidato principio giurisprudenziale, la sottoposizione o meno dell'appalto al regime pubblicistico fissato dal codice dei contratti pubblici, e la sua consequenziale sottoposizione alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, discende dalle caratteristiche oggettive dell'appalto e soggettive della stazione appaltante, e dunque dall'esistenza di un vincolo "eteronomo".</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 dicembre esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 32608 onde, con riferimento, in particolare, al danno al patrimonio di una società a partecipazione pubblica conseguente a mala gestio da parte degli amministratori (o componenti dell'organo di controllo) e dei dipendenti, ribadisce l’orientamento secondo cui tale danno non è qualificabile in termini di danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della detta società sia socio, atteso che la distinzione tra la società di capitali e i singoli soci e la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l'illecito comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente, nè di configurare un rapporto di servizio tra l'ente medesimo e l'agente; pertanto, la domanda con la quale si fa valere la responsabilità degli organi sociali resta generalmente devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre la giurisdizione della Corte dei conti è ravvisabile eccezionalmente nelle due specifiche fattispecie delle società in house e delle società legali, caratterizzate, rispettivamente, da una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa P.A. (cui è immanente il rapporto di servizio tra quest'ultima e gli amministratori e dipendenti della società) e da uno statuto speciale che consente di qualificarle come sostanziali enti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza delle Sezioni Unite ha già da tempo precisato che, ai fini del radicamento della giurisdizione contabile in materia di azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e di controllo di società di capitali partecipata da enti pubblici, la società in house è configurabile al ricorrere delle seguenti condizioni: a) il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati; b) la società deve esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; c) la gestione deve essere per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici. Tali requisiti devono sussistere tutti contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita.</p> <p style="text-align: justify;">Tratto distintivo della società in house è, dunque, la sussistenza, in primo luogo, di una relazione di partecipazione da parte di una o più pubbliche amministrazioni socie, le quali, congiuntamente o disgiuntamente, debbono esercitare su tale società un controllo non solo economico, bensì un controllo analogo a quello che l'ente pubblico socio avrebbe su di un proprio reparto o ufficio o altra struttura organizzativa, ancorchè in forma congiunta. La partecipazione pubblica costituisce un presupposto del controllo analogo.</p> <p style="text-align: justify;">Il dato legislativo conferma l'approdo giurisprudenziale. Infatti, nel dettare le disposizioni che hanno a oggetto "la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche" (così l'art. 1, comma 1), il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, approvato con il D.Lgs. n. 19 agosto 2016, n. 175, se da un lato ribadisce che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house (art. 12, comma 1), dall'altro conferma che il superamento del "velo societario" e l'applicazione della giurisdizione contabile alle società in house in tanto si giustificano in quanto il socio partecipante sia una pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">E' quanto si ricava dalla definizione recata dall'art. 2, comma 1, lett. o), ai cui sensi per società in house si intendono "<em>le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'art. 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'art. 16, comma 3</em>".</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 34473 in tema di riparto di giurisdizione in ordine alla domanda volta a ottenere l'annullamento degli esiti delle selezioni per l'individuazione dei componenti del consiglio di amministrazione di una società in house.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio richiama i precedenti che hanno stabilito che le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci, ai sensi dell'art. 2449 c.c., spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, non di quello amministrativo, perché investono atti compiuti dall'ente pubblico <em>uti socius</em>, non <em>iure imperii</em>, e posti in essere a valle della scelta di fondo per l'impiego del modello societario, ogni dubbio essendo stato sciolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale, in senso privatistico, prevista dall'art. 4, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 135 del 2012, oltre che dal principio successivamente stabilito dall'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 175 del 2016, a tenore del quale, per tutto quanto non derogato dalle relative disposizioni, le società a partecipazione pubblica sono disciplinate dalle regole privatistiche. Ad analoghe conclusioni si giunge in relazione alle fondazioni, soggetti di diritto privato.</p> <p style="text-align: justify;">Chiarisce la Corte che non potrebbe condurre a diversa soluzione l'ampia espressione contenuta nell'art. 7, comma 2, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a tenore del quale «Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo». Questa norma, infatti, come si legge nella Relazione trasmessa dal Governo al Senato, «definisce la giurisdizione del giudice amministrativo in ossequio alle norme costituzionali e ai noti principi dettati dalla Corte Costituzionale, in particolare nelle sentenze nn. 204 del 2004 e 191 del 2006. In applicazione di tali regole e principi la giurisdizione amministrativa è strettamente connessa all'esercizio (o al mancato esercizio) del potere amministrativo e in tale ambito rientrano in essa le controversie concernenti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente a detto potere. L'articolo 7 costituisce una clausola generale tesa a spiegare la ratio delle diverse ipotesi di giurisdizione amministrativa in termini unitari».</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che conta, difatti, è la riconducibilità dell'atto, del provvedimento o del comportamento all'esercizio di un pubblico potere (cfr. Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191; 5 febbraio 2010, n. 35), esercizio che è del tutto assente in capo alla Fondazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 444 onde le conseguenze dell'eventuale situazione irregolare in cui si trovi una società in house non determinerebbe la perdita della sua capacità di partecipare a gare pubbliche, trattandosi di una vera e propria sanzione che come tale dovrebbe essere tipica ed espressa, mentre non è neppure prevista dal Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016: l'art. 16, comma 4 del D.Lgs. n. 175 del 2016 qualifica infatti il mancato rispetto del predetto limite quantitativo in termini di grave irregolarità, che, in quanto tale, può essere oggetto di denunzia degli amministratori dinanzi al tribunale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2409 cod. civ., e di valutazione nell'ambito delle attività di monitoraggio, indirizzo e coordinamento delle società in house di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze; inoltre essa è suscettibile di essere sanata dalla società in house ai sensi del comma 5, optando tra la rinunzia a una parte dei rapporti con soggetti terzi e conseguente scioglimento dei relativi contratti - sicchè i contratti con i terzi eccedenti il limite di legge non possono dirsi neanche affetti, a monte, da nullità - e la rinunzia agli affidamenti diretti da parte dell'ente o degli enti pubblici soci.</p> <p style="text-align: justify;">Né d'altro canto l'incapacità può conseguire dall'attività di coordinamento dei due testi normativi (TUSPP e Codice appalti), operazione che non può tradursi nella creazione di una sanzione non prevista dall'ordinamento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 febbraio esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 4316 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui la configurabilità giuridica della "società in house providing" si fonda su tre requisiti che devono essere contemporaneamente presenti: a) il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati; b) la società deve esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 100 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’art. 76 della Costituzione – dell’art. 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato.</p> <p style="text-align: justify;">La ratio del divieto, assurto a criterio direttivo nella legge delega n. 11 del 2016, è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice proconcorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato.</p> <p style="text-align: justify;">La rilevanza di questa finalità è riconosciuta anche dall’Adunanza della commissione speciale del Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1° aprile 2016, relativo allo schema di decreto legislativo recante «Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n. 11», in cui si osserva che «<em>il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive</em>».</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 settembre esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 19974 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui il legislatore, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal d.lgs.. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perchè l'erogazione di servizi di interesse generale pone l'esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell'interesse perseguono.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 ottobre esce la sentenza della II sezione del TAR Liguria n. 680 che si allinea all’orientamento secondo cui l’art. 192, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016, nel prevedere l’obbligo di motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato, ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, muove dall’implicito presupposto della natura secondaria e residuale dell’affidamento in house ed impone che l’affidamento in autoproduzione di servizi disponibili sul mercato sia specificamente motivato adducendo, tra l’altro, le ragioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato.</p> <p style="text-align: justify;">Di conseguenza, nel caso in cui si opti per l’affidamento diretto in house, è richiesto un onere motivazionale rafforzato e più incisivo circa la praticabilità delle scelte alternative, da compiersi mediante un’analisi effettuata in concreto, caso per caso, sulla base di dati comparabili.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 227 onde gli istituti del comando e del distacco non possono trovare applicazione rispetto al personale delle società partecipate che non rientrano nel novero delle pubbliche amministrazioni, come individuate dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. Né può trovare applicazione la disciplina della mobilità di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza costituzionale ha ricondotto le disposizioni inerenti all’attività di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali alla materia dell’«ordinamento civile», in quanto volte a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato, nonché a quella della «tutela della concorrenza» in considerazione dello scopo di talune disposizioni di «evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali».</p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore statale, nel disciplinare le società a partecipazione pubblica ed il rapporto di lavoro dei dipendenti, all’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, non ha previsto la possibilità del comando presso le amministrazioni, e non a caso.</p> <p style="text-align: justify;">È pur vero, infatti, che già con l’art. 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modifiche, e poi con il citato art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, sono stati introdotti criteri di selezione ai fini delle assunzioni del personale in questione, ma è anche vero che non si è mutata la natura strettamente privatistica del rapporto, né si è imposta una procedura propriamente concorsuale.</p> <p style="text-align: justify;">Rimane dunque fra questo personale e quello dipendente delle pubbliche amministrazioni una barriera tuttora insuperabile, che trova la sua giustificazione anzitutto sul piano delle scelte discrezionali compiute dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, ma anche, e più sostanzialmente, nel principio di buon andamento della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97 Cost., ed in quelli in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.</p> <p style="text-align: justify;">L’estensione della possibilità di comando – non distacco − inficia il sistema organizzativo e finanziario costruito dal legislatore statale, permettendo di fatto una incontrollata espansione delle assunzioni, con il duplice effetto negativo di scaricare oneri ingiustificati sulle società pubbliche, indotte ad assumere personale non necessario, e di alterare il delicato equilibrio che dovrebbe presiedere al rapporto fra organici e funzioni.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre esce la sentenza della II sezione del TAR Toscana n. 1630 onde rientra nel diritto di accesso previsto dall’art. 43, comma 2, TUEL (secondo cui: “<em>I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonchè dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge</em>.”) la istanza con la quale il consigliere di un Comune ha chiesto ad una società partecipata dal Comune stesso di accedere ad alcuni atti di gestione della società (in particolare di una s.p.a. per la gestione della discarica di proprietà comunale e poi incaricata della gestione anche di altri servizi pubblici comunali, della quale il Comune detiene una partecipazione societaria del 63,796%).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 29825 che riconosce la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie in tema di energia prevista dall’art. 133, comma 1, lett. o), cod. proc. amm. anche nelle controversie con il Gestore dei servizi energetici in tema di misure d’incentivazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il Gestore dei servizi energetici, difatti, seppur nella veste di società per azioni, il cui azionista unico è il Ministero dell’economia e delle finanze, svolge funzioni di natura pubblicistica nel settore elettrico e in particolare in tema di incentivazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile, poiché provvede alla gestione del relativo sistema pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Che la materia sia integralmente riferibile al sistema pubblico e alle scelte di segno pubblicistico emerge anche dalla giurisprudenza unionale, la quale ha fatto leva sulla discrezionalità lasciata agli Stati membri in ordine all’introduzione di misure di sostegno alla produzione di energia (in quel caso, mediante impianti solari fotovoltaici), che comporta la possibilità di modificare e anche di sopprimere le misure di sostegno.</p> <p style="text-align: justify;">In tal caso, la tutela dell’affidamento degli operatori economici, espressione del principio di certezza del diritto, postula pur sempre che la possibilità di modifica o di soppressione non fosse prevedibile da un operatore economico accorto e prudente.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisdizione esclusiva non viene meno per la circostanza che il Gestore abbia fatto ricorso a strumenti negoziali. E ciò perché egli non è chiamato a intervenire nella veste di mera controparte della convenzione (capace, perciò, di soli atti paritetici), ma come pubblica amministrazione, destinata ad operare in posizione di supremazia mediante l’esercizio di poteri autoritativi finalizzati ad assicurare l’attuazione della superiore volontà di legge.</p> <p style="text-align: justify;">D’altronde, sono devolute alla giurisdizione amministrativa anche le controversie sulle cc.dd. rimodulazioni degli incentivi, comunque dotate di carattere autoritativo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che rapporto si configura tra esternalizzazione ed <em>in house providing</em>?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>nell’<strong>esternalizzazione</strong>, che trova foggia di <strong>contratto di appalto ovvero di concessione</strong>, la PA <strong>si rivolge ad un soggetto terzo</strong> per reperire beni o servizi utili alla relativa <em>mission</em> istituzionale pagando come corrispettivo un prezzo (appalto) ovvero per erogare alla collettività un servizio pubblico o per realizzare a beneficio della collettività un’opera, con soddisfazione ritratta dai relativi proventi di gestione; in questi casi occorre applicare la <strong>disciplina europea</strong>, specie in tema di gare, in quanto vi è <strong>diversità sostanziale tra la PA e il soggetto terzo</strong>, che non può essere affidatario diretto dell’appalto o della concessione, ma deve essere <strong>individuato a mezzo procedura di evidenza pubblica</strong>;</li> <li>nell’<strong><em>in house providing</em></strong> la PA recupera beni o servizi, ovvero eroga alla collettività un servizio pubblico, <strong>senza ricorrere a soggetti terzi</strong>, ma avvalendosi di un soggetto che <strong>solo apparentemente e formalmente</strong> è esterno ad essa, mentre ne costituisce in realtà un <strong>prolungamento organizzativo</strong>, una <strong>articolazione strutturale</strong> soggetta a relativo, <strong>penetrante controllo</strong>, senza <strong>alcuna autonoma capacità decisionale</strong>; in questi casi non occorre applicare la disciplina europea, specie in tema di gare, in quanto <strong>non vi è diversità sostanziale</strong> (ma solo formale) tra la PA e il soggetto terzo, che come tale può essere <strong>affidatario diretto</strong> dell’appalto o della concessione, e non deve essere individuato a mezzo procedura di evidenza pubblica.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che rapporto esiste tra i due principi europei di concorrenza e di auto-organizzazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il principio di <strong>concorrenza</strong> impone alla PA di <strong>non porre limiti alla competizione</strong> quando si tratti di garantirsi <strong>prestazioni da parte di terzi verso un corrispettivo</strong>; sulla scorta del medesimo, l’in house è da considerarsi <strong>figura eccezionale</strong>;</li> <li>il principio di <strong>auto-organizzazione</strong> consente alla PA di <strong>istituire un ufficio, un servizio o una struttura interni</strong> al fine di garantirsi in via autonoma ed in proprio determinate prestazioni <strong>senza ricorrere a terzi</strong>; sulla scorta del medesimo, l’in house è da considerarsi come <strong>modulo organizzativo generale della PA</strong>;</li> <li>l’<strong><em>in house providing</em></strong> in qualche modo <strong>coniuga</strong> i due principi, in quanto la PA si garantisce prestazioni <strong>solo apparentemente ricorrendo ad un soggetto terzo</strong>, ma in realtà nella sostanza <strong>creando una compagine societaria</strong> che ne costituisce <strong>una specifica articolazione interna</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le norme del TFUE coinvolte dalla disciplina dell’in house providing?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Si tratta delle norme collegate al <strong>principio di concorrenza</strong> (ed al connesso principio della gara pubblica), ed in particolare:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’<strong>49</strong> sul divieto di restrizioni alla <strong>libertà di stabilimento</strong>;</li> <li>l’<strong>56</strong> sul divieto di restrizioni alla <strong>libertà di prestazione dei servizi</strong>;</li> <li>l’<strong>106</strong> divieto di emanare e mantenere, nei confronti di imprese pubbliche e di imprese titolari di diritti speciali o esclusivi, <strong>misure contrarie alle disposizioni del Trattato</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue in breve sul piano strutturale una società mista pubblico-privato da una società in house?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la <strong>società mista</strong> fa luogo ad un <strong>rapporto intersoggettivo</strong> tra la PA che la ha costituita (e che ne risulta socio) e la società pubblico-privata oggetto della costituzione, trattandosi di <strong>due soggetti distinti</strong>;</li> <li>la <strong>società in house</strong> fa luogo ad un <strong>rapporto interorganico</strong> nell’ambito della medesima PA, in quanto è <strong>equiparata ad uno dei servizi interni</strong> della PA medesima che la ha costituita.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale differenza intercorre tra una tradizionale società mista pubblico privato ed un <em>in house providing</em> di nuova generazione, che ammette a determinati limiti la presenza anche di un socio privato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>nella <strong>società mista tradizionale e tipica</strong>, il peso dell’imprenditore privato nelle <strong>scelte strategiche societarie</strong> e nella stessa <strong>discrezionalità operativa</strong> è <strong>molto consistente</strong>, in quanto egli è stato <strong>selezionato attraverso una gara</strong> come socio <strong>proprio al fine</strong> di apportare la propria competenza imprenditoriale con riguardo ad un determinato tipo di attività o a una specifica e predeterminata commessa;</li> <li>nella <strong>società mista <em>in house providing</em></strong>, si è al cospetto di una <strong>società mista “<em>atipica</em>”</strong> in cui le <strong>scelte gestionali</strong> restano <strong>esclusivamente in capo alla PA affidataria</strong> o alle <strong>PA controllanti</strong>, che operano le <strong>opzioni strategiche</strong> e <strong>dirigono in concreto l’andamento</strong> dell’attività sociale (a nulla rilevando la presenza del socio privato, il cui peso è marginale e del tutto inconsistente).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue la figura dell’in house providing da quella dell’organismo di diritto pubblico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’<strong>in house providing</strong> è soggetto al <strong>d. controllo analogo</strong> da parte della PA aggiudicatrice; vede la luce <strong>a livello giurisprudenziale europeo</strong>, allo specifico fine di consentire, dal lato passivo, a taluni enti solo apparentemente terzi rispetto alla PA aggiudicatrice di essere <strong>resi affidatari diretti</strong> di commesse pubbliche (“<strong><em>ottiene senza gara</em></strong>”); esso è una sorta di <strong>prolungamento organizzativo</strong> della PA aggiudicatrice, ma ciò in ragione del fatto che il controllo analogo è un <strong>penetrante controllo di tipo strutturale</strong> di quest’ultima sulla persona giuridica che essa ha in house, sia dal punto di vista della <strong>partecipazione al relativo capitale sociale</strong>, sia dal punto di vista della <strong>influenza determinante sulle relative scelte strategiche</strong>; la consistenza “in house”, nel farla concepire come tutt’uno e parte integrante della PA aggiudicatrice che la controlla, rende tale figura <strong><em>ex se</em></strong>, a propria volta, <strong>PA aggiudicatrice</strong>, senza necessità di <strong>ulteriori verifiche di ordine telelogico</strong> (segnatamente, non deve essere <strong>istituzionalmente preposto</strong> a soddisfare <strong>bisogni generali</strong> a carattere <strong>non commerciale o industriale</strong>);</li> <li>l’<strong>organismo di diritto pubblico</strong> è soggetto ad una <strong>influenza pubblica dominante</strong>; vede la luce a <strong>livello normativo europeo</strong>, allo specifico fine di escludere, dal lato attivo, la relativa possibilità di far luogo ad <strong>affidamenti diretti</strong> senza gara <strong>a soggetti terzi</strong>, dovendo invece <strong>procedere ad evidenza pubblica</strong> secondo la disciplina europea (“<strong><em>fa le gare</em></strong>”); esso <strong>non si configura</strong> affatto quale <strong>prolungamento organizzativo</strong> della PA aggiudicatrice, in quanto l’influenza pubblica dominante non si atteggia tanto dal punto di vista strutturale, quanto piuttosto <strong>dal punto di vista funzionale</strong> (potendo anche essere limitata ad un <strong>finanziamento pubblico</strong> della relativa attività da parte del settore pubblico); l’organismo di diritto pubblico <strong>non è tutt’uno</strong> rispetto ad altra PA aggiudicatrice, e per poterlo riconoscere come tale (e dunque come PA aggiudicatrice) occorre verificare in concreto, sul piano teleologico, se esso <strong>è o meno istituzionalmente preposto</strong> al soddisfacimento di <strong>bisogni generali</strong> a carattere <strong>non commerciale o industriale</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste il c.d. in house “inverso”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una figura che consente ormai di parlare di <strong>bidirezionalità</strong> dell’<em>in house providing</em>;</li> <li>presuppone che <strong>una PA aggiudicatrice sia controllata</strong> da <strong>altra PA aggiudicatrice</strong>;</li> <li>a differenza del caso classico in cui è la PA aggiudicatrice controllante ad aggiudicare alla controllata, qui si verifica l’opposto onde <strong>è la controllata ad aggiudicare alla controllante</strong>;</li> <li>si tratta di una <strong>modalità endo-organizzativa</strong> di espletamento del servizio, tra due soggetti che sono comunque <strong>in rapporto di immedesimazione organica</strong> l’uno rispetto all’altro, sicché <strong>la concorrenza non viene vulnerata</strong> al cospetto di una vicenda che coinvolge sempre <strong>un solo soggetto</strong> (e non due);</li> <li>manca tuttavia il requisito, assai importante, del “<strong><em>controllo</em></strong>” in quanto chi affida l’appalto o la concessione è in realtà <strong>una PA aggiudicatrice che è “<em>controllata</em>”</strong> (e non già “controllante”) rispetto alla PA aggiudicataria.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste l’in house c.d. “orizzontale”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>fa da contraltare all’<strong>in house classico</strong>,<strong> o verticale</strong>, in cui la PA aggiudicatrice <strong>controlla</strong> il soggetto in house aggiudicatario;</li> <li>ha come presupposto la circostanza onde la PA aggiudicatrice <strong>si avvale di due (o più) <em>in house providing</em></strong>, che si pongono <strong>in linea orizzontale tra loro</strong>, e che come tali entrambi esercitano <strong>la parte più importante</strong> della rispettiva attività a beneficio della PA aggiudicatrice;</li> <li>si compendia nella circostanza onde il soggetto <strong>in house A</strong> si fa <strong>PA aggiudicatrice</strong> nei confronti del <strong>soggetto in house B</strong>;</li> <li>si caratterizza per la <strong>posizione di equiordinazione e di comune soggezione</strong> alla PA aggiudicatrice controllante che avvince i due soggetti in house protagonisti della vicenda;</li> <li>si legittima per il fatto che in realtà deve trattarsi di una <strong>operazione trilaterale</strong> il cui <strong>vero motore</strong> va ricercato nella <strong>volontà unitaria della PA aggiudicatrice</strong> rispetto ai suoi due soggetti in house: si deve essere al cospetto di un <strong>centro amministrativo unico</strong>, del quale i due soggetti in house non compendiano altro che <strong>mere articolazioni interne</strong> della PA aggiudicatrice.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste il c.d. in house pluri-partecipato o a controllo analogo congiunto?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è il <strong>contraltare dell’in house orizzontale</strong>, in quanto l’orizzontalità è sempre <strong>strutturalmente</strong> presente, ma coinvolge stavolta <strong>non i controllati</strong>, ma <strong>i soggetti controllanti</strong> rispetto <strong>ad un unico controllato</strong> in house, destinatario del <strong>controllo analogo</strong> di più PA aggiudicatrici;</li> <li>la persona giuridica controllata, e come tale in house, <strong>non deve perseguire interessi contrari</strong> a quelli delle PA aggiudicatrici controllanti;</li> <li>le PA aggiudicatrici possono, <strong>congiuntamente</strong>, esercitare una <strong>influenza determinante</strong> sugli <strong>obiettivi strategici</strong> e sulle <strong>scelte decisionali significative</strong> della comune società in house;</li> <li><strong>tutte</strong> le PA aggiudicatrici hanno <strong>propri rappresentanti</strong> all’interno degli organi decisionali e gestionali del comune in house, con esponenti che possono <strong>rappresentare</strong> anche una o più PA aggiudicatrici controllanti.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è stata la tormentata evoluzione giuridica, in particolare, dell’in house e delle società miste con riguardo ai servizi pubblici locali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="267"> <li>l’<strong>113</strong> del decreto legislativo 267.00 (TUEL);</li> <li>il <strong>decreto legge 112.08</strong>, convertito dalla legge 133.08, art.23.bis, comma 11, che ha abrogato l’art.113 del TUEL;</li> <li>il <strong>decreto legge 135.09</strong>, convertito dalla legge 166.09, art.15;</li> <li>il <strong>referendum del 12 e 13 giugno 2011</strong>, che ha abrogato l’art.23.bis del decreto legge 112.08;</li> <li>il <strong>decreto legge 138.11</strong>, convertito dalla legge 148.11, art.4, che ha riproposto la disciplina dell’abrogato art.23.bis;</li> <li>la <strong>sentenza della Corte costituzionale n.199.12</strong>, che ha caducato l’art.4 menzionato;</li> <li>il <strong>decreto legge 95.12</strong>, convertito con modificazioni nella dagge 135.12;</li> <li>la <strong>legge 147.13</strong>, art.1, comma 562, lettera a);</li> <li>il <strong>decreto legge 90.14</strong>, convertito con modificazioni dalla legge 114.14, art.16, comma1;</li> <li>la <strong>legge 124.15 </strong>(c.d. <strong>riforma Madia</strong>) , articoli 16 e 19, contenente delega al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche e riordino della disciplina dei servizi pubblici locali;</li> <li>il <strong>decreto legislativo 175.16</strong> che, nel dare attuazione alla delega, disciplina le società a partecipazione pubblica (c.d. <strong>partecipate</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste il fenomeno della società mista?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>in uno <strong>strumento</strong> attraverso il quale la PA <strong>persegue l’interesse pubblico</strong> del quale è affidataria;</li> <li>che <strong>è alternativo rispetto alla esternalizzazione</strong> (gara) e <strong>alla auto-organizzazione</strong> (<em>in house providing</em>);</li> <li>che si colloca <strong>in posizione mediana</strong> tra tali due fenomeni, in quanto da un lato <strong>si crea un soggetto terzo</strong>, la società partecipata, alla quale partecipa la stessa Amministrazione interessata, onde la ridetta società è <strong>una gemmazione</strong> dell’Amministrazione stessa; dall’altro occorre tuttavia selezionare, <strong>con gara</strong>, il socio privato partner;</li> <li>che ha trovato una <strong>definizione giuridica</strong> in termini di <strong>partenariato pubblico-privato istituzionalizzato</strong> (PPPI).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>