Cass. pen., sez. II, ud. 7 dicembre 2021 (dep. 2 marzo 2022), n. 7503
MASSIMA
- Per quanto concerne l’oggetto della confisca ex art. 648 quater c.p., in ipotesi di reato di riciclaggio di somme di denaro, sono emersi due differenti orientamenti giurisprudenziali di segno diverso. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è rappresentato dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare la provenienza delittuosa, poiché, in assenza di quelle operazioni, esse sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del delitto presupposto. In senso difforme è stato evidenziato come la confisca di valore, avendo natura sanzionatoria, partecipa del regime delle sanzioni penali e quindi non può essere applicata per un valore superiore al profitto del reato, travalicando, in caso contrario, il confine della pena illegale.
- In ossequio ai principi della proporzionalità e della corrispondenza fra importo confiscabile e vantaggio patrimoniale ricavato dal reato, la misura sanzionatoria della confisca (in specie quella per equivalente) non può colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato.
- Deve sussistere un nesso di pertinenza – in termini di strumentalità o derivazione – tra i beni da confiscare e il reato per il quale è pronunciata condanna. L’art. 648 quater c.p. contempla due distinte ipotesi di confisca:
- il primo comma introduce l’esigenza del nesso di derivazione diretta tra la somma da assoggettare al vincolo e il reato commesso, nesso che trova puntuale enunciazione nei termini “prodotto” e “profitto”.
- Il secondo comma, invece, contempla l’ipotesi in cui il frutto diretto dell’attività illecita non sia stato rinvenuto, confermando il presupposto indefettibile della confisca di valore, ossia l’impossibilità di aggredire l’oggetto direttamente ricavato dall’illecito. Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca delle somme di danaro, dei beni o delle utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato, venendo in rilievo, in questa seconda previsione, anche il prezzo del reato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso deve essere rigettato.
- I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connesse contengono censure in parte generiche ed aspecifiche ed in parte manifestamente infondate.
2.1. Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Né, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214). Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv. 254107).
2.2. Relativamente al reato in esame va evidenziato che secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte il delitto di riciclaggio è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive. E’ stato, in particolare, osservato che in tema di riciclaggio, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014 – dep. 18/12/2014, Montalbano e altro, Rv. 26162401), precisandosi che integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. (Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012 – dep. 23/01/2013, Anemone e altri, Rv. 25431401). L’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio – secondo l’insegnamento del Supremo Collegio – è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud. (dep.11/01/2011) Rv. 249445), precisandosi, altresì, che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell’origine illecita (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Abruzzese e altri, Rv. 244879). Si è pure chiarito che in tema di riciclaggio si configura il dolo nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, Antonicelli e altri, Rv. 259010). Per risalente e costante giurisprudenza della Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non è necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente e, pertanto, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206; Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374; Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581; Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444; Sez. 4 n. 11303/97, dep. 9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007). Ed, in particolare, è stato affermato che l’accertamento del reato di riciclaggio non richiede l’individuazione dell’esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute. (Nella fattispecie, gli indagati trasportavano nei rispettivi trolley l’ingente somma contante di 500.000,00 euro, della quale non fornivano alcuna plausibile giustificazione). (Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015 – dep. 15/05/2015, Charanek e altro, Rv. 26352101).
2.3. Ciò premesso in ordine ai limiti del sindacato di legittimità e quanto agli elementi costituitivi del reato di riciclaggio secondo i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità va osservato che corte territoriale, valutate adeguatamente le censure di parte ricorrente, ha correttamente ricostruito i profili di responsabilità dell’imputato relativamente al reato di riciclaggio contestato rilevando, come il teste assisto Dorigo – già condannato a seguito di patteggiamento per reati fiscali – era stato chiaro e circostanziato nel riferire che erano stati versati al Marchesan euro 150.000,00 depositati in nero in Svizzera e successivamente transitati in Austria provenienti da operazioni inesistenti per cui aveva patteggiato la pena, precisando come non sussistevano ragioni per dubitare della genuinità del suo narrato, non essendo emersi elementi di astio o risentimento.
I giudici hanno evidenziato come tali dichiarazioni erano state confermate dagli accertamenti del M.Ilo Simone che, esaminata la relativa documentazione bancaria, aveva avuto modo di confermare i passaggi monetari contestati nel capo di imputazione ed accertato proprio il prelievo di euro 150.000,00 in data 10/03/2009, ritenendo correttamente irrilevanti i profili di inutilizzabilità di detta prova, solo genericamente prospettati.
La corte territoriale, nel confutare le tesi della difesa, ha pure rilevato che l’assunto secondo cui sussisteva una fattura che avrebbe giustificato il pagamento lecito della somma in questione era rimasto indimostrato e che non vi era prova alcuna di rapporti commerciali fra I’ imputato e la indicata società Door 2000 s.r.l.
Quanto all’ elemento psicologico i giudici di merito hanno precisato che lo stesso era desumibile dalla tipologia di operazioni accertate nonché dalle dichiarazioni dello stesso Dorigo il quale aveva confermato le finalità dissimulatrici delle stesse.
Nel caso in esame I’ imputato con le proposte censure, in realtà, piuttosto che rilevare vizi decisivi della motivazione, si limita ad offrire una interpretazione degli elementi di prova raccolti diversa da quella fatta propria dalla corte di appello (la quale ha confermato, come detto, la ricostruzione formulata dai giudici di primo grado respingendo, con congrue argomentazioni, le tesi difensive), in contrasto palese con le indicate linee interpretative riguardanti l’ipotesi del reato di riciclaggio, da ciò derivando la manifesta infondatezza delle suddette censure.
- Deve ritenersi, infine, privo di fondamento il quinto motivo con il quale l’imputato ha lamentato il vizio di violazione di legge relativamente alla ritenuta operabilità della confisca per equivalente nei confronti dello stesso. In particolare ha dedotto che i giudici di merito avevano omesso di indicare l’entità del vantaggio economico conseguito dal ricorrente con l’attività illecita asseritamente dallo stesso posta in essere, non tenendo conto della circostanza che egli non aveva percepito alcun profitto dall’ operazione oggetto di imputazione, come confermato dallo stesso Alessandro Dorigo.
3.1. Per quanto concerne l’oggetto della confisca ex art. 648 quater c.p., in ipotesi di reato di riciclaggio di somme di denaro, sono emersi, in effetti, due differenti orientamenti giurisprudenziali di segno diverso. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è rappresentato dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare la provenienza delittuosa, poiché, in assenza di quelle operazioni, esse sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del delitto presupposto. (Sez. F, Sentenza n. 37120 del 01/08/2019 Cc. (dep. 05/09/2019 ) Rv. 277288 – 01). In questo filone si inserisce la successiva pronunzia che ha avuto modo di ribadire che in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è rappresentato dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare la provenienza delittuosa, poiché, in assenza di quelle operazioni, esse sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del delitto presupposto. (Fattispecie di sequestro preventivo di somme trasferite su conti esteri e nazionali che costituivano una parte del provento di truffe informatiche effettuate con la tecnica del “phishing”). (Sez. 2 – , Sentenza n. 34218 del 04/11/2020 Cc. (dep. 02/12/2020) Rv. 280238 – 01)
In senso difforme è stato evidenziato come la confisca di valore, avendo natura sanzionatoria, partecipa del regime delle sanzioni penali e quindi non può essere applicata per un valore superiore al profitto del reato, travalicando, in caso contrario, il confine della pena illegale. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la confisca disposta nei confronti di soggetti condannati per riciclaggio per una somma pari al valore del bene riciclato, evidenziando come la misura ablatoria va invece commisurata al vantaggio coincidente con il prodotto, il profitto o il prezzo che l’autore del reato ha ricavato dalla sua attività criminosa). (Sez. 2 -, Sentenza n. 37590 del 30/04/2019 Cc. (dep. 11/09/2019) Rv. 277083 – 01). Sempre in conformità con l’ indirizzo da ultimo indicato è stato affermato che in tema di riciclaggio, la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” – determinato in sede di accertamento giudiziale – e non sull’intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto, poiché, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i due responsabili dei diversi reati, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al provento del reato contestato. (Sez. 2 – , Sentenza n. 30899 del 15/07/2020 Cc. (dep. 05/11/2020) Rv. 280029 – 01.) In seno a tale ultima pronunzia è stato precisato che: «nel momento in cui si deve procedere al sequestro o alla confisca, il problema che il giudice deve porsi è duplice: a) individuare e quantificare quale sia il profitto, il prodotto o il prezzo del reato del riciclaggio; b) individuare il soggetto destinatario del provvedimento ablativo, e cioè chi e in quale misura si sia avvantaggiato del profitto – prodotto, prezzo del reato di riciclaggio; c) se la confisca sia diretta o per equivalente. Da ciò consegue che – in ossequio ai principi della proporzionalità e della corrispondenza fra importo confiscabile e vantaggio patrimoniale ricavato dal reato – una volta che sia provato che il riciclatore si è avvantaggiato solo del “prezzo del reato”, il sequestro (e la successiva confisca) nei confronti del riciclatore, può essere disposto solo per “il prezzo” del reato, nel mentre nei confronti dell’autore del reato presupposto, può essere disposta la confisca per la restante parte relativa al vantaggio conseguito dall’aver perpetrato il reato presupposto».
E premesso di non condividere il principio affermato dalla citata Sez. F, n. 37120/ 2019 Rv. 277288 con la pronunzia da ultimo indicata è stato obiettato, rispetto a tale indirizzo, che: «il “riciclatore” non ha goduto in alcun modo dell’intera somma, posto che tra l’autore del reato presupposto ed il riciclatore, non è ipotizzabile alcun concorso: di conseguenza, non può essere utilizzato il principio solidaristico per confiscare al riciclatore il profitto conseguito ufficiale dall’autore del reato presupposto, mancando il presupposto giuridico e cioè il concorso fra i due autori dei diversi reati. In realtà, una volta che sia la prova che il riciclatore si è avvantaggiato solo del “prezzo del reato”, nel mentre del profitto/prodotto si è avvantaggiato l’autore del reato presupposto, è contrario ai principi generali che la confisca (per equivalente) avente ad oggetto l’intero profitto/prodotto del reato di riciclaggio debba essere fatta gravare sul solo “riciclatore”: infatti, se il principio della solidarietà è condivisibile per il vantaggio derivato dalla commissione di un reato in concorso (sul cui profitto ogni concorrente può vantare, in astratto, la disponibilità esclusiva), così non è nel caso in cui manchi il concorso nel caso peculiare del riciclatore che si limita a trattenere per sé solo il prezzo del reato, restituendo la differenza all’autore del reato presupposto Non vi è, quindi, alcuna ragione per cui il “riciclatore” debba rispondere di tutta la somma riciclata, laddove, in realtà, ad avvantaggiarsene sia stato un terzo (l’autore del reato presupposto), perché si finirebbe per sanzionare il riciclatore (con una confisca per equivalente o diretta in caso di denaro) per un profitto di cui non ha mai goduto, contravvenendo, quindi, alla regola generale sottostante alle confische (in specie quella per equivalente) e secondo la quale la suddetta sanzione non può colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato».
3.2. Ritiene questo Collegio di aderire al primo indirizzo che appare maggiormente in linea con le finalità ed i princìpi di cui alla Dec. 2001/500/GAI del 26 giugno 2001, Decisione quadro del Consiglio concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato e della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo che costituisce un punto di riferimento per la applicazione della legge nazionale. Va osservato che il legislatore, nei tempi più recenti, ha individuato nella misura della confisca obbligatoria e nella confisca per equivalente la soluzione al problema del nesso di pertinenzialità tra i beni appresi e il reato-fonte, introducendo la misura in diverse norme del codice penale (artt. 322-ter, 600 -septies, 640-quater, 644, 648-quater e in disposizioni della legislazione speciale (artt. 187 T.U.F., 2641 c.c., art. 111. n. 146/2006). Sono state poi introdotte ipotesi di confisca c.d. “speciale”, come quella prevista dall’art. 12 -sexies della I. n. 356/1992 o quella prevista in materia di prevenzione dall’art. 2-ter della I. n. 575/1965. È noto che con il termine confisca si identificano misure ablative di diversa natura, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine viene utilizzato, come già era stato affermato dalla Corte costituzionale : «la confisca può presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica, il suo contenuto è sempre la privazione di beni economici, ma questa può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, sì da assumere, volta per volta, natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero anche di misura giuridica civile ed amministrativa».
Pertanto, ne consegue che non ne esiste una figura astratta e generica, dovendosi avere riguardo, di volta in volta, alla figura che emerge in concreto «la confisca così come risulta da una determinata legge». Nell’ ottica delle finalità di valutare la portata delle confisca oggetto del presente giudizio, si impongono alcune considerazioni sulla nozione stessa di riciclaggio secondo il dettato codicistico.
Va premesso che sotto il profilo dell’elemento oggettivo la condotta incriminata ex art. 648 bis c.p. consiste nel sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo ovvero nel compimento altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa. Nel concetto di sostituzione rientrano tutte le attività dirette alla c.d. “ripulitura” del denaro sporco, al fine di separarlo da ogni possibile collegamento con il reato presupposto che lo ha originato, quindi significa rimpiazzare il denaro o i valori sporchi con quelli puliti. La condotta di trasferimento, invece, è una specificazione della sostituzione che colpisce le condotte di movimentazione (da un soggetto ad altro soggetto o da un luogo ad un altro) ai fini di ripulitura che si avvalgono di strumenti negoziali o giuridici e secondo la giurisprudenza di legittimità rileva penalmente anche il trasferimento materiale da un luogo ad un altro dei proventi illeciti ove ciò renda di fatto più difficoltosa l’identificazione dell’origine illecita. Il riferimento, poi, al compimento di altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa consente colpire efficacemente gli autori di tale delitto visto che le tecniche di ripulitura possono essere le più fantasiose e articolate possibili. In tutti i casi si tratta di reato istantaneo di mera condotta e di pericolo concreto per cui l’azione del soggetto attivo, che può essere chiunque, dovrà risultare concretamente idonea a dissimulare l’origine illecita dei proventi, non essendo necessario che si verifichi l’evento, ossia che si porti a termine la dissimulazione; occorre, quindi, che la condotta dia luogo ad una difficoltà nell’individuazione della provenienza delittuosa dei beni senza ovviamente determinare un’oggettiva impossibilità di accertare l’origine criminosa dei valori. Nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, è costante l’insegnamento secondo il quale integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. (Principio, questo, affermato in una fattispecie relativa alla effettuazione di versamenti di denaro di illecita provenienza in favore di varie società controllate dagli imputati, attraverso il temporaneo utilizzo di “conti di sponda” su cui affluivano in modo da non conservare traccia delle operazioni, mancando gli elementi identificativi sia della provenienza delle somme confluite nelle società, sia della destinazione di quelle dalle stesse defluite) (Cass., Sez. 6, 18 dicembre 2007, n. 16980, Gocini; v. anche Cass., Sez. 2, 12 gennaio 2006, n. 2818, Caione).
Va, pure, precisato che il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’art. 648 bis, primo comma, cod. pen. (sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilità), non essendo invece necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato (Sez. 2, Sentenza n. 1857 del 16/11/2016 Ud. (dep. 16/01/2017) Rv. 269316 – 01).
Al fine di esaminare la questione in esame occorre, quindi, pure muovere dal dettato normativo dell’art. 648-quater c.p. che si colloca nell’alveo delle “moderne” forme di confisca, alle quali il legislatore nazionale, al pari di quello di altri Stati europei, ha fatto ricorso per superare i limiti connessi all’esigenza di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza – in termini di strumentalità o derivazione – tra i beni da confiscare e il reato per il quale è pronunciata condanna. La norma contempla due distinte ipotesi di confisca: il primo comma dell’art. 648- quater introduce l’esigenza del nesso di derivazione diretta tra la somma da assoggettare al vincolo e il reato commesso, nesso che trova puntuale enunciazione nei termini “prodotto” e “profitto”. Il secondo comma, invece, contempla l’ipotesi in cui il frutto diretto dell’attività illecita non sia stato rinvenuto, confermando il presupposto indefettibile della confisca di valore, ossia l’impossibilità di aggredire l’oggetto direttamente ricavato dall’illecito. Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca delle somme di danaro, dei beni o delle utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato, venendo in rilievo, in questa seconda previsione, anche il prezzo del reato.
Giova, quindi, ricordare che in particolare, il prezzo del reato è rappresentato dalle cose date promesse per indurre il soggetto a commettere il reato, quale ricompensa per la sua realizzazione; il prodotto, invece, è il risultato empirico dell’esecuzione criminosa, ovvero la cosa materiale creata, trasformata, adulterata o acquisita mediante l’attività delittuosa, che con essa abbia un legame diretto ed immediato, si tratta del frutto diretto dell’attività criminosa, ossia del risultato ottenuto direttamente dalla attività illecita; il profitto del reato, o prodotto indiretto, e inteso come il lucro ovvero il vantaggio economico derivato direttamente per effetto della commissione del reato.
Ritiene la Corte che nel caso di specie, dal momento che il riciclaggio ha per oggetto somme di denaro, il profitto del reato è costituito dall’intero ammontare delle somme che sono state “ripulite” attraverso le operazioni di riciclaggio compiute dall’imputato: le operazioni connesse assicurano, invero, certamente un profitto del reato rappresentato esattamente dal valore delle somme di danaro oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa, con la conseguenza che il denaro di provenienza illecita, viene sostituito con denaro pulito che può liberamente circolare e che, per un periodo più o meno lungo, è nella disponibilità del riciclatore chiamato a svolgere proprio questo ruolo dall’ autore del reato presupposto e che di norma restituisce in tutto o in parte le somme dopo un periodo di durata incerta.
Deve ritenersi, quindi, che nel caso del riciclaggio il profitto coincide con il denaro derivante dal reato presupposto, quindi con la ricchezza illecitamente conseguita dal reato presupposto e non importa se, poi, il soggetto condannato per riciclaggio abbia goduto di questa somma solo in minima parte: il valore del profitto del primo reato, dunque, si identifica col valore del secondo, cioè del riciclaggio. Rispetto, pertanto, al possesso del denaro, assume valore specializzante il compimento delle attività dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, in quanto di carattere decisivo per la realizzazione dell’illecito profitto che, sulla scorta di tali molteplici condotte di tipo dissimulatorio, potrà in concreto realizzarsi e che si realizza con la consumazione del reato che, come detto, prescinde dalla restituzione del denaro ripulito all’ autore del reato presupposto. Ciò precisato, si palesa, però, evidente che se il riciclaggio, secondo la ricostruzione dei fatti prospettata dall’accusa, aveva ad oggetto, tra l’altro, i proventi delle evasioni fiscali, tali proventi costituiscono il profitto anche del reato di riciclaggio in relazione ai soggetti che sono autori solo di tale ultimo delitto.
Se è vero che non può essere invocato al fine di giustificare la confisca dell’ intera somma il principio solidaristico che, in senso stretto inteso, presuppone il concorso di più soggetti nel medesimo reato occorre, tuttavia, considerare che la clausola di riserva posta ad incipit dell’ art. 648 bis c.p. “fuori dei casi di concorso nel reato” che esclude la punibilità a titolo di riciclaggio di chi abbia commesso o concorso a commettere il reato presupposto da cui provengono il denaro, i beni o le altre utilità implica una vera e propria deroga al concorso di reati e trova la sua ragion d’essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere sufficiente punire l’autore per aver commesso il delitto presupposto. E’ innegabile, dunque, che sussiste un “concorso nell’ illecito complessivo” fra il responsabile del delitto presupposto ed il riciclatore che opera d’ intesa con l’autore della attività illecita a monte che, per scelta del legislatore, non risponde del reato di riciclaggio. La Corte di Giustizia dell’ Unione Europea con la sentenza del 2 settembre 2021, causa C-790/19 ha, peraltro, dichiarato che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che prevede che il reato di riciclaggio di capitali, ai sensi di tale disposizione, possa essere commesso dall’autore dell’attività criminosa che ha generato i capitali di cui trattasi.
Dal momento che il riciclaggio si configura quale reato “istantaneo” che si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’art. 648 bis, primo comma, cod. pen. (sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilità), non essendo invece necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato nell’ ipotesi di ripulitura di denaro sporco, appare coerente con la normativa sovranazionale interpretare il disposto di cui ali’ art. 648 quater c.p. nel senso che il profitto del reato presupposto è sovrapponibile rispetto a quello della condotta di riciclaggio che comunque entra nella disponibilità del riciclatore che ne trae vantaggio a vario titolo: la condotta di riciclaggio, infatti, assicura l’integrale disponibilità giuridica dei valori riciclati, consentendone l’utilizzazione sia attraverso il godimento diretto, sia mediante il reimpiego in altre attività a contenuto economico. Appare difficile sostenere, quindi, che il denaro ripulito nella disponibilità del riciclatore non possa farsi rientrare nella nozione di profitto del reato o quanto meno di prodotto nel reato nell’ accezione che di tali categorie dà la giurisprudenza. Posto che il cuore disvaloriale del delitto di riciclaggio risiede nell’immettere nel circuito economico somme illecitamente acquisite la somma ripulita passata nelle mani del riciclatore ove non ritenuto quale vero e proprio profitto, si configura, quanto meno, quale risultato empirico dell’esecuzione criminosa, ovvero la “cosa materiale” che viene “trasformata” mediante l’attività delittuosa, che con essa abbia un legame diretto ed immediato, si tratta del frutto diretto dell’attività criminosa, ossia del risultato ottenuto direttamente dalla attività illecita. Nel caso di riciclaggio che ha per oggetto somme di denaro, il profitto del reato o comunque il prodotto del reato è, quindi, l’intero ammontare delle somme che sono state “ripulite” attraverso le operazioni di riciclaggio compiute dall’imputato; la circostanza che l’imputato abbia goduto solo in parte del profitto del riciclaggio, che sostanzialmente è stato successivamente incamerato dal dominus dell’operazione, ovvero che non abbia tratto alcun godimento personale e diretto, non cambia la sostanza delle cose, vale a dire che l’intera somma riciclata costituisca il profitto del reato, di cui l’ imputato ha avuto, comunque, di fatto la disponibilità.
Appare, dunque, corretta nella fattispecie in esame la ritenuta sovrapponibilità del profitto del delitto tributario rispetto a quello delle condotte di riciclaggio. Né può ritenersi preclusa una interpretazione nei termini anzicennati in applicazione del c.d. principio di proporzionalità e corrispondenza fra importo confiscabile e vantaggio patrimoniale ritratto dal reato.
Sul punto va rilevato che la Corte Costituzionale con la sentenza n.146/2021 ha chiarito che seppure «non può dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» e che la confisca, per la sua incidenza sulla sfera patrimoniale del singolo, sia vincolata anche al rispetto del principio di proporzionalità di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU (sentenza n. 112 del 2019), è nondimeno doveroso ritenere che questo si atteggi in modo diverso, offrendo corrispondentemente una tutela di diversa intensità, a seconda della struttura delle fattispecie sanzionatorie e delle finalità da esse perseguite. Così, l’impossibilità di prescindere – nella valutazione di adeguatezza della sanzione al caso specifico – dalla «concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018). In ragione del particolare allarme sociale costituito dal riciclaggio di denaro sporco provento di svariati traffici illeciti (attività della criminalità organizzata, traffico di stupefacenti) appare, ad avvio del Collegio, logico nonché giova ribadirlo conforme alla normativa sovranazionale – una interpretazione nei termini anzicennati volta a scoraggiare tali condotte anche con rilevanti conseguenze di tipo patrimoniale a carico dell’autore del riciclaggio.
- Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.