Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 3 Marzo 2025 n. 1766
PRINCIPIO DI DIRITTO
Può desumersi il contagio dell’attività imprenditoriale da parte dell’organizzazione criminale laddove vi sia una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l’assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, desumibili, ad esempio, dalla stabilità, dalla persistenza e dalla intensità dei vincoli o delle relazioni commerciali. Qualora invece l’esame dei contatti familiari si riveli “normale”, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- L’appello è fondato.
- Come noto, in tema di misure interdittive, il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso; non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile, secondo il principio del “più probabile che non”, il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 23 settembre 2024, n. 7729).
- La Corte costituzionale, nella sentenza n. 57 del 2020, richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, ha affermato che «l’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale …, richiedano alla prefettura una attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa» (citazione di Consiglio di Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565, punto 12).
- Questa Sezione, nella richiamata sentenza n. 184 del 2025, ha evidenziato come «i rapporti di parentela sono rilevanti quando, per numero e qualità, risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata, soprattutto in contesti territoriali ed economici notoriamente esposti al pericolo di inquinamento mafioso. […] Nello specifico […] per potersi desumere il “contagio” è necessario quindi che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di relazione siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i vari componenti della famiglia. In concreto, che vi sia una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l’assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, desumibili, ad esempio, dalla stabilità, dalla persistenza e dalla intensità dei vincoli o delle relazioni commerciali. Qualora invece l’esame dei contatti familiari si riveli “normale”, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia».
- Nel caso in esame né il provvedimento prefettizio né la sentenza del TAR hanno fatto corretta applicazione delle richiamate coordinate ermeneutiche.
Con riferimento alla Società appellante, il pericolo di condizionamento è tratto soprattutto dai rapporti di affinità che legano il titolare con esponenti della camorra, mentre secondari appaiono i riferimenti ai precedenti di polizia, che non risultano esser sfociati in condanne penali, né (per quanto risulta dal provvedimento) essere indicativi di rapporti con la criminalità organizzata.
L’informativa impugnata, tuttavia, non dà conto di elementi sintomatici che facciano presumere che i rapporti familiari di -OMISSIS- si traducano in tentativi di condizionamento delle scelte imprenditoriali di quest’ultimo e, quindi, della Società appellante.
1.5. I fatti che dovrebbero corroborare l’esito negativo dell’interdittiva appaiono, infatti, di assai dubbia consistenza.
La circostanza per cui -OMISSIS-, durante un controllo dei Carabinieri del 2022, è stato trovato nell’abitazione del suocero non appare di per sé dirimente, anche perché, da quanto si legge nel provvedimento impugnato, non è neppure chiaro se lo stesso -OMISSIS–OMISSIS- fosse in casa o non fosse, piuttosto, già in carcere.
Gli altri controlli delle forze dell’ordine che hanno visto -OMISSIS- in compagnia di soggetti attinti da gravi precedenti di polizia risalgono uno al 2007 e l’altro al 2002 e neppure ad essi può ascriversi una valenza determinante ai fini dell’adozione dell’informativa.
1.6. Del resto, se è vero che il procedimento dinnanzi al giudice delle misure di prevenzione risulta del tutto autonomo da quello relativo all’impugnazione dell’interdittiva, appare comunque degno di considerazione il fatto che il Tribunale di Napoli abbia accertato l’«assenza di elementi da cui desumere l’esistenza di una influenza criminale e del correlativo rischio di inquinamento mafioso pur affermato […] nella distinta sede amministrativa».
1.7. Emerge dunque una carente motivazione del provvedimento interdittivo ed anche della sentenza impugnata, da cui non è possibile comprendere le ragioni che portino a ritenere gli indicati elementi come sintomatici di un tentativo di infiltrazione mafiosa o, al limite, anche di una situazione di agevolazione occasionale ai fini dell’applicazione dell’art. 94-bis del d.lgs. n. 159 del 2011.
1.8. L’appello deve pertanto essere accolto e, per l’effetto, l’interdittiva antimafia deve essere annullata, con salvezza degli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione dovrà adottare.
1.9. L’annullamento del provvedimento prefettizio impone anche quello degli altri provvedimenti impugnati, che, rispetto al primo, rappresentano atti vincolati.
- La particolarità della controversia giustifica, tuttavia, la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.