Massima
Nel contesto tradizionale della tutela demolitoria irrompe, innovativamente, quella risarcitoria, con evidente necessità di coordinare i due rimedi, il primo dei quali appare riconducibile alla sfera della tutela in forma specifica, ed il secondo all’orbita della tutela c.d. per equivalente; superata la c.d. pregiudiziale amministrativa, il codice del processo amministrativo ammette la tutela risarcitoria c.d. pura (o autonoma), circondandola tuttavia da una serie di condizionamenti che presidiano l’interesse pubblico e, ad un tempo, scongiurano contegni maliziosi da parte di chi ex ante non impugna per tempo proprio allo scopo di veder crescere l’importo dei danni da farsi riconoscere, ex post, dal giudice amministrativo.
Crono-articolo
1942
Il codice civile, oltre a plurime disposizioni in materia risarcitoria – come l’art.1218 in tema di responsabilità c.d. “contrattuale” (meglio additabile come “da obbligo precostituito”), l’art.2043 in tema di responsabilità da fatto illecito – prevede anche fattispecie “demolitorie” di annullamento di atti, come ad esempio all’art.23 in materia di annullamento e sospensione delle deliberazioni dell’assemblea di una associazione. Lo stesso contratto può essere oggetto di annullamento in caso di raggiri dolosi di un contraente ai danni dell’altro ai sensi dell’art.1439; in queste ipotesi, il contraente decipiens è tenuto a risarcire i danni – nei limiti dell’interesse negativo – al contraente deceptus che abbia ottenuto l’annullamento del contratto, stante anche il disposto dell’art.1338 c.c.; tuttavia, come palesa la fattispecie del dolo c.d. incidente ex art.1440, la domanda risarcitoria non è condizionata al previo annullamento del contratto, potendo il contraente deceptus ottenere il risarcimento dei danni anche in caso di contratto che resti valido ed efficace (dovendo chiedersi se in questi casi sia risarcibile anche l’interesse positivo, collegato dunque all’esecuzione del contratto: la giurisprudenza parlerà in proposito di c.d. “danno differenziale”, corrispondente alla differenza tra il “meno” concretamente ottenuto ed il “più” che si sarebbe ottenuto laddove la formazione del consenso di una delle parti non fosse stata viziata). Anche in tema di risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive ex art.1453 si assiste ad una fattispecie di tutela demolitoria cui fa seguito l’obbligo di risarcire il danno al contraente adempiente gravante in capo al contraente inadempiente cui è imputabile la risoluzione. Importante l’art.2377 in tema di impugnazione delle delibere societarie, in cui è prevista (in rapporto alla quota di capitale sociale posseduta) la legittimazione di taluni soci ad impugnare le delibere illegittime, e per altri privi di tale legittimazione la facoltà di spiccare azione risarcitoria (senza ovviamente il previo annullamento della delibera illegittima, che essi non possono impugnare), e tuttavia per entrambe le categorie di soci (e di rimedi) è previsto un termine decadenziale di 90 giorni. In materia di risarcimento del danno c.d. contrattuale, nel disciplinare il concorso del fatto colposo del creditore, si prevede poi all’art.1227 da un lato che qualora il fatto colposo del creditore abbia concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate; dall’altro che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana che – sul crinale risarcitorio – prevede una norma esplicitamente dedicata alla responsabilità dei pubblici dipendenti: si tratta dell’art.28, onde i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, con la precisazione che in tali casi – di diretta responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici – la responsabilità civile (e non anche penale ed amministrativa) “si estende” allo Stato e agli enti pubblici medesimi. Sul versante demolitorio rilevante è invece l’art.113 della Carta, onde contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa, tutela che non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; importante in particolare il comma 3, alla cui stregua la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della PA nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa: si tratta di una riserva di legge in materia di giurisdizione sull’annullamento degli atti amministrativi (tutela demolitoria) che dunque non necessariamente appartiene al GA.
1992
Il 19 febbraio viene varata la legge n. 142 di recepimento della c.d. Direttiva Ricorsi del 1989 alla cui stregua (art.13), nel settore peculiare degli appalti pubblici di lavori o di forniture, laddove la PA compia atti in violazione del diritto comunitario o delle relative norme interne di recepimento – ancorché ad essere lesi siano interessi legittimi, e non già diritti soggettivi (tipica l’ipotesi della partecipazione alle gare) – va garantito in ogni caso al privato che si assuma leso da tali violazioni il risarcimento del danno. Si tratta di una disposizione che si applica non a tutti gli appalti di lavori e di forniture, ma solo a quelli sopra-soglia, coinvolti come tali dall’applicazione delle norme comunitarie; inoltre, occorre sempre preventivamente chiedere ed ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo innanzi al GA, per poi procedere ad invocare la tutela risarcitoria innanzi al GO (c.d. pregiudiziale amministrativa).
2006
Il 13 giugno escono le due ordinanze delle SSUU n. 13659 e n. 13660 onde tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte privata per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta invoca dal giudice l’accertamento dell’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento (c.d. pregiudiziale amministrativa), né il diritto al risarcimento può essere di per sé disconosciuto a cagione di ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero proprio la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento illegittimo e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante appunto la relativa illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato dal GA sotto gli aspetti indicati, si rivela sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, sub specie di denegata giustizia.
Il 15 giugno esce l’ordinanza delle SSUU n.13911, che ribadisce quanto già affermato due giorni prima dalle ordinanze 13659 e 13660 in tema di pregiudiziale amministrativa, di diniego di giustizia e di sindacabilità della sentenza del GA innanzi alle SSUU per motivi di giurisdizione.
2008
Il 28 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 30254, che assume come sia nella disponibilità del legislatore disciplinare in concreto la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, se del caso prevedendo un termine di decadenza per l’esercizio di un’azione anche risarcitoria, come significativamente accade in materia societaria laddove il socio che non sia legittimato ad impugnare una delibera societaria può tuttavia spiccare domanda di risarcimento del danno, e tuttavia entro un termine decadenziale (90 giorni, ex art.2377 c.c.: si tratta di una presa di posizione non condivisa da tutta la dottrina, per taluni essendo inconcepibile un termine di decadenza per l’azione risarcitoria, ma semmai soltanto un termine prescrizionale molto ridotto, trattandosi di tutelare il diritto al risarcimento del danno). Ancora, le SSUU rammentano come nel campo del diritto del lavoro, ad una problematica di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria dà luogo la disciplina del licenziamento e della relativa impugnazione (artt. 6 ed 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604; 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300), specificandosi che l’orientamento della giurisprudenza al riguardo è nel senso onde la mancata impugnazione del licenziamento (come atto) nel termine fissato non comporta la liceità del recesso datoriale (inteso come comportamento e dunque riferito al rapporto: viene citata in particolare la sentenza n. 21833 del 2006), l’inoppugnabilità del licenziamento precludendo al lavoratore, oltre alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro, la tutela sul piano risarcitorio per il danno costituito ed originato dalla mancata percezione degli emolumenti altrimenti spettanti, senza però che l’ingiustizia del licenziamento perda tale connotato (l’ingiustizia appunto), che resta suscettibile di accertamento laddove si presenti come componente di una più ampia condotta lesiva, vale a dire quando ha concorso a provocare un danno diverso da quello patrimoniale costituito dalla perdita degli emolumenti. Per la Corte poi, sotto altro profilo e ribadendo quanto già affermato nel 2006, proposta al GA domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è come tale soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto non sia stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento: in sostanza, si tratta di diniego di giustizia del GA sindacabile dalle SSUU, pur potendo il legislatore, in futuro, prevedere per l’eventuale azione risarcitoria autonoma un termine di decadenza, quale è appunto previsto in materia societaria. La legittimazione a chiedere il danno in via autonoma, introdotta per via pretoria dalle SSUU, conduce parte della dottrina a porsi il problema della malizia di un privato che non impugni tempestivamente l’atto amministrativo e poi invochi i danni che derivano da tale (magari dolosa) omessa impugnazione, valorizzando all’uopo – nell’ottica della pretesa e della “spettanza” – l’art.1227 c.c., il cui comma 2 esclude dal novero dei danni risarcibili quelli che il creditore avrebbe potuto scongiurare attivando l’ordinaria diligenza e dunque, nel caso di specie, proprio impugnando tempestivamente l’atto.
2009
Il 18 giugno viene varata la legge delega n.69, il cui articolo 44 delega per l’appunto il Governo ad emanare norme sul processo amministrativo, anche per quanto concerne i rapporti tra azione di annullamento dell’atto (demolitoria) ed azione di risarcimento del danno (risarcitoria).
2010
Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, il cui articolo 30, tra le altre cose, chiude un annoso dibattito sviluppatosi storicamente in ordine c.d. pregiudiziale amministrativa, ovvero alla possibilità (o meno) per il privato di invocare il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo della PA anche senza aver previamente impugnato nei termini il provvedimento medesimo, che dunque resta valido ed efficace. Secondo il comma 1 infatti l’azione di condanna verso la PA può essere proposta contestualmente ad altra azione (segnatamente, quella tradizionale demolitoria o di annullamento) o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al medesimo articolo, anche in via autonoma, mentre stando al comma 2 può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno “ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’attivita’ amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, con evidente richiamo alla terminologia sull’ingiustizia del danno di cui all’art.2043 c.c.. Dopo aver previsto al comma 3 che la domanda (autonoma) di risarcimento per lesione di interessi legittimi e’ proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e’ verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo, il legislatore del codice afferma che, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, con un richiamo (seppure implicito) all’art.1227 c.c. in tema di diligenza del danneggiato. Alla stregua del comma 4, per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 (120 giorni) non decorre fintanto che perdura l’inadempimento, iniziando tuttavia comunque a decorrere (in caso appunto di silenzio c.d. inadempimento) dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. La norma prosegue (comma 5) affermando come nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza; e precisando (comma 6) che di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo. L’ipotesi del risarcimento del danno in via autonoma, ai sensi dell’art.30, comma 3, c.p.a. è l’unica in cui è consentito al GA di “disapplicare” (in senso atecnico) il provvedimento amministrativo illegittimo, al fine appunto di garantire al ricorrente “autonomo” il risarcimento del danno, come viene ribadito al successivo art.34 del c.p.a. medesimo, laddove viene fatto appunto divieto al GA di conoscere (incidentalmente) della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare (direttamente) con l’azione di annullamento ai sensi dell’art.29, fatta salva proprio l’ipotesi prevista dall’art.30, comma 3, della richiesta di risarcimento del danno senza previa tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo assunto illegittimo. In questa fattispecie non si tratta in realtà di vera e propria disapplicazione in quanto il GA, lungi dal considerare il provvedimento (quand’anche ormai inoppugnabile) tamquam non esset, lo pone invece alla base della propria decisione di condanna (o di mancata condanna) al risarcimento del danno, nell’ottica dell’illecito perpetrato dalla PA giusta il ridetto atto, unitamente ad altri elementi; si tratta piuttosto proprio di una eccezionale cognizione incidenter tantum dell’atto da parte del GA, che lo scandaglia in via incidentale a fini risarcitori (e non, come in genera fa, in via principale a fini di annullamento). Peraltro l’art.34, comma 3, consente al GA di non chiudere il processo pur al cospetto di una improcedibilità dell’azione di annullamento allorché sussista l’interesse ad accertare incidentalmente proprio l’illegittimità dell’atto a fini (non più caducatori, ma) risarcitori. Assai importante l’art.124 del codice in materia di appalti, rubricato “tutela in forma specifica e per equivalente”, alla cui stregua l’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto (tutela in forma specifica connessa ad una pretesa e ad una “spettanza”) è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto già stipulato con il terzo controinteressato (ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122); se il giudice non dichiara l’inefficacia del detto contratto, dispone il risarcimento del danno per equivalente, subìto (deve dunque essere stato effettivamente subito) e provato (deve dunque essere rigorosamente provato); la norma aggiunge che la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile, con una ulteriore valorizzazione della diligenza del danneggiato (questa volta tuttavia esplicita stante appunto il richiamo espressis verbis alla norma del codice civile).
2011
Il 23 marzo esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.3 che si occupa della caduta della c.d. pregiudiziale amministrativa ai sensi dell’art.30, comma 3, del c.p.a., e dunque della possibilità di spiccare nei 120 giorni autonoma azione di condanna della PA al risarcimento dei danni provocati da un atto illegittimo non impugnato. L’Adunanza si pone in una prospettiva ermeneutica tesa a valorizzare il principio di autoresponsabilità del privato ricorrente, anche dal punto di vista degli effetti della mancata impugnazione dell’atto sul nesso causale di ascendenza civilistica che avvince fatto illecito e danno, di cui all’art.1223 c.c. Per il Consiglio il fatto che il danneggiato abbia tenuto una condotta attiva od omissiva contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza può implicare la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati proprio secondo il canone della causalità civile, imperniato sulla probabilità relativa (c.d. “più probabile che non”); si assiste in simili ipotesi (sovente riscontrabili proprio in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto in sede demolitoria) alla recisione, in tutto o in parte, del nesso causale che ai sensi dell’art.1223 c.c. deve avvincere la condotta antigiuridica (della PA) alle conseguenze dannose (assunte) risarcibili. Questo è il motivo per il quale, nella fattispecie disegnata dall’art.30 del c.p.a., allorché il privato non impugni tempestivamente il provvedimento amministrativo assunto illegittimo, chiedendo nondimeno in via autonoma il risarcimento dei danni, l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto amministrativo rileva – sul crinale causale – dal punto di vista sostanziale (e non processuale), proprio perché incide sul nesso causale civilistico precludendo la risarcibilità di quei danni che sarebbero presumibilmente stati evitati laddove il privato medesimo avesse ritualmente fatto uso dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde scongiurare proprio il consolidarsi (a cagione della mancata, tempestiva impugnazione) di effetti dannosi. In sostanza, facendo applicazione del principio di buona fede e del canone di solidarietà (il cui addentellato è l’art.2 della Costituzione) il GA – pur non potendo precludere in rito l’azione risarcitoria in caso di omessa, tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo – può tuttavia, nel merito, evitare di accordare il risarcimento per tutti quei danni che sarebbero stati per l’appunto evitabili con l’ordinaria diligenza, attraverso un’applicazione dell’art.1227, comma 2, c.c. che – pur non formalmente richiamato dall’art.30, comma 3, del c.p.a. – risulta esservi richiamato sul crinale sostanziale, essendone stato mutuato il regime applicativo in tema di concorso di colpa del creditore. Peraltro il c.p.a. si esprime in termini più generali di mancata attivazione degli “strumenti di tutela” da parte del privato, che potrebbe dunque vedersi ridotto (o eliso) il risarcimento anche laddove non abbia spiccato un ricorso amministrativo o non abbia chiesto alla PA di provvedere in sede di autotutela: per vero, proprio il principio di solidarietà di cui all’art.2 Cost., ed il connesso principio di buona fede di cui all’art.1175 c.c., impongono anche alla vittima di una condotta illecita di attivarsi per scongiurare il prodursi o il lievitare dei danni, almeno fino alla soglia della esigibilità del proprio comportamento, che è da assumersi tale (esigibile) fino al punto in cui lambisce la soglia dell’apprezzabile sacrificio. Da questo punto di vista, per l’Adunanza Plenaria non occorre l’eccezione processuale dell’Amministrazione, essendo il GA dotato di un potere di rilievo officioso al fine di acquisire – anche giusta presunzioni ex art.2727 e seguenti c.c. – tutti gli elementi di prova che gli occorrono al fine di formulare un giudizio prognostico in ordine al prevedibile esito che avrebbe avuto l’azione demolitoria, ove tempestivamente spiccata dal privato (magari con corredo di istanza cautelare, anche ante causam), specie in termini appunto di evitabilità dei danni e di conseguente non risarcibilità dei medesimi. Come è ovvio, la domanda risarcitoria è invece fondata quando il ricorrente non ha chiesto tempestivamente l’annullamento dell’atto assecondando una scelta discrezionale che si palesa razionale ed insindacabile per essere venuto meno (o per non essersi mai palesato) l’interesse all’annullamento dell’atto medesimo, come nelle ipotesi in cui esso sia stato immediatamente eseguito dalla PA, producendo una modifica irreversibile (in questa fattispecie la richiesta di annullamento si rivela inutile), ovvero allorché i tempi tecnici del processo compromettano, secondo una valutazione ragionevole, l’efficacia della tutela demolitoria (sicché si invoca un annullamento che chissà se e quando arriverà); un’altra ipotesi in cui la domanda risarcitoria appare fondata e non intaccata – nemmeno in ordine al quantum risarcitorio – dalla mancata tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo appare quella di cui all’art.246, comma 4, del codice dei contratti pubblici n.163.06, poi ripreso dall’art.125, comma 3, del c.p.a., onde, in tema di controversie afferenti ad infrastrutture strategiche, ferma restando l’applicazione degli articoli 121 e 123, ed al di fuori dei casi in essi contemplati, la sospensione (cautelare) o l’annullamento (di merito) dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato con il terzo controinteressato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente: in questa fattispecie dunque impugnare significa già, ex ante, essere certi che il contratto resterà nella disponibilità di chi lo ha (magari illegittimamente) sottoscritto, sicché la mancata impugnazione non può sortire effetti sul risarcimento del danno dovuto al ricorrente a cagione del comportamento illegittimo/illecito della PA aggiudicatrice. La dottrina ha sottolineato come affiori dalle disposizioni del c.p.a., siccome interpretate dal GA ed in particolare dall’Adunanza Plenaria n.3 del 2011, un accresciuto potere di quest’ultimo proprio quanto a delimitazione della concreta estensione riconoscibile, di volta in volta, alle istanze di tutela risarcitoria avanzate dai ricorrenti privati.
Il 7 settembre esce l’ordinanza della I sezione del Tar Sicilia, che rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art.30, comma 5, c.p.a., nella parte in cui esso prevede un termine di decadenza di 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza demolitoria per l’esercizio dell’azione risarcitoria. Il Tar parte da quelle esigenze di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale – da erogarsi in termini ragionevoli – che starebbero alla base dell’affidamento al GA non già solo della tutela demolitoria classica, ma anche di quella risarcitoria (per equivalente): tali esigenze sono tuttavia contraddette proprio dalla previsione di un termine di decadenza che – ponendosi come significativa deroga al diritto comune – comprime in modo consistente le possibilità di accesso alla tutela risarcitoria. Quello che, per il Tar Palermo, il legislatore avrebbe potuto ragionevolmente fare spendendo la propria discrezionalità normativa era prevedere un termine prescrizionale, magari abbreviato e come tale diverso rispetto a quello previsto dal diritto comune, dando conto della ragionevolezza della disposta differenziazione; non già fissare un breve termine di decadenza, anche perché quest’ultima, tradizionalmente, impedisce ad un atto di compiersi (per essere appunto spirato il relativo termine di decadenza), mentre la prescrizione ha per effetto l’estinzione di un rapporto, sia poi che si tratta del pertinente diritto sostanziale ovvero della connessa azione giurisdizionale, onde è quest’ultima (la prescrizione) a meglio attagliarsi – per diritto comune – al torno temporale occorrente per estinguere il diritto risarcitorio o la relativa azione, trattandosi di accertare gli effetti dannosi prodotti da un rapporto, non già di caducare un atto. Peraltro, e sempre muovendosi in ottica di ragionevolezza, per il Tar mentre la prescrizione è connessa all’inerzia del titolare di un diritto, la decadenza risponde invece ad una esigenza di certezza del diritto talmente categorica da essere tutelata in modo indipendente rispetto alla (concreta) possibilità di agire da parte del soggetto interessato. Nel caso di specie, comprimere il diritto del danneggiato ad azionare il rimedio risarcitorio con un termine di decadenza anche allorché quegli abbia tempestivamente spiccato l’azione demolitoria significa, in modo irragionevole e sproporzionato, prevedere una decadenza in un caso in cui le esigenze di certezza sembrerebbero invece non imporla.
Il 5 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5445 che afferma come la domanda di risarcimento dei danni non possa essere formulata con memoria non notificata alle controparti; ciò atteso come la pur rilevante esigenza di concentrazione dei giudizi (demolitorio e risarcitorio) e di ragionevole durata del processo, che l’art.30 del c.p.a. ribadisce fissando un termine di decadenza anche per l’azione risarcitoria, non esime la parte dall’obbligo di instaurare un rituale contraddittorio giusta notifica della pertinente domanda.
2012
L’11 maggio esce la sentenza del Tar Basilicata n.203 che assume operativo il termine decadenziale di 120 giorni per la sola tutela risarcitoria autonoma (senza previa impugnazione dell’atto amministrativo) degli interessi legittimi, mentre per i diritti soggettivi opera il ben più lungo termine prescrizionale tradizionale.
*Il 24 luglio esce la sentenza della sezione III quater del Tar Lazio n.6853 che ribadisce come la domanda di risarcimento dei danni non possa essere formulata con memoria non notificata alle controparti; ciò atteso come la pur rilevante esigenza di concentrazione dei giudizi (demolitorio e risarcitorio) e di ragionevole durata del processo, che l’art.30 del c.p.a. ribadisce fissando un termine di decadenza anche per l’azione risarcitoria, non esime la parte dall’obbligo di instaurare un rituale contraddittorio giusta notifica della pertinente domanda.
Il 12 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.280 che dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.30, comma 5, c.p.a. sollevata dal Tar Palermo l’anno precedente, in riferimento agli articoli 3, 24, 103 e 113 Cost., ravvisando un difetto di rilevanza, nel caso di specie, della questione medesima.
2013
Il 9 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.76 che rappresenta come – stante il disposto dell’art.104, comma 1, c.p.a., laddove afferma il divieto di domande nuove in appello – non può essere proposta la domanda di risarcimento del danno per la prima volta in appello, in un processo nel cui primo grado sia stata spiccata la sola domanda demolitoria (potendo tuttavia, è da intendersi, essere spiccata domanda risarcitoria in separato processo di primo grado).
*Il 24 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.429 che ribadisce come – stante il disposto dell’art.104, comma 1, c.p.a., laddove afferma il divieto di domande nuove in appello – non può essere proposta la domanda di risarcimento del danno per la prima volta in appello, in un processo nel cui primo grado sia stata spiccata la sola domanda demolitoria (potendo tuttavia, è da intendersi, essere spiccata domanda risarcitoria in separato processo di primo grado).
2014
Il 22 gennaio esce l’ordinanza della II sezione del Tar Liguria n.107 che rimette ancora una volta alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art.30, comma 5, c.p.a. per asserita violazione degli articoli 3, 24, 103, 113 e 117, comma 1, Cost., essendo stato introdotto dal legislatore un termine di decadenza di soli 120 giorni decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto illegittimo, così compromettendo in modo sproporzionato ed irragionevole il diritto di difesa in giudizio del privato danneggiato.
2015
Il 22 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.284 che si occupa di un peculiare caso di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, rimettendo all’Adunanza Plenaria una pertinente questione. Più in specie, il Collegio si chiede se, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, ed in particolare in base all’art.34, comma 3, del c.p.a. – che consente al giudice in sede di tutela demolitoria di accertare l’illegittimità dell’atto anche nel caso in cui l’azione di annullamento sia divenuta improcedibile, quando sussista l’interesse al detto accertamento di illegittimità dell’atto a fini risarcitori – il GA possa non disporre il chiesto annullamento della graduatoria di un concorso risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcuno dei candidati al concorso medesimo, e prevedere piuttosto per il ricorrente il risarcimento del danno (pur non avendo questi invocato anche la tutela risarcitoria, ed avendo piuttosto chiesto il solo annullamento degli atti impugnati) allorché la pronuncia giurisdizionale demolitoria esplicitamente chiesta – in materia di concorsi funzionali all’instaurazione di rapporti di lavoro dipendente – sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dall’approvazione della graduatoria e dalla conseguente nomina dei vincitori, ed in particolare allorché questi ultimi abbiano ormai consolidato le proprie scelte di vita e l’annullamento degli atti concorsuali comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie. In sostanza si tratta di decidere se, chiesto l’annullamento dell’atto amministrativo, il GA possa in determinate circostanze condannare d’ufficio al solo risarcimento del danno, ancorché la tutela risarcitoria non sia stata chiesta dal ricorrente con domanda all’uopo.
Il 31 marzo esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.57 che dichiara inammissibile la questione sollevatale dal Tar Liguria l’anno precedente. Per la Corte il Tar non ha tenuto conto in modo adeguato dell’Allegato 3, Titolo II, articolo 2 del c.p.a., vale a dire di una delle norme transitorie che hanno accompagnato l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, laddove esso prevede esplicitamente che per i termini in corso continuano ad applicarsi le norme previgenti (ed i termini in esse previsti): per la Corte si tratta di una disposizione che non può non applicarsi, per l’appunto, all’art.30, comma 5, c.p.a., configurandosi una successione tra un termine sostanziale previgente, di prescrizione, ed un termine processuale sopravvenuto, di decadenza, come tale applicabile solo ai fatti successivi all’entrata in vigore del codice. Il Tar doveva dunque fare riferimento, nel caso ad esso sottoposto, al regime prescrizionale quinquennale di cui all’art.2947 c.c., e non già al regime di decadenza di 120 giorni, non applicabile alla fattispecie da esso scandagliata (perché posteriore), con la conseguente inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale (che si profila nella sostanza irrilevante).
Il 13 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria n.4 che – basandosi sul fondamentale principio della domanda – esclude che possa intervenire condanna ex officio al risarcimento del danno laddove il ricorrente abbia chiesto solo l’annullamento degli atti impugnati, assunti illegittimi. In sostanza, dinanzi ad un petitum demolitorio (viene chiesto l’annullamento dell’atto amministrativo, e dunque una tutela in forma specifica), il GA non può di propria iniziativa e d’ufficio limitarsi ad erogare al ricorrente una tutela risarcitoria (come tale per equivalente) basandosi sugli effetti potenzialmente assai pregiudizievoli della sentenza demolitoria, sulla scorta dunque di valutazioni di proporzionalità, di giustizia e di equità (del caso singolo). La trasformazione del petitum, come quella della causa petendi, laddove operate d’ufficio dal GA, finirebbero infatti per violare il principio della domanda di cui all’art.99 c.p.c. oltre che quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art.112 c.p.c., canoni entrambi applicabili al processo amministrativo in virtù del rinvio “esterno” di cui all’art.39 del c.p.a.
Il 20 aprile esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.974 che si occupa del termine di decadenza di 120 giorni previsto per l’azione risarcitoria autonoma dall’art.30, comma 3, del c.p.a., allorché l’atto illegittimo (dannoso) si inserisca in un procedimento di gara per l’affidamento di un appalto; in questa fattispecie, analogamente a quanto accade per la decorrenza del termine decadenziale impugnatorio ai sensi dell’art.79 del decreto legislativo 163.06, il termine decadenziale di 120 giorni per chiedere il risarcimento del danno non può decorrere sempre e comunque da quando è stata comunicata al destinatario l’aggiudicazione definitiva, e dunque in modo tutt’affatto indipendente dal momento in cui le illegittimità sono state in concreto conosciute dal soggetto interessato a contestarle; per il Tar occorre piuttosto assumere decorrente il ridetto termine solo dal momento in cui il soggetto interessato abbia avuto piena conoscenza (o avrebbe dovuto averla) della violazione delle disposizioni che disciplinano la gara, conformemente peraltro a quanto in sede sovranazionale riconosciuto dalla Corte di Giustizia UE del 28 gennaio 2010, C-406/08, caso Uniplex. Ne consegue che laddove il privato sappia della illegittimità solo dopo l’aggiudicazione, per essere le ridette illegittimità per l’appunto emerse in epoca posteriore, è solo da tale momento che decorre (oltre al termine per impugnare) anche il termine per invocare il risarcimento del danno.
Il 6 luglio esce un’altra importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la n.6, che afferma la non retroattività del termine decadenziale di 120 giorni previsto – per la domanda di risarcimento autonomo – dall’art.30, comma 3, del c.p.a. In sostanza, ai fatti illeciti della PA anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (ed alle connesse domande risarcitorie, anche autonome sulla scorta dei pronunciamenti delle SSUU) si applica il regime della prescrizione quinquennale ex art.2947 c.c. siccome previsto dall’orientamento pretorio dominante, configurandosi l’art.30 del c.p.a. quale innovazione legislativa, come tale non retroattiva, sia in forza dell’art.11 delle preleggi, sia in forza dell’art.14 delle preleggi medesime sulla applicazione tassativa delle norme c.d. eccezionali, quale è appunto considerata quella che applica alla domanda di risarcimento del danno l’innovativo termine decadenziale di 120 giorni. A diversamente opinare si farebbe luogo, per il Collegio, all’applicazione retroattiva di norme nuove che costituiscono reformatio in peius rispetto al regime previgente, e che hanno peraltro una portata sostanziale, non già processuale, non potendosi dunque predicare l’applicazione del principio tempus regit actum. Piuttosto, il legislatore ha trasformato un termine prescrizionale in termine decadenziale, con la precisazione che nel caso di specie il noto termine di 120 giorni assume un rilievo misto, non sostanziale puro né processuale puro, atteggiandosi piuttosto ad istituto sostanziale a rilievo processuale (quali sono, nel diritto privato, le decadenze disciplinate dall’art.2964 c.c.), istituto al quale non può applicarsi il principio di retroattività. La conclusione è che occorre guardare al tempo del fatto illecito pubblico (nella sostanza, al tempo di adozione dell’atto amministrativo), e non a quello in cui il privato ha spiccato ricorso: laddove il fatto illecito pubblico sia anteriore all’entrata in vigore del c.p.a., si applica il termine prescrizionale quinquennale (anche se il privato ha chiesto i danni dopo la ridetta entrata in vigore), mentre laddove sia posteriore si applica ormai il termine decadenziale di 120 giorni. Ancora, per il Consiglio di Stato – dal momento che ogni novità normativa implica una differenza tra il regime del prima e quello del poi – nessuna disparità di trattamento può assumersi configurabile tra diversi soggetti privati lesi da un atto illegittimo, rispettivamente, prima o dopo l’entrata in vigore del codice; ciò dovendosi tenere conto del fatto da un lato che – ai sensi dell’Allegato 3, art.2 del c.p.a. – per i termini in corso alla data di entrata in vigore del codice medesimo continuano ad applicarsi le norme previgenti; dall’altro, che proprio basandosi su questa disposizione la Corte costituzionale ha assunto, con la sentenza 57.15, tale norma applicabile alla successione tra un termine prescrizionale ed uno decadenziale, come appunto accade nella fattispecie di cui all’art.30 c.p.a., con la conseguenza che il termine nato prescrizionale resta tale, senza divenire decadenziale.
2017
Il 22 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 3065 in tema di risarcimento per illegittimo esercizio del potere disciplinare di una federazione sportiva a carico di un atleta non professionista; oggetto di indagine del Consiglio di Stato sono le modalità con le quali il giudice statale possa intervenire sulle questioni riguardanti l’ordinamento sportivo, nonostante la sfera di autonomia concessa dal legislatore a detto ordinamento. Secondo il Consesso, se l’atto delle federazioni sportive o dal CONI ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda intesa non alla caducazione dell’atto, ma al conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva: non opera alcuna riserva a favore della giustizia sportiva innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. Sicché il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Dunque, prosegue l’Organo giudicante, il diritto al risarcimento del danno – fatto valere davanti al giudice amministrativo – può essere riconosciuto soltanto quando siano stati lesi i principi del giusto processo. In tali casi sono risarcibili i soli pregiudizi allo sviluppo della carriera sportiva mentre rimangono esclusi dall’ambito risarcitorio voci di pregiudizio estranee alla praticata “attività sportiva” in quanto tale (come la perdita di chance per la risoluzione di contratti, per interruzione di trattative e per perdita di premi, nonché il pregiudizio all’immagine); diversamente, arrivando a voler includere nell’oggetto di questa tutela per equivalente monetario voci per loro natura diverse da quelle proprie di quell’àmbito ed estranee alle dette finalità eminentemente pubblicistiche dell’ordinamento sportivo, si finirebbe per contraddire il rammentato vincolo di strumentalità funzionale che è proprio della giurisdizione condizionata nonché quello di stretta proporzionalità degli strumenti integrati di tutela. E si finirebbe per trasformare l’espressione dello sport in un’ordinaria fenomenologia individuale di mercato dove il sostegno pubblico perderebbe ragione o diverrebbe locupletativo. Si esulerebbe dalle ragioni di una particolare tutela giurisdizionale pubblica che ha per base espressa quelle dell’organizzazione pubblicistica dell’attività sportiva e la garanzia del suo legittimo funzionamento.
Il 20 novembre esce la sentenza delle SSUU n.27436 in tema di esclusione di un socio da una cooperativa, secondo la quale pretendere che chi – socio lavoratore escluso (e dunque licenziato) – intenda chiedere soltanto la tutela risarcitoria derivante dal licenziamento illegittimo debba impugnare la delibera di esclusione equivarrebbe ad assoggettare la fruizione della prima (tutela risarcitoria) ad un presupposto proprio della tutela restitutoria conseguente all’invalidazione della delibera di esclusione in parola (vale a dire della tutela “reale” compendiantesi nella reintegra del lavoratore), laddove – chiosa la Corte – in virtù dell’art. 24 Cost., spetta al titolare della situazione protetta scegliere a quale tutela far ricorso per poter ottenere ristoro del pregiudizio subito. Per la Cassazione gli effetti derivanti dalla delibera di esclusione non s’identificano quindi (pur all’evidenza collegandovisi) con quelli scaturenti dal licenziamento; ed anzi sono proprio gli effetti della delibera di esclusione (non impugnata, e dunque valida ed efficace) a dare consistenza agli effetti risarcitori derivanti dal licenziamento illegittimo, circostanza che sostanzia l’autonomia delle rispettive tutele secondo un modello – rammenta la Corte – già applicato in altri settori come, in via d’esempio, è accaduto a proposito dell’ammissibilità della tutela risarcitoria degli interessi legittimi anche se non sia stata in precedenza richiesta e dichiarata in sede di annullamento l’illegittimità dell’atto (vengono richiamati vari precedenti tra cui sez. un., ord. n. 22809.10; n. 5025.10; n. 30254.08; n. 13911.06, nonché nn. 13660.06 e 13659.06). La Corte sottolinea come sia questa l’opzione ermeneutica più coerente con le esigenze di tutela e garanzia del socio lavoratore, il quale pur sempre, nonostante partecipi alla realizzazione dello scopo mutualistico, permane l’anello debole della combinazione sintetizzata nel lavoro cooperativo. Viene dunque affermato il principio di diritto onde, in tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d’impugnazione, da parte del socio medesimo, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria (questa si condizionata alla tempestiva impugnazione della illegittima delibera di esclusione).
Il 18 dicembre esce la sentenza della II sezione del TAR Sicilia-Catania n. 2929 che ribadisce i limiti alla risarcibilità del danno subito dal proprietario di un terreno illegittimamente occupato dalla P.A. per scopi di interesse pubblico nel caso in cui a) l’Amministrazione comunale abbia formalmente e tempestivamente adottato un provvedimento di acquisizione sanante ed abbia effettivamente corrisposto l’indennizzo ivi previsto; b) il proprietario, pur dolendosi, sotto il profilo del quantum, della illegittimità del medesimo provvedimento, per mancanza di motivazione e di adeguata comparazione degli interessi coinvolti, abbia omesso di impugnarlo tempestivamente e di specificare le ragioni relative alla asserita erroneità della quantificazione operata dalla P.A.. La mancata impugnazione del provvedimento di acquisizione sanante assume infatti specifico rilievo ai fini dell’insussistenza del nesso di causalità tra fatto lesivo e danno risarcibile poiché – pur nel sostanziale superamento della cd. pregiudiziale amministrativa già all’epoca di proposizione del ricorso introduttivo (anteriore, comunque, all’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a.) – deve escludersi la risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, rinviando al principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., tale da far ritenere come l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisca, nel comportamento complessivo delle parti valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, certamente un fatto di rilievo ai fini del giudizio sulla sussistenza del pregiudizio risarcibile poiché recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.
2018
Il 7 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 814 in tema di risarcimento per mancato conferimento di incarico pubblico. In linea generale, osserva il Consiglio che la domanda di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo proposta al giudice amministrativo prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all’azione amministrativa reputata illegittima ed è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria. Nel merito, tuttavia, l’Organo giudicante osserva come, diversamente da quanto potrebbe configurarsi in tema di mere autorizzazioni allo svolgimento di attività private che già appartengono alla capacità dell’interessato, il conferimento di incarichi pubblici avviene nell’interesse pubblico ed è per sua natura riservato alla latissima discrezionalità dell’Amministrazione che se ne avvale e per questo fatto, riguardo al risvolto economico, non pare giuridicamente configurabile in capo al dipendente un’aspettativa qualificata all’attribuzione di un tale incarico remunerato, con conseguente ristoro patrimoniale per il caso di suo conferimento indebitamente impedito.
Questioni intriganti
Quali modelli di tutela si configurano nei confronti della PA?
- tutela in forma specifica “adempitiva”: il privato titolare dell’interesse legittimo oppositivo (pretensivo ad un non facere) o pretensivo (ad un dare o ad un facere) punta a veder soddisfatto il proprio interesse creditorio, e punta dunque ad ottenere il bene della vita oggetto della propria “spettanza” o pretesa, facendoselo restituire (laddove la PA sia stata inadempiente ad un non facere, sottraendoglielo in modo non conforme all’interesse pubblico), ovvero facendoselo dare ex novo (laddove la PA sia stata inadempiente ad un obbligo di dare o di facere, non mettendoglielo a disposizione in modo non conforme all’interesse pubblico); questo modello di tutela passa normalmente attraverso l’aggressione all’atto amministrativo che ha sottratto in modo illegittimo/illecito il bene al privato (conculcandone l’interesse oppositivo) ovvero gli ha denegato in modo del pari illegittimo/illecito il predetto bene, avendo come obiettivo la restituzione del bene nel primo caso e la messa a disposizione ex novo del bene nel secondo (in quest’ultimo caso, laddove occorra attraverso la mediazione di un nuovo esercizio del potere pubblico discrezionale);
- tutela in forma specifica “non adempitiva”: vale quanto detto con riguardo alla tutela adempitiva (anch’essa in forma specifica), con la differenza che in questo caso il privato punta a soddisfare non già l’interesse sotteso alla propria pretesa e dunque oggetto della propria “spettanza”, quanto piuttosto un interesse succedaneo ed omogeneo, come nel caso della restituzione di un bene diverso ed omogeneo in luogo di quello sottrattogli in modo illegittimo/illecito dalla PA (laddove ne sia stato conculcato un interesse oppositivo, o meglio pretensivo ad un non facere), ovvero nel caso dell’ottenimento ex novo di un bene diverso ed omogeneo rispetto a quello oggetto della pretesa originaria, come nel caso dell’affidamento di un appalto diverso rispetto a quello che gli sarebbe per l’appunto “spettato” (laddove ne sia stato conculcato un interesse pretensivo, come tipicamente accade in caso di partecipazione ad una gara);
- tutela per equivalente: si tratta del risarcimento del danno che c.1) si affianca alla tutela in forma specifica, ovvero c.2) la sostituisce in toto, ma che presuppone in ogni caso la illegittimità/illiceità del contegno pubblico, avendo nella sostanza la PA perpetrato un inadempimento per avere mal valutato il rapporto di compatibilità tra la pretesa del privato a mantenere o ad ottenere un dato bene giuridico e l’interesse pubblico alla relativa conservazione o al relativo ottenimento;
- in conseguenza di un comportamento illecito della PA (sostanziante un inadempimento dell’Amministrazione) che si sia tradotto in un atto amministrativo “che toglie” (interesse oppositivo) o “che nega” (interesse pretensivo), il privato può: d.1) chiedere l’abbattimento dell’atto illegittimo (tutela demolitoria) ed insieme invocare la tutela in forma specifica adempitiva, non adempitiva e per equivalente, quest’ultima giusta (eventuale) pretesa al risarcimento del danno subito attraverso gli effetti di un atto illegittimo del quale si chiede al GA l’eliminazione dal mondo giuridico e che è anche illecito perché riassume l’inadempimento pubblico nell’ambito del rapporto amministrativo di specie; d.2) chiedere soltanto il risarcimento per equivalente, lasciando in vita l’atto illegittimo e dunque non attivando la tutela demolitoria, ma solo quella risarcitoria, laddove lo scandaglio del GA si concentra sulla illegittimità dell’atto non già per caducarlo, quanto piuttosto per ritrarne la connotazione illecita della fattispecie e, conseguentemente, condannare la PA (inadempiente) a risarcire il danno.
Come si atteggiano i rapporti tra azione demolitoria ed azione risarcitoria dopo l’avvento del codice del processo amministrativo?
- è stata trovata una soluzione di compromesso, attraverso un “superamento temperato” della regola della c.d. pregiudizialità amministrativa;
- il pericolo dell’autonomia incondizionata dell’azione risarcitoria rispetto a quella demolitoria è infatti quello di consentire di chiedere il risarcimento dei danni da parte di chi – con colpa o financo con dolo – abbia omesso di agire tempestivamente in sede demolitoria, con la conseguenza di aver reso inoppugnabile un atto amministrativo che egli assume tuttavia (e ad un tempo) per lui produttivo di danno, con l’aggravante di esporre la PA all’incertezza in ordine al rapporto amministrativo di specie per tutta la durata del termine prescrizionale cui soggiace l’azione risarcitoria autonoma; una incertezza che investe anche il quantum complessivo che la PA sarebbe chiamata ad erogare a titolo risarcitorio nel torno temporale in cui è ancora aperto il termine prescrizionale per agire e chiedere i danni alla parte pubblica;
- il termine decadenziale di 120 giorni esclude da un lato che si configuri una prescrizione – essendo piuttosto prevista una decadenza, maggiormente conforme alla presenza di interessi pubblici da salvaguardare – e scongiura dall’altro che il periodo di incertezza si prolunghi oltremodo;
- in sostanza, decorso il termine ordinario di impugnazione di 60 giorni, possono decorrerne altri 60 (e dunque 120 in tutto) utili per impugnare l’atto in sede (ancora demolitoria) di ricorso straordinario al Capo dello Stato, da un lato, e per chiedere la condanna della PA al risarcimento (autonomo) del danno, dall’altro;
- il dies a quo è invece lo stesso sia per l’azione demolitoria che per quella risarcitoria, e si identifica nel giorno in cui il fatto illecito della PA si è verificato, ovvero – laddove il danno derivi direttamente dal provvedimento – nel giorno in cui detto provvedimento (dannoso) è giunto a conoscenza del destinatario; in sostanza, dalla piena conoscenza del provvedimento lesivo inizia a decorrere tanto il termine per impugnarlo (normalmente, 60 giorni) quanto il termine per chiedere il risarcimento del danno (120 giorni), in guisa analoga a quanto accade, ai sensi dell’2377 c.c., per l’impugnazione delle delibere societarie ovvero per la richiesta di risarcimento dei danni da esse prodotti (fattispecie nella quale il termine decadenziale è tuttavia sempre di 90 giorni); resta fuori dalla mentovata sincronia decorrenziale l’ipotesi in cui il danno non derivi direttamente dal provvedimento, quanto piuttosto dalla relativa (posteriore) esecuzione, con conseguente decorrenza del termine decadenziale per invocare il risarcimento che si atteggia sfalsata rispetto a quella del termine, del pari decadenziale, per impugnare in sede demolitoria;
- se l’atto amministrativo illegittimo è stato tempestivamente impugnato, la tutela risarcitoria per equivalente si configura non più autonoma, ma connessa e complementare a quella demolitoria in forma specifica, potendo essere attivata anche durante il processo demolitorio (con motivi aggiunti), ovvero comunque entro i 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia sull’azione di annullamento;
- solo laddove l’atto amministrativo illegittimo venga tempestivamente impugnato, il privato si palesa diligente, scongiurando abbattimenti del quantum risarcitorio connessi ad un proprio (eventuale) concorso di colpa connesso appunto alla mancata, tempestiva impugnazione dell’atto illegittimo/illecito dannoso; ciò in quanto – massime allorché si chieda il solo risarcimento del danno senza avere previamente impugnato il provvedimento amministrativo – l’oggetto dello scandaglio giurisdizionale non è tanto il provvedimento che “riassume” il rapporto tra cittadino e PA, quanto piuttosto proprio e direttamente tale rapporto, onde va valutato il comportamento complessivo imputabile sia alla parte pubblica (che col provvedere in modo illegittimo palesa un indizio di illiceità della propria condotta generale) sia a quella privata (che per parte sua potrebbe, come accennato, non impugnare il provvedimento in modo colposo o financo doloso, per poi invocare i danni che derivano da tale maliziosa, omessa impugnazione tempestiva); parte della dottrina ha assunto all’uopo financo rilevante l’1176, comma 2, c.c., laddove si fa menzione della diligenza professionale in luogo di quella ordinaria (onde solo provando di essere stato “specificamente” e “professionalmente” diligente, il privato leso potrebbe ottenere l’invocato risarcimento): si tratta di una opzione che tuttavia, se è predicabile nel caso di un’azienda che partecipa ad una gara di appalto, appare invece difficilmente predicabile con riguardo al normale cittadino che vanti un interesse legittimo nei confronti della PA, e che come tale non può assumere automaticamente la veste del professionista, non potendosi dunque esigere da lui quel surplus di diligenza che rischia di sottrargli in modo iniquo il risarcimento del danno; una certa qual rilevanza dell’art.1176 c.c. pare invece (quanto meno implicitamente) ravvisabile nell’art.124 del c.p.a. laddove, in materia di appalti, si richiede che il danno oggetto del risarcimento per il soggetto professionale che non ha raggiunto l’appalto sia da quest’ultimo, esplicitamente, “subito e provato”;
- se un atto illegittimo espresso non vi è stato, ma vi è stato silenzio-inadempimento della PA, il termine di 120 giorni per chiedere il risarcimento non inizia decorrere fintanto che perduri il detto inadempimento pubblico; solo quando è trascorso 1 anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, detto termine di 120 giorni per invocare il risarcimento del danno inizia a decorrere; si tratta di una fattispecie nella quale appare del tutto irrilevante, se non addirittura inconfigurabile, quell’onere di diligenza richiesto invece al privato che si assuma danneggiato da un provvedimento illegittimo/illecito espresso, dovendo quest’ultimo essere impugnato nei termini se si vogliono scongiurare spiacevoli conseguenze in punto di quantificazione del danno risarcibile; nel caso di silenzio-inadempimento (e di connesso ritardo nella conclusione del procedimento), invece, si è al cospetto di un illecito permanente della PA (un inadempimento permanente, così additato dalla Relazione al c.p.a.) in costanza del quale il privato che si assuma danneggiato può sempre agire (entro il limite massimo di 1 anno e 120 giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento), con evidente irrilevanza appunto dell’onere di diligenza ridetto (per non affiorare alcun atto da aggredire in sede demolitoria).
Mancato abbattimento dell’atto e tutela risarcitoria di compromesso
(di Giulio Bacosi)
Massima
Nel contesto tradizionale della tutela demolitoria irrompe, innovativamente, quella risarcitoria, con evidente necessità di coordinare i due rimedi, il primo dei quali appare riconducibile alla sfera della tutela in forma specifica, ed il secondo all’orbita della tutela c.d. per equivalente; superata la c.d. pregiudiziale amministrativa, il codice del processo amministrativo ammette la tutela risarcitoria c.d. pura (o autonoma), circondandola tuttavia da una serie di condizionamenti che presidiano l’interesse pubblico e, ad un tempo, scongiurano contegni maliziosi da parte di chi ex ante non impugna per tempo proprio allo scopo di veder crescere l’importo dei danni da farsi riconoscere, ex post, dal giudice amministrativo.
Crono-articolo
1942
Il codice civile, oltre a plurime disposizioni in materia risarcitoria – come l’art.1218 in tema di responsabilità c.d. “contrattuale” (meglio additabile come “da obbligo precostituito”), l’art.2043 in tema di responsabilità da fatto illecito – prevede anche fattispecie “demolitorie” di annullamento di atti, come ad esempio all’art.23 in materia di annullamento e sospensione delle deliberazioni dell’assemblea di una associazione. Lo stesso contratto può essere oggetto di annullamento in caso di raggiri dolosi di un contraente ai danni dell’altro ai sensi dell’art.1439; in queste ipotesi, il contraente decipiens è tenuto a risarcire i danni – nei limiti dell’interesse negativo – al contraente deceptus che abbia ottenuto l’annullamento del contratto, stante anche il disposto dell’art.1338 c.c.; tuttavia, come palesa la fattispecie del dolo c.d. incidente ex art.1440, la domanda risarcitoria non è condizionata al previo annullamento del contratto, potendo il contraente deceptus ottenere il risarcimento dei danni anche in caso di contratto che resti valido ed efficace (dovendo chiedersi se in questi casi sia risarcibile anche l’interesse positivo, collegato dunque all’esecuzione del contratto: la giurisprudenza parlerà in proposito di c.d. “danno differenziale”, corrispondente alla differenza tra il “meno” concretamente ottenuto ed il “più” che si sarebbe ottenuto laddove la formazione del consenso di una delle parti non fosse stata viziata). Anche in tema di risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive ex art.1453 si assiste ad una fattispecie di tutela demolitoria cui fa seguito l’obbligo di risarcire il danno al contraente adempiente gravante in capo al contraente inadempiente cui è imputabile la risoluzione. Importante l’art.2377 in tema di impugnazione delle delibere societarie, in cui è prevista (in rapporto alla quota di capitale sociale posseduta) la legittimazione di taluni soci ad impugnare le delibere illegittime, e per altri privi di tale legittimazione la facoltà di spiccare azione risarcitoria (senza ovviamente il previo annullamento della delibera illegittima, che essi non possono impugnare), e tuttavia per entrambe le categorie di soci (e di rimedi) è previsto un termine decadenziale di 90 giorni. In materia di risarcimento del danno c.d. contrattuale, nel disciplinare il concorso del fatto colposo del creditore, si prevede poi all’art.1227 da un lato che qualora il fatto colposo del creditore abbia concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate; dall’altro che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana che – sul crinale risarcitorio – prevede una norma esplicitamente dedicata alla responsabilità dei pubblici dipendenti: si tratta dell’art.28, onde i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, con la precisazione che in tali casi – di diretta responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici – la responsabilità civile (e non anche penale ed amministrativa) “si estende” allo Stato e agli enti pubblici medesimi. Sul versante demolitorio rilevante è invece l’art.113 della Carta, onde contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa, tutela che non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; importante in particolare il comma 3, alla cui stregua la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della PA nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa: si tratta di una riserva di legge in materia di giurisdizione sull’annullamento degli atti amministrativi (tutela demolitoria) che dunque non necessariamente appartiene al GA.
1992
Il 19 febbraio viene varata la legge n. 142 di recepimento della c.d. Direttiva Ricorsi del 1989 alla cui stregua (art.13), nel settore peculiare degli appalti pubblici di lavori o di forniture, laddove la PA compia atti in violazione del diritto comunitario o delle relative norme interne di recepimento – ancorché ad essere lesi siano interessi legittimi, e non già diritti soggettivi (tipica l’ipotesi della partecipazione alle gare) – va garantito in ogni caso al privato che si assuma leso da tali violazioni il risarcimento del danno. Si tratta di una disposizione che si applica non a tutti gli appalti di lavori e di forniture, ma solo a quelli sopra-soglia, coinvolti come tali dall’applicazione delle norme comunitarie; inoltre, occorre sempre preventivamente chiedere ed ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo innanzi al GA, per poi procedere ad invocare la tutela risarcitoria innanzi al GO (c.d. pregiudiziale amministrativa).
2006
Il 13 giugno escono le due ordinanze delle SSUU n. 13659 e n. 13660 onde tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte privata per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta invoca dal giudice l’accertamento dell’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento (c.d. pregiudiziale amministrativa), né il diritto al risarcimento può essere di per sé disconosciuto a cagione di ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero proprio la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento illegittimo e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante appunto la relativa illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato dal GA sotto gli aspetti indicati, si rivela sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, sub specie di denegata giustizia.
Il 15 giugno esce l’ordinanza delle SSUU n.13911, che ribadisce quanto già affermato due giorni prima dalle ordinanze 13659 e 13660 in tema di pregiudiziale amministrativa, di diniego di giustizia e di sindacabilità della sentenza del GA innanzi alle SSUU per motivi di giurisdizione.
2008
Il 28 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 30254, che assume come sia nella disponibilità del legislatore disciplinare in concreto la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, se del caso prevedendo un termine di decadenza per l’esercizio di un’azione anche risarcitoria, come significativamente accade in materia societaria laddove il socio che non sia legittimato ad impugnare una delibera societaria può tuttavia spiccare domanda di risarcimento del danno, e tuttavia entro un termine decadenziale (90 giorni, ex art.2377 c.c.: si tratta di una presa di posizione non condivisa da tutta la dottrina, per taluni essendo inconcepibile un termine di decadenza per l’azione risarcitoria, ma semmai soltanto un termine prescrizionale molto ridotto, trattandosi di tutelare il diritto al risarcimento del danno). Ancora, le SSUU rammentano come nel campo del diritto del lavoro, ad una problematica di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria dà luogo la disciplina del licenziamento e della relativa impugnazione (artt. 6 ed 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604; 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300), specificandosi che l’orientamento della giurisprudenza al riguardo è nel senso onde la mancata impugnazione del licenziamento (come atto) nel termine fissato non comporta la liceità del recesso datoriale (inteso come comportamento e dunque riferito al rapporto: viene citata in particolare la sentenza n. 21833 del 2006), l’inoppugnabilità del licenziamento precludendo al lavoratore, oltre alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro, la tutela sul piano risarcitorio per il danno costituito ed originato dalla mancata percezione degli emolumenti altrimenti spettanti, senza però che l’ingiustizia del licenziamento perda tale connotato (l’ingiustizia appunto), che resta suscettibile di accertamento laddove si presenti come componente di una più ampia condotta lesiva, vale a dire quando ha concorso a provocare un danno diverso da quello patrimoniale costituito dalla perdita degli emolumenti. Per la Corte poi, sotto altro profilo e ribadendo quanto già affermato nel 2006, proposta al GA domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è come tale soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto non sia stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento: in sostanza, si tratta di diniego di giustizia del GA sindacabile dalle SSUU, pur potendo il legislatore, in futuro, prevedere per l’eventuale azione risarcitoria autonoma un termine di decadenza, quale è appunto previsto in materia societaria. La legittimazione a chiedere il danno in via autonoma, introdotta per via pretoria dalle SSUU, conduce parte della dottrina a porsi il problema della malizia di un privato che non impugni tempestivamente l’atto amministrativo e poi invochi i danni che derivano da tale (magari dolosa) omessa impugnazione, valorizzando all’uopo – nell’ottica della pretesa e della “spettanza” – l’art.1227 c.c., il cui comma 2 esclude dal novero dei danni risarcibili quelli che il creditore avrebbe potuto scongiurare attivando l’ordinaria diligenza e dunque, nel caso di specie, proprio impugnando tempestivamente l’atto.
2009
Il 18 giugno viene varata la legge delega n.69, il cui articolo 44 delega per l’appunto il Governo ad emanare norme sul processo amministrativo, anche per quanto concerne i rapporti tra azione di annullamento dell’atto (demolitoria) ed azione di risarcimento del danno (risarcitoria).
2010
Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, il cui articolo 30, tra le altre cose, chiude un annoso dibattito sviluppatosi storicamente in ordine c.d. pregiudiziale amministrativa, ovvero alla possibilità (o meno) per il privato di invocare il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo della PA anche senza aver previamente impugnato nei termini il provvedimento medesimo, che dunque resta valido ed efficace. Secondo il comma 1 infatti l’azione di condanna verso la PA può essere proposta contestualmente ad altra azione (segnatamente, quella tradizionale demolitoria o di annullamento) o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al medesimo articolo, anche in via autonoma, mentre stando al comma 2 può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno “ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’attivita’ amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, con evidente richiamo alla terminologia sull’ingiustizia del danno di cui all’art.2043 c.c.. Dopo aver previsto al comma 3 che la domanda (autonoma) di risarcimento per lesione di interessi legittimi e’ proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e’ verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo, il legislatore del codice afferma che, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, con un richiamo (seppure implicito) all’art.1227 c.c. in tema di diligenza del danneggiato. Alla stregua del comma 4, per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 (120 giorni) non decorre fintanto che perdura l’inadempimento, iniziando tuttavia comunque a decorrere (in caso appunto di silenzio c.d. inadempimento) dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. La norma prosegue (comma 5) affermando come nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza; e precisando (comma 6) che di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo. L’ipotesi del risarcimento del danno in via autonoma, ai sensi dell’art.30, comma 3, c.p.a. è l’unica in cui è consentito al GA di “disapplicare” (in senso atecnico) il provvedimento amministrativo illegittimo, al fine appunto di garantire al ricorrente “autonomo” il risarcimento del danno, come viene ribadito al successivo art.34 del c.p.a. medesimo, laddove viene fatto appunto divieto al GA di conoscere (incidentalmente) della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare (direttamente) con l’azione di annullamento ai sensi dell’art.29, fatta salva proprio l’ipotesi prevista dall’art.30, comma 3, della richiesta di risarcimento del danno senza previa tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo assunto illegittimo. In questa fattispecie non si tratta in realtà di vera e propria disapplicazione in quanto il GA, lungi dal considerare il provvedimento (quand’anche ormai inoppugnabile) tamquam non esset, lo pone invece alla base della propria decisione di condanna (o di mancata condanna) al risarcimento del danno, nell’ottica dell’illecito perpetrato dalla PA giusta il ridetto atto, unitamente ad altri elementi; si tratta piuttosto proprio di una eccezionale cognizione incidenter tantum dell’atto da parte del GA, che lo scandaglia in via incidentale a fini risarcitori (e non, come in genera fa, in via principale a fini di annullamento). Peraltro l’art.34, comma 3, consente al GA di non chiudere il processo pur al cospetto di una improcedibilità dell’azione di annullamento allorché sussista l’interesse ad accertare incidentalmente proprio l’illegittimità dell’atto a fini (non più caducatori, ma) risarcitori. Assai importante l’art.124 del codice in materia di appalti, rubricato “tutela in forma specifica e per equivalente”, alla cui stregua l’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto (tutela in forma specifica connessa ad una pretesa e ad una “spettanza”) è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto già stipulato con il terzo controinteressato (ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122); se il giudice non dichiara l’inefficacia del detto contratto, dispone il risarcimento del danno per equivalente, subìto (deve dunque essere stato effettivamente subito) e provato (deve dunque essere rigorosamente provato); la norma aggiunge che la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile, con una ulteriore valorizzazione della diligenza del danneggiato (questa volta tuttavia esplicita stante appunto il richiamo espressis verbis alla norma del codice civile).
2011
Il 23 marzo esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.3 che si occupa della caduta della c.d. pregiudiziale amministrativa ai sensi dell’art.30, comma 3, del c.p.a., e dunque della possibilità di spiccare nei 120 giorni autonoma azione di condanna della PA al risarcimento dei danni provocati da un atto illegittimo non impugnato. L’Adunanza si pone in una prospettiva ermeneutica tesa a valorizzare il principio di autoresponsabilità del privato ricorrente, anche dal punto di vista degli effetti della mancata impugnazione dell’atto sul nesso causale di ascendenza civilistica che avvince fatto illecito e danno, di cui all’art.1223 c.c. Per il Consiglio il fatto che il danneggiato abbia tenuto una condotta attiva od omissiva contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza può implicare la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati proprio secondo il canone della causalità civile, imperniato sulla probabilità relativa (c.d. “più probabile che non”); si assiste in simili ipotesi (sovente riscontrabili proprio in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto in sede demolitoria) alla recisione, in tutto o in parte, del nesso causale che ai sensi dell’art.1223 c.c. deve avvincere la condotta antigiuridica (della PA) alle conseguenze dannose (assunte) risarcibili. Questo è il motivo per il quale, nella fattispecie disegnata dall’art.30 del c.p.a., allorché il privato non impugni tempestivamente il provvedimento amministrativo assunto illegittimo, chiedendo nondimeno in via autonoma il risarcimento dei danni, l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto amministrativo rileva – sul crinale causale – dal punto di vista sostanziale (e non processuale), proprio perché incide sul nesso causale civilistico precludendo la risarcibilità di quei danni che sarebbero presumibilmente stati evitati laddove il privato medesimo avesse ritualmente fatto uso dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde scongiurare proprio il consolidarsi (a cagione della mancata, tempestiva impugnazione) di effetti dannosi. In sostanza, facendo applicazione del principio di buona fede e del canone di solidarietà (il cui addentellato è l’art.2 della Costituzione) il GA – pur non potendo precludere in rito l’azione risarcitoria in caso di omessa, tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo – può tuttavia, nel merito, evitare di accordare il risarcimento per tutti quei danni che sarebbero stati per l’appunto evitabili con l’ordinaria diligenza, attraverso un’applicazione dell’art.1227, comma 2, c.c. che – pur non formalmente richiamato dall’art.30, comma 3, del c.p.a. – risulta esservi richiamato sul crinale sostanziale, essendone stato mutuato il regime applicativo in tema di concorso di colpa del creditore. Peraltro il c.p.a. si esprime in termini più generali di mancata attivazione degli “strumenti di tutela” da parte del privato, che potrebbe dunque vedersi ridotto (o eliso) il risarcimento anche laddove non abbia spiccato un ricorso amministrativo o non abbia chiesto alla PA di provvedere in sede di autotutela: per vero, proprio il principio di solidarietà di cui all’art.2 Cost., ed il connesso principio di buona fede di cui all’art.1175 c.c., impongono anche alla vittima di una condotta illecita di attivarsi per scongiurare il prodursi o il lievitare dei danni, almeno fino alla soglia della esigibilità del proprio comportamento, che è da assumersi tale (esigibile) fino al punto in cui lambisce la soglia dell’apprezzabile sacrificio. Da questo punto di vista, per l’Adunanza Plenaria non occorre l’eccezione processuale dell’Amministrazione, essendo il GA dotato di un potere di rilievo officioso al fine di acquisire – anche giusta presunzioni ex art.2727 e seguenti c.c. – tutti gli elementi di prova che gli occorrono al fine di formulare un giudizio prognostico in ordine al prevedibile esito che avrebbe avuto l’azione demolitoria, ove tempestivamente spiccata dal privato (magari con corredo di istanza cautelare, anche ante causam), specie in termini appunto di evitabilità dei danni e di conseguente non risarcibilità dei medesimi. Come è ovvio, la domanda risarcitoria è invece fondata quando il ricorrente non ha chiesto tempestivamente l’annullamento dell’atto assecondando una scelta discrezionale che si palesa razionale ed insindacabile per essere venuto meno (o per non essersi mai palesato) l’interesse all’annullamento dell’atto medesimo, come nelle ipotesi in cui esso sia stato immediatamente eseguito dalla PA, producendo una modifica irreversibile (in questa fattispecie la richiesta di annullamento si rivela inutile), ovvero allorché i tempi tecnici del processo compromettano, secondo una valutazione ragionevole, l’efficacia della tutela demolitoria (sicché si invoca un annullamento che chissà se e quando arriverà); un’altra ipotesi in cui la domanda risarcitoria appare fondata e non intaccata – nemmeno in ordine al quantum risarcitorio – dalla mancata tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo appare quella di cui all’art.246, comma 4, del codice dei contratti pubblici n.163.06, poi ripreso dall’art.125, comma 3, del c.p.a., onde, in tema di controversie afferenti ad infrastrutture strategiche, ferma restando l’applicazione degli articoli 121 e 123, ed al di fuori dei casi in essi contemplati, la sospensione (cautelare) o l’annullamento (di merito) dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato con il terzo controinteressato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente: in questa fattispecie dunque impugnare significa già, ex ante, essere certi che il contratto resterà nella disponibilità di chi lo ha (magari illegittimamente) sottoscritto, sicché la mancata impugnazione non può sortire effetti sul risarcimento del danno dovuto al ricorrente a cagione del comportamento illegittimo/illecito della PA aggiudicatrice. La dottrina ha sottolineato come affiori dalle disposizioni del c.p.a., siccome interpretate dal GA ed in particolare dall’Adunanza Plenaria n.3 del 2011, un accresciuto potere di quest’ultimo proprio quanto a delimitazione della concreta estensione riconoscibile, di volta in volta, alle istanze di tutela risarcitoria avanzate dai ricorrenti privati.
Il 7 settembre esce l’ordinanza della I sezione del Tar Sicilia, che rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art.30, comma 5, c.p.a., nella parte in cui esso prevede un termine di decadenza di 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza demolitoria per l’esercizio dell’azione risarcitoria. Il Tar parte da quelle esigenze di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale – da erogarsi in termini ragionevoli – che starebbero alla base dell’affidamento al GA non già solo della tutela demolitoria classica, ma anche di quella risarcitoria (per equivalente): tali esigenze sono tuttavia contraddette proprio dalla previsione di un termine di decadenza che – ponendosi come significativa deroga al diritto comune – comprime in modo consistente le possibilità di accesso alla tutela risarcitoria. Quello che, per il Tar Palermo, il legislatore avrebbe potuto ragionevolmente fare spendendo la propria discrezionalità normativa era prevedere un termine prescrizionale, magari abbreviato e come tale diverso rispetto a quello previsto dal diritto comune, dando conto della ragionevolezza della disposta differenziazione; non già fissare un breve termine di decadenza, anche perché quest’ultima, tradizionalmente, impedisce ad un atto di compiersi (per essere appunto spirato il relativo termine di decadenza), mentre la prescrizione ha per effetto l’estinzione di un rapporto, sia poi che si tratta del pertinente diritto sostanziale ovvero della connessa azione giurisdizionale, onde è quest’ultima (la prescrizione) a meglio attagliarsi – per diritto comune – al torno temporale occorrente per estinguere il diritto risarcitorio o la relativa azione, trattandosi di accertare gli effetti dannosi prodotti da un rapporto, non già di caducare un atto. Peraltro, e sempre muovendosi in ottica di ragionevolezza, per il Tar mentre la prescrizione è connessa all’inerzia del titolare di un diritto, la decadenza risponde invece ad una esigenza di certezza del diritto talmente categorica da essere tutelata in modo indipendente rispetto alla (concreta) possibilità di agire da parte del soggetto interessato. Nel caso di specie, comprimere il diritto del danneggiato ad azionare il rimedio risarcitorio con un termine di decadenza anche allorché quegli abbia tempestivamente spiccato l’azione demolitoria significa, in modo irragionevole e sproporzionato, prevedere una decadenza in un caso in cui le esigenze di certezza sembrerebbero invece non imporla.
Il 5 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5445 che afferma come la domanda di risarcimento dei danni non possa essere formulata con memoria non notificata alle controparti; ciò atteso come la pur rilevante esigenza di concentrazione dei giudizi (demolitorio e risarcitorio) e di ragionevole durata del processo, che l’art.30 del c.p.a. ribadisce fissando un termine di decadenza anche per l’azione risarcitoria, non esime la parte dall’obbligo di instaurare un rituale contraddittorio giusta notifica della pertinente domanda.
2012
L’11 maggio esce la sentenza del Tar Basilicata n.203 che assume operativo il termine decadenziale di 120 giorni per la sola tutela risarcitoria autonoma (senza previa impugnazione dell’atto amministrativo) degli interessi legittimi, mentre per i diritti soggettivi opera il ben più lungo termine prescrizionale tradizionale.
*Il 24 luglio esce la sentenza della sezione III quater del Tar Lazio n.6853 che ribadisce come la domanda di risarcimento dei danni non possa essere formulata con memoria non notificata alle controparti; ciò atteso come la pur rilevante esigenza di concentrazione dei giudizi (demolitorio e risarcitorio) e di ragionevole durata del processo, che l’art.30 del c.p.a. ribadisce fissando un termine di decadenza anche per l’azione risarcitoria, non esime la parte dall’obbligo di instaurare un rituale contraddittorio giusta notifica della pertinente domanda.
Il 12 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.280 che dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.30, comma 5, c.p.a. sollevata dal Tar Palermo l’anno precedente, in riferimento agli articoli 3, 24, 103 e 113 Cost., ravvisando un difetto di rilevanza, nel caso di specie, della questione medesima.
2013
Il 9 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.76 che rappresenta come – stante il disposto dell’art.104, comma 1, c.p.a., laddove afferma il divieto di domande nuove in appello – non può essere proposta la domanda di risarcimento del danno per la prima volta in appello, in un processo nel cui primo grado sia stata spiccata la sola domanda demolitoria (potendo tuttavia, è da intendersi, essere spiccata domanda risarcitoria in separato processo di primo grado).
*Il 24 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.429 che ribadisce come – stante il disposto dell’art.104, comma 1, c.p.a., laddove afferma il divieto di domande nuove in appello – non può essere proposta la domanda di risarcimento del danno per la prima volta in appello, in un processo nel cui primo grado sia stata spiccata la sola domanda demolitoria (potendo tuttavia, è da intendersi, essere spiccata domanda risarcitoria in separato processo di primo grado).
2014
Il 22 gennaio esce l’ordinanza della II sezione del Tar Liguria n.107 che rimette ancora una volta alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art.30, comma 5, c.p.a. per asserita violazione degli articoli 3, 24, 103, 113 e 117, comma 1, Cost., essendo stato introdotto dal legislatore un termine di decadenza di soli 120 giorni decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto illegittimo, così compromettendo in modo sproporzionato ed irragionevole il diritto di difesa in giudizio del privato danneggiato.
2015
Il 22 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.284 che si occupa di un peculiare caso di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, rimettendo all’Adunanza Plenaria una pertinente questione. Più in specie, il Collegio si chiede se, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, ed in particolare in base all’art.34, comma 3, del c.p.a. – che consente al giudice in sede di tutela demolitoria di accertare l’illegittimità dell’atto anche nel caso in cui l’azione di annullamento sia divenuta improcedibile, quando sussista l’interesse al detto accertamento di illegittimità dell’atto a fini risarcitori – il GA possa non disporre il chiesto annullamento della graduatoria di un concorso risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcuno dei candidati al concorso medesimo, e prevedere piuttosto per il ricorrente il risarcimento del danno (pur non avendo questi invocato anche la tutela risarcitoria, ed avendo piuttosto chiesto il solo annullamento degli atti impugnati) allorché la pronuncia giurisdizionale demolitoria esplicitamente chiesta – in materia di concorsi funzionali all’instaurazione di rapporti di lavoro dipendente – sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dall’approvazione della graduatoria e dalla conseguente nomina dei vincitori, ed in particolare allorché questi ultimi abbiano ormai consolidato le proprie scelte di vita e l’annullamento degli atti concorsuali comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie. In sostanza si tratta di decidere se, chiesto l’annullamento dell’atto amministrativo, il GA possa in determinate circostanze condannare d’ufficio al solo risarcimento del danno, ancorché la tutela risarcitoria non sia stata chiesta dal ricorrente con domanda all’uopo.
Il 31 marzo esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.57 che dichiara inammissibile la questione sollevatale dal Tar Liguria l’anno precedente. Per la Corte il Tar non ha tenuto conto in modo adeguato dell’Allegato 3, Titolo II, articolo 2 del c.p.a., vale a dire di una delle norme transitorie che hanno accompagnato l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, laddove esso prevede esplicitamente che per i termini in corso continuano ad applicarsi le norme previgenti (ed i termini in esse previsti): per la Corte si tratta di una disposizione che non può non applicarsi, per l’appunto, all’art.30, comma 5, c.p.a., configurandosi una successione tra un termine sostanziale previgente, di prescrizione, ed un termine processuale sopravvenuto, di decadenza, come tale applicabile solo ai fatti successivi all’entrata in vigore del codice. Il Tar doveva dunque fare riferimento, nel caso ad esso sottoposto, al regime prescrizionale quinquennale di cui all’art.2947 c.c., e non già al regime di decadenza di 120 giorni, non applicabile alla fattispecie da esso scandagliata (perché posteriore), con la conseguente inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale (che si profila nella sostanza irrilevante).
Il 13 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria n.4 che – basandosi sul fondamentale principio della domanda – esclude che possa intervenire condanna ex officio al risarcimento del danno laddove il ricorrente abbia chiesto solo l’annullamento degli atti impugnati, assunti illegittimi. In sostanza, dinanzi ad un petitum demolitorio (viene chiesto l’annullamento dell’atto amministrativo, e dunque una tutela in forma specifica), il GA non può di propria iniziativa e d’ufficio limitarsi ad erogare al ricorrente una tutela risarcitoria (come tale per equivalente) basandosi sugli effetti potenzialmente assai pregiudizievoli della sentenza demolitoria, sulla scorta dunque di valutazioni di proporzionalità, di giustizia e di equità (del caso singolo). La trasformazione del petitum, come quella della causa petendi, laddove operate d’ufficio dal GA, finirebbero infatti per violare il principio della domanda di cui all’art.99 c.p.c. oltre che quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art.112 c.p.c., canoni entrambi applicabili al processo amministrativo in virtù del rinvio “esterno” di cui all’art.39 del c.p.a.
Il 20 aprile esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.974 che si occupa del termine di decadenza di 120 giorni previsto per l’azione risarcitoria autonoma dall’art.30, comma 3, del c.p.a., allorché l’atto illegittimo (dannoso) si inserisca in un procedimento di gara per l’affidamento di un appalto; in questa fattispecie, analogamente a quanto accade per la decorrenza del termine decadenziale impugnatorio ai sensi dell’art.79 del decreto legislativo 163.06, il termine decadenziale di 120 giorni per chiedere il risarcimento del danno non può decorrere sempre e comunque da quando è stata comunicata al destinatario l’aggiudicazione definitiva, e dunque in modo tutt’affatto indipendente dal momento in cui le illegittimità sono state in concreto conosciute dal soggetto interessato a contestarle; per il Tar occorre piuttosto assumere decorrente il ridetto termine solo dal momento in cui il soggetto interessato abbia avuto piena conoscenza (o avrebbe dovuto averla) della violazione delle disposizioni che disciplinano la gara, conformemente peraltro a quanto in sede sovranazionale riconosciuto dalla Corte di Giustizia UE del 28 gennaio 2010, C-406/08, caso Uniplex. Ne consegue che laddove il privato sappia della illegittimità solo dopo l’aggiudicazione, per essere le ridette illegittimità per l’appunto emerse in epoca posteriore, è solo da tale momento che decorre (oltre al termine per impugnare) anche il termine per invocare il risarcimento del danno.
Il 6 luglio esce un’altra importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la n.6, che afferma la non retroattività del termine decadenziale di 120 giorni previsto – per la domanda di risarcimento autonomo – dall’art.30, comma 3, del c.p.a. In sostanza, ai fatti illeciti della PA anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (ed alle connesse domande risarcitorie, anche autonome sulla scorta dei pronunciamenti delle SSUU) si applica il regime della prescrizione quinquennale ex art.2947 c.c. siccome previsto dall’orientamento pretorio dominante, configurandosi l’art.30 del c.p.a. quale innovazione legislativa, come tale non retroattiva, sia in forza dell’art.11 delle preleggi, sia in forza dell’art.14 delle preleggi medesime sulla applicazione tassativa delle norme c.d. eccezionali, quale è appunto considerata quella che applica alla domanda di risarcimento del danno l’innovativo termine decadenziale di 120 giorni. A diversamente opinare si farebbe luogo, per il Collegio, all’applicazione retroattiva di norme nuove che costituiscono reformatio in peius rispetto al regime previgente, e che hanno peraltro una portata sostanziale, non già processuale, non potendosi dunque predicare l’applicazione del principio tempus regit actum. Piuttosto, il legislatore ha trasformato un termine prescrizionale in termine decadenziale, con la precisazione che nel caso di specie il noto termine di 120 giorni assume un rilievo misto, non sostanziale puro né processuale puro, atteggiandosi piuttosto ad istituto sostanziale a rilievo processuale (quali sono, nel diritto privato, le decadenze disciplinate dall’art.2964 c.c.), istituto al quale non può applicarsi il principio di retroattività. La conclusione è che occorre guardare al tempo del fatto illecito pubblico (nella sostanza, al tempo di adozione dell’atto amministrativo), e non a quello in cui il privato ha spiccato ricorso: laddove il fatto illecito pubblico sia anteriore all’entrata in vigore del c.p.a., si applica il termine prescrizionale quinquennale (anche se il privato ha chiesto i danni dopo la ridetta entrata in vigore), mentre laddove sia posteriore si applica ormai il termine decadenziale di 120 giorni. Ancora, per il Consiglio di Stato – dal momento che ogni novità normativa implica una differenza tra il regime del prima e quello del poi – nessuna disparità di trattamento può assumersi configurabile tra diversi soggetti privati lesi da un atto illegittimo, rispettivamente, prima o dopo l’entrata in vigore del codice; ciò dovendosi tenere conto del fatto da un lato che – ai sensi dell’Allegato 3, art.2 del c.p.a. – per i termini in corso alla data di entrata in vigore del codice medesimo continuano ad applicarsi le norme previgenti; dall’altro, che proprio basandosi su questa disposizione la Corte costituzionale ha assunto, con la sentenza 57.15, tale norma applicabile alla successione tra un termine prescrizionale ed uno decadenziale, come appunto accade nella fattispecie di cui all’art.30 c.p.a., con la conseguenza che il termine nato prescrizionale resta tale, senza divenire decadenziale.
2017
Il 22 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 3065 in tema di risarcimento per illegittimo esercizio del potere disciplinare di una federazione sportiva a carico di un atleta non professionista; oggetto di indagine del Consiglio di Stato sono le modalità con le quali il giudice statale possa intervenire sulle questioni riguardanti l’ordinamento sportivo, nonostante la sfera di autonomia concessa dal legislatore a detto ordinamento. Secondo il Consesso, se l’atto delle federazioni sportive o dal CONI ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda intesa non alla caducazione dell’atto, ma al conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva: non opera alcuna riserva a favore della giustizia sportiva innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. Sicché il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Dunque, prosegue l’Organo giudicante, il diritto al risarcimento del danno – fatto valere davanti al giudice amministrativo – può essere riconosciuto soltanto quando siano stati lesi i principi del giusto processo. In tali casi sono risarcibili i soli pregiudizi allo sviluppo della carriera sportiva mentre rimangono esclusi dall’ambito risarcitorio voci di pregiudizio estranee alla praticata “attività sportiva” in quanto tale (come la perdita di chance per la risoluzione di contratti, per interruzione di trattative e per perdita di premi, nonché il pregiudizio all’immagine); diversamente, arrivando a voler includere nell’oggetto di questa tutela per equivalente monetario voci per loro natura diverse da quelle proprie di quell’àmbito ed estranee alle dette finalità eminentemente pubblicistiche dell’ordinamento sportivo, si finirebbe per contraddire il rammentato vincolo di strumentalità funzionale che è proprio della giurisdizione condizionata nonché quello di stretta proporzionalità degli strumenti integrati di tutela. E si finirebbe per trasformare l’espressione dello sport in un’ordinaria fenomenologia individuale di mercato dove il sostegno pubblico perderebbe ragione o diverrebbe locupletativo. Si esulerebbe dalle ragioni di una particolare tutela giurisdizionale pubblica che ha per base espressa quelle dell’organizzazione pubblicistica dell’attività sportiva e la garanzia del suo legittimo funzionamento.
Il 20 novembre esce la sentenza delle SSUU n.27436 in tema di esclusione di un socio da una cooperativa, secondo la quale pretendere che chi – socio lavoratore escluso (e dunque licenziato) – intenda chiedere soltanto la tutela risarcitoria derivante dal licenziamento illegittimo debba impugnare la delibera di esclusione equivarrebbe ad assoggettare la fruizione della prima (tutela risarcitoria) ad un presupposto proprio della tutela restitutoria conseguente all’invalidazione della delibera di esclusione in parola (vale a dire della tutela “reale” compendiantesi nella reintegra del lavoratore), laddove – chiosa la Corte – in virtù dell’art. 24 Cost., spetta al titolare della situazione protetta scegliere a quale tutela far ricorso per poter ottenere ristoro del pregiudizio subito. Per la Cassazione gli effetti derivanti dalla delibera di esclusione non s’identificano quindi (pur all’evidenza collegandovisi) con quelli scaturenti dal licenziamento; ed anzi sono proprio gli effetti della delibera di esclusione (non impugnata, e dunque valida ed efficace) a dare consistenza agli effetti risarcitori derivanti dal licenziamento illegittimo, circostanza che sostanzia l’autonomia delle rispettive tutele secondo un modello – rammenta la Corte – già applicato in altri settori come, in via d’esempio, è accaduto a proposito dell’ammissibilità della tutela risarcitoria degli interessi legittimi anche se non sia stata in precedenza richiesta e dichiarata in sede di annullamento l’illegittimità dell’atto (vengono richiamati vari precedenti tra cui sez. un., ord. n. 22809.10; n. 5025.10; n. 30254.08; n. 13911.06, nonché nn. 13660.06 e 13659.06). La Corte sottolinea come sia questa l’opzione ermeneutica più coerente con le esigenze di tutela e garanzia del socio lavoratore, il quale pur sempre, nonostante partecipi alla realizzazione dello scopo mutualistico, permane l’anello debole della combinazione sintetizzata nel lavoro cooperativo. Viene dunque affermato il principio di diritto onde, in tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d’impugnazione, da parte del socio medesimo, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria (questa si condizionata alla tempestiva impugnazione della illegittima delibera di esclusione).
Il 18 dicembre esce la sentenza della II sezione del TAR Sicilia-Catania n. 2929 che ribadisce i limiti alla risarcibilità del danno subito dal proprietario di un terreno illegittimamente occupato dalla P.A. per scopi di interesse pubblico nel caso in cui a) l’Amministrazione comunale abbia formalmente e tempestivamente adottato un provvedimento di acquisizione sanante ed abbia effettivamente corrisposto l’indennizzo ivi previsto; b) il proprietario, pur dolendosi, sotto il profilo del quantum, della illegittimità del medesimo provvedimento, per mancanza di motivazione e di adeguata comparazione degli interessi coinvolti, abbia omesso di impugnarlo tempestivamente e di specificare le ragioni relative alla asserita erroneità della quantificazione operata dalla P.A.. La mancata impugnazione del provvedimento di acquisizione sanante assume infatti specifico rilievo ai fini dell’insussistenza del nesso di causalità tra fatto lesivo e danno risarcibile poiché – pur nel sostanziale superamento della cd. pregiudiziale amministrativa già all’epoca di proposizione del ricorso introduttivo (anteriore, comunque, all’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a.) – deve escludersi la risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, rinviando al principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., tale da far ritenere come l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisca, nel comportamento complessivo delle parti valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, certamente un fatto di rilievo ai fini del giudizio sulla sussistenza del pregiudizio risarcibile poiché recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.
2018
Il 7 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 814 in tema di risarcimento per mancato conferimento di incarico pubblico. In linea generale, osserva il Consiglio che la domanda di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo proposta al giudice amministrativo prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all’azione amministrativa reputata illegittima ed è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria. Nel merito, tuttavia, l’Organo giudicante osserva come, diversamente da quanto potrebbe configurarsi in tema di mere autorizzazioni allo svolgimento di attività private che già appartengono alla capacità dell’interessato, il conferimento di incarichi pubblici avviene nell’interesse pubblico ed è per sua natura riservato alla latissima discrezionalità dell’Amministrazione che se ne avvale e per questo fatto, riguardo al risvolto economico, non pare giuridicamente configurabile in capo al dipendente un’aspettativa qualificata all’attribuzione di un tale incarico remunerato, con conseguente ristoro patrimoniale per il caso di suo conferimento indebitamente impedito.
Questioni intriganti
Quali modelli di tutela si configurano nei confronti della PA?
- tutela in forma specifica “adempitiva”: il privato titolare dell’interesse legittimo oppositivo (pretensivo ad un non facere) o pretensivo (ad un dare o ad un facere) punta a veder soddisfatto il proprio interesse creditorio, e punta dunque ad ottenere il bene della vita oggetto della propria “spettanza” o pretesa, facendoselo restituire (laddove la PA sia stata inadempiente ad un non facere, sottraendoglielo in modo non conforme all’interesse pubblico), ovvero facendoselo dare ex novo (laddove la PA sia stata inadempiente ad un obbligo di dare o di facere, non mettendoglielo a disposizione in modo non conforme all’interesse pubblico); questo modello di tutela passa normalmente attraverso l’aggressione all’atto amministrativo che ha sottratto in modo illegittimo/illecito il bene al privato (conculcandone l’interesse oppositivo) ovvero gli ha denegato in modo del pari illegittimo/illecito il predetto bene, avendo come obiettivo la restituzione del bene nel primo caso e la messa a disposizione ex novo del bene nel secondo (in quest’ultimo caso, laddove occorra attraverso la mediazione di un nuovo esercizio del potere pubblico discrezionale);
- tutela in forma specifica “non adempitiva”: vale quanto detto con riguardo alla tutela adempitiva (anch’essa in forma specifica), con la differenza che in questo caso il privato punta a soddisfare non già l’interesse sotteso alla propria pretesa e dunque oggetto della propria “spettanza”, quanto piuttosto un interesse succedaneo ed omogeneo, come nel caso della restituzione di un bene diverso ed omogeneo in luogo di quello sottrattogli in modo illegittimo/illecito dalla PA (laddove ne sia stato conculcato un interesse oppositivo, o meglio pretensivo ad un non facere), ovvero nel caso dell’ottenimento ex novo di un bene diverso ed omogeneo rispetto a quello oggetto della pretesa originaria, come nel caso dell’affidamento di un appalto diverso rispetto a quello che gli sarebbe per l’appunto “spettato” (laddove ne sia stato conculcato un interesse pretensivo, come tipicamente accade in caso di partecipazione ad una gara);
- tutela per equivalente: si tratta del risarcimento del danno che c.1) si affianca alla tutela in forma specifica, ovvero c.2) la sostituisce in toto, ma che presuppone in ogni caso la illegittimità/illiceità del contegno pubblico, avendo nella sostanza la PA perpetrato un inadempimento per avere mal valutato il rapporto di compatibilità tra la pretesa del privato a mantenere o ad ottenere un dato bene giuridico e l’interesse pubblico alla relativa conservazione o al relativo ottenimento;
- in conseguenza di un comportamento illecito della PA (sostanziante un inadempimento dell’Amministrazione) che si sia tradotto in un atto amministrativo “che toglie” (interesse oppositivo) o “che nega” (interesse pretensivo), il privato può: d.1) chiedere l’abbattimento dell’atto illegittimo (tutela demolitoria) ed insieme invocare la tutela in forma specifica adempitiva, non adempitiva e per equivalente, quest’ultima giusta (eventuale) pretesa al risarcimento del danno subito attraverso gli effetti di un atto illegittimo del quale si chiede al GA l’eliminazione dal mondo giuridico e che è anche illecito perché riassume l’inadempimento pubblico nell’ambito del rapporto amministrativo di specie; d.2) chiedere soltanto il risarcimento per equivalente, lasciando in vita l’atto illegittimo e dunque non attivando la tutela demolitoria, ma solo quella risarcitoria, laddove lo scandaglio del GA si concentra sulla illegittimità dell’atto non già per caducarlo, quanto piuttosto per ritrarne la connotazione illecita della fattispecie e, conseguentemente, condannare la PA (inadempiente) a risarcire il danno.
Come si atteggiano i rapporti tra azione demolitoria ed azione risarcitoria dopo l’avvento del codice del processo amministrativo?
- è stata trovata una soluzione di compromesso, attraverso un “superamento temperato” della regola della c.d. pregiudizialità amministrativa;
- il pericolo dell’autonomia incondizionata dell’azione risarcitoria rispetto a quella demolitoria è infatti quello di consentire di chiedere il risarcimento dei danni da parte di chi – con colpa o financo con dolo – abbia omesso di agire tempestivamente in sede demolitoria, con la conseguenza di aver reso inoppugnabile un atto amministrativo che egli assume tuttavia (e ad un tempo) per lui produttivo di danno, con l’aggravante di esporre la PA all’incertezza in ordine al rapporto amministrativo di specie per tutta la durata del termine prescrizionale cui soggiace l’azione risarcitoria autonoma; una incertezza che investe anche il quantum complessivo che la PA sarebbe chiamata ad erogare a titolo risarcitorio nel torno temporale in cui è ancora aperto il termine prescrizionale per agire e chiedere i danni alla parte pubblica;
- il termine decadenziale di 120 giorni esclude da un lato che si configuri una prescrizione – essendo piuttosto prevista una decadenza, maggiormente conforme alla presenza di interessi pubblici da salvaguardare – e scongiura dall’altro che il periodo di incertezza si prolunghi oltremodo;
- in sostanza, decorso il termine ordinario di impugnazione di 60 giorni, possono decorrerne altri 60 (e dunque 120 in tutto) utili per impugnare l’atto in sede (ancora demolitoria) di ricorso straordinario al Capo dello Stato, da un lato, e per chiedere la condanna della PA al risarcimento (autonomo) del danno, dall’altro;
- il dies a quo è invece lo stesso sia per l’azione demolitoria che per quella risarcitoria, e si identifica nel giorno in cui il fatto illecito della PA si è verificato, ovvero – laddove il danno derivi direttamente dal provvedimento – nel giorno in cui detto provvedimento (dannoso) è giunto a conoscenza del destinatario; in sostanza, dalla piena conoscenza del provvedimento lesivo inizia a decorrere tanto il termine per impugnarlo (normalmente, 60 giorni) quanto il termine per chiedere il risarcimento del danno (120 giorni), in guisa analoga a quanto accade, ai sensi dell’2377 c.c., per l’impugnazione delle delibere societarie ovvero per la richiesta di risarcimento dei danni da esse prodotti (fattispecie nella quale il termine decadenziale è tuttavia sempre di 90 giorni); resta fuori dalla mentovata sincronia decorrenziale l’ipotesi in cui il danno non derivi direttamente dal provvedimento, quanto piuttosto dalla relativa (posteriore) esecuzione, con conseguente decorrenza del termine decadenziale per invocare il risarcimento che si atteggia sfalsata rispetto a quella del termine, del pari decadenziale, per impugnare in sede demolitoria;
- se l’atto amministrativo illegittimo è stato tempestivamente impugnato, la tutela risarcitoria per equivalente si configura non più autonoma, ma connessa e complementare a quella demolitoria in forma specifica, potendo essere attivata anche durante il processo demolitorio (con motivi aggiunti), ovvero comunque entro i 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia sull’azione di annullamento;
- solo laddove l’atto amministrativo illegittimo venga tempestivamente impugnato, il privato si palesa diligente, scongiurando abbattimenti del quantum risarcitorio connessi ad un proprio (eventuale) concorso di colpa connesso appunto alla mancata, tempestiva impugnazione dell’atto illegittimo/illecito dannoso; ciò in quanto – massime allorché si chieda il solo risarcimento del danno senza avere previamente impugnato il provvedimento amministrativo – l’oggetto dello scandaglio giurisdizionale non è tanto il provvedimento che “riassume” il rapporto tra cittadino e PA, quanto piuttosto proprio e direttamente tale rapporto, onde va valutato il comportamento complessivo imputabile sia alla parte pubblica (che col provvedere in modo illegittimo palesa un indizio di illiceità della propria condotta generale) sia a quella privata (che per parte sua potrebbe, come accennato, non impugnare il provvedimento in modo colposo o financo doloso, per poi invocare i danni che derivano da tale maliziosa, omessa impugnazione tempestiva); parte della dottrina ha assunto all’uopo financo rilevante l’1176, comma 2, c.c., laddove si fa menzione della diligenza professionale in luogo di quella ordinaria (onde solo provando di essere stato “specificamente” e “professionalmente” diligente, il privato leso potrebbe ottenere l’invocato risarcimento): si tratta di una opzione che tuttavia, se è predicabile nel caso di un’azienda che partecipa ad una gara di appalto, appare invece difficilmente predicabile con riguardo al normale cittadino che vanti un interesse legittimo nei confronti della PA, e che come tale non può assumere automaticamente la veste del professionista, non potendosi dunque esigere da lui quel surplus di diligenza che rischia di sottrargli in modo iniquo il risarcimento del danno; una certa qual rilevanza dell’art.1176 c.c. pare invece (quanto meno implicitamente) ravvisabile nell’art.124 del c.p.a. laddove, in materia di appalti, si richiede che il danno oggetto del risarcimento per il soggetto professionale che non ha raggiunto l’appalto sia da quest’ultimo, esplicitamente, “subito e provato”;
- se un atto illegittimo espresso non vi è stato, ma vi è stato silenzio-inadempimento della PA, il termine di 120 giorni per chiedere il risarcimento non inizia decorrere fintanto che perduri il detto inadempimento pubblico; solo quando è trascorso 1 anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, detto termine di 120 giorni per invocare il risarcimento del danno inizia a decorrere; si tratta di una fattispecie nella quale appare del tutto irrilevante, se non addirittura inconfigurabile, quell’onere di diligenza richiesto invece al privato che si assuma danneggiato da un provvedimento illegittimo/illecito espresso, dovendo quest’ultimo essere impugnato nei termini se si vogliono scongiurare spiacevoli conseguenze in punto di quantificazione del danno risarcibile; nel caso di silenzio-inadempimento (e di connesso ritardo nella conclusione del procedimento), invece, si è al cospetto di un illecito permanente della PA (un inadempimento permanente, così additato dalla Relazione al c.p.a.) in costanza del quale il privato che si assuma danneggiato può sempre agire (entro il limite massimo di 1 anno e 120 giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento), con evidente irrilevanza appunto dell’onere di diligenza ridetto (per non affiorare alcun atto da aggredire in sede demolitoria).