Massima
Le Amministrazioni si organizzano con modalità proteiformi al fine di perseguire l’interesse pubblico del quale risultano attributarie ex lege: tra questi moduli campeggia anche quello consensuale, onde ci si avvale di accordi che semplificano il perseguimento dell’interesse pubblico e che tuttavia non possono compendiare – giusta coinvolgimento più o meno surrettizio di soggetti privati o di prestazioni patrimoniali – strumenti di aggiramento della disciplina, interna e sovranazionale, in tema di appalti, mercato e concorrenza.
Crono-articolo
1942
Il codice civile, nel disciplinare il contratto agli articoli 1321 e seguenti, ne predica la necessaria natura patrimoniale, non escludendo la possibilità – dal punto di vista soggettivo – che intervengano contratti tra enti pubblici; il discorso vale anche, più in generale, per gli accordi, dei quali i contratti costituiscono una species.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che all’art.97 parla di organizzazione dell’Amministrazione secondo disposizioni di legge in modo che ne sia assicurata, oltre che l’imparzialità, il buon andamento, uno degli imprescindibili ingredienti del quale è la collaborazione.
1990
L’8 giugno viene varata la legge n.142 in tema di enti locali che, all’art.27, disciplina l’accordo di programma, quale particolare forma di accordo tra PPAA in sede territoriale finalizzato a coordinare le rispettive attività al fine di realizzare opere, interventi o programmi di intervento. Secondo il testo di tale articolo, per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla compentenza primaria o prevalente sull’opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento.
Il 7 agosto viene varata la legge n.241 che, all’art.15, disciplina gli accordi tra Pubbliche amministrazioni richiamando parzialmente l’art.11 in tema di accordi tra privati e PA. Viene richiamato anche il comma 5 del ridetto art.11, con connessa attrazione della materia degli accordi tra PPAA nella giurisdizione esclusiva del GA.
1995
L’11 agosto esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia, Lecce, n.458, alla stregua della quale gli accordi di programma – sia per quanto riguarda la relativa formazione, sia per quanto concerne la relativa conclusione ed esecuzione – sono appannaggio della giurisdizione esclusiva del GA, in quanto species del genus degli accordi previsti dall’art.15 della legge 241.90, con conseguente operatività del richiamo al precedente art.11 e dunque alla ridetta giurisdizione esclusiva del GA.
2000
Il 18 agosto viene varato il decreto legislativo n.267, testo unico degli enti locali (TUEL), il cui art.34 prevede l’accordo di programma, raccogliendo l’eredità dell’art.27 della legge 142.90. Si tratta di un accordo speciale rispetto alla fattispecie generale prevista dall’art.15 della legge 241.90, che è caratterizzato da un procedimento specificamente disciplinato, da un contenuto tipico e da un consenso unanime – progressivamente raggiunto – tra le Amministrazioni che vi vengono coinvolte. L’accordo viene in primo luogo promosso, così dandosi l’abbrivio ad una serie di fasi che si concludono con la conclusione / sottoscrizione dell’accordo medesimo, il quale ultimo coagula il ridetto consenso unanime delle Amministrazioni che vi partecipano (ed i cui organi scandiscono, sul piano deliberativo, le varie fasi intermedie che dalla promozione sospingono verso la perfezione dell’accordo stesso).
2001
Il 01 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4206 che definisce gli accordi di programma ex art.34 del decreto legislativo n.267.00 quali strumenti di auto-coordinamento giusta il quale le Amministrazioni coinvolte raggiungono un consenso unanime in ordine ad un certo intervento da realizzare, come ad esempio la realizzazione di un’opera di comune interesse.
2003
L’8 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1902 che, in tema di accordi tra pubbliche amministrazioni, si sofferma sul concetto di “attività di interesse comune” che compendiano l’oggetto di tali accordi collaborativi ex art.15 della legge 241.90. Si tratta di qualunque attività a rilevanza giuridica e, dunque, anche di quella materiale sostanziantesi in un servizio pubblico e diretta in via immediata alla collettività degli utenti.
*Il 17 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3403 che ribadisce come l’accordo di programma ex art.34 del decreto legislativo n.267.00 compendi uno strumento di auto-coordinamento giusta il quale le Amministrazioni coinvolte raggiungono un consenso unanime in ordine ad un certo intervento, come ad esempio la realizzazione di un’opera di comune interesse.
2005
Il 17 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.732, che conferma come in caso di accordi tra PPAA la giurisdizione esclusiva del GA si spiega – quanto a relativa formazione, conclusione ed esecuzione – giusta attrazione per tipologia di atto e non per materia: vengono affidati al GA una serie di rapporti non già perché appartengono ad una data materia, quanto piuttosto perché sono disciplinati da un accordo di natura pubblicistica.
*Il 14 giugno esce la sentenza delle SSUU n.12725 che ribadisce come in caso di accordi tra PPAA la giurisdizione esclusiva del GA si spieghi – quanto a relativa formazione, conclusione ed esecuzione – giusta attrazione per tipologia di atto e non per materia: vengono affidati al GA una serie di rapporti non già perché appartengono ad una data materia, quanto piuttosto perché sono disciplinati da un accordo di natura pubblicistica.
Il 21 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6467 che identifica nell’accordo di programma ex art.34 del TUEL uno strumento di programmazione attuativa: si tratta di definire ed attuare opere, interventi o programmi di intervento che possono essere realizzati solo giusta azione integrata di più enti territoriali (Regione, Provincia, Comune), con la eventuale partecipazione anche di altri soggetti pubblici e privati. È il buon andamento ex art.97 Cost. a sottendere l’accordo di programma e la razionalizzazione, in termini di efficacia e di efficienza, che ne deriva attraverso il coordinamento di più Amministrazioni territoriali e dei rispettivi poteri pubblicistici orientati al perseguimento degli interessi pubblici pertinenti.
2006
Il 3 marzo esce la sentenza della sezione II.ter del Tar Lazio n.1654 che assume possibile per la PA recedere dall’accordo siglato ex art.15 della legge 241.90, sebbene tale norma non richiami il comma 4 del precedente articolo 11. Il fondamento è da rinvenirsi per il Tar nel generale potere di revoca del quale è attributaria la PA in sede di amministrazione attiva e con riguardo al provvedimento amministrativo tradizionale. L’accordo ha il contenuto di un provvedimento e vi è sottesa la cura di un interesse pubblico, onde in presenza di una convenzione sottoscritta tra soggetti pubblici deve assumersi affievolita la forza vincolante tipica di accordi diversi (come i contratti), dovendosi in taluni casi assumere inapplicabile il principio di cui all’art.1372 c.c. del contratto che spiega forza di legge tra le parti.
2007
*Il 21 maggio esce la sentenza delle SSUU n. 11667 che ribadisce come in caso di accordi tra PPAA la giurisdizione esclusiva del GA si spieghi – quanto a relativa formazione, conclusione ed esecuzione – giusta attrazione per tipologia di atto e non per materia: vengono affidati al GA una serie di rapporti non già perché appartengono ad una data materia, quanto piuttosto perché sono disciplinati da un accordo di natura pubblicistica.
Il 24 dicembre viene varata la legge n.244, legge finanziaria per il 2008, secondo il cui articolo 2, comma 12,gli enti locali di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono istituire, mediante apposite convenzioni, da stipulare ai sensi dell’articolo 30 del medesimo testo unico, uffici unici di avvocatura per lo svolgimento di attività di consulenza legale, difesa e rappresentanza in giudizio degli enti convenzionati.
2009
Il 12 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.7057 che si esprime sull’art.11, comma 5, della legge 241.90 e sulla ivi prevista giurisdizione esclusiva del GA in tema di accordi: si tratta di riservare al GA la piena cognizione sull’esercizio della funzione amministrativa quand’anche esercitata giusta modulo non autoritativo ed unilaterale, ma convenzionale. La pronuncia è importante anche perché, assunta la natura pubblicistica (e non privatistica) degli accordi tra PPAA in parola, esclude in caso di inerzia (e, dunque, di inadempimento) da parte di una delle PA vincolate dal patto, l’utilizzo della tutela prevista in tema di silenzio, che può esperirsi solo per presidiare interessi legittimi, mentre nel caso di specie si tratta di diritti soggettivi nascenti dall’accordo (e devoluti al GA in sede di giurisdizione esclusiva), con possibilità di avvalersi della diversa azione di accertamento (e condanna).
2010
Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, il cui art.133, comma 1, lettera a), n.2 riserva alla giurisdizione esclusiva del GA gli accordi tra Pubbliche Amministrazioni di cui all’art.15 della legge 241.90: il criterio attrattivo della giurisdizione esclusiva è la tipologia di atto, e non la materia, stante il perseguimento in collaborazione del pubblico interesse e, dunque, l’esercizio di una pubblica funzione. Viene contestualmente abrogato l’art.11, comma 5, della legge 241.90, che prevedeva già la medesima giurisdizione esclusiva.
2011
Il 15 febbraio esce l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n.966 che opera un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE in tema di compatibilità degli accordi tra PPAA rispetto alla normativa europea degli appalti: da un lato si colloca la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n.18 del 2004 in tema di appalti pubblici, e dall’altro una disciplina interna che consenta la stipulazione di accordi scritti tra PPAA aggiudicatrici dove una delle PA rivesta la qualità di operatore economico che riceve un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per l’erogazione della prestazione pattuita.
Il 2 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1339 che si occupa dell’accordo di programma ex art.34 del TUEL, additandolo quale strumento duttile di azione amministrativa: vi sono interessi pubblici concorrenti di una molteplicità di PPAA da ponderare, che richiederebbero il dinamico intrecciarsi di una molteplicità di procedimenti e sub-procedimenti che possono essere definiti in modo rapido e senza rigidi caratteri di specificità proprio dall’accordo di programma. Ciò concerne non solo la classica ipotesi della realizzazione di un’opera pubblica, ma anche tutte quelle altre attività che sono ulteriori e complementari rispetto alla realizzazione dell’opera medesima.
Il 14 maggio esce la sentenza delle SSUU n.5923 secondo la quale tutte le controversie concernenti la formazione, la conclusione e l’esecuzione di accordi tra enti pubblici ed aventi ad oggetto lo svolgimento dei compiti ad essi rispettivamente assegnati dalla legge, in vista del conseguimento di un interesse comune (compresi dunque gli accordi di programma) sono appannaggio del GA in sede di giurisdizione esclusiva ex articoli 15 e 11 della legge 241.90, quand’anche una delle parti pubbliche agisca chiedendo l’accertamento dell’inadempimento contrattuale di un’altra parte pubblica.
Il 23 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6162 che assume applicabile agli accordi tra PPAA il potere di recesso previsto dall’art.11, comma 4, della legge 241.90, seppure non richiamato dal successivo art.15. Il fondamento va ravvisato nel principio di inesauribilità del potere pubblico che giustifica, per sopravvenute ragioni di pubblico interesse, la dipartita da un accordo che è stato stipulato da entrambe le parti pubbliche proprio per cooperare al fine di perseguire il pubblico interesse. Il recesso va tuttavia motivato dando conto delle circostanze sopravvenute che lo giustificano, delle esigenze di spesa, degli interessi pubblici e privati coinvolti e, se del caso, anche della illegittimità originaria dell’accordo dal quale si recede.
2012
Il 21 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Sardegna n.633 che assume revocabile ai sensi dell’art.21.quinquies della legge 241.90 l’accordo stipulato da una PA ai sensi dell’art.15 della medesima legge. Si tratta di un corollario del principio onde gli accordi tra PPAA hanno natura pubblicistica, come si evince tanto dal termine “accordo”, che differisce dal termine “contratto”, quanto dalla doppia clausola di compatibilità prevista dall’art.15 (limite della compatibilità e limite della sussidiarietà, dovendosi la disciplina civilistica assumersi applicabile solo ove compatibile e solo ove non vi sia una diversa previsione esplicita), riferita peraltro ai principi, e non alle norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti.
Il 18 ottobre viene varato il decreto legge n.179, il cui art.6, comma 2, introduce nell’art.11 della legge 241.90 un comma 2.bis alla stregua del quale gli accordi tra privati e PA vanno sottoscritti con firma digitale, con firma elettronica avanzata o con altra firma qualificata: questa norma si ritiene applicabile anche agli accordi tra PPAA.
Il 24 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5450 che ribadisce come l’accordo di programma ex art.34 del decreto legislativo n.267.00 compendi uno strumento di auto-coordinamento giusta il quale le Amministrazioni coinvolte raggiungono un consenso unanime in ordine ad un certo intervento, come ad esempio la realizzazione di un’opera di comune interesse.
Il 6 novembre viene varata la legge n.190, c.d. legge anti-corruzione, che in un’ottica di massima trasparenza prevede l’obbligo di motivazione per gli accordi tra Amministrazione e privati modificando l’art.11, comma 2, della legge 241.90. Poiché il comma 2 è tra quelli richiamati dal successivo art.15, tale obbligo di motivazione viene assunto ormai applicabile anche agli accordi tra Pubbliche Amministrazioni, pur essendo questi ultimi ispirati a logiche in parte diverse.
Il 12 dicembre esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia, Lecce, n.1986 che assume inapplicabile agli accordi tra PPAA l’art.11, comma 4, della legge 241.90 in tema di recesso. Il Tar muove da una visione privatistica dell’accordo tra PPAA, onde si applica l’art.1372 c.c. in tema di “forza di legge” del contratto tra le parti, principio che deve assumersi corroborato proprio perche qui le parti sono tutte pubbliche e tutte perseguono, collaborando tra loro, l’interesse pubblico, onde l’efficacia perdurante dell’accordo non potrebbe assumersi ricadere nella loro libera disponibilità unilaterale.
Il 17 dicembre viene varata la legge n.221 che converte in legge con modificazioni il decreto legge n.179.
Il 19 dicembre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-159/11, Asl Lecce, in tema di accordi di cooperazione tra Pubbliche Amministrazioni, con particolare riguardo alla dispensa dall’obbligo di far luogo a gare che li concerne: tale dispensa può essere ammessa solo in presenza di condizioni stringenti, quali a) la partecipazione esclusiva di enti pubblici, senza la presenza di privati; b) la garanzia che nessun imprenditore privato sia privilegiato rispetto alla concorrenza; c) la istituzione della cooperazione al solo fine di realizzare esigenze connesse alla necessità di perseguire obiettivi di interesse pubblico. La Corte esclude pertanto che si possa parlare di cooperazione orizzontale tra Pubbliche Amministrazioni quando vi sia la presenza in seno all’accordo anche di un operatore economico (privato), quand’anche per quest’ultimo sia previsto il mero (ed esclusivo) rimborso delle spese sostenute: anche in questo caso si è al cospetto di un appalto ed occorre la gara.
2013
L’8 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.3517 che si occupa di un caso in cui un accordo tra pubbliche amministrazioni ex art.15 della legge 241.90 è da considerarsi illegittimo. Secondo il Tar ciò è predicabile allorché l’attività oggetto di collaborazione tra le Amministrazioni coinvolte (nel caso di specie, monitoraggio e controllo del territorio di Roma Capitale a mezzo elicotteri, al fine di combattere l’abusivismo edilizio) è finalizzato a realizzare in via esclusiva l’attività funzionale di competenza di una sola delle ridette Amministrazioni, svolgendo l’altra un ruolo meramente ausiliare, e ciò a fronte di una norma che richiede che l’oggetto della collaborazione siano attività di interesse comune degli enti pubblici coinvolti. Un accordo pubblico di collaborazione soddisfa infatti, per il Tar, la relazione di sussidiarietà orizzontale richiesta dall’art.15 solo se l’attività perseguita è di interesse comune, nel senso onde le finalità istituzionali degli enti protagonisti dell’accordo sono coordinate in modo tale che le rispettive attività siano tra loro complementari.
*Il 04 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.899 che ribadisce come l’accordo di programma ex art.34 del decreto legislativo n.267.00 compendi uno strumento di auto-coordinamento giusta il quale le Amministrazioni coinvolte raggiungono un consenso unanime in ordine ad un certo intervento da realizzare, come ad esempio la realizzazione di un’opera di comune interesse.
Il 15 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3849 che abbraccia la tesi della natura pubblicistica degli accordi tra PPAA, inquadrandoli tra i contratti ad oggetto pubblico: dal punto di vista strutturale si tratta di convenzioni analoghe ai contratti ex art.1321 c.c., ma a tale omogeneità strutturale non si accompagna il predicato della patrimonialità proprio dei contratti privatistici: le PPAA che vi partecipano in modo equiordinato non compongono un conflitto di interessi a carattere patrimoniale, ma coordinano i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune.
Il 23 dicembre viene varato il decreto legge n.145, il cui art.6, comma 5, incide ancora sull’art.11, comma 2.bis, della legge 241.90, e dunque indirettamente anche sugli accordi tra PPAA.
2014
Il 21 febbraio viene varata la legge n.9 che converte con modificazioni il decreto legge 145.13.
Il 26 febbraio viene varata la Direttiva n.2014/24/UE che concerne gli appalti nei settori ordinari, i cui articoli 12, comma 4, e 28, comma 4, si occupano degli accordi tra PPAA aggiudicatrici escludendoli dall’ambito di applicazione del codice (e dunque dall’area degli appalti pubblici) allorché attraverso l’accordo si faccia luogo ad una cooperazione tra le PPAA aggiudicatrici partecipanti che ha lo scopo di garantire che i servizi pubblici che ciascuna PA aggiudicatrice è tenuta a svolgere siano prestati in un’ottica di perseguimento dell’interesse comune; tale cooperazione trovi luogo ed attuazione sotto l’egida del perseguimento dell’interesse pubblico; le PPAA aggiudicatrici partecipanti svolgano sul mercato libero meno del 20% delle attività oggetto di cooperazione (si deve dunque trattare di attività solo marginalmente interessate dal mercato). Si tratta di condizioni che debbono essere cumulativamente presenti, onde in difetto anche di una sola di esse scatta la disciplina degli appalti pubblici.
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Il 28 maggio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.11917 alla cui stregua appartiene alla giurisdizione del GA, ai sensi dell’art. 133, 1º comma, lett. a), n. 2), d.leg. 2 luglio 2010 n. 104 – in quanto controversia relativa ad accordi tra p.a. – il giudizio instaurato dalla Fondazione Ordine Mauriziano per far valere l’inadempimento della Regione Piemonte agli obblighi di erogazione di assegnazioni economiche previste in forza di convenzioni intervenute tra i predetti enti pubblici, restando irrilevante il successivo riconoscimento di debito operato dall’Assessore Regionale alla Sanità, che è inidoneo a costituire una autonoma fonte di obbligazione, determinando unicamente – insieme con l’effetto confermativo del preesistente rapporto fondamentale – un’inversione dell’onere della prova in ordine alla pretesa azionata.
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Il 24 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3194 secondo cui è il contenuto dei singoli accordi e le clausole in essi previste che orienta l’interprete nell’applicazione dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, stante il limite della compatibilità.
Il 12 settembre viene varato il decreto legge n. 133 (Sblocca Italia), recante misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita’ produttive.
L’11 novembre viene varata la legge n. 164 che converte con modificazioni il decreto legge n.133, e vi inserisce l’art. 17-bis, che stabilisce che il Governo, le Regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, e comunque entro i termini previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. La legge è importante anche perché incide sull’art.26, comma 1, del decreto legge 133.14: si muove dalla eccezionalità della situazione economico-finanziaria del Paese e dal fine di contribuire alla stabilizzazione finanziaria nazionale (anche ai sensi dell’art.81 Cost.), oltre che di promuovere – più nello specifico – iniziative di valorizzazione del patrimonio pubblico intese allo sviluppo economico sociale: con questi obiettivi, viene previsto l’accordo di programma ex art.34 del TUEL quale strumento per il recupero di immobili non utilizzati del patrimonio immobiliare pubblico, con natura di variante agli strumenti urbanistici vigenti.
2015
Il 18 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1400 che riafferma, sulla scorta dell’art.133 del cpa, la giurisdizione esclusiva del GA in tema di accordi tra Pubbliche Amministrazioni.
Il 22 aprile esce il parere della II sezione del Consiglio di Stato n.1178 che si occupa ancora della compatibilità tra disciplina europea degli appalti pubblici e accordi tra PPAA. Secondo il CdS non soggiacciono alle direttive sugli appalti gli accordi tra PPAA finalizzati alla cooperazione c.d. non istituzionalizzata di tipo orizzontale: si tratta del fenomeno della cooperazione giusta accordo di collaborazione per l’esecuzione congiunta di un compito comune, ma la condizione per escludere la disciplina in materia di appalti pubblici è che – laddove si riscontri un trasferimento di risorse tra le Amministrazioni coinvolte nell’accordo – questo configuri un mero corrispettivo forfetario per le spese vive sostenute. In sostanza, è dunque la presenza o meno di un vero e proprio corrispettivo, in seno all’accordo stipulato tra PPAA, a rilevare ai fini della compatibilità con la disciplina europea degli appalti: laddove infatti non si configuri una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale, si è al cospetto di un fenomeno al di fuori della Direttiva (ormai, la 2014/24/UE), rientrandosi nel campo della organizzazione interna del singolo Stato membro interessato.
Il 27 luglio esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.10295 che ribadisce la natura pubblicistica degli accordi tra PPAA, inquadrandoli tra i contratti ad oggetto pubblico: dal punto di vista strutturale si tratta di convenzioni analoghe ai contratti ex art.1321 c.c., ma a tale omogeneità strutturale non si accompagna il predicato della patrimonialità proprio dei contratti privatistici: le PPAA che vi partecipano in modo equiordinato non compongono un conflitto di interessi a carattere patrimoniale, ma coordinano i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune.
2016
Il 16 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1053 che, al fine di stabilire a chi appartenga la giurisdizione sugli accordi di programma, muove dall’art.133, comma 1, lettera a), n.2 del codice del processo amministrativo per dichiararla appannaggio del GA in sede di giurisdizione esclusiva. Si tratta degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo che intervengono tra PPAA, ogni questione inerente alla relativa formazione, conclusione ed esecuzione appartenendo appunto alla giurisdizione esclusiva del GA per il relativo compendiare – quali accordi di programma – una species del genus dell’accordo tra PPAA previsto e disciplinato dall’art.15 della legge 241.90. Si è al cospetto di un provvedimento amministrativo che viene adottato dalle PPAA e dai soggetti pubblici che partecipano all’accordo (in disparte il fatto che in sede di relativa attuazione siano coinvolti dei soggetti privati) con la finalità di assicurare l’azione integrata delle ridette PPAA ed enti pubblici partecipanti. Laddove vi siano soggetti privati interessati all’attuazione dell’accordo di programma, si discute di interessi legittimi e di cattivo uso del potere nei rispettivi confronti. In sostanza, tutte le controversie che nascono da un accordo di programma (coinvolgano le PPAA partecipanti, ovvero i privati interessati alla relativa attuazione) appartengono alla giurisdizione esclusiva del GA, e ciò sul fondamento onde si tratta di un modulo convenzionale giusta il quale la PA esercita una funzione pubblica, con conseguente necessità di concentrare in unico giudice tutte le pretese che da tali accordi nascano.
Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, nuovo codice dei contratti pubblici, il cui art.5, comma 6, richiama la disciplina di cui alla Direttiva 2014/24/UE ai fini della verifica di compatibilità tra gli accordi che coinvolgono le PPAA aggiudicatrici e la disciplina degli appalti. Sostanzialmente, l’accordo cui si fa luogo realizza una cooperazione tra le PPAA aggiudicatrici partecipanti che ha lo scopo di garantire che i servizi pubblici che ciascuna PA aggiudicatrice è tenuta a svolgere siano prestati in un’ottica di perseguimento dell’interesse comune; tale cooperazione deve trovare attuazione sotto l’egida del perseguimento dell’interesse pubblico; le PPAA aggiudicatrici partecipanti devono svolgere sul mercato libero meno del 20% delle attività oggetto di cooperazione (si deve dunque trattare di attività solo marginalmente interessate dal mercato). Si tratta di condizioni che debbono essere cumulativamente presenti, onde in difetto anche di una sola di esse scatta la disciplina degli appalti pubblici.
Il 16 dicembre esce la sentenza dell’VIII sezione del Tar Campania n.5808 in materia di accordo di programma stipulato ai sensi dell’art. 27 della L. n. 142/1990 (ormai art. 34 TUEL). Nella fattispecie scandagliata il Tar riconosce la propria giurisdizione esclusiva con riguardo agli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e tra amministrazioni pubbliche ex art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a., la quale comprende ogni questione inerente alla “formazione, conclusione ed esecuzione” di tali strumenti convenzionali, dichiarandosi pertanto competente a conoscere, quindi, in questo ambito, sia degli interessi legittimi che dei diritti soggettivi (viene richiamato anche T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 18 gennaio 2016, n. 163). In questi termini – rammenta il Collegio .- si sono infatti espresse le Sezioni Unite della Cassazione con riguardo ad un domanda proposta da un privato parte di un accordo di programma nei confronti degli enti pubblici (ordinanza 14 giugno 2005, n. 12725), evidenziando che tale tipologia di accordo (allora previsto dall’art. 27 l. n. 142 del 1990) costituisce una specie del paradigma generale di accordo ex art. 15 della citata legge n. 241 del 1990, il quale si sostanzia in un provvedimento amministrativo adottato dalle amministrazioni pubbliche e dai soggetti pubblici che vi partecipano – con esclusione quindi dei privati eventualmente coinvolti nella relativa attuazione – al fine di assicurare l’azione integrata e coordinata di più amministrazioni per la realizzazione di un programma comune, rispetto al quale la posizione dei soggetti privati comunque interessati all’attuazione dell’accordo a fronte del cattivo uso del potere pubblicistico nei relativi confronti ha consistenza di “interesse legittimo“. Nella pronuncia in esame – rammenta il Tar – le Sezioni unite hanno ulteriormente specificato che la giurisdizione esclusiva del GA per tutte le controversie nascenti dagli accordi di programma trae il proprio fondamento dal fatto che con questo modello convenzionale l’amministrazione esercita una funzione pubblica e che tutte le pretese nascenti da tali accordi e che in essi “trovano la propria regolamentazione” devono essere concentrate presso un unico ordine giurisdizionale, ai sensi dell'(allora vigente) art. 11, comma 5, l. n. 241 del 1990 [ed ora ai sensi del citato art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a.]. Nella stessa ordinanza – rammenta sempre il Tar – la Suprema Corte ha escluso la possibilità di pervenire a diverse conclusioni in termini di giurisdizione per il caso in cui all’accordo partecipino privati, nella veste di attuatori dell’accordo di programma, dovendosi inquadrare simili pattuizioni nella tipologia degli accordi tra PA e privati previsti nel comma 1 dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, con il (medesimo) corollario della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’ultimo comma della medesima disposizione della legge generale sul procedimento amministrativo. I principi testè affermati sono poi stati ribaditi dalle SSUU (sentenze 21 maggio 2007, n. 11667, 7 gennaio 2016, n. 64, ordinanza 29 luglio 2013, n. 18192) e dalla giurisprudenza amministrativa (vengono richiamate ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 16 marzo 2016, n. 1053, T.A.R. Napoli, Sez. III, 3 giugno 2015, n. 3012, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 4 giugno 2013, n. 899). Su altro crinale, rammenta il Tar come costituisca orientamento giurisprudenziale consolidato, in espressa derivazione dei principi civilistici vigenti in materia, che il contenuto dell’accordo di programma è modificabile solo mediante una nuova determinazione espressa da tutte le amministrazioni contraenti, che giungono ad una nuova sistemazione concordata dell’assetto degli interessi sottostanti all’azione amministrativa (così T.A.R. Brescia, sez. I, 30 aprile 2010, n.1635), simile assunto trovando conferma nel fondamentale principio civilistico sancito dall’art. 1372 c.c., secondo cui “il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge” e nelle disposizioni dell’art. 11 della Legge n. 241 del 1990, relativo agli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, laddove prevede che “ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili” (comma 2 art. cit.) e dell’art. 15 della stessa L. n. 241 laddove, in tema di accordi tra pubbliche amministrazioni, prevede che “per detti accordi si osservano in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’art. 11, commi 2 e 3”. Lo stesso Consiglio di Stato, rammenta il Collegio, facendo specifico riferimento ai contratti “accessivi” a provvedimenti concessori ha affermato che tale peculiare tipologia di accordo “ad oggetto pubblico” non può essere modificato ad arbitrio di una delle parti (viene richiamata Cons. Stato, Sez. I, parere 27 marzo 2013, n. 1567), onde appare del tutto evidente che – laddove non si sia in presenza di un’espressa previsione di legge, diretta ad introdurre disposizioni immediatamente precettive che prevalgono sulla disciplina convenzionale integrandola o sostituendola – eventuali disposizioni integrative e modificative del rapporto in essere, vieppiù nel momento in cui siano dirette a imporre determinati comportamenti o comunque rinuncia ad agire in sede giurisdizionale (come nella fattispecie scandagliata), non potrebbero che essere espressamente concordate. Più in generale, rammenta il Collegio, qualunque modifica del rapporto già in essere deve giocoforza avere come presupposto lo svolgimento di una preliminare negoziazione destinata a confluire in una comune volontà delle parti contraenti in attuazione dei principi civilistici sopra richiamati, ritenuti costantemente applicabili anche agli accordi tra Pubbliche amministrazioni (con rinvio esplicito a Consiglio di Stato, Sez. III, 24 giugno 2014, n. 3194, TAR Lazio, Roma, Sez. III Ter, 2 febbraio 2015, n. 1832 e 28 ottobre 2014, n. 10807), il contenuto dell’accordo di programma palesandosi modificabile solo mediante una nuova determinazione espressa da tutte le Amministrazioni contraenti, che giungono ad una nuova sistemazione concordata dell’assetto degli interessi sottostanti all’azione amministrativa (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 18 gennaio 2016, n. 163 cit.).
2017
Il 26 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.125 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale – promossa in riferimento all’art. 117, secondo, terzo e sesto comma, della Costituzione – dell’art. 17-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, laddove stabilisce che il Governo, le Regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, e comunque entro i termini previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
Il 7 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 2731 onde l’articolo 2, comma 12, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 – Legge Finanziaria per il 2008 (secondo cui: “Gli enti locali di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono istituire, mediante apposite convenzioni, da stipulare ai sensi dell’articolo 30 del medesimo testo unico, uffici unici di avvocatura per lo svolgimento di attività di consulenza legale, difesa e rappresentanza in giudizio degli enti convenzionati”) ha previsto non la possibilità che un Ente locale si accordi con altre Amministrazioni per mettere a comune disposizione il proprio ufficio legale (di fatto, sulla falsariga di un appalto di servizi) bensì la creazione, come oggetto della reciproca cooperazione tra le diverse Amministrazioni interessate, di una struttura nuova e comune, sino allora insussistente, vale a dire “l’ufficio unitario” di avvocatura, da implementare «con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti».
Il 14 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.190 onde costituisce un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quanto stabilito dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, per cui sono vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli accordi previsti dall’art.1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», finalizzati al contenimento della spesa sanitaria e al ripianamento dei debiti. La Corte precisa peraltro che qualora si verifichi una persistente inerzia della Regione rispetto alle attività richieste dagli accordi Stato-Regioni per il ripiano dei deficit in materia sanitaria, l’art. 120, comma 2, Cost. consente l’esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo, al fine di assicurare contemporaneamente l’unità economica della Repubblica e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.), potendo all’uopo il Governo nominare un commissario ad acta le cui funzioni, siccome definite nel mandato conferitogli e siccome specificate dai pertinenti programmi operativi (ex art. 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009), pur avendo carattere amministrativo e non legislativo, devono restare, fino all’esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali – anche qualora questi agissero per via legislativa – pena appunto la violazione dell’art. 120, comma 2, Cost., l’illegittimità costituzionale della legge regionale sussistendo anche qualora l’interferenza sia meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del commissario incaricato di attuare il piano di rientro.
2018
Il 5 novembre esce l’ordinanza della III sezione del Consiglio di Stato n. 6264 che, nel rimettere alla Corte di Giustizia alcune questioni sui rapporti tra regole degli appalti pubblici e accordi tra Amministrazioni, ribadisce alcuni principi ormai consolidati in materia. Rammenta in particolare il Collegio che nell’ordinamento nazionale è riconosciuta alle amministrazioni pubbliche la possibilità di concludere fra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune: si tratta dell’istituto del cd. partenariato pubblico-pubblico a carattere orizzontale, realizzato tramite accordi tra diverse amministrazioni, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Gli accordi/contratti, in sostanza, istituiscono una cooperazione tra Enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune e ad essi non si applicano le norme del diritto dell’Unione europea sulle procedure di evidenza pubblica in materia di appalti pubblici: la giurisprudenza attribuisce a detti accordi natura giuridica di diritto pubblico, qualificandoli come “contratti ad oggetto pubblico”.
Tali accordi rappresentano lo strumento utile per soddisfare il pubblico interesse, il coordinamento, in un quadro unitario, di interessi pubblici di cui ciascuna amministrazione è portatrice. Del resto, in materia di accordi tra Pubbliche Amministrazioni, al di fuori dell’ipotesi più ricorrente di svolgimento di funzioni comuni, è possibile ricorrere all’art. 15 della legge 241/1990 quando una Pubblica Amministrazione intenda affidare a titolo oneroso ad altra Amministrazione un servizio, ove questo ricada tra i compiti dell’ente.
Ritiene quindi il Consiglio che, alla luce della valenza generale rivestita dagli accordi organizzativi di cui al citato art. 15, gli Enti pubblici passono “sempre” utilizzare lo strumento convenzionale per concludere tra loro accordi organizzativi volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune e in particolare al fine di programmare e di realizzare un servizio pubblico di soccorso alla persona in situazioni di emergenza.
La giurisprudenza ha chiarito che una cooperazione del genere tra autorità pubbliche non può interferire con l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, “poiché l’attuazione di tale cooperazione è retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico e poiché viene salvaguardato il principio della parità di trattamento degli interessati di cui alla direttiva 92/50, cosicché nessun impresa privata viene posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”.
Inoltre, l’art. 5, comma 6, del d.lgs. 50/2016, ha confermato l’esclusione dall’applicazione della disciplina dei contratti pubblici, in presenza delle condizioni ivi indicate, e rappresenta una disposizione ricognitiva di un quadro normativo e giurisprudenziale già pienamente consolidato.
Tuttavia, dette disposizioni che prevedono gli accordi tra pubbliche amministrazioni come modulo procedimentale di generale applicazione per lo svolgimento di attività di interesse comune, lo considerano una modalità alternativa all’affidamento delle attività stesse a operatori individuati sul mercato, ma non lo impongono come modalità prioritaria.
L’accordo tra amministrazioni aggiudicatrici è un’opzione che implica la formazione di un’intesa tra le parti, ma soprattutto – e preliminarmente – la volontà o impulso di adottare tale schema, il quale, lungi dal ricondursi ad una norma impositiva di un obbligo cogente, esprime una facoltà di cui l’Amministrazione dovrebbe avvalersi prima di utilizzare il modello procedimentale dell’evidenza pubblica quale principio di ordine generale.
Quanto all’onere di motivazione di tale modello operativo, ad avviso del Collegio, un’esigenza di motivazione può sussistere qualora la stazione appaltante intenda seguire la via dell’affidamento diretto, vale a dire prescegliere una soluzione idonea a mettere in luce, attraverso negoziazioni bilaterali, le opportunità connesse allo svolgimento del servizio da parte di un operatore, o di alcuni degli operatori iscritti nell’elenco regionale; tale soluzione, infatti, preclude di acquisire in forma impegnativa e comparabile le disponibilità di tutti gli operatori di settore potenzialmente interessati, e quindi di un parametro di raffronto della convenienza complessiva reale e concreto. Viceversa, la procedura di evidenza pubblica garantisce di per sé il rispetto dei principi comunitari di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, attraverso la comparazione di più offerte tramite il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 95 del d.lgs. 50/2016, che valuta in maniera specifica la qualità del servizio da rendere oltre all’aspetto economico, e dunque il miglior rapporto qualità prezzo.
Dunque, laddove non siano individuati e qualificati dalla normativa europea (come avviene per il trasporto di emergenza urgenza) degli interessi pubblici diversi e concomitanti a giustificare la via del convenzionamento diretto, le soluzioni alternative non sono pariordinate, quanto all’idoneità potenziale ad individuare la migliore soluzione.
2019
Il 4 marzo esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 33 che, intervenendo su una norma che imponeva degli accordi tra comuni, riafferma il principio secondo cui gli interventi statali in materia di coordinamento della finanza pubblica che incidono sull’autonomia degli enti territoriali devono svolgersi secondo i canoni di proporzionalità e ragionevolezza dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.
La previsione generalizzata dell’obbligo di gestione associata per tutte le funzioni fondamentali sconta, infatti, in ogni caso un’eccessiva rigidità, al punto che non consente di considerare tutte quelle situazioni in cui, a motivo della collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, la convenzione o l’unione di Comuni non sono idonee a realizzare, mantenendo un adeguato livello di servizi alla popolazione, quei risparmi di spesa che la norma richiama come finalità dell’intera disciplina.
Si tratta di valutare situazioni dalla più varia complessità in cui l’ingegneria legislativa non combacia con la geografia funzionale, il sacrificio imposto all’autonomia comunale non è in grado di raggiungere l’obiettivo cui è diretta la normativa stessa; questa finisce così per imporre un sacrificio non necessario, non superando quindi il test di proporzionalità.
* * *
Il 29 ottobre esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 224 che, con specifico riferimento agli atti d’intesa relativi ai permessi di prospezione e ricerca degli idrocarburi, afferma come essi ricadano nella sfera applicativa del principio di leale collaborazione in materie di competenza concorrente Stato-Regione, quali la «produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nonché il «governo del territorio». La qual cosa è stata tradotta a livello legislativo dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004. La natura dell’intesa fa sì che l’eventuale diniego non possa mai avere carattere generale; ciò, infatti, si pone in contrasto con la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto; in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero desumibili le ragioni.
L’atto d’intesa, quindi, è il risultato di un apposito procedimento, che trova nella legge e nei principi costituzionali la relativa disciplina e i relativi limiti. Proprio la previsione di una compiuta regolazione del procedimento di stipulazione delle intese, pertanto, rende il rispetto dei vincoli da esso posti, ivi incluso l’obbligo di motivazione, un requisito di legittimità e di validità, sindacabile nelle sedi appropriate. Non c’è dubbio che nella materia in questione vengano in gioco competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione, ma ciò non basta, di per sé, a riconoscere un “tono costituzionale” alle censure svolte dalla ricorrente. La natura costituzionale delle competenze, infatti, così come il potere discrezionale che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude la sindacabilità nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti, quando essi trovano un limite «nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo» (sentenza n. 81 del 2012). Ciò è ancora più vero in casi ove sono coinvolti anche interessi di privati, che potrebbero risultare pregiudicati dalla mancata giustiziabilità degli atti che incidono su di essi. In casi del genere il GA non si sostituisce all’Amministrazione, ma si limita a esercitare, nell’ambito della propria giurisdizione, il controllo sull’esercizio del potere amministrativo da parte della Regione, che la Corte non può essere chiamata a sindacare in sede di conflitto di attribuzione.
2020
Il 30 giugno esce l’ordinanza 30 giugno 2020 della IX Sezione della Corte di Giustizia europea Ge.Fi.L. Gestione Fiscalità Locale SpA contro Regione Campania, che, in materia di cooperazione tra amministrazioni pubbliche dichiara l’illegittimità dell’affidamento senza gara da parte della Regione Campania del servizio di riscossione della tassa automobilistica ad ente pubblico non economico (l’ACI).
In via preliminare, la Corte rileva che ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 si può procedere all’affidamento senza gara pubblica solo in presenza di contratti aventi natura di «appalti pubblici» i quali hanno, pertanto, carattere oneroso. Orbene, per poter essere qualificato «appalto pubblico», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24, un contratto dev’essere stato concluso a titolo oneroso e, pertanto, deve implicare che l’amministrazione aggiudicatrice che conclude un appalto pubblico riceva, in forza di tale contratto, a fronte di un corrispettivo, una prestazione che rivesta un interesse economico diretto per detta amministrazione aggiudicatrice. Inoltre, detto contratto deve presentare un carattere sinallagmatico, elemento che costituisce una caratteristica essenziale di un appalto pubblico dall’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 si evince che, per essere escluso dalle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, un appalto pubblico concluso esclusivamente tra due, o più, amministrazioni aggiudicatrici deve stabilire o realizzare una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune. Inoltre, l’attuazione di tale cooperazione dev’essere retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico. Peraltro, le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti devono svolgere sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione.
La Corte precisa che in primo luogo, occorre rilevare, come si ricava dal suo dettato, che l’articolo 12, paragrafo 4, lettere a) e b), di detta direttiva colloca la nozione di «cooperazione» proprio al cuore del dispositivo di esclusione previsto da tale disposizione. La precisazione, apparentemente tautologica, contenuta nel considerando 33, terzo comma, della direttiva 2014/24, secondo la quale la cooperazione deve «fondarsi su un concetto cooperativistico», fa in realtà rinvio al requisito di effettività della cooperazione così stabilita o realizzata (sentenza del 4 giugno 2020, Remondis, C-429/19, EU:C:2020:436, punto 28).
Da ciò deriva, da un lato, che la conclusione di un accordo di cooperazione tra enti del settore pubblico deve apparire come il compimento di un iter di cooperazione tra i partecipanti allo stesso. Infatti, l’elaborazione di una cooperazione tra enti del settore pubblico presenta una dimensione intrinsecamente collaborativa (sentenza del 4 giugno 2020, Remondis, C-429/19, EU:C:2020:436, punto 28).
Nel caso di specie, per la Corte non sembra però che l’ordinanza di rinvio possa consentire di evidenziare l’esistenza di una vera e propria cooperazione tra la Regione Campania e l’ACI posto che, secondo il giudice del rinvio, la convenzione in questione nel procedimento principale ha unicamente come scopo l’acquisizione di una prestazione a fronte del versamento di una retribuzione. Non sembra nemmeno che la convenzione in questione nel procedimento principale costituisca il compimento di un iter di cooperazione tra queste due amministrazioni aggiudicatrici.
In secondo luogo, come rilevato nel punto 16 della presente ordinanza, il giudice del rinvio ritiene che la convenzione in questione nel procedimento principale non sia stata conclusa al fine di raggiungere obiettivi comuni alla Regione Campania e all’ACI.
Cionondimeno, posto che l’ACI sostiene, nelle sue osservazioni scritte, di avere come compito la gestione del pubblico registro automobilistico, il quale serve a determinare i soggetti passivi di detto tributo, e che, pertanto, esso sarebbe titolare di funzioni pubbliche relative a detta tassa, spetta al giudice del rinvio valutare se la funzione così attribuita all’ACI non possa essere considerata un’attività accessoria alla riscossione della tassa automobilistica.
Infatti, dall’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, in combinato disposto con il considerando 33, primo comma, della stessa direttiva, discende che una cooperazione tra soggetti pubblici può riguardare tutti i tipi di attività connesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità affidati alle amministrazioni partecipanti o da esse assunti. Ebbene, l’espressione «tutti i tipi di attività», contenuta in detto considerando 33, primo comma, può coprire un’attività accessoria a un servizio pubblico, purché tale attività accessoria contribuisca alla realizzazione effettiva della funzione di servizio pubblico oggetto della cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti (sentenza del 28 maggio 2020, Informatikgesellschaft für Software-Entwicklung, C-796/18, EU:C:2020:395, punto 60).
In terzo luogo, come rilevato nel punto 17 della presente ordinanza, dall’ordinanza di rinvio si ricava che i pagamenti previsti dalla convenzione in questione nel procedimento principale superano manifestamente il mero rimborso delle spese sostenute, poiché detto contratto prevederebbe il pagamento di un corrispettivo ampiamente superiore ai livelli di prezzo praticati sul mercato. Risulta pertanto che la contropartita finanziaria prevista dal contratto in questione nel procedimento principale non risponde unicamente a considerazioni inerenti all’interesse pubblico, contrariamente a quanto richiedono sia l’articolo 12, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2014/24 sia il considerando 33, terzo comma, della medesima direttiva.
Da ciò consegue che, posto che le condizioni di applicazione dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 sono cumulative, la convenzione in questione nel procedimento principale non può comunque soddisfare le condizioni poste da detta disposizione.
In conclusione per la Corte, l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici che abroga la direttiva 2004/18/CE, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che consente l’affidamento diretto, senza gara, dell’appalto dei servizi relativi alla gestione della tassa automobilistica a un ente pubblico non economico che ha il compito di gestire il pubblico registro automobilistico.
2021
Il 5 febbraio esce la sentenza della I sezione della Corte di Cassazione n. 2738 che, in materia di accordi di programma stipulati tra le pubbliche amministrazioni e i privati precisa quando una lite devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può essere compromessa in arbitri. La Corte afferma che per la compromettibilità in arbitrato di una controversia derivante dall’esecuzione di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo occorre valutare la natura delle situazioni giuridiche azionate, potendosi ricorrere a tale strumento di risoluzione delle controversie solo se queste abbiano la consistenza di diritto soggettivo, ai sensi dell’art. 12 c.p.a., e non invece quella di interesse legittimo.
Nel caso di specie, la Corte ha ravvisato la consistenza dell’interesse legittimo nella posizione vantata dal privato che aveva inteso reagire, anche a fini risarcitori, avverso scelte discrezionali dell’Amministrazione che avevano reso inattuabile l’accordo di realizzazione di un complesso programma lottizzatorio.
Questioni intriganti
Quali parole è importante rammentare quando si parla di accordi tra Pubbliche Amministrazioni?
- Semplificazione: gli accordi tra amministrazioni sono orientati a semplificare l’azione pubblica degli enti che vi partecipano, come rammenta anche la collocazione dal punto di vista tassonomico all’interno del capo IV che la legge 241.90 dedica appunto alla semplificazione amministrativa;
- Collaborazione: gli accordi tra amministrazioni guardano al futuro e puntano ad una collaborazione orientata a disciplinare come si svolgeranno le rispettive attività di interesse comune nell’ottica collaborativa del buon andamento;
- Convergenza: in un contesto ordinamentale basato sul pluralismo istituzionale, e dunque popolato da una pluralità di enti pubblici ciascuno con proprie articolazioni e competenze (Stato apparato debitore), gli accordi consentono un coordinamento utile nell’ottica del “parlarsi” ai fini del soddisfacimento del pubblico interesse (dello Stato Comunità creditore) globalmente inteso.
- Generalità: si tratta di un modello generale (si è parlato in proposito di norma amministrativa “in bianco”) rispetto ad accordi più specifici disciplinati in modo maggiormente puntuale, come ad esempio gli accordi di programma.
Cosa distingue gli accordi tra Pubbliche Amministrazioni ex art.15 della legge 241.90 dagli accordi tra Amministrazione e privato di cui al precedente articolo 11?
- gli accordi tra privato e PA di cui all’art.11 vengono generalmente indicati come accordi verticali, in quanto le due parti non si collocano in una situazione di parità, trovando convergenza l’autonomia privata da un lato ed il potere pubblico dall’altro: lo sfondo è quello della partecipazione del privato alla funzione pubblica, come dimostra anche la collocazione della norma nel capo III della legge dedicato, appunto, alla partecipazione;
- gli accordi tra Pubbliche Amministrazioni vengono generalmente indicati come accordi orizzontali, stante la posizione di parità che contraddistingue gli enti pubblici coinvolti: lo sfondo è quello della semplificazione collaborativa, come dimostra la collocazione della norma (art.15) nel capo IV dedicato proprio alla semplificazione; la diversità dello schema si evince anche dal rinvio che l’art.15 fa al precedente art.11, che non è un rinvio integrale (concerne i soli comma 2 e 3, e dunque la forma scritta ad substantiam ed i principi in materia di obbligazioni e contratti, questi ultimi peraltro nei limiti della compatibilità e fatta salva una diversa disposizione) proprio sulla base della considerazione onde le esigenze da normare sono diverse e fondamentalmente di minore impatto proprio a cagione della parità tra le parti (pubbliche) coinvolte.
E’ possibile per un privato partecipare ad un accordo ex art.15 della legge 241.90 e quali interferenze si configurano con il diritto europeo degli appalti?
- si ritiene generalmente che un privato non possa partecipare ad un accordo tra PPAA, stante anche il tenore letterale della norma che parla solo di Pubbliche Amministrazioni e di collaborazione nel perseguimento di interessi pubblici, dei quali il privato non è portatore: resta fermo che laddove l’accordo coinvolga privati, devono trovare spazio le garanzie, soprattutto procedimentali, previste dalla legge 241.90, onde per il privato l’accordo tra PPAA assume la veste ed il regime del provvedimento amministrativo tout court.;
- si tratta di conclusione corroborata dal fatto che, dal punto di vista del diritto europeo degli appalti, la partecipazione di un privato ad un accordo tra PPAA potrebbe servire per aggirare le disposizioni sulla concorrenza e sulle gare di appalto; ciò anche in considerazione del fatto che tra “privato” e “pubblico” si configurano ormai figure border line come l’impresa pubblica, l’organismo di diritto pubblico, la società mista (partenariato PPPI) ed il modulo dell’in house providing.
Cosa distingue gli accordi tra Amministrazioni dalla conferenza di servizi?
L’oggetto della semplificazione, in quanto:
- nella conferenza di servizi viene semplificato dal legislatore il procedimento, dal momento che – al cospetto di più sub-procedimenti di competenza di Amministrazioni diverse che vanno tutti esauriti al fine di acquisire i rispettivi atti di assenso – si genera un contesto decisionale unico con una determinazione finale che sostituisce tutti gli atti di assenso occorrenti per la definizione della fattispecie amministrativa, secondo un modello di “associazione collaborativa”;
- negli accordi tra Amministrazioni (che vengono stipulati “al di fuori” della conferenza di servizi) viene semplificato il programma di azione futura di ciascuna Amministrazione coinvolta giusta collaborazione con ciascuna delle altre, secondo un modello paritario di “scambio collaborativo”.
Quali sono le norme del codice civile applicabili agli accordi tra Pubbliche Amministrazioni?
- occorre tenere preliminarmente conto che la clausola di compatibilità per questi accordi è doppia, essendo contenuta nell’art.15, comma 2, laddove richiama l’art.11, e poi nel medesimo articolo 11 richiamato, il che suggerisce maggiore prudenza nella declaratoria di applicabilità di norme specifiche, considerato anche il richiamo ai “principi” e non, appunto, a norme specifiche;
- sul piano strutturale, si ritengono applicabili l’art.1325 sui requisiti essenziali e l’art.1326 sul meccanismo di conclusione del contratto;
- sul piano funzionale, si ritiene in linea di principio applicabile il principio della “forza di legge” ex art.1372, con conseguente sostanziale irretrattabilità dell’accordo raggiunto; non mancano però voci nel senso onde il profilo privatistico della irretrattabilità può essere superato da quello pubblicistico del recesso ex art.11, comma 4, della legge 241.90, seppur non espressamente richiamato dall’art.15.
Quali sono le norme pubblicistiche e processuali applicabili agli accordi tra Pubbliche Amministrazioni?
- la disciplina dei controlli normalmente previsti per i provvedimenti, di cui all’art.11, comma 3, della legge 241.90, richiamato dall’art.15;
- la giurisdizione esclusiva del GA, ai sensi degli articoli 7, comma 1, e 133, comma 1, lettera a), n.2 del codice del processo amministrativo, in tema di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi in parola: l’attrazione alla giurisdizione esclusiva del GA è qui operata non già con riferimento ad una materia, quanto piuttosto ad una tipologia di atto, l’accordo tra PPAA, sul presupposto onde si tratta di uno strumento di esercizio della funzione pubblica giusta collaborazione nel perseguimento di pubblici interessi;
- il recesso di cui all’art.11, comma 4, della legge 241.90, che assume una portata para-pubblicistica consentendo – per parte della dottrina e della giurisprudenza – la retrattabilità dell’accordo quando ciò sia per ragioni sopravvenute più funzionale per il perseguimento del pubblico interesse; del resto, se negli accordi tra privati e PA è possibile per la PA recedere garantendo al privato un indennizzo al fine di salvaguardarne l’affidamento ingenerato, a fortiori deve essere possibile recedere quando l’accordo concerne parti entrambe pubbliche, con più diluita ed evanescente necessità di tutelare tale affidamento (visto che entrambe sanno di perseguire l’interesse pubblico).
Che natura giuridica hanno gli accordi tra Pubbliche Amministrazioni?
- natura giuridica privatistica (giurisprudenza e dottrina minoritaria): si tratta di particolari convenzioni con le quali le PPAA dispongono reciprocamente dei rispettivi interessi (pubblici), come si evince sia dal fatto che l’art.15 parla di accordi, sia dal richiamo, nei limiti della compatibilità, ai principi del codice civile in tema di obbligazioni e contratti; si applicano le norme in tema di risoluzione del contratto e di esatto adempimento (art.1453 e seguenti c.c.), quelle in materia di risarcimento del danno, nonché l’art.2932 c.c. in tema di obbligo di concludere il contratto e di sentenza costitutiva in caso di inadempimento (tesi giurisprudenziale minoritaria);
- natura giuridica pubblicistica (giurisprudenza e dottrina maggioritaria): si tratta di accordi con i quali le PPAA, lungi dal disporre reciprocamente dei propri interessi, contemperano piuttosto gli interessi pubblici dei quali sono rispettive portatrici in un’ottica di collaborazione di tipo pubblicistico. In sostanza, è un diverso modo di esercizio del potere funzionalizzato alla cura dell’interesse pubblico, avvalendosi dello schema dell’accordo, e non già dell’autonomia privata (della quale pure gli enti pubblici sono portatori al pari dei soggetti privati): viene scelta, in luogo della forma unilaterale di esercizio del potere, quella consensuale, facendo luogo a contratti ad oggetto pubblico con possibilità di adottare il regime pubblicistico giusta esercizio del potere di autotutela di secondo grado, e con mera ancillarità all’occorrenza della disciplina privatistica; nelle ipotesi patologiche si applica la disciplina pubblicistica, onde laddove una delle PPAA paciscenti abbia esercitato una attività divergente rispetto a quella pattuita, scatta la tutela demolitoria di annullamento ex art.29 del cpa, mentre laddove vi sia stato inadempimento sub specie di inerzia di una delle PPAA, l’altra – non potendo attivare il meccanismo del silenzio, previsto solo a tutela di interessi legittimi e non anche, come in questo caso, di diritti soggettivi – può per taluni spiccare azione di esatto adempimento con foggia pubblicistica di cui all’art.34, comma 2, lettera c) del cpa.
Quali sono le fasi nelle quali si articola la promozione, formazione e conclusione di un accordo di programma?
- viene convocata la conferenza preparatoria, giusta invito ai rappresentanti di tutte le PPAA coinvolte;
- segue l’istruttoria, in sede di conferenza stessa;
- l’istruttoria si compendia in una formazione progressiva del consenso da parte delle PPAA che partecipano all’accordo (le singole manifestazioni progressive di questo consenso si assumono non impugnabili perché ancora non lesive) ed esita in un atto formale di competenza dello (e sottoscritto dallo) stesso soggetto che ha preso l’iniziativa di promuovere l’accordo e di convocare le PPAA partecipanti (questo sì, atto lesivo ed impugnabile; laddove sia stato adottato da organo incompetente, il termine per impugnare decorre dalla pubblicazione della relativa delibera di approvazione, in una con l’accordo stesso);
- l’atto formale registra e raccoglie il consenso unanime di tutte le PPAA partecipanti all’accordo siccome via via progressivamente palesatosi, essendo l’unanimità caratteristica precipua dell’accordo di programma; non potendosi superare i dissensi, un accordo che non sia unanime o è nullo ovvero è efficace (laddove ammissibile) solo tra chi lo ha sottoscritto, così compendiando un accordo di programma (unanime) diverso e più ristretto rispetto a quello originariamente divisato.
Chi concretamente promuove la conclusione di un accordo di programma e sottoscrive l’atto formale a valle della conferenza preparatoria?
Occorre guardare alla competenza primaria con riguardo all’opera, all’intervento o al programma di interventi da realizzare, ed ai relativi tempi, modalità e finanziamento, potendosi a seconda dei casi trattare:
- del Presidente della Regione;
- del Presidente della Provincia;
- del Sindaco.
Che ruolo hanno i soggetti privati nell’accordo di programma?
- di regola, laddove vi partecipino rivestono un ruolo meramente informale;
- eccezionalmente, in materia statale ambientale o anche in altri ambiti laddove si tratti di materie disciplinate da legge regionale, si tratta di un ruolo attivo nella formazione e conclusione dell’accordo. Sono tuttavia fattispecie guardate con sospetto dal diritto europeo.
Cosa distingue l’accordo di programma dalla conferenza di servizi e cosa li accomuna?
- si tratta in entrambi i casi di strumenti di auto-coordinamento e di concertazione tra PPAA attributarie di potestà pubblicistiche diverse finalizzate alla cura di interessi pubblici diversi, nel contesto operativo dei quali campeggia il modulo consensuale finalizzato, massime, alla realizzazione di interventi di natura infrastrutturale particolarmente complessi anche dal punto di vista dei procedimenti di rispettiva competenza;
- la conferenza di servizi realizza un accordo che coordina definitivamente le attività di interesse comune e in qualche modo le conchiude, sostituendo (e, ad un tempo, elidendo) intese, concerti, assensi, nulla osta e atti simili; l’accordo di programma – che ha uno spettro più ampio – guarda invece “al futuro”, concordando gli enti pubblici partecipanti una programmazione dinamica delle rispettive attività, nel cui quadro ciascuna delle PPAA coinvolte farà luogo al procedimento di propria competenza.
A quale giudice appartiene al giurisdizione sulle controversie nascenti da accordi di programma?
- al GA in sede di giurisdizione esclusiva, stante il disposto dell’art.133, comma 1, lettera a), n.2 del cpa che parla di controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni, così richiamando gli articoli 11 e 15 della legge 241.90 e, con l’art.15, anche l’art.34 del TUEL, essendo l’accordo di programma una species del genus “accordi tra PPAA” (tesi maggioritaria);
- al GA o al GO secondo gli ordinari criteri di riparto della giurisdizione, stante come il disposto dell’art.133, comma 1, lettera a), n.2 del cpa – laddove parla di controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni – richiami solo gli articoli 11 e 15 della legge 241.90, e non anche l’art.34 del TUEL e l’accordo di programma in esso previsto (tesi minoritaria).