<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Commesso il reato-inadempimento, accertata dallo Stato Apparato (magistratura) la relativa consistenza concreta ed imputabilità ad un dato soggetto – il colpevole condannato – quest’ultimo viene dichiarato obbligato ad espiare una pena nell’interesse dello Stato Comunità, con prestazione di tipo patrimoniale-pecuniario (multa o ammenda) ovvero di tipo personale (reclusione o arresto); detta obbligazione – cui fa da contraltare la c.d. pretesa punitiva dello Stato Comunità - può estinguersi giusta “</em>adempimento<em>”, attraveso la concreta espiazione della pena inflitta da parte del reo, ovvero per altre cause talvolta connesse al mero decorso del tempo, talaltra a decisioni di tipo clemenziale adottate dai competenti organi dello Stato Apparato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Nel <strong>diritto romano</strong>, come <strong>non esiste</strong> un <strong>sistema giuridico penale</strong> isolato dal <strong>contesto giuridico generale</strong>, allo stesso modo è <strong>impossibile </strong>pensare alla <strong>categoria</strong> delle <strong>cause di estinzione della pena</strong> per come viene intesa nel <strong>diritto contemporaneo</strong>. Qualche notazione può tuttavia essere fatta in materia di <strong>provvedimenti clemenziali</strong>, iniziando col chiarire come <strong>già nel periodo repubblicano</strong> <strong>2 istituti</strong> presentino i connotati tipici propri degli <strong>atti di clemenza</strong>: si tratta in particolare, da un lato, della <strong><em>provocatio ad populum</em></strong>, onde i <strong>condannati</strong> alla <strong>pena capitale</strong> potevano proporre una sorta di <strong>appello contro la sentenza di condanna</strong> inflitta loro dal Magistrato innanzi al <strong>Popolo Romano</strong>, assunto come <strong>unico depositario della sovranità</strong>: peraltro <strong>non tutti</strong> possono usufruire di tale <strong>peculiare strumento d’impugnazione</strong>, potendone beneficiare i <strong>soli cittadini <em>pleno iure</em></strong>, ed essendone peraltro <strong>esclusi</strong>, sul crinale <strong>soggettivo,</strong> le <strong>donne</strong>, gli <strong>schiavi</strong> e gli <strong>stranieri</strong> e, su quello oggettivo, i <strong>colpevoli di parricidio</strong>, di <strong>alto tradimento</strong> e di <strong>impurità </strong>nei confronti<strong> delle sacerdotesse vestali</strong>; dall’altro, della <strong><em>in integrum restitutio</em></strong>, votata dai <strong>comizi</strong> e dotata della forma di <strong>legge</strong>, con la quale vengono <strong>rimesse le pene</strong> e si <strong>estingue il reato</strong>, ripristinandosi, a favore del <strong>condannato</strong> lo <strong><em>status</em></strong> di <strong>cittadino</strong> sulla scorta di un <strong>modello</strong> assimilabile ai moderni<strong> amnistia e indulto</strong>. Importante rammentare anche come in <strong>epoca repubblicana</strong> la <strong>natura penale di un’<em>actio</em></strong> implichi la <strong>intrasmissibilità</strong> della pertinente <strong>legittimazione</strong>, tanto <strong>attiva</strong> quanto <strong>passiva</strong>, agli <strong>eredi</strong>: il che <strong>si traduce</strong>, in concreto (e seppure muovendo, come di consueto in ambito romanistico, dal <strong>crinale processuale</strong>), la <strong>sostanziale estinzione</strong> della <strong>pena</strong>. In epoca <strong>imperiale</strong>, <strong>Augusto</strong> <strong>concentra in sé</strong> il potere di <strong>grazia</strong>, dapprima esercitandolo <strong>congiuntamente al Senato</strong> e, dipoi, in via <strong>monocratica</strong>, con la conseguenza onde la <strong>clemenza</strong> assume i connotati: a) dell’<strong><em>indulgentia principis</em></strong> – coinvolgente la <strong>pena</strong> e resa a favore di <strong>una persona</strong> (<strong><em>specialis</em></strong>) o di <strong>più persone</strong> (<strong><em>generalis</em></strong>), ancora una volta sul modello della <strong>futura grazia</strong> e del <strong>futuro indulto</strong>: l’<strong><em>indulgentia specialis</em></strong> opera infatti <strong>solo dopo la condanna</strong>, ha un <strong>destinatario ben preciso</strong>, viene accordata <strong>dal Principe</strong>, non ha <strong>efficacia retroattiva</strong> e non pregiudica i <strong>diritti dei terzi</strong>; b) dell’<strong><em>abolitio</em></strong> che - ricordando in parte <strong>l’attuale amnistia</strong> - incide <strong>sull’azione penale</strong> con <strong>effetti ben più ampi</strong> recando seco, più a monte, <strong>l’estinzione del reato</strong> e che dapprincipio viene concessa (congiuntamente dall’Imperatore e dal Senato) in coincidenza con <strong>ricorrenze religiose</strong>, <strong>vittorie</strong>, <strong>lieti eventi</strong> come ad esempio la <strong>nascita di un figlio per l’Imperatore</strong>, integrando una <strong><em>abolitio</em></strong> <strong>straordinaria</strong> ma che - con il passare del tempo – viene via via soppiantata da <strong><em>abolitiones</em></strong> <strong>ordinarie o periodiche</strong>, in coincidenza (massime durante l’epoca degli imperatori cristiani) con le <strong>festività pasquali</strong> (nota quella che coinvolse il Cristo e Barabba a Gesusalemme nel <strong>I secolo d.C.</strong>, in quel caso per commemorare la <strong>Pasqua ebraica</strong>). Per quanto riguarda la <strong>legittimazione degli eredi</strong> del danneggiato contro <strong>gli eredi</strong> del reo, nel Principato essa <strong>viene ammessa</strong> con riferimento alle ipotesi di <strong>furto</strong>, di <strong>rapina</strong> e di <strong><em>damnum iniuria datum</em></strong>, e tuttavia <strong>nei limiti dell’arricchimento del reo danneggiante</strong>, così confermandosi come <strong>si estingua la pertinente fattispecie sanzionatoria penale</strong>, rimanendo invece <strong>operative</strong> le <strong>conseguenze “<em>civili</em>” del fatto</strong>; la <strong>legittimazione</strong> resta peraltro <strong>intrasmissibile</strong> agli <strong>eredi</strong> nelle fattispecie di <strong><em>iniuria</em></strong>, laddove in primo piano è la (sola) <strong>persona dell’offeso</strong> nella relativa <strong>integrità fisica e morale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale <strong>Zanardelli</strong> prevede tra le <strong>cause di estinzione della pena</strong> la <strong>morte del reo</strong> all’<strong>art.85</strong>, il cui <strong>comma 2, in caso appunto di morte del condannato, prevede l’estinzione anche della pena pecuniaria non soddisfatta</strong> e di <strong>tutti gli effetti penali della condanna</strong> medesima (che <strong>non si trasferiscono</strong>, dunque, agli <strong>eredi</strong>), pur ribadendo tuttavia come detta morte <strong>non impedisca</strong> l’esecuzione delle <strong>confische</strong>. Tra le <strong>cause di “<em>condono</em>”</strong> (oltre che di <strong>commutazione</strong>) della pena il codice annovera anche <strong>l’indulto e la grazia</strong> all’<strong>art.87</strong>, precisando tuttavia (<strong>art.89</strong>) come il condannato <strong>non abbia in ogni caso diritto</strong> alla <strong>restituzione delle cose confiscate</strong> (né delle <strong>somme</strong> pagate a titolo di <strong>pena pecuniaria</strong>). Al successivo <strong>art.95</strong> viene poi prevista l’estinzione “<strong><em>della condanna</em></strong>” per <strong>decorso del tempo</strong>, e dunque <strong>per prescrizione</strong>, con <strong>torno temporale a scalare</strong> a seconda della <strong>gravità della pena inflitta</strong>. Rilevanti anche le norme in tema di <strong>riabilitazione</strong> di cui all’<strong>art.100</strong> del codice.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nel codice penale Rocco vengono previste <strong>una serie di ipotesi</strong> di <strong>estinzione della pena</strong>, prima fra tutte la <strong>morte del reo dopo la condanna</strong>, di cui all’<strong>art.171</strong>; la morte del reo <strong>estingue anche</strong> l’obbligazione avente ad oggetto il <strong>pagamento delle spese di mantenimento</strong> negli <strong>stabilimenti di pena</strong>: in entrambi i casi viene dunque <strong>esclusa</strong> la <strong>trasmissione</strong> del pertinente obbligo <strong>agli eredi</strong>. In tema di <strong>amnistia</strong>, rilevante l’<strong>art.151</strong> che la dichiara <strong>causa di estinzione del reato</strong> ma che, nella <strong>versione “<em>impropria</em>”</strong>, coinvolge <strong>anche</strong> le ipotesi in cui sia <strong>già intervenuta condanna irrevocabile</strong>, in questo caso estinguendo <strong>la pena</strong>. Per quanto concerne la <strong>prescrizione della pena</strong>, e dunque della <strong>pretesa punitiva “<em>concreta</em>”</strong> dello Stato a seguito di <strong>sentenza irrevocabile di condanna</strong> (anteriormente la prescrizione investe la <strong>pretesa punitiva “<em>astratta</em>”</strong> dello Stato, e dunque <strong>il reato</strong>), la disciplina viene dettata agli <strong>articoli 172</strong> (per quanto concerne le <strong>pene</strong> previste per i <strong>delitti</strong>, <strong>reclusione e multa</strong>) e <strong>173</strong> (per quanto concerne le <strong>pene</strong> previste per le <strong>contravvenzioni</strong>, <strong>multa e ammenda</strong>), con termini di prescrizione <strong>più lunghi</strong> per <strong>reclusione e multa</strong>, essendo <strong>i delitti più gravi</strong> delle <strong>contravvenzioni</strong>. All’<strong>art.174</strong> vengono poi disciplinati <strong>l’indulto</strong> e <strong>la grazia</strong>, quali istituti idonei a <strong>condonare</strong> in tutto o in parte la pena, ovvero a <strong>commutarla</strong>, con disciplina che per quanto riguarda le <strong>ricadute</strong> sulle <strong>misure di sicurezza</strong> va coordinata con quanto disposto dagli articoli <strong>205</strong> e <strong>210</strong>. All’<strong>art.175</strong> viene prevista – <strong>impropriamente</strong>, implicando <strong>non già</strong> una <strong>estinzione</strong>, quanto piuttosto una <strong>sospensione a tempo indeterminato</strong> di un <strong>effetto penale della condanna</strong>, orientata ad una <strong>miglior risocializzazione</strong> del condannato – la <strong>non menzione della condanna</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong> spedito a richiesta di <strong>privati</strong> <strong>non</strong> per <strong>fine elettorale</strong>. Gli articoli <strong>176 e 177</strong> prevedono poi la <strong>liberazione condizionale</strong> come peculiare ipotesi di “<strong><em>condizione</em></strong>” applicata alla <strong>liberazione del condannato</strong> (<strong>mancata commissione</strong> in un <strong>dato termine</strong> di un <strong>reato della stessa indole</strong> di quello oggetto della condanna), dalla quale dipende la stessa <strong>estinzione della pena</strong>. La riabilitazione è invece disciplinata dagli <strong>articoli 178 e seguenti</strong>, e concerne <strong>l’estinzione</strong> delle <strong>pene accessorie</strong> e degli <strong>altri effetti penali della condanna</strong>. Di rilievo infine l’<strong>art.183, comma 2</strong>, alla cui stregua laddove <strong>concorrano </strong>cause di<strong> estinzione del reato </strong>e cause di<strong> estinzione della pena</strong>, sono <strong>le prime</strong> a <strong>prevalere</strong>, anche se <strong>intervenute successivamente</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la Costituzione che prevede la <strong>natura personale della responsabilità penale</strong>, cui è connessa la <strong>funzione tendenzialmente rieducativa della pena</strong> (art.27): il condannato deve percepire la pena come tendenzialmente rieducativa per la commissione di un fatto penalmente rilevante <strong>che gli viene rimproverato</strong>, circostanza <strong>particolarmente importante</strong> in tema di <strong>estinzione della pena</strong>, specie nella fattispecie di <strong>morte del reo</strong> <strong>dopo la condanna</strong>, stante il corollario della <strong>intrasmissibilità</strong> della <strong>pena</strong> - “<strong><em>personale</em></strong>” essa stessa - ed in genere degli <strong>effetti penali della condanna,</strong> agli <strong>eredi</strong>. Importante anche l’<strong>art.79</strong> della Carta, onde <strong>l’amnistia e l'indulto</strong> sono concessi con <strong>legge</strong> deliberata a <strong>maggioranza dei due terzi</strong> dei <strong>componenti di ciascuna Camera</strong>, in <strong>ogni suo articolo</strong> e nella <strong>votazione finale</strong>; la norma prevede al comma 2 che la <strong>legge</strong> che concede <strong>l'amnistia o l'indulto</strong> stabilisce il <strong>termine</strong> per la relativa <strong>applicazione</strong> e al comma 3 che <strong>in ogni caso</strong> l'amnistia e l'indulto <strong>non possono applicarsi</strong> ai <strong>reati</strong> commessi <strong>successivamente</strong> alla <strong>presentazione </strong>del pertinente<strong> disegno di legge</strong>. Importante l’<strong>art.87, comma 11</strong>, che affida al <strong>Presidente della Repubblica</strong> il potere di <strong>concedere la grazia</strong> e di <strong>commutare le pene</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1973</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 dicembre esce la sentenza della Cassazione che si occupa dell’ipotesi in cui <strong>la legge</strong> stabilisca dei <strong>limiti soggettivi</strong> per l’applicazione dell’<strong>indulto</strong> connessi, segnatamente, a coloro che in relazione ad una <strong>medesima condanna</strong> subita abbiano <strong>già goduto</strong> di <strong>precedenti indulti</strong>; più in specie, quando il condannato <strong>non ha fruito del beneficio</strong>, pur <strong>originariamente concessogli</strong>, per <strong>sopravvenuta revoca</strong>, ciò può costituire un<strong> requisito soggettivo negativo</strong> che dunque <strong>impedisce</strong> l’applicazione del <strong>nuovo indulto</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1975</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 luglio viene varata la <strong>legge n.354</strong> sull’<strong>ordinamento penitenziario</strong>, il cui <strong>articolo 54</strong> disciplina la c.d. <strong>liberazione anticipata</strong>; alla stregua del <strong>comma 4</strong> di tale norma, la <strong>parte di pena detratta</strong> per <strong>liberazione anticipata</strong> si considera <strong>come scontata</strong> ai fini della <strong>soglia</strong> per la <strong>liberazione condizionale</strong> di cui all’art.<strong>176 c.p</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio esce la sentenza della Cassazione che afferma la <strong>liberazione condizionale</strong> ex <strong>art.176</strong> c.p. costituire una <strong>fattispecie</strong> di <strong>causa estintiva della pena </strong>che si caratterizza per la circostanza onde – anche laddove si sia in presenza di <strong>tutti i presupposti di concedibilità</strong> di cui all’art.176 ridetto - essa <strong>non</strong> potrebbe essere <strong>automaticamente concessa</strong> al condannato, entrando piuttosto in gioco la <strong>discrezionalità del giudice penale</strong> che, valutando tutti i <strong>parametri</strong> di cui all’<strong>art.133</strong> c.p., deve scandagliare in particolare i <strong>precedenti giudiziari</strong> del condannato medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1984</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 giugno esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> n.<strong>155</strong> che dichiara <strong>l'illegittimità costituzionale</strong> <strong>dell'art. 175, comma 1</strong>, c.p (nel testo introdotto con l'art. 104 della legge 24 novembre 1981, n. 689), nella parte in cui <strong>esclude</strong> che possano concedersi <strong>ulteriori non menzioni di condanne</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong> spedito a richiesta di privati, nel caso di <strong>condanne</strong> per <strong>reati anteriormente commessi</strong> a pene che, <strong>cumulate</strong> con quelle <strong>già irrogate</strong>, <strong>non superino</strong> i <strong>limiti di applicabilità</strong> del beneficio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1986</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre viene varata la <strong>legge n.663</strong>, c.d. <strong>legge Gozzini</strong>, il cui <strong>art.28</strong> modifica <strong>l’art.176</strong> c.p. in tema di <strong>liberazione condizionale</strong>, onde anche il <strong>condannato all’ergastolo</strong> che abbia scontato <strong>26 anni di pena detentiva</strong> può essere <strong>ammesso</strong> al beneficio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 gennaio esce la sentenza della Cassazione che assume <strong>rilevante</strong> la <strong>recidiva</strong> ai fini dell’<strong>innalzamento della soglia di concedibilità</strong> della <strong>liberazione condizionale</strong> anche qualora essa <strong>sia stata bilanciata</strong> con una <strong>circostanza attenuante</strong>, rilevando lo <strong><em>status</em></strong> del <strong>soggetto condannato</strong> che, in quanto appunto “<strong><em>recidivo</em></strong>”, soggiace ad una <strong>soglia più elevata</strong> rispetto al <strong>condannato non recidivo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale n.304</strong> che dichiara <strong>l'illegittimità costituzionale</strong> dell'<strong>art. 175, comma 1</strong>, c.p. nella parte in cui prevede che la <strong>non menzione</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong> di <strong>condanna a sola pena pecuniaria</strong> possa essere ordinata dal giudice quando <strong>non sia superiore a un milione</strong>, anziché ad una <strong>somma pari a quella</strong> risultante dal <strong>ragguaglio della pena detentiva di anni due</strong>, a norma dell'<strong>art. 135</strong> cod. pen.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 settembre viene varato il <strong>D.p.R. n.477</strong>, <strong>codice di procedura penale</strong>, che all’<strong>art.672</strong> disciplina l’applicazione dell’<strong>amnistia</strong> e dell’<strong>indulto</strong> in sede di <strong>esecuzione della pena</strong>. Importante in particolare il <strong>comma 4</strong>, alla cui stregua l’amnistia e l'indulto <strong>devono essere applicati</strong>, qualora il condannato <strong>ne faccia richiesta</strong>, anche se <strong>è terminata l'esecuzione della pena</strong>: si tratta di una disposizione che conferma come <strong>l’indulto</strong> (oltre all’amnistia) può trovare applicazione <strong>anche</strong> quando la <strong>pena principale</strong> sia <strong>già stata espiata</strong>, al fine di <strong>estinguere</strong> <strong>altri effetti della condanna</strong> come, ad esempio, una <strong>misura di sicurezza</strong>. Importante anche l’<strong>art.681</strong> che disciplina la <strong>grazia</strong>, massime dal punto di vista (<strong>soggettivo</strong>) di <strong>chi</strong> può spiccare la <strong>pertinente richiesta</strong> al <strong>Capo dello Stato</strong>, a cominciare dallo stesso <strong>condannato</strong>, oltre che sul crinale del <strong>procedimento</strong> di relativa <strong>erogazione</strong>, con particolare riferimento all’<strong>istruttoria</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> n.282 che, in tema di <strong>liberazione condizionale</strong>, assume – andando in <strong>contrario avviso</strong> rispetto alla giurisprudenza della Cassazione – come al cospetto di <strong>tutti i presupposti di concedibilità</strong> di cui all’<strong>art.176</strong> c.p., essa vada assunta quale <strong>oggetto</strong> di un <strong>vero e proprio diritto del condannato</strong>, senza che possa subentrare in alcun modo la <strong>discrezionalità</strong> del giudice penale, la quale ultima rileva solo in termini di valutazione di <strong>uno dei presupposti</strong> medesimi, ovvero dell’<strong>intervenuto ravvedimento</strong> del condannato stesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio viene varata la <strong>legge n.19</strong> recante modifiche in tema di <strong>circostanze</strong>, <strong>sospensione condizionale della pena</strong> e <strong>destituzione dei pubblici dipendenti</strong>, che <strong>elimina</strong> la condizione della <strong>non presenza di pene accessorie</strong> ai fini della <strong>concedibilità</strong> del beneficio della <strong>non menzione della condanna</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale, </strong>che dunque<strong> può ora </strong>essere <strong>concessa anche </strong>in presenza di<strong> pene accessorie</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio esce la sentenza della Cassazione secondo la quale, laddove il soggetto ammesso al beneficio della <strong>liberazione condizionale</strong> violi <strong>una o più delle prescrizioni</strong> afferenti alla <strong>libertà vigilata</strong> (che ne connota <strong>lo <em>status</em></strong>), la <strong>revoca</strong> del <strong>pertinente beneficio</strong> da parte del Tribunale di Sorveglianza <strong>non può essere automatica</strong>, dovendo piuttosto basarsi sulla <strong>accertata incompatibilità</strong> di tali violazioni con il <strong>ravvedimento</strong> tipico della liberazione condizionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo esce la sentenza della Cassazione onde – poiché <strong>per essere ammessi</strong> al beneficio della <strong>liberazione condizionale</strong> occorre che il condannato <strong>stia scontando all’attualità</strong> una <strong>pena detentiva</strong> – <strong>non</strong> può esservi ammesso chi abbia <strong>superato</strong> la <strong>soglia legale di custodia cautelare</strong>, sia <strong>libero</strong> e sia <strong>in attesa di scontare</strong> la <strong>residua pena</strong> inflittagli con <strong>condanna irrevocabile</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, <strong><em>Cursio</em></strong>, che afferma <strong>irrilevante</strong>, al fine di <strong>interrompere</strong> la <strong>prescrizione della pena</strong>, il <strong>verbale di vane ricerche</strong> del condannato, onde la prescrizione <strong>continua a decorrere</strong> senza che inizi un <strong>nuovo</strong>, pertinente <strong>periodo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio esce la sentenza della Cassazione secondo la quale, poiché l’<strong>ergastolo</strong> è una pena a carattere <strong>non temporaneo</strong> (<strong>perpetuo</strong>), ad esso <strong>non si applica l’indulto</strong> che, intervenendo con un <strong>condono della pena</strong>, presuppone una pena <strong>di tipo temporaneo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della Cassazione che, in tema di <strong>revoca</strong> della <strong>non menzione della condanna</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong>, assume <strong>operativa</strong> tale revoca <strong>anche in presenza</strong> di <strong>sentenza di patteggiamento</strong> ex <strong>art.444</strong> c.p.p., poiché per detta revoca è <strong>sufficiente</strong> che sia stata <strong>accertata</strong> la commissione di un <strong>nuovo delitto</strong>, quand’anche <strong>con sentenza (ancora) non irrevocabile</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 luglio esce la sentenza della Cassazione che assume l’<strong>ergastolo</strong> <strong>non incompatibile</strong> in <strong>senso assoluto</strong> con l’<strong>indulto</strong>, ma solo in senso <strong>relativo</strong>: laddove sia previsto un <strong>condono parziale</strong> della <strong>pena</strong>, l’indulto viene assunto <strong>incompatibile</strong> con l’ergastolo, ma il legislatore <strong>può sempre disporre</strong> con l’indulto un <strong>condono totale della pena</strong> che l’ergastolo compendia, ovvero una <strong>commutazione</strong> dell’ergastolo in una <strong>pena di specie diversa</strong>. L’indulto non può tuttavia comportare una <strong>riduzione</strong> della <strong>pena dell’ergastolo</strong>, neppure al limitato scopo di <strong>consentire</strong> al condannato di <strong>beneficiare</strong> di taluni <strong>istituti premiali del diritto penitenziario</strong>, dal momento che l’indulto ha <strong>finalità diverse</strong> da quelle <strong>rieducative</strong> cui sono connessi i ridetti <strong>istituti premiali</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 febbraio esce la sentenza della Cassazione che <strong>esclude</strong> la possibilità di <strong>denegare</strong> la <strong>riabilitazione</strong> sulla scorta di <strong>meri precedenti penali o giudiziari</strong> del condannato istante. La pronuncia si inserisce nel solco del <strong>dibattito</strong> afferente alla <strong>c.d. buona condotta</strong> richiesta, con <strong>prove effettive e costanti</strong>, in capo all’<strong>istante</strong>: un presupposto che se per taluni deve compendiarsi in un <strong>comportamento positivo</strong> capace di palesare il <strong>ravvedimento</strong> del condannato, per altri può tradursi <strong>anche semplicemente</strong> in una <strong>prognosi di futura non pericolosità</strong> del soggetto istante medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce la sentenza della Cassazione che afferma essere <strong>sempre vietata</strong> la concessione della <strong>non menzione della condanna</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong> a chi abbia subito <strong>una o più precedenti condanne</strong> per le quali il <strong>pertinente beneficio</strong> (che ha carattere <strong>discrezionale</strong>) <strong>non sia stato concesso</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione onde in tema di <strong>revoca</strong> della <strong>non menzione della condanna</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong>, va assunta <strong>non</strong> <strong>operativa</strong> tale revoca <strong>in presenza</strong> di <strong>sentenza di patteggiamento</strong> ex <strong>art.444</strong> c.p.p., poiché per detta revoca è sì <strong>sufficiente</strong> che sia stato <strong>accertata</strong> la commissione di un <strong>nuovo delitto</strong>, quand’anche <strong>con sentenza (ancora) non irrevocabile</strong>, e tuttavia la <strong>sentenza</strong> resa <strong>ai sensi dell’art.444</strong> c.p.p. <strong>non contiene</strong> un <strong>accertamento</strong> di <strong>responsabilità penale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 giugno esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> della Cassazione n.1 che ribadisce come in tema di <strong>revoca</strong> della <strong>non menzione della condanna</strong> nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong>, vada assunta <strong>non</strong> <strong>operativa</strong> tale revoca <strong>in presenza</strong> di <strong>sentenza di patteggiamento</strong> ex <strong>art.444</strong> c.p.p., poiché per detta revoca è sì <strong>sufficiente</strong> che sia stato <strong>accertata</strong> la commissione di un <strong>nuovo delitto</strong>, quand’anche <strong>con sentenza (ancora) non irrevocabile</strong>, e tuttavia la <strong>sentenza</strong> resa <strong>ai sensi dell’art.444</strong> c.p.p. <strong>non contiene</strong> un <strong>accertamento</strong> di <strong>responsabilità penale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> n.<strong>418</strong> che assume <strong>costituzionalmente illegittimo l’art.177</strong> c.p. in tema di <strong>revoca</strong> della <strong>liberazione condizionale</strong> laddove si consideri detta revoca <strong>un effetto automatico</strong> della <strong>condanna</strong>, con <strong>sentenza definitiva</strong>, per un delitto o una contravvenzione <strong>della stessa indole</strong>, dovendo piuttosto il <strong>Tribunale di Sorveglianza</strong> <strong>comparare</strong> la <strong>gravità</strong> di tale (nuovo) reato con il <strong>periodo trascorso</strong> dal soggetto nello “<em>status</em>” di <strong>liberato condizionale</strong>, con particolare riguardo all’<strong>intervenuto rispetto</strong> delle <strong>prescrizioni</strong> della <strong>libertà vigilata</strong>, tenendo conto della <strong>afflittività</strong> di queste ultime e ritraendo le debite <strong>conclusioni</strong> in tema di <strong>predicabilità o meno</strong>, siccome <strong>tuttora persistente</strong>, di quel <strong>ravvedimento</strong> che <strong>condiziona</strong> la fruizione del beneficio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> n.<strong>200</strong> che si occupa del c.d. <strong>caso Bompressi</strong>; la Corte viene chiamata a dirimere un <strong>conflitto di attribuzione</strong> promosso dal <strong>Presidente della Repubblica</strong> dinanzi all’<strong>atto</strong> con il quale il <strong>Ministro della Giustizia</strong> dichiara di <strong>non voler dar corso alla grazia</strong> che il Capo dello Stato <strong>ha nel caso di specie disposto.</strong> Per la Corte – che muove da una <strong>prospettiva ricostruttiva</strong> di tipo <strong>storico</strong> – si contendono il campo sostanzialmente (ed al netto delle possibili <strong>opzioni intermedie</strong>) le <strong>due tesi</strong> dell’<strong>atto “<em>presidenziale</em>”</strong> del <strong>solo Capo dello Stato</strong>, da un lato, e dell’<strong>atto “<em>complesso</em>”</strong> (con <strong>partecipazione paritaria</strong>) “<strong><em>presidenziale-ministeriale</em></strong>” e dunque del <strong>Presidente della Repubblica</strong> e del <strong>Ministro della Giustizia</strong>; la Corte abbraccia una interpretazione di tipo <strong>funzionale</strong>, dacché il potere di grazia risponde ad una <strong>causa di tipo fondamentalmente umanitario</strong>, onde rilevano <strong>tutta una serie di circostanze</strong> variabili di volta in volta (e dunque <strong>non astrattamente tipizzabili</strong>) ed avvinte alla <strong>persona del condannato</strong> o che comunque coinvolgono <strong>apprezzamenti di tipo equitativo</strong>; questo fa prevalere la tesi della <strong>grazia</strong> come <strong>atto clemenziale individuale</strong> del <strong>Presidente della Repubblica</strong>, tenuto anche conto di come detto atto <strong>impinga</strong> sull’<strong>esecuzione di una pena</strong> che ha inflitto in modo <strong>valido e definitivo</strong> un <strong>organo imparziale</strong> come il <strong>giudice</strong>, con le <strong>garanzie formali e sostanziali</strong> previste dal <strong>processo penale</strong>. A rilevare è dunque <strong>l’art.27, comma 3</strong>, Cost., non già e non tanto sul crinale della <strong>rieducazione</strong> (che pure non va trascurata), quanto piuttosto sul versante del <strong>senso di umanità,</strong> espressione di quel <strong>principio di solidarietà</strong> cristallizzato all’<strong>art.2 della Carta</strong>, onde il <strong>potere di grazia</strong> – tenuto anche conto del disposto dell’<strong>art.87, comma 11</strong>, della Costituzione – non può che essere riconosciuto <strong>al Presidente della Repubblica</strong>, che incarna un <strong>organo <em>super partes</em></strong> espressione dell’<strong>unità nazionale</strong> (come tale <strong>estraneo</strong> al <strong>circuito democratico Parlamento-Governo)</strong> e che è chiamato, in quanto tale, a <strong>valutare in concreto</strong> la sussistenza o meno proprio di quel <strong>presupposto umanitario</strong> che giustifica, nel <strong>caso concreto</strong>, l’adozione del <strong>pertinente provvedimento di clemenza</strong>; ciò anche perché occorre <strong>evitare</strong> che l’<strong>espropriazione del risultato</strong> imparzialmente ottenuto dal <strong>potere giurisdizionale</strong> giusta celebrazione di un <strong>rituale processo penale</strong> sia reso appannaggio di <strong>organi del potere esecutivo</strong>. Dal punto di vista <strong>procedimentale</strong>, ai sensi dell’<strong>art.681</strong> c.p.p. la <strong>domanda di grazia</strong> viene <strong>diretta</strong> al Presidente della Repubblica e <strong>presentata</strong> al <strong>Ministro della Giustizia</strong>, ma la grazia <strong>può essere concessa</strong> – all’evidenza, dal <strong>Capo dello Stato</strong> – anche <strong>in difetto</strong> di domanda o proposta, onde essa è <strong>prerogativa del Presidente della Repubblica</strong> che può estrinsecarsi anche nel <strong>solo provvedimento clemenziale</strong> ad <strong>iniziativa</strong> di quest’ultimo, <strong>senza</strong> che vi sia stata una <strong>apposita domanda</strong>. Il Ministro della Giustizia ha un <strong>ruolo importante</strong> nella <strong>fase istruttoria</strong> del <strong>procedimento</strong>, in quanto <strong>all’esito</strong> dell’istruttoria medesima (svolta anche sulla base di quanto riferitogli dagli <strong>organi giurisdizionali competenti</strong>: <strong>magistrato di sorveglianza</strong> e <strong>Procuratore generale</strong> presso la competente Corte d’Appello) egli <strong>propone</strong> al Capo dello Stato la concessione della grazia, ovvero provvede ad <strong>archiviare</strong>, ma delle archiviazioni <strong>deve comunque periodicamente informare</strong> il Presidente della Repubblica. Tanto che il Ministro della Giustizia ritenga <strong>sussistenti</strong> i <strong>presupposti di legittimità e di merito</strong> per l’erogazione della grazia, quanto che al contrario li assuma <strong>non presenti</strong>, l’<strong>ultima parola</strong> spetta sempre e comunque – valutate le <strong>ragioni umanitarie</strong> sottese all’istituto della grazia – al <strong>Capo dello Stato</strong>, mentre la <strong>controfirma ministeriale</strong> ha qui solo <strong>valore formale</strong>, a differenza degli <strong>atti governativi</strong>, nei quali invece la <strong>controfirma</strong> ha <strong>valore sostanziale</strong> assumendosi il Ministro (ed il Governo) la <strong>responsabilità politica</strong> dei relativi atti (<strong>art.89</strong> Cost.). Per la Corte, più nel dettaglio, quando il Presidente della Repubblica esercita <strong>un potere proprio</strong> (ed è il caso, oltre che della concessione della <strong>grazia</strong>, anche della <strong>nomina di senatori a vita</strong>, ovvero dell’<strong>invio di messaggi alle Camere</strong>), la controfirma ministeriale ha <strong>mero valore formale</strong>, e <strong>non già sostanziale</strong> come normalmente accade per gli <strong>atti del Governo</strong>. Proprio perché la concessione della grazia è <strong>prerogativa del Presidente della Repubblica</strong>, tanto in caso di <strong>iniziativa diretta</strong> di quest’ultimo quanto nell’ipotesi in cui il Ministro abbia comunicato <strong>l’avvenuta archiviazione</strong>, il procedimento di concessione della grazia <strong>deve essere iniziato o proseguito in ogni caso</strong> dal Ministro medesimo, dando corso all’istruttoria pertinente, <strong>non potendo il Ministro</strong> (che pure può palesare le <strong>ragioni di legittimità o di merito</strong> che lo vedono <strong>contrario</strong> all’atto di clemenza) <strong>determinare</strong> in ogni caso un <strong>arresto procedimentale</strong>, circostanza che <strong>sterilizzerebbe</strong> il <strong>potere di concessione</strong> <strong>costituzionalmente affidato</strong> al Presidente della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio esce la sentenza della sezione VI della Cassazione n.508, <strong><em>Gianotti</em></strong>, che si occupa dei <strong>rapporti</strong> tra <strong>indulto</strong> e <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, assumendo i due istituti <strong>compatibili tra loro</strong>. Più in specie l’indulto – che è <strong>causa di estinzione della pena</strong> – estingue per l’appunto <strong>la pena</strong> sin da quando <strong>viene disposto</strong>, mentre la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> estingue <strong>il reato</strong> solo quando <strong>è decorso il termine di 5 anni o di 2 anni</strong> previsto dal <strong>codice penale</strong>. In sostanza, anche a chi <strong>è condannato a pena condizionalmente sospesa</strong> può essere <strong>applicato l’indulto</strong>, stante anche il <strong>principio del <em>favor rei</em></strong> che impone di applicare l’indulto <strong>quando ne derivano effetti vantaggiosi</strong> <strong>non conseguibili</strong> attraverso la sospensione condizionale della pena; peraltro secondo questo orientamento pretorio abbracciato dalla Cassazione non è <strong>neppure configurabile</strong>, sul crinale <strong>temporale</strong>, un <strong>concorso in senso tecnico</strong> tra i due istituti, proprio perché l’indulto <strong>opera immediatamente</strong> mentre la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> opera solo – come causa di estinzione del reato - <strong>decorso il termine prescritto</strong> dalla legge penale.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15232 che assume <strong>incompatibile</strong> l’<strong>indulto</strong> con la <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, dovendo essere <strong>sempre preferita quest’ultima</strong> perché, con <strong>l’estinguere il reato</strong> (e non già <strong>solo la pena</strong>) è idonea a produrre <strong>effetti più favorevoli per il condannato</strong>. Peraltro, l’indulto deve assumersi applicabile alle <strong>sole pene suscettibili di esecuzione effettiva</strong>, dovendosi tenere conto – sotto altro profilo – dell’<strong>art.183, comma 2</strong>, c.p. che, in caso di <strong>concorso</strong> tra <strong>cause di estinzione del reato</strong> e <strong>della pena</strong>, assume <strong>prevalere</strong> le cause di estinzione <strong>del reato</strong>. Secondo questo orientamento peraltro <strong>lo stesso condannato ha interesse</strong> a <strong>non vedersi applicato l’indulto</strong> sulla <strong>pena condizionalmente sospesa</strong>, dovendosi tenere conto che – al cospetto di <strong>altri titoli esecutivi</strong> (e dunque di <strong>altre condanne </strong>e di conseguenti<strong> altre pene</strong>) – l’indulto (ove <strong>operativo contestualmente</strong> alla sospensione condizionale) potrebbe essere applicato solo per la <strong>parte cumulata di pene</strong> che <strong>non ecceda la soglia</strong> stabilita dal <strong>provvedimento clemenziale</strong> medesimo, <strong>dopo</strong> tuttavia aver <strong>detratto</strong> la pena condizionalmente sospesa.</p> <p style="text-align: justify;">* Il 16 giugno esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.24920, che si occupa dei <strong>rapporti</strong> tra <strong>indulto</strong> e <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, assumendo i due istituti <strong>compatibili tra loro</strong>. Più in specie l’indulto – che è <strong>causa di estinzione della pena</strong> – estingue per l’appunto <strong>la pena</strong> sin da quando <strong>viene disposto</strong>, mentre la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> estingue <strong>il reato</strong> solo quando <strong>è decorso il termine di 5 anni o di 2 anni</strong> previsto dal <strong>codice penale</strong>. In sostanza, anche a chi <strong>è condannato a pena condizionalmente sospesa</strong> può essere <strong>applicato l’indulto</strong>, stante anche il <strong>principio del <em>favor rei</em></strong> che impone di applicare l’indulto <strong>quando ne derivano effetti vantaggiosi</strong> <strong>non conseguibili</strong> attraverso la sospensione condizionale della pena; peraltro secondo questo orientamento pretorio abbracciato dalla Cassazione non è <strong>neppure configurabile</strong>, sul crinale <strong>temporale</strong>, un <strong>concorso in senso tecnico</strong> tra i due istituti, proprio perché l’indulto <strong>opera immediatamente</strong> mentre la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> opera solo – come causa di estinzione del reato - <strong>decorso il termine prescritto</strong> dalla legge penale.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 settembre esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.38082, che si occupa dei <strong>rapporti</strong> tra <strong>indulto</strong> e <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, assumendo i due istituti <strong>compatibili tra loro</strong>. Più in specie l’indulto – che è <strong>causa di estinzione della pena</strong> – estingue per l’appunto <strong>la pena</strong> sin da quando <strong>viene disposto</strong>, mentre la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> estingue <strong>il reato</strong> solo quando <strong>è decorso il termine di 5 anni o di 2 anni</strong> previsto dal <strong>codice penale</strong>. In sostanza, anche a chi <strong>è condannato a pena condizionalmente sospesa</strong> può essere <strong>applicato l’indulto</strong>, stante anche il <strong>principio del <em>favor rei</em></strong> che impone di applicare l’indulto <strong>quando ne derivano effetti vantaggiosi</strong> <strong>non conseguibili</strong> attraverso la sospensione condizionale della pena; peraltro secondo questo orientamento pretorio abbracciato dalla Cassazione non è <strong>neppure configurabile</strong>, sul crinale <strong>temporale</strong>, un <strong>concorso in senso tecnico</strong> tra i due istituti, proprio perché l’indulto <strong>opera immediatamente</strong> mentre la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> opera solo – come causa di estinzione del reato - <strong>decorso il termine prescritto</strong> dalla legge penale.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 ottobre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.41753, che assume <strong>incompatibile</strong> l’<strong>indulto</strong> con la <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, dovendo essere <strong>sempre preferita quest’ultima</strong> perché, con <strong>l’estinguere il reato</strong> (e non già <strong>solo la pena</strong>) è idonea a produrre <strong>effetti più favorevoli per il condannato</strong>. Peraltro, l’indulto deve assumersi applicabile alle <strong>sole pene suscettibili di esecuzione effettiva</strong>, dovendosi tenere conto – sotto altro profilo – dell’<strong>art.183, comma 2</strong>, c.p. che, in caso di <strong>concorso</strong> tra <strong>cause di estinzione del reato</strong> e <strong>della pena</strong>, assume <strong>prevalere</strong> le cause di estinzione <strong>del reato</strong>. Secondo questo orientamento peraltro <strong>lo stesso condannato ha interesse</strong> a <strong>non vedersi applicato l’indulto</strong> sulla <strong>pena condizionalmente sospesa</strong>, dovendosi tenere conto che – al cospetto di <strong>altri titoli esecutivi</strong> (e dunque di <strong>altre condanne </strong>e di conseguenti<strong> altre pene</strong>) – l’indulto (ove <strong>operativo contestualmente</strong> alla sospensione condizionale) potrebbe essere applicato solo per la <strong>parte cumulata di pene</strong> che <strong>non ecceda la soglia</strong> stabilita dal <strong>provvedimento clemenziale</strong> medesimo, <strong>dopo</strong> tuttavia aver <strong>detratto</strong> la pena condizionalmente sospesa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> della Cassazione n.36837, che assume <strong>incompatibile l’indulto</strong> con la <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, dovendo sempre prevalere <strong>la seconda</strong> come <strong>causa di estinzione del reato</strong>. Per le SSUU va innanzi tutto <strong>esclusa</strong> la <strong>rilevanza</strong> nel caso di specie <strong>dell’art.183, comma 2</strong>, c.p., stante la <strong>non contestuale attualità</strong> delle <strong>due cause estintive</strong>, operando <strong>l’indulto immediatamente</strong> ed essendo invece la <strong>operatività della sospensione condizionale</strong> della pena “<strong><em>condizionata</em></strong>”, appunto, al decorso di un certo <strong>periodo di tempo</strong> (di <strong>messa alla prova</strong> del condannato), onde la <strong>estinzione del reato</strong> resta – nel momento in cui viene disposta la sospensione condizionale – un <strong>evento meramente futuro ed incerto</strong>. Per la Corte quando <strong>viene applicata</strong> la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> ai sensi degli articoli <strong>163 e seguenti</strong> del codice penale si innesca una <strong>fattispecie a formazione progressiva</strong> con <strong>effetti diversi</strong> e <strong>non contestuali</strong> dal punto di vista <strong>diacronico</strong>: un <strong>primo effetto</strong> è <strong>immediato</strong>, ma meramente <strong>accessorio</strong>, e si compendia nella <strong>sospensione</strong> dell’<strong>esecuzione della pena</strong> , o meglio nel <strong>differimento</strong> della relativa, <strong>concreta esecuzione</strong>; un <strong>secondo effetto</strong> è invece <strong>futuro e meramente eventuale</strong>, e tuttavia <strong>principale</strong>, e si compendia appunto nella <strong>estinzione del reato</strong> oggetto di <strong>condanna</strong>. Quando viene applicato il beneficio della <strong>sospensione condizionale della pena</strong> gli <strong>effetti</strong> ridetti, <strong>strettamente collegati</strong> tra loro, vengono <strong>da subito previsti</strong> nella relativa operatività, rispettivamente, <strong>immediata e futura</strong>: un effetto riguarda <strong>la pena</strong> ed è <strong>immediato</strong> (essendone sospesa l’esecuzione); l’altro riguarda <strong>il reato</strong>, la cui estinzione <strong>non è</strong> tuttavia <strong>immediata</strong>, quanto piuttosto <strong>futura ed incerta</strong>, chiudendo la fattispecie a formazione progressiva di che trattasi solo laddove la “<strong><em>messa alla prova</em></strong>” abbia sortito <strong>effetti positivi</strong>. L’<strong>indulto</strong> si applica peraltro, precisa la Corte, <strong>esclusivamente</strong> a <strong>pene suscettibili di esecuzione</strong> (e non già a pene la cui esecuzione sia stata <strong>condizionalmente sospesa</strong>) e può riguardare anche <strong>più pene cumulate tra loro</strong> (dopo aver escluso le <strong>pene già espiate</strong>, quelle <strong>già estinte</strong> per altra causa e <strong>quelle comunque non eseguibili</strong>): in sostanza, l’indulto <strong>non è in grado</strong> di produrre <strong>effetti</strong> su una <strong>pena</strong> che, per essere stata condizionalmente sospesa, <strong>non è all’attualità operativa</strong>. Peraltro la sospensione condizionale della pena – che è <strong>sempre suscettibile di revoca</strong>, facendo aprire le porte del <strong>carcere</strong> - mira a <strong>tenere il condannato al di fuori</strong> dell’<strong>ambiente carcerario</strong>, presuppone una <strong>prognosi di astensione</strong> dalla <strong>futura commissione di altri reati</strong> e sospinge il condannato verso la <strong>non recidivanza</strong>, oltre che indurlo ad <strong>adempiere ad obblighi</strong> di <strong>particolare valore morale e sociale</strong>, palesando essa stessa, proprio per questo, <strong>finalità spiccatamente giuridico-sociali</strong> che verrebbero <strong>frustrate</strong> laddove dovesse assumersi <strong>prevalente l’indulto</strong>, dal momento che esso produrrebbe una <strong>immediata non revocabilità</strong> della sospensione condizionale della pena (quand’anche al cospetto del <strong>mancato adempimento</strong> da parte del condannato <strong>degli obblighi</strong> previsti dal provvedimento che la dispone), venendo così meno <strong>una remora</strong> per il condannato medesimo a tenere <strong>quel contegno</strong> che gli viene <strong>richiesto</strong> in vista del relativo <strong>reinserimento sociale</strong>. Precisa la Corte che lo stesso condannato <strong>non ha peraltro interesse</strong> all’applicazione dell’indulto, tenuto conto del fatto che esso <strong>andrebbe ad estinguere una pena</strong> che <strong>non è all’attualità in fase di esecuzione</strong>, sottraendo ad un tempo il <strong>pertinente <em>quantum</em> di pena estinguibile</strong> in caso di <strong>cumulo di condanne e di pene, </strong>così entrando <strong>in frizione</strong> con quel <strong>principio del <em>favor rei</em></strong> che proprio la tesi orientata ad ammettere <strong>la compatibilità</strong> tra i <strong>due istituti</strong> adduce a <strong>freccia</strong> nel proprio <strong>arco ermeneutico.</strong> Qualora la fattispecie a formazione progressiva <strong>non giunga a conclusione</strong> con estinzione del reato, il condannato medesimo <strong>potrebbe poi sempre richiedere</strong> l’applicazione dell’<strong>indulto</strong> – quale <strong>causa estintiva</strong> di una <strong>pena ormai in fase di concreta esecuzione</strong> - avvalendosi dell’<strong>incidente di esecuzione</strong> ai sensi dell’<strong>art.672</strong> c.p.p., atteso come la <strong>mancata applicazione immediata</strong> della pertinente misura indulgenziale (indulto) <strong>non è stata indotta</strong> da valutazioni <strong>di merito</strong> in sede di <strong>cognizione</strong>, ma per l’appunto <strong>solo</strong> dalla <strong>contestuale operatività della sospensione condizionale</strong> della pena.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 39943 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui se in sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato, accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato, quando, invece, il <em>tempus commissi delicti</em> non è indicato in modo preciso e con ben definiti riferimenti fattuali nel capo di imputazione, il giudice dell'esecuzione può prendere conoscenza del contenuto della sentenza e, occorrendo, degli atti del procedimento, per ricavarne tutti gli elementi da cui sia possibile desumere l'effettiva data del reato, ove essa sia rilevante ai fini della decisione che gli è demandata. Tali principi sono in linea con i ripetuti interventi della Corte che ha riconosciuto al giudice dell'esecuzione il potere-dovere di interpretare il giudicato e renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per le finalità esecutive</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 43231 onde secondo il combinato disposto dei commi 1, 2 e 4 dell'art. 657 cod. proc. pen., nello stabilire la pena detentiva irrogata con una sentenza di condanna da eseguire, il pubblico ministero deve considerare non solamente il periodo di custodia cautelare subito per il reato, per il quale vi è stata quella irrogazione di pena, ma anche il periodo di applicazione della custodia cautelare o di esecuzione di pena patita per un altro reato, laddove la limitazione della libertà sia rimasta <em>sine titulo</em> (ad esempio perché la condanna non è poi intervenuta o perché è stata revocata, oppure il reato è stato dichiarato estinto per amnistia o è stato concesso indulto), a condizione che tali custodia o pena siano state subite in epoca successiva alla data commissione del reato, per il quale deve essere determinata la pena detentiva da eseguire. La <em>ratio</em> di tale disposizione è illustrata nella Relazione governativa di accompagnamento al d.P.R. n. 447 del 1988 di approvazione del codice di procedura penale, nella parte in cui è sottolineato che, sotto l'aspetto cronologico, l'operatività dell'istituto della fungibilità era stata limitata con un 'meccanismo' analogo a quello già regolato dall'analogo art. 271, ult. comma, del codice abrogato con il quale si era voluto ribadire che «la detenzione sofferta a vuoto deve seguire e non precedere la commissione del reato, perché in caso contrario si verificherebbe l'assurda situazione di un periodo di carcerazione preventiva che costituisce una sorta di futura immunità da carcerazione per l'interessato. In altre parole, secondo la Corte, il recupero della detenzione ingiustamente sofferta deve funzionare come correttivo alle disfunzioni della macchina giudiziaria e compensazione dell'ingiusta detenzione, ma non certo come incentivo alla commissione successiva di azioni criminose». I precedenti della Cassazione hanno sostenuto che, qualora per un periodo di custodia cautelare ingiustamente sofferta sia stata ottenuta la riparazione pecuniaria prevista dall'art. 314 cod. proc. pen., lo stesso periodo non può essere computato a titolo di fungibilità sulla pena da espiare per altro reato: si desume, infatti, dal disposto di cui all'art. 314, comma 4, cod. proc. pen. (secondo cui il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della pena da eseguire) l'alternatività tra il suddetto istituto e quello della fungibilità, previsto dall'art. 657 cod. proc. pen., per cui è rimessa all'interessato la facoltà di scegliere quello del quale avvalersi; e ciò anche al fine di evitare l'ingiustificata disparità di trattamento che, altrimenti, si verificherebbe fra chi, avendo ottenuto la fungibilità, non potrebbe ottenere la riparazione e chi, invece, avendo ottenuto la riparazione, avrebbe diritto anche alla fungibilità. Tale orientamento è stato parzialmente posto in discussione dalle Sezioni unite, per le quali, ai fini della determinazione della pena da eseguire, vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina dettata dall'anzidetta disposizione normativa e dovendosi escludere l'esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell'interessato (pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all'atto della richiesta di riparazione), tra il ristoro pecuniario di cui all'art. 314 cod. proc. pen. e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l'interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l'esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l'azione di ingiustificato arricchimento di cui all'art. 2041 cod. civ.. La Corte tuttavia precisa che la declaratoria di fungibilità di cui all'art. 657 cod. proc. pen. non è automatica né necessariamente contestuale all'ordine di esecuzione e desumibile dal relativo fascicolo, ma va disposta con distinto decreto e discende da una autonoma valutazione, che investe la custodia cautelare subita non solo per gli stessi fatti, ma anche per reati diversi, nonché pene espiate per altri fatti, quando sia sopravvenuta revoca della condanna, amnistia o indulto, e può, a richiesta dell'interessato, operare su sanzioni pecuniarie o sostitutive, anziché su quelle detentive. L'istituto della fungibilità, quindi, deve ritenersi applicabile qualora si sia realizzata una legittima causa di revoca dell'indulto, che determini una pena da eseguire, e non può integrare una causa autonoma di revoca del già concesso beneficio dell'indulto, operativa ex officio, come ritenuto nel caso in esame.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 44611 che, nel ribadire il principio secondo cui in materia di indulto, il giudice dell'esecuzione può revocare il beneficio sulla base della considerazione di una causa ostativa preesistente al riconoscimento del condono, a condizione che la stessa non sia stata nota al giudice concedente e non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest'ultimo, afferma che, ai fini della revoca dell'indulto, la preesistenza di una causa ostativa rispetto alla deliberazione del beneficio, rilevante ai sensi dell'art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente all'adozione del provvedimento revocatorio, essendo indispensabile verificare che la preclusione constasse al giudice concedente, risultando dal fascicolo e avesse costituito oggetto di valutazione anche implicita. Solo in presenza di tale ulteriore condizione, infatti, il divieto del <em>ne bis in idem </em>impedisce la rivalutazione dell'applicazione del condono illegittimamente riconosciuto, che potrà essere effettuata soltanto laddove emergesse che l'esistenza di una preclusione alla concessione dell'indulto non risultava al momento della sua concessione. In questa cornice, la Corte ribadisce che, in materia di indulto, il divieto del <em>ne bis in idem</em> non opera in senso assoluto e inderogabile, ma comporta una valutazione allo stato degli atti, <em>rebus sic stantibus</em>, tenendo conto degli elementi processuali di cui disponeva il giudice concedente al momento della deliberazione. Ne consegue che l'effetto richiamato non può ritenersi operante laddove vengano prospettate o comunque emergano nuove circostanze di fatto ovvero nuove questioni di diritto, atteso che l'incidente di esecuzione non si fonda sulle medesime condizioni poste a fondamento di quello su cui si era formato il giudicato sulla misura clemenziale erroneamente concessa.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 46132 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui, in tema di indulto e salva diversa disposizione di legge, il reato continuato va scisso - sia per l'ipotesi in cui, in ragione del titolo alcuni fra gli episodi criminosi unificati risultino esclusi ed altri compresi nel relativo provvedimento, che per quella in cui alcuni siano stati commessi prima ed altri dopo il termine di scadenza ivi stabilito - allo scopo di consentire che il beneficio venga riconosciuto per i singoli fatti che vi rientrano; di conseguenza, nel caso di commissione, da parte di chi abbia beneficiato dell'indulto concesso con la legge n. 421 del 2006, di delitti non colposi dal giudice della cognizione unificati dal vincolo della continuazione entro cinque anni dall'entrata in vigore della stessa legge n. 421, il giudice dell'esecuzione, in funzione dell'accertamento dei presupposti per la revoca di diritto di tale beneficio prevista dall'art. 1, comma 3, della medesima legge, dovrà accertare sulla base delle determinazioni del giudice della cognizione quale sia la pena rilevante allo scopo individuandola fra quelle in concreto inflitte per ciascun reato (per il reato più grave e per i c.d. "reati satellite") dal giudice della cognizione e non alla pena risultante dal cumulo giuridico di ciascuna di tali sanzioni.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 novembre esce la sentenza delle Sezioni Unite n. 51815 che esprime interessanti considerazioni con riguardo all’<em>ovverruling in bonam partem</em> in tema di indulto. In particolare, il massimo Consesso, partendo dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani che ha censurato l'<em>overruling</em> interpretativo <em>in malam partem</em> per violazione dell'art. 7 CEDU, rileva che non constano precedenti nazionali sulle ricadute della giurisprudenza di Strasburgo nel nostro sistema <em>in subiecta materia</em>, mentre nel caso dell'<em>overruling in bonam partem</em>, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 18288 del 21/01/2010, hanno affermato che il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni Unite, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell'indulto in precedenza rigettata: la Corte – in detta pronuncia - ha precisato, in particolare, che tale soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il cui art. 7 include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale. La Corte costituzionale, però, con la sentenza n. 230 del 2012, in un caso in cui il giudice aveva dubitato della legittimità costituzionale dell'art. 673 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedeva la possibilità della revoca del giudicato a seguito di mutamento della giurisprudenza, ha ritenuto non manifestamente irrazionale che il legislatore, per un verso, valorizzasse, anche in ossequio ad esigenze di ordine costituzionale, la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, e delle Sezioni Unite in particolare - postulando, con ciò, che la giurisprudenza successiva si uniformasse «tendenzialmente» alle decisioni di queste ultime - e, dall'altro, omettesse di prevedere la revoca delle condanne definitive pronunciate in relazione a fatti che, alla stregua di una sopravvenuta diversa decisione dell'organo della nomofilachia, non erano previsti dalla legge come reato, col risultato di consentire trattamenti radicalmente differenziati di autori di fatti analoghi. Secondo la Corte costituzionale, in altri termini, nel nostro ordinamento, nonostante l'orientamento della Corte di Strasburgo, il cosiddetto diritto vivente non può avere la stessa funzione della legge, sicché non è idoneo a mettere in discussione il giudicato, soggiungendosi, peraltro, che la citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18288 del 2010 e la sentenza Sez. 2, n. 19716 del 06/05/2010, non avevano mancato di porre adeguatamente in risalto il netto iato che separava gli istituti esaminati, riconducibili più correttamente all'ambito delle preclusioni, rispetto al giudicato vero e proprio. Fatta questa premessa, la Corte rileva che, in riferimento ad un caso di diffusione di materiale pedopornografico, il problema dell'<em>overruling in malam partem</em> non viene comunque in rilievo, essendo ormai generalizzato - come visto - il pericolo di diffusione del materiale realizzato utilizzando minorenni; con la conseguenza che l'esclusione di tale pericolo quale presupposto per la sussistenza del reato non determina in concreto un ampliamento dell'ambito di applicazione della fattispecie penale, essendo completamente mutato il quadro sociale e tecnologico di riferimento ed essendo parallelamente mutato anche il quadro normativo sovranazionale e nazionale. Risulta significativo – prosegue la Corte – che già la sentenza delle Sezioni Unite del 2000 individuasse una serie di elementi sintomatici liberamente apprezzabili dal giudice, anche disgiuntamente, ai fini della verifica della sussistenza del pericolo di diffusione tra i quali «la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari». E una tale disponibilità, che all'epoca di quella pronuncia era tutt'altro che scontata e doveva essere oggetto di specifico accertamento, è oggi assolutamente generalizzata, essendo la riproducibilità e trasmissibilità di immagini e video immediata conseguenza della loro produzione. A ciò deve aggiungersi che, pur con il superamento del presupposto del pericolo di diffusione ritenuto necessario dalla giurisprudenza tradizionale, la disposizione dell'art. 600 ter cod. pen. risulta comunque circoscritta nel suo ambito di applicazione dall'interpretazione restrittiva del concetto di "utilizzazione", tale da escludere la cd. "pornografia domestica".</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 52105 ove viene ribadito che la preclusione di cui all'art. 172, ultimo comma, cod. pen opera solo se la condanna sopravvenuta riguarda, reati commessi dopo l'inizio del termine prescrizionale, e, dunque, dopo la irrevocabilità della sentenza di condanna. Il Collegio ricorda che tale soluzione ermeneutica appare in linea con la volontà del legislatore, illustrata nella relazione del guardasigilli al codice penale, laddove si fa espresso riferimento, come condizione preclusiva dell'estinzione della pena, "<em>... all'azione criminosa del colpevole che intervenga durante il tempo utile per l'estinzione...</em>". L'istituto codicistico della estinzione delle pene per decorso del tempo si pone in termini di continuità rispetto all'istituto della "prescrizione della condanna" conosciuto dal codice Zanardelli (all'art. 96), che prevedeva come causa di interruzione del decorso del termine la commissione di un nuovo reato. Si tratta, infine, di interpretazione <em>in favorem rei</em>, e dunque congrua rispetto alla ratio dell'istituto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 5917 che ribadisce il principio secondo cui l'esecuzione di un ordine di carcerazione originariamente legittimo ma relativo ad una pena risultante estintasi, in ragione del lungo arco temporale intercorso tra l'emissione del titolo e la sua esecuzione, determina l'ingiustizia della detenzione sofferta e, dunque, la configurabilità del diritto all'equa riparazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 27359 onde, in caso di applicazione dell’indulto ad un soggetto nei cui confronti è stato emesso un mandato d’arresto europeo che comporti una riduzione della pena da espiare al di sotto del limite previsto per assicurare la consegna del reo, va verificato - in quanto compatibile con le finalità dell'art. 4, punto 6 della decisione quadro 2002/584/GAI (facilitare il reinserimento sociale della persona condannata) - se sia possibile trovare l'accordo dello Stato di emissione attraverso il meccanismo, previsto della decisione quadro 2008/909/GAI e dal decreto legislativo che vi ha dato attuazione, di preventiva interlocuzione.</p> <p style="text-align: justify;">Il Giudice, una volta stabilita la concessione al consegnando del beneficio dell'indulto, è tenuta ad informare le autorità dello Stato di emissione, in funzione della consultazione di cui all'art. 10, comma 3, d.lgs. n. 161 del 2010 ("<em>Se la corte di appello ritiene di poter procedere al riconoscimento parziale, ne informa immediatamente, anche tramite il Ministero della giustizia, l'autorità competente dello Stato di emissione e concorda con questa le condizioni del riconoscimento e dell'esecuzione parziale, purché tali condizioni non comportino un aumento della durata della pena</em>").</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 27813 onde, seppure il giudice dell'esecuzione possa, nel silenzio del giudice della cognizione, sostituirsi ad esso ai fini del riconoscimento dell'indulto, nondimeno non è consentito al giudice della cognizione accordare il beneficio, delegando al giudice di esecuzione la quantificazione del segmento di pena in concreto dichiarato estinto, poiché nessuna norma prevede siffatta delega, che si risolverebbe in un non consentita abdicazione dall'esercizio della giurisdizione nell'ambito del procedimento di cognizione, illegittima se non dovuta a fattori oggettivi ed insuperabili, che impediscano una definitiva e completa statuizione sul punto, nella specie non evidenziati dalla sentenza impugnata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 51497 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui in tema di estinzione della pena pecuniaria per decorso del tempo, rileva, quale fatto impeditivo, il solo momento dell'inizio dell'esecuzione, a partire dal quale le concrete modalità e le scansioni temporali della procedura stessa risultano irrilevanti. In altri termini, l'inizio dell'esecuzione, che realizza la pretesa alla riscossione del credito dello Stato, è sufficiente ad evitare l'estinzione della pena e nessuna rilevanza - in mancanza di una previsione legislativa in tal senso - assume la circostanza che tale inizio sia avvenuto coattivamente, oppure con la collaborazione del condannato</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa si compendiano le cause di estinzione della pena?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>attraverso il <strong>processo</strong> (penale), il <strong>servizio Giustizia</strong>, uno dei <strong>più importanti</strong> dello <strong>Stato apparato</strong>, viene chiamato ad <strong>accertare</strong> se <strong>si è verificato</strong> un <strong>inadempimento “<em>reato</em>”</strong>, come tale penalmente sanzionato, e chi lo ha commesso;</li> <li>a fronte dell’<strong>inadempimento reato</strong>, prende infatti forma una <strong>pretesa punitiva</strong> dello Stato;</li> <li><strong>accertato</strong> con <strong>condanna definitiva</strong> l’inadempimento-reato e chi lo ha commesso, viene a quegli <strong>irrogata</strong> dallo Stato apparato <strong>una sanzione punitiva</strong>, quale oggetto di una <strong>obbligazione patrimoniale</strong> (pena pecuniaria, ammenda) ovvero <strong>personale</strong> (reclusione, arresto);</li> <li>alla <strong>pretesa punitiva</strong> dello Stato corrisponde dunque una <strong>obbligazione personale o patrimoniale imposta al reo</strong>, quale oggetto di una <strong>obbligazione penalmente qualificata</strong>;</li> <li>si tratta di una <strong>obbligazione</strong> che ha dunque ad oggetto <strong>la “<em>pena</em>”</strong>, e che <strong>può estinguersi</strong> per <strong>tutta una serie di cause</strong> che vengono appunto definite <strong>cause di estinzione della pena</strong>, siccome <strong>concretamente</strong> (e <strong>definitivamente</strong>) <strong>inflitta</strong> al reo;</li> <li>si è dunque al cospetto da un lato una <strong>obbligazione</strong> in capo al <strong>reo</strong> e dall’altro di una <strong>corrispondente pretesa punitiva</strong> dello <strong>Stato Comunità</strong> (siccome <strong>accertata</strong> dallo <strong>Stato Apparato</strong>), che <strong>può estinguersi</strong>, non a caso, anche per <strong>prescrizione</strong>;</li> <li>una causa di estinzione della pena va <strong>immediatamente dichiarata nel processo</strong>, laddove vi intervenga;</li> <li>se concorre una <strong>causa di estinzione della pena</strong> con una <strong>causa di estinzione del reato inadempimento</strong>, va dichiarata <strong>quest’ultima</strong> perché <strong>più “<em>a monte</em>”</strong> è capace di <strong>estinguere il fatto illecito inadempimento</strong> penalmente rilevante cui <strong>la pena</strong> (pur estinta) andrebbe <strong>ricollegata</strong>;</li> <li>in presenza di <strong>più cause di estinzione della pena</strong>, vige il principio del <strong><em>favor rei</em></strong> che impone l’applicazione della <strong>causa estintiva</strong>, appunto, <strong>più favorevole</strong> al reo medesimo.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le cause di estinzione della pena previste dal sistema?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>morte del reo</strong> dopo la <strong>condanna</strong>: ai sensi dell’<strong>171</strong> c.p. se il reo <strong>muore dopo la condanna</strong> si estinguono la <strong>pena principale</strong>, le <strong>pene accessorie</strong>, le <strong>misure di sicurezza detentive</strong>, ogni altro <strong>effetto penale della condanna</strong> nonché l’<strong>obbligo</strong> avente ad oggetto le <strong>spese di mantenimento</strong> negli <strong>stabilimenti di pena</strong>; sul crinale <strong>civile</strong>, si estingue altresì <strong>l’obbligazione del responsabile civile</strong> per il <strong>pagamento della pena pecuniaria </strong>(<strong>art.188</strong> c.p.), mentre <strong>non</strong> <strong>si estinguono</strong> le <strong>obbligazioni civili</strong> derivanti da <strong>reato</strong> che (a differenza della <strong>pena ed assimiliati</strong>, <strong>intrasmissibili</strong>) si <strong>trasmettono</strong> agli <strong>eredi</strong>;</li> <li><strong>amnistia impropria</strong>: si tratta delle ipotesi, ex <strong>151</strong> c.p. in cui essa interviene quando <strong>sia già intervenuta sentenza irrevocabile di condanna</strong>, atteggiandosi in simili fattispecie <strong>non già come “<em>propria</em>”</strong> (quale causa di estinzione <strong>del reato</strong>) ma come “<strong><em>impropria</em></strong>”, quale appunto <strong>causa di estinzione della pena principale</strong>, della quale <strong>fa cessare l’esecuzione</strong> estinguendo ad un tempo anche le <strong>pene accessorie</strong> e le <strong>misure di sicurezza</strong> (purché <strong>diverse dalla</strong> <strong>confisca</strong>, la quale dunque <strong>resta efficace </strong>quale<strong> ablazione reale</strong>); l’amnistia, anche nella <strong>versione impropria</strong>, viene consacrata in una <strong>legge</strong> <strong>ex art.79 Cost.</strong>, e laddove tale legge <strong>nulla dica</strong>, <strong>non</strong> si estinguono gli <strong>altri effetti penali</strong> della <strong>condanna</strong> (onde si tiene conto di tale condanna ai fini della concessione della <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, della <strong>recidiva</strong> e delle <strong>declaratorie di delinquenza abituale, professionale o per tendenza</strong>);</li> <li><strong>prescrizione</strong> della <strong>pena</strong>: gli <strong>articoli 172 e 173</strong> prevedono la <strong>prescrivibilità</strong> della <strong>reclusione</strong> e della <strong>multa</strong> da un lato (<strong>delitti</strong>) e dell’<strong>arresto</strong> e dell’<strong>ammenda</strong> dall’altro (<strong>contravvenzioni</strong>), <strong>lasciando fuori</strong> l’<strong>ergastolo</strong>, le <strong>pene accessorie</strong> e gli <strong>altri effetti penali della condanna</strong> che, dunque, <strong>non si prescrivono</strong>; il <strong><em>dies a quo</em></strong> è la <strong>sentenza irrevocabile di condanna</strong> e, laddove il condannato <strong>si sottragga volontariamente</strong> all’esecuzione <strong>già iniziata</strong> della pena (come nel caso dell’evasione), dal <strong>giorno di tale volontaria sottrazione</strong>; allorché la pena sia <strong>congiunta</strong>, detentiva e pecuniaria, si ha riguardo <strong>solo</strong> al <strong>decorso del tempo previsto</strong> per la <strong>pena detentiva</strong> (prescrivendosi dunque <strong>anche, contemporaneamente</strong>, la pena <strong>pecuniaria</strong>, anche se il condannato <strong>si sia sottratto</strong> alla relativa esecuzione); la presenza di una <strong>condizione sospensiva</strong> per l’<strong>esecuzione</strong> della pena <strong>sposta in avanti</strong> il <strong><em>dies a quo</em></strong> della prescrizione, che inizia a decorrere <strong>da quando si è verificato l’evento</strong> dedotto in condizione (come nel caso della <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, ovvero della <strong>liberazione condizionale</strong>, entrambi benefici che, laddove <strong>revocati</strong> con <strong>sentenza definitiva</strong>, fanno appunto <strong>scattare</strong> l’<strong>evento condizionante</strong> e con esso il <em>dies a quo</em> della prescrizione della pena); la prescrizione della pena <strong>è diuturna</strong> e, come tale, <strong>non si sospende né si interrompe</strong>, ma <strong>decorre <em>sic et simpliciter</em></strong> col decorso del tempo legalmente previsto; una <strong>posizione più aggravata</strong> anche ai fini della prescrizione della pena rivestono i <strong>recidivi aggravati e reiterati</strong> e i <strong>delinquenti c.d. qualificati</strong> (abituali, professionali e così via) mentre, all’opposto, laddove la sentenza di condanna <strong>unifichi le pene previste per più reati</strong> commessi (per esempio, in caso di <strong>reato continuato</strong>), per il principio del <strong><em>favor rei</em></strong> la prescrizione delle pene è “<strong><em>atomistica</em></strong>”, onde <strong>per ogni reato </strong>scatta il <strong>proprio termine di prescrizione della pertinente pena</strong>;</li> <li><strong>indulto</strong>: viene previsto all’<strong>174</strong> c.p., e si configura come <strong>proprio</strong> allorché interviene su una <strong>pena</strong> disposta con <strong>sentenza ormai in giudicato</strong>, ovvero come <strong>improprio</strong> laddove impinge sulla <strong>pena che applica il giudice della cognizione</strong> con <strong>propria sentenza</strong>; è il <strong>legislatore</strong> che lo dispone a <strong>prevedere - discrezionalmente</strong> - a <strong>quali reati</strong> l’indulto si applica, ovvero <strong>i limiti quantitativi di pena</strong> che l’indulto condona; la norma rinvia all’<strong>ultimo comma dell’art.151</strong> c.p, con conseguente <strong>inapplicabilità</strong> dell’indulto ai <strong>recidivi aggravati e reiterati</strong> e ai <strong>delinquenti qualificati</strong> (abituali, professionali o per tendenza); l’indulto <strong>estingue la pena principale</strong>, ma <strong>non</strong> si estende né alle <strong>pene accessorie</strong>, né agli <strong>altri effetti penali</strong> della condanna, la legge <strong>potendo tuttavia disporre tale più ampia effettualità</strong> in senso <strong>favorevole</strong> al condannato; delle <strong>misure di sicurezza</strong>, ai sensi dell’<strong>art.210, comma 2</strong>, c.p., (sempre che <strong>non si tratti</strong> di misure di sicurezza inflitte in via <strong>accessoria</strong> alla <strong>reclusione superiore a 10 anni</strong>) <strong>cessa l’esecuzione</strong> <strong>solo</strong> se si “<strong><em>estingue</em></strong>” - per essere stata <strong>totalmente condonata </strong>- la pena principale, e dunque per quanto concerne <strong>l’indulto</strong>, la ridetta esecuzione delle misure di sicurezza <strong>non cessa</strong> laddove la pena principale <strong>sia condonata solo parzialmente</strong>, ovvero <strong>sia commutata</strong>;</li> <li><strong>grazia</strong>: è prevista anch’essa all’<strong>174</strong> c.p., ed incide <strong>sulla pena principale</strong> per <strong>estinguerla</strong> in modo <strong>totale</strong> o <strong>parziale</strong>; è di <strong>competenza</strong> non già del Parlamento ma del <strong>Presidente della Repubblica</strong>, che la dispone con <strong>decreto</strong>; salva <strong>diversa disposizione</strong> di detto <strong>decreto clemenziale</strong>, la grazia <strong>non si estende</strong> alle <strong>pene accessorie</strong> né agli <strong>altri effetti penali della condanna</strong>; quanto alla <strong>natura giuridica</strong>, la si addita quale <strong>atto politico</strong> del Presidente (né legislativo, né giurisdizionale), distinguendosi <strong>sul crinale strutturale diverse possibili opzioni</strong> <strong>ermeneutiche</strong>: e.1) è atto <strong>formalmente presidenziale</strong> e <strong>sostanzialmente ministeriale</strong> (del Ministro della Giustizia); e.2) è atto tanto <strong>formalmente</strong> quanto <strong>sostanzialmente</strong> <strong>presidenziale</strong>; e.3) è atto <strong>sostanzialmente presidenziale</strong> e <strong>formalmente ministeriale</strong>; e.4) è atto <strong>complesso</strong> o <strong>a partecipazione eguale</strong>;</li> <li><strong>liberazione condizionale</strong>; è prevista dagli <strong>articoli 176 e seguenti</strong> del codice penale e produce la <strong>liberazione del condannato</strong> che è tuttavia “<strong><em>condizionale</em></strong>” perché <strong>produce effetti</strong> sempre che il condannato <strong>non commetta</strong>, nei <strong>termini</strong> previsti dalla legge, un <strong>reato della stessa indole</strong>; ove ciò <strong>non accada</strong>, la pena <strong>si estingue</strong>; più nel dettaglio, deve trattarsi di un condannato che – <strong>non avendo già usufruito</strong> del beneficio - abbia scontato <strong>almeno 30 mesi</strong> o, se trattasi di <strong>periodo superiore</strong>, <strong>almeno la metà</strong> della pena inflittagli (se <strong>recidivo reiterato o aggravato</strong>, <strong>almeno 4 anni</strong>, e comunque <strong>non meno dei ¾</strong> della pena inflittagli), con calcolo che va effettuato <strong>alla data dell’istanza</strong>, e <strong>non già</strong> a quella in cui il giudice decide <strong>se attribuire o meno</strong> il beneficio; la <strong>pena residua</strong> non deve superare i <strong>5 anni</strong>; durante il <strong>periodo di effettiva espiazione</strong>, il condannato deve avere tenuto un <strong>comportamento tale</strong> da far ritenere <strong>certo</strong> il proprio <strong>ravvedimento</strong> (non già una generica <strong>buona condotta carceraria</strong>, ma il <strong>giudizio prognostico favorevole</strong> del <strong>Tribunale di Sorveglianza</strong> in ordine al <strong>reinserimento sociale</strong> <strong>effettivo</strong> dell’istante), oltre ad aver <strong>adempiuto alle obbligazioni civili</strong> nascenti dal reato oggetto di condanna (salva tuttavia la <strong>prova</strong> di trovarsi nella <strong>impossibilità di adempierle</strong>); il condannato che abbia ottenuto la liberazione condizionale <strong>viene subito posto in libertà</strong>, gli viene <strong>sospesa</strong> l’eventuale <strong>misura di sicurezza</strong> e gli si applica la <strong>libertà vigilata</strong> assistita dal <strong>servizio sociale</strong>; decorso <strong>in tale condizione</strong> (c.d. di “<strong><em>vigilato in libertà</em></strong>”) il <strong>tempo di pena inflitta residuo</strong> (<strong>5 anni</strong> se si tratta di condannato all’<strong>ergastolo</strong>), la <strong>pena</strong> <strong>si estingue</strong> e le eventuali <strong>misure di sicurezza personali</strong> vengono <strong>revocate</strong>; al “<em>vigilato in libertà</em>” la liberazione condizionale <strong>può tuttavia essere revocata</strong> dal <strong>Tribunale di Sorveglianza </strong>ex<strong>177 c.p.</strong>, riaprendosi le porte del carcere (<em>status</em> di <strong>detenuto</strong>), laddove egli commetta <strong>un delitto o una contravvenzione della stessa indole</strong> di quelle già oggetto di prima condanna, accertati con <strong>sentenza definitiva</strong>, ovvero <strong>violi</strong> una o più tra le <strong>prescrizioni</strong> inerenti alla <strong>libertà vigilata</strong>; si contrappongono poi sul crinale della pertinente <strong>natura giuridica</strong> diverse <strong>opzioni ermeneutiche</strong>: f.1) è <strong>causa di estinzione della pena</strong>; f.2) è una <strong>misura alternativa alla detenzione</strong>; f.3) è una <strong>particolare modalità di esecuzione</strong> della pena, che si estrinseca giusta <strong>liberazione condizionata</strong>; f.4) è una fattispecie di <strong>sospensione della pena detentiva</strong> con contestuale <strong>messa alla prova</strong> del condannato;</li> <li><strong>riabilitazione</strong>: è prevista dagli <strong>articoli 178 e seguenti</strong> del c.p., e – salva <strong>diversa disposizione di legge</strong> – <strong>estingue</strong> le <strong>pene accessorie</strong> (applicabili in via <strong>autonoma</strong> rispetto alla <strong>pena principale</strong> ed incidenti sulla <strong>capacità giuridica</strong> del condannato: <strong>non vi è coinvolta</strong> né l’<strong>interdizione legale</strong>, che <strong>cessa col cessare della pena principale</strong>, né la <strong>pubblicazione della sentenza di condanna</strong>, che <strong>non implica</strong> alcuna <strong>incapacità giuridica</strong> per il condannato); estingue altresì gli <strong>altri effetti penali della condanna</strong>; essa <strong>si applica anche</strong> laddove la <strong>pena principale</strong> sia contenuta in una <strong>sentenza di condanna straniera</strong> <strong>riconosciuta</strong> ai sensi dell’<strong>12</strong> c.p. e presuppone <strong>l’espiazione della pena principale</strong> da parte del condannato, unita alla <strong>buona condotta</strong> che egli <strong>palesa</strong> (con <strong>prove effettive e costanti</strong>) in una <strong>fase successiva</strong> alla ridetta espiazione (<strong>3 anni</strong> dal giorno in cui la pena principale <strong>è stata espiata</strong> o <strong>si è altrimenti estinta</strong>); è <strong>incompatibile </strong>con la <strong>buona condotta</strong>, e dunque con la stessa riabilitazione, il <strong>non aver adempiuto</strong> le <strong>obbligazioni civili</strong> derivanti da reato o l’essere sottoposto ad una <strong>misura di sicurezza</strong> (escluse la <strong>confisca</strong> e l’<strong>espulsione dello straniero</strong> dallo Stato); viene assunta, in presenza dei pertinenti presupposti, quale <strong>vero e proprio diritto del condannato</strong> e viene disposta con <strong>ordinanza costitutiva</strong> operante <strong><em>ex nunc</em></strong>, su <strong>istanza</strong> dell’interessato e secondo alcuni <strong>anche d’ufficio</strong> (ma non manca la <strong>tesi contraria</strong>, facendosi rilevare come, rispetto ad <strong>altre cause estintive</strong>, essa produca <strong>effetti <em>contra reum</em></strong>, <strong>non impedendo</strong> l’<strong>iscrizione</strong> della <strong>condanna</strong> nel <strong>casellario giudiziale</strong> ai sensi degli <strong>articoli 686 e 687</strong> c.p.p.); viene <strong>revocata</strong> con <strong>provvedimento</strong> (vincolato) che opera <strong><em>ex tunc</em></strong> (e dunque con <strong>effetti retroattivi</strong>), limitandosi il giudice ad accertare i pertinenti <strong>presupposti di legge</strong>, vale a dire <strong>l’aver commesso</strong> nei <strong>5 anni successivi</strong> un <strong>delitto non colposo</strong> per il quale sia <strong>concretamente</strong> (e non già astrattamente, per via edittale) <strong>inflitta</strong> la <strong>reclusione</strong> per un <strong>tempo non inferiore a 3 anni</strong>; la revoca viene disposta dal <strong>Tribunale di Sorveglianza</strong> o anche dal <strong>giudice che condanna</strong> per il <strong>nuovo reato</strong>, nel qual caso il pertinente <strong>capo</strong> della sentenza di condanna è <strong>autonomamente appellabile</strong>;</li> <li><strong>non menzione</strong> della <strong>condanna</strong> nel <strong>certificato</strong> del <strong>casellario giudiziale</strong>: viene disciplinata all’<strong>175</strong> c.p., <strong>non estingue</strong> alcunché e piuttosto <strong>sospende a tempo indeterminato</strong> un <strong>particolare effetto penale</strong> della <strong>condanna</strong>, vale a dire la <strong>menzione</strong> dell’intervenuta condanna medesima nel <strong>certificato del casellario giudiziale</strong> che i <strong>privati</strong> potrebbero <strong>richiedere</strong> e che, se <strong>annoverasse</strong> l’<strong>iscrizione</strong> della condanna medesima (come tale, “<strong><em>menzionata</em></strong>”), potrebbe risultare <strong>pregiudizievole per il condannato</strong> stesso, in particolare in ambito <strong>lavorativo</strong>; l’istante <strong>non vanta un diritto</strong> alla non menzione, che viene concessa piuttosto con <strong>provvedimento discrezionale del giudice</strong>, chiamato a valutare – ai sensi dell’<strong>art.133</strong> c.p. – la <strong>personalità del condannato</strong> con <strong>prognosi</strong> <strong>positiva</strong> in ordine al relativo <strong>reinserimento sociale</strong>; la non menzione <strong>può essere concessa</strong> – <strong>anche d’ufficio</strong> (nel <strong>giudizio di appello</strong>, la non menzione d’ufficio è prevista <strong>esplicitamente</strong> dall’<strong>art.597, comma 5</strong>, c.p.p.) - in occasione di una <strong>prima condanna</strong> o, in caso di <strong>più condanne</strong>, allorché le <strong>pene inflitte tra loro cumulate</strong> non superino la <strong>soglia di concedibilità</strong> del pertinente beneficio; tale soglia equivale a <strong>2 anni di reclusione</strong> o, in caso di <strong>pena pecuniaria</strong>, ad <strong>un <em>quantum</em></strong> che, laddove <strong>ragguagliato</strong> a pena detentiva <strong>non superi i 2 anni di reclusione</strong>; se la condanna è <strong>a pena congiunta</strong>, la soglia è pari a <strong>30 mesi</strong> (pena <strong>detentiva</strong> non superiore ai <strong>2 anni</strong> + <strong>pena pecuniaria ragguagliata</strong>); laddove il condannato commetta un <strong>nuovo delitto</strong>, quand’anche accertato con <strong>sentenza non irrevocabile</strong>, la non menzione viene <strong>revocata di diritto</strong>;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p>