CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza 25 febbraio 2025 n. 1610
PRINCIPIO DI DIRITTO
La reale valenza indiziaria delle situazioni sintomatiche di pericolo di condizionamento mafioso è data dal principio del “più probabile che non” ovvero da quello, che ne rappresenta la più matura evoluzione sul piano pretorio, della c.d. “probabilità cruciale”, secondo cui il provvedimento di prevenzione può (recte, deve) essere adottato quando l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa debba ritenersi più probabile rispetto a “tutte le altre ipotesi messe insieme”, quando cioè essa presenta una soglia di significatività tale da essere superiore a qualunque altra spiegazione logica, a condizione che la valutazione degli elementi sintomatici non sia effettuata in modo atomistico e meccanico, ma complessivo e ragionato.
TESTO RILLEVANTE DELLA DECISIONE
- Occorre muovere dagli esiti raggiunti dall’elaborazione giurisprudenziale in tema di presupposti per il legittimo esercizio del potere interdittivo, con particolare riguardo all’ipotesi in cui il pericolo di condizionamento mafioso dell’attività d’impresa sia desunto dai rapporti di frequentazione di coloro che nell’ambito della stessa esercitano un potere direttivo, e comunque suscettibile di influenzarne le strategie operative, con personaggi di cui sia stata accertata, o comunque sia ritenuta plausibile, l’appartenenza ad una associazione criminale di matrice mafiosa ovvero la condivisione degli scopi e delle metodologie di azione che caratterizzano tale tipologia di sodalizi criminosi.
1.1. E’ noto che la giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2024, n. 1142), nello sforzo di tipizzazione delle situazioni sintomatiche del pericolo di condizionamento da essa posto in essere (ed al quale lo stesso Giudice delle leggi, con la sentenza 29 gennaio 2020, n. 57, ha riconosciuto la funzione di concorrere alla ricostruzione di un sistema di “tassatività sostanziale” atto a compensare il vulnus al principio di legalità potenzialmente insito nell’ampiezza della formula legislativa descrittiva dei presupposti del provvedimento interdittivo) ha da tempo assegnato valenza indiziaria ai “rapporti di parentela”, alle “frequentazioni”, alle “cointeressenze”, alle “vicende anomale dell’impresa”, alle “intestazioni fittizie di società”, al “ricorso alle c.d. teste di legno”, allo “scambio di mezzi e di personale”, agli “intrecci societari in ambito familiare” ecc..
1.2. Trattasi, evidentemente, di una indicazione di carattere meramente esemplificativo, sia perché aperta al divenire del fenomeno mafioso ed all’affinamento delle tecniche investigative destinate a sottrarlo al cono d’ombra nel quale abitualmente (ed opportunisticamente) si muove e sviluppa, sia perché la concreta rilevanza indiziaria che le suddette situazioni sono suscettibili di assumere non è definibile una tantum, al pari della fissazione della soglia di pregnanza sintomatica oltrepassata la quale si transita dal mero “sospetto” di contiguità criminale alla ragionevole affermazione della sussistenza del pericolo di condizionamento, ma nel quadro di una analisi completa e approfondita del compendio indiziario venutosi di volta in volta a delineare all’esito delle indagini e delle verifiche prefettizie.
1.3. Se, infatti, le suddette situazioni sintomatiche forniscono i “bruti” dati di fatto, sempre cangianti nel loro concreto atteggiarsi e raggruppabili solo per categorie astratte (ma proprio per questo scarsamente significative sul piano concretamente operativo), dai quali è estrapolabile il pericolo di condizionamento, la chiave di lettura che consente di apprezzarne la reale valenza indiziaria è data dal principio, anch’esso di conio giurisprudenziale, del “più probabile che non” ovvero da quello, che ne rappresenta la più matura evoluzione sul piano pretorio, della c.d. “probabilità cruciale”, secondo cui il provvedimento di prevenzione può (recte, deve) essere adottato quando l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa debba ritenersi più probabile rispetto a “tutte le altre ipotesi messe insieme”, quando cioè essa presenta una soglia di significatività tale da essere superiore a qualunque altra spiegazione logica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483), a condizione che la valutazione degli elementi sintomatici non sia effettuata in modo atomistico e meccanico, ma complessivo e ragionato, in quanto se un solo elemento singolarmente considerato potrebbe non rivelarsi particolarmente significativo, a diversa conclusione può pervenirsi una volta che esso venga posto in dialettica correlazione con tutti gli altri elementi potenzialmente rilevanti.
- Deve inoltre osservarsi, sempre nella prospettiva della definizione dei criteri applicativi che presiedono alla enucleazione del pericolo di condizionamento, che la valutazione dei relativi presupposti – in primo luogo nella sede procedimentale e quindi, a fortiori, in quella processuale – va condotta al di fuori di una prospettiva di tipo rigorosamente causale e deterministico, in cui i tentativi di condizionamento rappresentino la prevedibile (o altamente probabile) conseguenza logica di dati presupposti di fatto, emersi dall’istruttoria prefettizia, per intrecciarsi con valutazioni di ordine soggettivo e latamente fiduciario (o, se si preferisce, discrezionale), tenuto conto che l’effetto diretto e principale dell’informazione interdittiva è rappresentato dalla preclusione per l’impresa interdetta di interfacciarsi con la P.A. (e di ottenere i vantaggi che derivano dalla instaurazione di rapporti con la stessa): ciò che la giurisprudenza di questa Sezione ha inteso esprimere allorquando ha affermato che “l’adozione dell’interdittiva antimafia esclude che un imprenditore, pur essendo dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni, non potendo conseguentemente essere titolare di rapporti contrattuali con le predette Amministrazioni, né destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, né ancora essere destinatario di contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 giugno 2019, n. 4401).
2.1. Ciò non implica, deve aggiungersi, l’attenuazione del controllo che il giudice amministrativo deve esercitare in ordine al legittimo esercizio del potere interdittivo, ma la consapevolezza che il suo sindacato – tradizionalmente teso alla rilevazione nel provvedimento impugnato di possibili vizi di eccesso di potere, sub specie di travisamento di fatto, carenza istruttoria e motivazionale, illogicità, contraddittorietà, difetto di proporzionalità, disparità di trattamento – non è destinato a muoversi in una dimensione di carattere probatorio “puro” (fermo restando che, anche da tale punto di vista, esso è affrancato dal metodo probatorio tipico del processo penale), essendo la stessa inevitabilmente influenzata dall’apprezzamento prefettizio del grado di fiducia che un imprenditore, nei cui confronti siano emersi collegamenti – più o meno datati e variamente modulabili nella loro manifestazione fenomenica – con la criminalità organizzata, è idoneo a generare nelle Amministrazioni con le quali può, in atto o potenzialmente, entrare in contatto. […]
- Come è noto, la funzione preventiva del potere interdittivo non è destinata ad esplicarsi nell’ambito di una indistinta sfera relazionale, ma è specificamente finalizzata ad immunizzare le attività imprenditoriali, con particolare riguardo a quelle presupponenti il coinvolgimento – quale controparte contrattuale o quale semplice presidio autorizzativo di trasparenza, legalità e correttezza – della P.A., dall’ingerenza o dall’influenza mafiosa.
3.1. Occorre quindi, affinché la relazione “pericolosa” possa assurgere ad indicatore sintomatico del rischio di influenza criminale che l’esercizio del potere interdittivo è destinato a prevenire, che la stessa si manifesti con modalità che ne palesino l’attitudine ad esondare dal piano strettamente personale, per divenire un potenziale fattore condizionante dell’attività imprenditoriale che una delle parti di quella relazione svolge in forma professionale.
3.2. Non è determinante in tal senso la consapevolezza della caratura criminale del soggetto con il quale avviene la frequentazione […], potendo la stessa ritenersi indicativa di un mero atteggiamento di superficialità e leggerezza dell’imprenditore-persona fisica nella scelta di coloro con i quali interfacciarsi. […]
- Il Collegio non ignora che non può ritenersi da sola idonea a neutralizzare il pericolo di condizionamento la mancata indicazione di concreti atti di ingerenza mafiosa nella gestione imprenditoriale, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai fini della adozione dell’interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, non occorre provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata” (così, ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. III, 4 aprile 2022, n. 2468).
4.1. Ciò non toglie, tuttavia, che quel pericolo deve scaturire da un sufficiente – nel senso di ragionevole e plausibile – sostrato indiziario, di cui la Prefettura deve dare congrua rappresentazione nella motivazione del provvedimento interdittivo e che deve rispondere a canoni di attendibilità, anche alla luce dei dati di comune esperienza inferibili dall’analisi sociologica e giudiziaria dell’azione delle organizzazioni criminali. […]
- Deve invece essere respinta la domanda risarcitoria.
5.1. In proposito, occorre preliminarmente attingere alle acquisizioni giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno, così come da ultimo sintetizzate da Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 settembre 2024, n. 7529, nel senso che “ai fini della sussistenza di una responsabilità dell’amministrazione per danni da provvedimento illegittimo, la valutazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, dovendo, al contrario, il giudice svolgere una più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione dell’elemento soggettivo. In particolare, deve essere fornita la dimostrazione che la pubblica amministrazione abbia agito quanto meno con colpa, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost. La responsabilità della pubblica amministrazione può, dunque, ritenersi accertata quando, tenuto conto del comportamento complessivo degli organi intervenuti nel procedimento (Consiglio di Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464), la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato (Consiglio di Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1272).
5.2. In definitiva, come, anche di recente, statuito dalla giurisprudenza, “ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’amministrazione, occorre avere riguardo al carattere ed al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle menzionate regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile, ai sensi dell’art. 5 c.p.” (cfr. Consiglio di Stato, n. 4050/2023 già citata e giurisprudenza ivi richiamata)”.
5.3. Ebbene, applicando le illustrate coordinate interpretative alla fattispecie in esame, non può negarsi che la fattispecie legittimante l’esercizio del potere interdittivo sia costruita in modo da attribuire all’Amministrazione un ampio margine di apprezzamento discrezionale, insito nella funzione dell’informativa antimafia di attestare la “sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4”, ex art. 84, comma 3, d.lvo n. 159/2011.
5.4. La norma attributiva del potere interdittivo è quindi formulata in termini estremamente elastici, al fine di garantire il costante adeguamento dell’istituto alla cangiante conformazione del fenomeno mafioso ed alla sua mutevole insidiosità, in quanto l’efficacia dello strumentario preventivo risulterebbe inevitabilmente indebolita se il ricorso allo stesso fosse subordinato alla sussistenza di presupposti tipizzati in maniera tassativa e statica dal legislatore.
5.5. Lo stesso criterio di foggia giurisprudenziale del “più probabile che non”, cui la Prefettura ha dichiarato di attenersi nell’adozione del provvedimento interdittivo, non elide ogni margine di indeterminatezza della fattispecie normativa, ma rimette all’Amministrazione il compito, affatto semplice, di farne concreta applicazione, nel rispetto dei principi di adeguatezza istruttoria, logicità e proporzionalità che costituiscono i canoni ispiratori del potere discrezionale.
5.6. Ne consegue che in tanto potrà riconoscersi la colpa dell’Amministrazione nell’adozione di un provvedimento interdittivo rivelatosi illegittimo, in quanto esso si fondi su una istruttoria vistosamente carente ovvero su una prognosi interdittiva caratterizzata da evidenti travisamenti fattuali o palesi incongruenze di carattere logico-deduttivo.