Corte Costituzionale, sentenza 08 luglio 2021 n. 146
Va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia (Testo A)», sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte d’appello di Bari.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
3.– Prima di vagliare l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura generale, è necessario brevemente ricostruire i tratti essenziali della confisca prevista dalla norma censurata, anche e soprattutto alla luce dell’evoluzione che ha caratterizzato le modalità di applicazione di essa ad opera del giudice, all’interno della quale ha assunto un rilievo decisivo il contributo fornito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
3.1.– Già nella vigenza dell’art. 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), di cui la norma censurata recepisce i contenuti operandone una sostanziale novazione, la confisca per lottizzazione abusiva (o altrimenti detta “urbanistica”) è stata ritenuta una sanzione amministrativa che consegue a una sentenza che accerti la sussistenza dei presupposti del reato in questione, anche prescindendo dall’adozione di una sentenza di condanna (ordinanza n. 187 del 1998).
Tale regime di accessorietà è con tutta evidenza finalizzato ad assicurare che la misura ablatoria possa garantire le finalità perseguite dal legislatore attraverso la previsione del reato di lottizzazione abusiva, consistenti nella salvaguardia della funzione pianificatoria e della sua riserva in capo all’autorità comunale.
Proprio in ragione del fatto che «la lottizzazione abusiva [è] una forma di intervento sul territorio ben più incisiva, per ampiezza e vastità, di quanto non sia la costruzione realizzata in difformità o in assenza di concessione, con compromissione molto più grave, nel primo caso, della programmazione edificatoria del territorio stesso» (sentenza n. 148 del 1994), essa si rivela rivolta a tutelare un bene giuridico di particolare rilievo, perché attinente non solo alla tutela del paesaggio e dell’ordinato sviluppo urbanistico rispetto a forme isolate e puntuali di aggressione, ma anche e soprattutto alla salvaguardia della stessa funzione pianificatoria comunale, intesa come momento terminale e ineludibile della complessiva strategia di programmazione delle forme di intervento sul territorio.
3.2.– In base a tali presupposti, la confisca prevista dalla norma censurata è stata inizialmente interpretata e applicata nel senso che essa, anche con riguardo ai terzi acquirenti delle aree illegittimamente frazionate o dei beni abusivamente costruiti, potesse essere disposta automaticamente dal giudice per il solo fatto obiettivo costituito dal carattere abusivo dell’opera, prescindendo così tanto da un accertamento della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, quanto – ed è il punto che viene qui particolarmente in evidenza – da una verifica della necessaria proporzionalità della misura ablatoria.
Entrambi questi profili sono stati presi in esame dalla Corte di Strasburgo, che, nelle pronunce rese nel caso Sud Fondi srl e altri contro Italia (decisione 30 agosto 2007 e sentenze 20 gennaio 2009 e 10 maggio 2012), ha ritenuto che le modalità applicative della confisca fossero, nelle vicende allora al suo esame, in contrasto sia con l’art. 7 CEDU, perché la natura punitiva della stessa richiede che venga accertato dal giudice un grado di partecipazione almeno colposo per l’autore materiale del reato, sia con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
Rispetto a quest’ultimo, in particolare, la Corte EDU ritenne, allora, la portata generalizzata della confisca sproporzionata rispetto allo scopo da essa perseguito, connesso al ripristino della conformità dell’area alle prescrizioni urbanistiche, aggiungendo che «[s]arebbe stato ampiamente sufficiente prevedere la demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione» (sentenza 20 gennaio 2009, paragrafo 140).
3.3.– A seguito di tali pronunce, la giurisprudenza di legittimità, pur tenendo ferma la qualifica della confisca urbanistica come sanzione amministrativa (e la conseguente legittimità della sua applicazione pur in assenza di un provvedimento formale di condanna ad opera del giudice), ha introdotto plurimi correttivi volti ad adeguare le modalità applicative della stessa ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Quanto al primo aspetto, si è ritenuto che la confisca debba essere subordinata all’accertamento della partecipazione psichica e personale del soggetto all’illecito penale, dovendo così riscontrarsi nella condotta dei soggetti colpiti dalla misura ablativa (inclusi i terzi acquirenti dei beni) un profilo almeno colposo, sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza (ex multis, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 8 ottobre 2009, n. 39078).
Questa Corte, con la sentenza n. 49 del 2015, ha ulteriormente chiarito che «[s]ia che la misura colpisca l’imputato, sia che essa raggiunga il terzo acquirente di mala fede estraneo al reato, si rende perciò necessario che il giudice penale accerti la responsabilità delle persone che la subiscono, attenendosi ad adeguati standard probatori e rifuggendo da clausole di stile che non siano capaci di dare conto dell’effettivo apprezzamento compiuto».
Quanto, poi, alla verifica della proporzionalità della confisca, si è ritenuto – innovando rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale – che il giudice possa limitare l’intervento ablativo alle sole aree e agli eventuali manufatti direttamente interessati dall’illegittima attività lottizzatoria (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 2 ottobre 2008, n. 37472 e 15 aprile 2013, n. 17066).
3.4.– Con la sentenza 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri contro Italia, che il rimettente pone a fondamento delle sue censure, la Corte EDU è tornata a ravvisare un contrasto tra le modalità di applicazione della confisca nelle vicende che avevano dato origine a quei ricorsi e l’art. 1 Prot. addiz. CEDU, con particolare riguardo al rispetto della necessaria proporzionalità tra i mezzi impiegati nel limitare il godimento dei beni e lo scopo, di per sé legittimo, perseguito dal legislatore mediante la previsione dell’illecito lottizzatorio e della connessa sanzione di natura reale.
In tale pronuncia, la Corte EDU ha ritenuto che quel principio non fosse stato rispettato, perché al giudice nazionale – chiamato ad applicare in modo automatico la confisca per lottizzazione abusiva, con l’unica eccezione che questa riguardi i terzi in buona fede – non era stato consentito di valutare gli strumenti più adatti alle circostanze del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo perseguito dal legislatore con i diritti di coloro i quali sono colpiti dalla sanzione.
Al fine di valutare la proporzionalità della confisca, la sentenza in esame per contro indica, quali elementi che «possono essere presi in considerazione», «la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione delle opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che essa può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti, o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione» (paragrafo 301).
3.4.1.– Della necessità di un adeguamento delle modalità applicative della confisca per lottizzazione abusiva ai contenuti della sentenza G.I.E.M. si è per tempo fatta carico la giurisprudenza di legittimità, che ha innanzi tutto ribadito la necessità che il giudice verifichi la pertinenza delle aree e delle eventuali opere confiscate a quelle direttamente interessate dall’attività lottizzatoria, ciò che richiede un accertamento effettuato dal giudice del merito basato su dati materiali oggettivi e supportato da adeguata e specifica motivazione, sindacabile anche in sede di legittimità (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 26 febbraio 2019, n. 8350 e 4 aprile 2019, n. 14743).
Tale orientamento ha trovato ulteriore conferma nel principio per cui in caso di declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione all’esito del giudizio di impugnazione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis del codice di procedura penale, a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca urbanistica anche al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità della sua applicazione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30 aprile 2020, n. 13539).
La recessività dell’orientamento secondo cui la confisca è una sanzione da applicarsi automaticamente, rispetto alla quale il giudice è privo di qualsiasi potere di valutarne l’an e il quomodo, è dimostrata anche dal fatto che essa può essere evitata laddove, prima che la sentenza che accerti la sussistenza dei presupposti della lottizzazione abusiva diventi definitiva, sia intervenuta l’integrale demolizione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, unitamente alla eliminazione dei pregressi frazionamenti e delle loro conseguenze, così che la riconduzione dell’area lottizzata alle condizioni precedenti all’abuso sia effettiva e integrale (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 aprile 2020, n. 12640, e sezione quarta penale, sentenza 25 marzo 2021, n. 11464).
3.4.2.– L’applicazione della confisca urbanistica ad opera del giudice risente peraltro, in un’ottica di tendenziale residualità, delle concorrenti, legittime determinazioni dell’autorità amministrativa titolare del potere di programmazione urbanistica ed edilizia.
Con riguardo alla fase che precede l’adozione della misura giudiziale in discussione, infatti, assumono rilievo i provvedimenti adottati dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale ai sensi dell’art. 30, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 380 del 2001. Ove venga accertata dall’amministrazione una lottizzazione a scopo edificatorio priva della necessaria autorizzazione, tali provvedimenti comportano, tra l’altro, il divieto di disporre dei suoli e delle opere con atti tra vivi e l’acquisizione delle aree lottizzate al patrimonio disponibile del Comune, con l’ulteriore conseguenza della loro necessaria demolizione, la cui effettività è anche assistita, in caso di inerzia del Comune, dall’intervento in funzione sostitutiva della Regione (art. 31, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001).
Al di là di quanto previsto dall’art. 30, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, in vista dell’adozione della misura ablatoria ad opera del giudice, possono inoltre assumere rilievo i provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa prima del passaggio in giudicato della sentenza, i quali, pur non producendo effetti riguardo all’accertamento del reato di lottizzazione, sono ritenuti nondimeno idonei a impedire l’applicazione della confisca ad opera del giudice, come il riconoscimento ex post della conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici vigenti (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 febbraio 2019, n. 8350).
Anche dopo il passaggio in giudicato, infine, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’amministrazione conserva una piena potestà di programmazione e di gestione del territorio, fermo restando che dall’adeguamento successivo dell’area e degli edifici acquisiti per effetto della confisca ovvero dall’adozione di nuovi strumenti urbanistici non può farsi derivare un “retro-trasferimento” della proprietà in favore dei privati già destinatari dell’ordine di confisca, restando piuttosto il Comune legittimato a trasferire a titolo oneroso la proprietà dei terreni e dei manufatti a tutti o a parte dei precedenti proprietari, ove tale valutazione sia assistita da una finalità legittima (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 29 ottobre 2019, n. 43880).
3.5.– Nella considerazione sistematica della confisca urbanistica e della sua proporzionalità non può, infine, non essere evidenziato che ai terzi acquirenti destinatari della misura ablativa comunque applicata dal giudice resta aperta la strada, nei confronti dei responsabili diretti dell’illecito lottizzatorio, dell’azione risarcitoria (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 24 gennaio 2017, n. 3606).
Così come, sempre sul piano della tutela civilistica degli acquirenti, non può non rilevarsi che gli atti di acquisto di beni oggetto di lottizzazione abusiva sono nulli, con tutte le conseguenze che da tale qualificazione discendono in termini di ripetizione dell’indebito oggettivo e dell’eventuale risarcimento del danno.
4.– Poste tali necessarie premesse, si può tornare ad esaminare l’eccezione di inammissibilità avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.1.– Tale eccezione non può essere accolta.
L’Avvocatura imputa al rimettente di non aver preso in considerazione un’alternativa ermeneutica che tuttavia esso evidentemente esclude, poiché la eccepita illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 non è fondata sulla pretesa impossibilità di scongiurare l’applicazione della confisca nel caso in cui vi sia un una riconduzione dello stato dei luoghi e delle opere a quello precedente l’intervenuta lottizzazione, ma sulla diversa preclusione della possibilità di condizionare la confisca all’adeguamento parziale delle opere abusive alle prescrizioni urbanistiche e tecnico-edilizie violate nella realizzazione dell’intento lottizzatorio.
Muovendo dall’individuazione di tale motivo di censura nei confronti della disposizione in esame, la Corte rimettente ha quindi consapevolmente escluso una diversa interpretazione della stessa, idonea in ipotesi a renderla conforme al quadro dei principi costituzionali e convenzionali asseritamente violati. Ciò, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, esclude l’inammissibilità della questione (da ultimo, sentenze n. 59 e n. 32 del 2021, n. 123 e n. 11 del 2020, n. 189 e n. 12 del 2019).
5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 sollevata dalla Corte d’appello di Bari deve essere comunque ritenuta inammissibile per un distinto ordine di ragioni.
5.1.– Come si è detto, il rimettente pone a fondamento delle censure la necessità che l’applicazione della confisca urbanistica possa essere graduata dal giudice mediante la previsione di un onere di adeguamento parziale delle opere realizzate alle legittime prescrizioni urbanistiche, così da porre rimedio alla sproporzione determinata dal sacrificio che i terzi acquirenti subirebbero dall’esecuzione della confisca come sanzione da disporsi in via automatica, pur in presenza di difformità solo parziali rispetto all’originario piano di lottizzazione e di un grado lieve di partecipazione colposa alla realizzazione dell’illecito.
Questa Corte ha già chiarito che la natura amministrativa della sanzione in esame non è di per sé incompatibile con il fatto che essa debba essere irrogata nel rispetto di quanto prevede l’art. 7 CEDU per le sanzioni di natura punitiva, considerato che ciò corrisponde alla necessità di salvaguardare l’effettività delle garanzie convenzionali e i connessi profili sostanziali di tutela, senza con questo sacrificare la discrezionalità del legislatore nel configurare gli illeciti amministrativi come autonomi dal diritto penale, nel rispetto del principio di sussidiarietà (sentenza n. 49 del 2015 e ordinanza n. 187 del 2015, in riferimento alla sentenza n. 487 del 1989).
Tale doppio binario garantisce che «il recepimento della CEDU nell’ordinamento giuridico si muov[a] nel segno dell’incremento delle libertà individuali, e mai del loro detrimento (sentenza n. 317 del 2009)» (sentenza n. 68 del 2017), così da consentire ad essa di operare «quale strumento preposto, pur nel rispetto della discrezionalità legislativa degli Stati, a superare i profili di inquadramento formale di una fattispecie, per valorizzare piuttosto la sostanza dei diritti umani che vi sono coinvolti, e salvaguardarne l’effettività» (sentenza n. 49 del 2015).
Analogamente, seppure «non può dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» e che la confisca, per la sua incidenza sulla sfera patrimoniale del singolo, sia vincolata anche al rispetto del principio di proporzionalità di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU (sentenza n. 112 del 2019), è nondimeno doveroso ritenere che questo si atteggi in modo diverso, offrendo corrispondentemente una tutela di diversa intensità, a seconda della struttura delle fattispecie sanzionatorie e delle finalità da esse perseguite.
Così, l’impossibilità di prescindere – nella valutazione di adeguatezza della sanzione al caso specifico – dalla «concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018), se da un lato conduce a ritenere non più conforme al quadro costituzionale e convenzionale che l’applicazione della confisca urbanistica avvenga in modo automatico e indifferente alle circostanze del caso di specie, dall’altro lato, tuttavia, non implica che ciò debba necessariamente condurre all’attribuzione al giudice di uno strumento – come quello di cui il rimettente auspica l’introduzione – idoneo a trasformare alla radice la sanzione della confisca urbanistica e ad attenuarne la portata e gli effetti rispetto al reato di lottizzazione abusiva cui essa accede, sovvertendone così la funzione individuata dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità.
Del resto, la stessa sentenza G.I.E.M., in linea di continuità con i precedenti prima richiamati, annovera la confisca per lottizzazione abusiva tra le misure ricadenti nel perimetro del secondo paragrafo dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, ai sensi del quale resta in capo agli Stati il diritto «di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende» (paragrafo 291).
5.2.– Come si è già detto al punto 3.1., la lottizzazione abusiva è contrassegnata, nel sistema degli illeciti urbanistici, da un grado di offensività particolarmente elevato, in quanto attenta alla stessa funzione programmatoria urbanistica e perché è idonea a dar luogo a un’alterazione strutturale (e in taluni casi irreversibile) delle caratteristiche morfologiche e funzionali del territorio, atteso che «mette [il Comune] di fronte al fatto compiuto di insediamenti disordinati e privi dei requisiti di vivibilità, ossia potenzialmente privi di servizi e delle infrastrutture necessarie al vivere civile» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 17 luglio 2020, n. 4604).
Proprio queste caratteristiche si pongono a fondamento del complesso sistema sanzionatorio che circonda tale fattispecie e che vede il giudice intervenire in via tendenzialmente suppletiva, mediante l’adozione della misura ablatoria, solo laddove a tale esito non si sia giunti per effetto della previa adozione, da parte del Comune, dei provvedimenti previsti dall’art. 30, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 380 del 2001 e delle altre, eventuali, determinazioni dell’autorità amministrativa richiamate supra, al punto 3.4.2.
Tale specifico concorso di strumenti (amministrativi e giudiziale) volti al ripristino dell’interesse pubblico leso dall’abusivo intervento lottizzatorio denota peraltro l’impossibilità di applicare a quest’ultimo forme di sanatoria riconosciute dalla legislazione urbanistica, come quella contenuta nell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, riferita a differenti interventi abusivi e vincolata al requisito della “doppia conformità”.
Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 148 del 1994, ha chiarito come il diverso regime tra le due fattispecie «si fonda su peculiarità di fatto in ordine alle situazioni apprezzate dal legislatore che, lungi dall’essere determinate dalle norme denunziate, attengono all’entità degli interessi urbanistici compromessi nei due casi».
Per le medesime ragioni, non appare in alcun modo utilmente invocabile quale tertium comparationis – contrariamente a quanto sembra ritenere la Corte d’appello rimettente – la fattispecie prevista dall’art. 98, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale, in materia di vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche, consente al giudice che accerti la violazione delle prescrizioni del Capo IV dello stesso testo unico il potere, in alternativa, di ordinare la demolizione delle opere ovvero di «imparti[re] le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle norme stesse, fissando il relativo termine».
A fronte di tale articolato e differenziato quadro normativo e dello specifico trattamento sanzionatorio previsto per la lottizzazione abusiva, il rimettente chiede che, per il tramite dell’invocata possibilità di disporre un adeguamento parziale in luogo della confisca di cui alla disposizione censurata, si introduca un nuovo strumento del tutto eccentrico rispetto al sistema degli illeciti urbanistici.
Un simile intervento additivo, in disparte il problema della sua effettiva riconducibilità alle indicazioni contenute nella richiamata sentenza G.I.E.M., si rivela comunque estraneo all’ambito di intervento di questa Corte, perché comporterebbe l’immissione nell’ordinamento di una «novità di sistema» (sentenze n. 103 del 2021, n. 250 del 2018 e n. 250 del 2012; ordinanza n. 266 del 2014), che richiede «soluzioni normative che mai potrebbero essere apprestate in questa sede, implicando […] scelte di modi, condizioni e termini che non spetta alla Corte stabilire» (sentenza n. 148 del 1994).
Sarebbe infatti necessario disciplinare il raccordo tra autorità amministrativa e autorità giurisdizionale, quanto meno al fine di valutare il tipo di interventi ripristinatori e la loro conformità alle regole della pianificazione urbanistica, anche in considerazione del fatto che «il giudice penale non ha competenza “istituzionale” per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici» (sentenza n. 370 del 1988; analogamente, sentenza n. 196 del 2004).
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, sollevata dalla Corte d’appello di Bari, deve pertanto essere dichiarata inammissibile.