Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 27 gennaio 2025, n. 593
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il presupposto per l’esercizio del potere prefettizio de quo non implica necessariamente l’intenzionale adesione dell’imprenditore al tentativo di infiltrazione, potendo questa manifestarsi oltre l’intenzione del titolare dell’attività. In altre parole, l’esclusione della c.d. contiguità compiacente non vale di per sé ad escludere il pericolo di una contiguità soggiacente.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con sentenza Con sentenza n. 224 del 2024 il T.A.R. della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha accolto il ricorso proposto dal sig. -OMISSIS- in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale con sede in -OMISSIS-, per l’annullamento dell’informazione interdittiva antimafia prot. -OMISSIS-emessa dal Prefetto di Reggio Calabria il 10 novembre 2022, a carico dell’impresa individuale del ricorrente. L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria. Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il ricorrente in primo grado. Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 12 dicembre 2024.
- La sentenza gravata ha annullato il provvedimento interdittivo impugnato ritenendo sussistente il vizio istruttorio e motivazionale dedotto dal ricorrente. In particolare, il primo giudice ha rilevato come l’informativa antimafia fosse basata su di un legame familiare (peraltro indiretto) non sintomatico, e su incontri con persone controindicate avvenuti in luoghi pubblici (in un paese di 5.000 abitanti, ove l’appellato esercita l’attività di meccanico).
- L’appello deduce “Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 87, 91, 92 e 100 del d.lgs. n. 159 del 2011– Erronea valutazione delle circostanze di fatto e di diritto – vizio di motivazione”. Richiamati gli elementi fattuali posti a fondamento del provvedimento interdittivo (e ritenuti insufficienti dal T.A.R.: almeno nella prospettiva del richiamato vizio istruttorio e motivazionale), il mezzo conclude nel senso che “Il quadro indiziario posto a base dell’informativa – diversamente da quanto ritenuto dal TAR adito – appare pertanto cospicuo e idoneo secondo il “criterio del più probabile che non” a far ritenere l’esistenza del pericolo che l’impresa del ricorrente possa essere esposta al condizionamento mafioso. Alla luce delle risultanze documentali prive di pregio appaiono le motivazioni della sentenza impugnata, che non ha tenuto in debito conto i plurimi elementi che appaiono idonei a sorreggere il giudizio prognostico negativo formulato nei confronti della ricorrente”. L’amministrazione appellante osserva poi che nel corso del giudizio di primo grado lo stesso T.A.R. aveva rigettato la domanda cautelare, ritenendo insussistente il fumus boni iuris del ricorso.
- Il ricorso in appello, ad avviso del Collegio, è infondato. Secondo la pacifica e consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi, “gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria – quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità dell’impresa dell’appellante a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, “secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 759/2019)” (così le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020). La sentenza n. 57/2020 della Corte costituzionale ha chiarito che a fronte della denuncia di un deficit di tassatività della fattispecie, specie nel caso di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera”, “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa”, un ausilio è stato fornito dall’opera di tipizzazione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza di questo Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale”. Fra tali situazioni sintomatiche quelle maggiormente rilevanti sono proprio le cointeressenze imprenditoriali. Si è altresì osservato nella giurisprudenza di questa Sezione (sentenza n. 383/2021) che L’esercizio del relativo potere deve peraltro avere riguardo ad una valutazione non acritica e scontata degli elementi fattuali considerati, proprio perché detto potere se per un verso trova la sua giustificazione nell’esigenza di evitare l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto imprenditoriale, per altro verso risulta particolarmente afflittivo in quanto comporta un vulnus estremamente rilevante ai diritti degli interessati, giustificabile in quanto sussista effettivamente un pericolo infiltrativo non meramente ipotizzato, ma desunto – sia pur in chiave probabilistica e non di certezza – dalla convergenza logica di fattori di contagio non astratti ma concreti, e rilevanti con riferimento alla specifica realtà territoriale ed imprenditoriale considerata. La “la funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione”, invocata dall’amministrazione appellante, non può infatti legittimamente spingersi – se non rischiando di contraddire la finalità dello strumento normativo – al punto di un sacrificio immotivato dell’impresa. Va poi richiamata, in relazione agli argomenti sviluppati nel mezzo in esame, la giurisprudenza in tema di utilizzabilità, a fini prognostici, dei legami parentali (ex multis, Cons. St., sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651; C.g.a.r.s. 16 aprile 2021, n. 323), secondo la quale tali elementi fattuali possono legittimamente fondare la formulazione di un pericolo di infiltrazione, secondo un procedimento di inferenza logica, non in assoluto ma in presenza di una serie di condizioni che colleghino la mera condizione parentale all’attività economica.
- Date le superiori premesse deve osservarsi che il provvedimento in questione si basa sull’allegazione di un formale rapporto parentale (rectius: di affinità), e come tale esso non costituisce legittimo esercizio del potere (di natura latamente cautelare) tendente – mediante l’adozione del provvedimento informativo – ad evitare il contagio delle attività economiche da parte della criminalità organizzata: l’effetto interdittivo conseguente all’esercizio di detto potere, infatti, per costante giurisprudenza, deve ritenersi conforme al relativo parametro normativo solo in quanto il pericolo infiltrativo sia desunto, pur se su basi probabilistiche e non di accertamento pieno, di regola da una pluralità di elementi di fatto aventi rilevanza sostanziale ed avvinti da un legame logico che consenta di ragionevolmente ipotizzare una contiguità (compiacente, ovvero soggiacente) fra l’attività economica considerata ed il contesto criminale di riferimento. Nel caso di specie, per quanto di seguito indicato, il provvedimento impugnato in primo grado risulta carente sul piano istruttorio e motivazionale quanto a detto legame: sia sul fronte della idoneità del legame parentale a produrre relazioni personali tali da incidere sull’attività economica in questione; sia sull’esistenza di elementi di conferma ab extrinseco di tale (non riscontrata) premessa maggiore. Il legame di affinità con il suocero, gravato da un precedente penale che ne testimonia l’inserimento in un contesto di criminalità organizzata, è infatti invocato in quanto tale, con la precisazione secondo la quale “il ricorrente non ha mai interrotto i propri rapporti con il padre della moglie il quale, scontata in carcere parte della pena, è attualmente detenuto agli arresti domiciliari”. Tale affermazione è però priva di rilievo sintomatico, essendo conforme ad un criterio di normalità sociale che simili rapporti di affinità comunque sul piano strettamente personale esistano e vengano coltivati in quanto tali, nonostante la condanna dell’affine: dovendosi distinguere, ai fini prognostici che qui rilevano, fra la sfera personale in quanto tale, e in quanto occasione di implicazioni e relazioni ulteriori, potenzialmente proiettate (pur secondo un criterio probabilistico) nella dinamica dell’attività economica ovvero, anche indirettamente, di quella criminale. Nel caso di specie, peraltro, il gravame non supera le dirimenti argomentazioni del primo giudice secondo le quali proprio la figura del suocero dell’interessato si segnala per una serie di elementi di segno prognostico favorevole in ordine alla personalità dello stesso “completamente pretermessi dalla Prefettura la quale, pur essendo consapevole della suddetta detenzione domiciliare, avrebbe omesso di acquisire i relativi provvedimenti autorizzativi adottati nel 2018 e nel 2021, al pari del provvedimento con cui, nel 2007, è stata rigettata la richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale a carico del -OMISSIS-, con ciò disvelando la conduzione di una istruttoria parziale e lacunosa”.
- In secondo luogo, come accennato, la Prefettura ha travisato l’asserita univocità del rilievo sintomatico degli elementi raccolti anche sul piano dei pretesi riscontri estrinseci al valore indiziante del richiamato legame familiare: dal che l’affermazione del vizio istruttorio e motivazionale, che anche sotto questo profilo non risulta superata dagli argomenti sviluppati nel ricorso in appello. Come accennato, il provvedimento prefettizio ha posto in relazione di inferenza logica il richiamato elemento familiare con la circostanza che l’odierno appellato è stato controllato in alcune occasioni con soggetti controindicati. Tale elemento, nella prospettiva del provvedimento interdittivo, confermerebbe – ab extrinseco ed ulteriormente – l’esistenza di una trama relazionale plurima e complessa dalla quale possa legittimamente evincersi il pericolo di condizionamento mafioso dell’impresa. In argomento osserva il Collegio che, fermo restando quanto già osservato in merito al preteso valore indiziante del legame familiare, i controlli di polizia che testimoniano della conoscenza e della frequentazione fra soggetti vanno valutati con grande attenzione e senso critico, dal momento che il solo rilievo della compresenza di due soggetti in un medesimo ambito spazio-temporale, certificato dal controllo, è in sé neutro (in ipotesi anche casuale), non potendo testimoniare delle ragioni della stessa. Queste possono evincersi solo ponendo in relazione un simile dato anzitutto con il contesto di riferimento, quindi con eventuali, ulteriori elementi capaci di attribuire al mero dato della compresenza un significato meno generico e più significativo. Nel caso di specie il primo giudice ha compiuto un’attenta disamina di tali elementi, correttamente escludendone qualsivoglia valore sintomatico, sia pure di mero supporto ad altro dato (che si è visto comunque non essere legittimamente apprezzabile come tale), in quanto si tratta di “dati istruttori anch’essi carenti di significatività avuto riguardo alla loro episodicità ed alla risalenza nel tempo rispetto all’adozione della gravata interdittiva (2022), essendo pari a 5 nell’arco di oltre un ventennio, di cui uno nel 1994, uno nel 1996, uno nel 2000, uno nel 2002 e l’ultimo nel 2016. Siffatti sporadici incontri, del tutto privi di identificazione tanto dei soggetti coinvolti quanto del complessivo contesto in cui si sarebbero verificati, troverebbero plausibile giustificazione in occasionali incontri in luoghi pubblici, presso i quali potrebbe essere stato richiesto l’intervento lavorativo del ricorrente (quali la via – OMISSIS- laddove è registrato l’incontro dell’8.10.2002, alle ore 19.15; il viale -OMISSIS-, laddove peraltro si trova la sede del circolo cacciatori di -OMISSIS-, occasionalmente frequentato dal ricorrente fino al 2010; il -OMISSIS- laddove è stato registrato l’incontro avvenuto nel lontano 1996), del tutto fisiologici in ambiti territoriali ristretti quali quelli di -OMISSIS-, laddove risiedono poco più di 5000 abitanti. Siffatti incontri potrebbero, del resto, essere stati occasionati dall’attività di officina meccanica esercitata dall’odierno istante (la sede dell’impresa è ubicata in via Napoli, laddove risulta registrato tanto l’incontro del 2016, alle ore 18.10, quanto l’incontro del 1994, alle ore 11.20, testualmente registrato come avvenuto “presso l’autofficina”) il quale potrebbe essersi trovato ad interagire, per motivi di lavoro, con individui controindicati”. Rispetto a tale, condivisibile analisi, l’appello si limita ad affermare che “Le frequentazioni emerse nel corso dell’istruttoria svolte dalla Prefettura (cfr. nota del Comando provinciale CC del 19.3.2019) risultano sufficientemente circostanziate e la loro sporadicità, da attribuirsi al fatto che sono frutto di attività di polizia che hanno interessato il destinatario dell’interdittiva solo casualmente, in ogni caso non è sufficiente a privare della loro efficacia indiziaria tali riscontri, se posti in relazione al contesto familiare e ambientale in cui si colloca il sig. -OMISSIS-”. Sfugge all’appellante che l’irrilevanza di tali frequentazioni non è stata dal primo giudice correlata (soltanto) al loro carattere sporadico, ma piuttosto alla possibile esistenza di una causale alternativa delle stesse, opportunamente scrutinata in relazione allo specifico contesto territoriale e professionale di riferimento, tale da escludere la possibilità di inferire un loro rilievo sintomatico. Ancora una volta va ribadito che il legittimo esercizio del potere in questione – la disciplina normativa del quale mira a realizzare una prevenzione antimafia praticata, e non meramente predicata: pena, altrimenti, anche una possibile eterogenesi dei fini dell’istituto – presuppone non la mera allegazione, quale presupposto per la configurazione del pericolo di infiltrazione, di un fatto dotato di astratta rilevanza indiziante, ma al contrario la valutazione critica – pur nel contesto del richiamato criterio probabilistico – del significato concreto attribuibile ad un fatto specifico.
- Il ricorso in appello deve essere pertanto respinto perché infondato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza