Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 5 marzo 2025 n. 5841
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale. Anche ove si verifichi tale destinazione, il contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), in presenza dei requisiti previsti dall’art. 474 cod. proc. civ., costituisce valido titolo esecutivo.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- I. Motivi di ricorso. 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano «nella prima parte, nullità del procedimento e conseguentemente della sentenza ex artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.; nella seconda parte, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1813 c.c., 117 T.U.B., in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c.».
Premesso che il mutuo è un contratto reale che richiede la traditio della somma, ossia la consegna effettiva del denaro al mutuatario, rilevano che, nella specie: ─ la somma di Lire 897.100.000, accreditata sul conto corrente di Anna Lanzoni con la causale «operazione di giro», non era mai stata effettivamente messa a disposizione dei mutuatari; ─ le operazioni in dare sul conto corrente, avvenute lo stesso giorno e il giorno successivo all’accredito, non erano mai state autorizzate, disposte o volute da Anna Lanzoni; né mai era stato concordato con la banca il reimpiego delle somme per estinguere altri debiti; ─ la Corte di merito ha ritenuto che la decisione di impiegare lesomme mutuate per estinguere i debiti precedenti fosse stata una libera scelta della mutuataria al fine di mantenere il rapporto con la banca, senza che di ciò vi fosse alcuna prova e così, dunque, incorrendo in travisamento di prova avendo utilizzato un’informazione probatoria inesistente; ─ come nel precedente di Cass. n. 20896 del 2019 (erroneamente ritenuto in sentenza non pertinente) anche nel caso in esame non poteva ritenersi verificata la traditio della somma: il mero accredito sul conto corrente, a cui consegua l’immediata riappropriazione autonoma delle somme da parte della Banca mutuante, impedisce, infatti, di fare ritenere acquisita la disponibilità delle somme in capo al mutuatario.
- Con il secondo motivo ─ rubricato «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2730 e dell’art. 1852 c.c. in relazione all’art. 1813 c.c. e degli artt. 112 e 342 c.p.c.; nullità del procedimento e/o della sentenza: art. 360 n. 4» ─ i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia omesso di considerare la valenza dell’affermazione contenuta nell’estratto conto, che confessa di non avere erogato un mutuo, bensì di avere posto in essere un mero giroconto bancario. Sostengono che la dicitura «operazione di giro» nell’estratto conto avrebbe dovuto ritenersi ammissione del fatto che non vi era alcuna volontà di mettere effettivamente a disposizione della Lanzoni le somme, ma solo di creare un’apparenza contabile.
- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano «nullità del procedimento e della sentenza per omessa pronuncia o quanto meno per pronuncia apparente su motivo di impugnazione, con conseguente violazione degli artt. 112 o 132 c.p.c. in entrambi i casi in relazione all’art. 360 n. 4», per avere la Corte d’appello omesso di valutare l’usurarietà del tasso d’interesse moratorio applicato al rapporto. Premesso che avevano censurato la sentenza di primo grado per non avere considerato che l’ultimo mutuo stipulato nel 2000 prevedeva un tasso di mora (11,20%) superiore al tasso soglia già al momento della stipula (all’epoca, per operazioni similari pari a 9,95%: 6,63 x 1,5), lamentano che la Corte d’appello abbia omesso del tutto di valutare tale censura adagiandosi sul fatto che il c.t.u. non aveva messo in rilievo l’esistenza di un tasso moratorio oltre soglia avendo considerato un tasso soglia diverso per gli interessi di mora secondo le indicazioni della Banca d’Italia, calcolandolo pari al 13,10%, e così illegittimamente postulando un tasso soglia ad hoc, in contrasto con il principio affermato da Cass. n. 27442 del 2018.
- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano «nullità del procedimento e della sentenza per omessa pronuncia o quanto meno per pronuncia apparente su motivo di impugnazione, con conseguente violazione degli artt. 112 o 132 c.p.c. in entrambi i casi in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c., da cui è derivata la violazione e/o falsa applicazione della L. 7 marzo 1996, n. 108 e dell’art. 644 c.p. e degli artt. 1815 e 2909 c.c.». Premesso che il Tribunale aveva riscontrato, sulla base della c.t.u., nel rapporto di cui all’ultimo mutuo il superamento del tasso soglia limitatamente a determinati periodi, con accertamento non fatto segno di appello incidentale da parte di Guber S.p.a., lamentano che la Corte d’appello, trascurando le loro deduzioni al riguardo, abbia omesso di considerare che, in mancanza di impugnazione da parte della società appellata, il mutuo doveva definitivamente essere considerato usurario e non abbia quindi statuito sul motivo di appello con il quale essi avevano chiesto l’azzeramento di tutti gli interessi applicati al rapporto contrattuale.
- Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano «violazione dell’art. 112 e degli artt. 342 e 343 c.p.c., dell’art.2934 e dell’art. 2947, comma 3, c.c. e dell’art. 644, commi 1 e 3, e dell’art. 644-ter, c.p.; nullità della sentenza, art. 360, n. 3 e 4» per avere la Corte d’appello omesso di pronunciare sul motivo d’appello con il quale essi avevano chiesto di considerare l’esistenza della cosiddetta «usura in concreto», erroneamente considerando irrilevanti le loro deduzioni. Sostengono che le deduzioni avrebbero dovuto essere esaminate nel merito, non essendo rilevante la questione della prescrizione cui in sentenza si fa aggiuntivo incidentale riferimento; ciò sia perché essi non avevano proposto domanda di restituzione ma si erano limitati a eccepire l’esistenza di rapporto usurario, sia perché l’eccezione di prescrizione era stata formulata dalla controparte con riguardo ai contratti conclusi prima del 2000 e perciò non con riguardo all’ultimo mutuo, sia perché il reato di usura non era comunque prescritto.
- Con il sesto motivo ─ rubricato «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., art. 360, n. 4, c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza» ─ i ricorrenti denunciano vizio di omessa pronuncia sul motivo d’appello con il quale essi avevano censurato la sentenza di primo grado per aver omesso di rilevare l’applicazione di interessi anche su somme mai consegnate al cliente.
- Con il settimo motivo Anna Lanzoni e Antonio Bianchi denunciano «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 233 c.p.c. e degli artt. 1418, 1421, 1813 e 2736 c.c., art. 360, n. 3 e n. 4 c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza», per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile il giuramento decisorio deferito, in primo e secondo grado, da parte dei ricorrenti, alla controparte.
- Con l’ottavo motivo essi denunciano «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 221 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c., art. 360, n. 4 c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza», in riferimento alla inammissibilità della querela di falso proposta, in primo e secondo grado, da parte dei ricorrenti, in relazione al contenuto dell’atto notarile mercè il quale venne stipulato il mutuo, là dove attesta il riconoscimento, tramite quietanza, da parte di Anna Lanzoni di avere ricevuto somme a mutuo.
- Con il nono motivo i ricorrenti denunciano, infine, «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 360, n. 3, c.p.c.» per avere la Corte d’appello, mancando di rilevare il giudicato formatosi sull’accertamento dell’usura sopravvenuta, omesso conseguentemente anche di provvedere sull’eccezione di compensazione fondata sul diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno.
L’ordinanza interlocutoria. 1. L’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione, dopo aver sinteticamente esposto i motivi di ricorso, rileva che il primo e il secondo di essi pongono «questioni decisive …, relative alla qualificazione del cosiddetto “mutuo solutorio”, sulle quali si sono registrate soluzioni non uniformi nella giurisprudenza di questa Corte e che hanno indubbio rilievo concettuale e pratico, tali da costituire anche questioni di massima di particolare importanza, rendendosi perciò opportuno l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite» (così a pag. 10, par. 10).
Dopo aver quindi passato in rassegna gli opposti orientamenti (pagg. 11 – 13) conclude osservando che «nella presente fattispecie ci si chiede anche se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività, eseguito dalla banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto, secondo quanto lamentano i ricorrenti, soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, per cui il ripianamento delle passività abbia costituito una modalità di impiego dell’importo mutuato entrato nella disponibilità del mutuatario; in caso di risposta positiva, se in tale ipotesi il contratto di mutuo possa costituire anche titolo esecutivo» (pag. 14, primo cpv.).
Nei termini sopra esposti l’ordinanza pone in realtà tre quesiti.
Il primo attiene alla validità o meno del c.d. mutuo solutorio, nei termini in cui il contrasto si è delineato nella giurisprudenza di legittimità, che attengono alla possibilità di configurare una effettiva traditio delle somme date in mutuo quando le stesse siano contestualmente destinate a ripianare debiti pregressi: possibilità negata dall’orientamento minoritario anche quando detta destinazione sia espressamente accettata o disposta dal mutuatario, tant’è che, proprio postulandosi l’esistenza di un tale accordo, il contrasto si risolve, come si vedrà, nella sua diversa qualificazione in termini non di mutuo ma di pactum de non petendo ad tempus.
Il secondo attiene alla possibilità, in caso di risposta positiva al primo quesito, che il contratto di mutuo costituisca anche titolo esecutivo.
Con il terzo, subordinato, si chiede invece se l’eventuale risposta positiva ai primi due quesiti possa valere anche nel caso in cui il ripianamento delle passività mediante le somme erogate in mutuo, con operazione di giroconto, sia operato dalla banca «autonomamente e immediatamente», vale a dire anche in assenza di un effettivo consenso o di atti dispositivi in tal senso del mutuatario, e ciò «secondo quanto lamentato dai ricorrenti».
Gli opposti orientamenti sul c.d. mutuo solutorio.
- Cominciando dai primi due quesiti, conviene anzitutto dar conto degli opposti indirizzi che si registrano al riguardo nella giurisprudenza delle sezioni semplici. 2. Un primo orientamento, tradizionale e prevalente (già affermato da Cass. Sez. 1, sentenza n. 5193 del 09/05/1991, Rv. 472085-01; Sez. 1, sentenza n. 11116 del 12/10/1992, Rv. 478874-01; Cass. Sez. 1, sentenza n. 1945 del 08/03/1999, Rv. 523924-01; più recentemente ribadito, con maggiore dovizia di argomenti, da Cass. Sez. 3, sentenza n. 23149 del 25/07/2022, Rv. 665427-01, a sua volta richiamata da Cass. n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324-01; Cass. Sez. 3, ordinanza n. 724 del 18/01/2021; Cass. Sez. 1, ordinanza n. 16377 del 09/06/2023; n. 31560 del 2023; n. 5151 del 2024; n. 2779 del 2024), dà ad essi risposta positiva.
Queste, in sintesi, le proposizioni che lo sostanziano: ─ il cosiddetto mutuo solutorio, stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo, in quanto non contrario né alla legge, né all’ordine pubblico; ─ l’accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente a integrare la datio rei giuridica propria del mutuo; ─ il perfezionamento del contratto di mutuo, infatti, con la consequenziale nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che sia previsto l’obbligo di utilizzare quella somma a estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante (nello stesso senso: Cass. Sez. 3, ordinanza n. 37654 del 2021; n. 724 del 2021; n. 16377 del 2023, citt.); ─ l’effettività della traditio è in tal caso del resto dimostrata dal fatto che l’impiego per l’estinzione del debito già esistente produce l’effetto di purgare il patrimonio del mutuatario di una posta negativa; ─ il ripianamento delle passività costituisce, infatti, una delle possibili modalità di impiego della somma mutuata (il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito essendo anzi previsto dall’ordinamento: artt. 182-bis e 182-quater l.f.) e dimostra che il mutuatario abbia potuto disporre della somma; ─ né un tale impiego può considerarsi di per sé illecito in quanto lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l’ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell’inefficacia (Cass. Sez. 1, ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570-01); ─ il mutuo solutorio non può quindi essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente oppure quale pactum de non petendo. 3. Un secondo orientamento, emerso in anni più recenti (Cass. Sez. 1, ordinanza n. 20896 del 05/08/2019, Rv. 655022-01; v. anche Cass. Sez. 3, sentenza n. 7740 del 08/04/2020; Cass. Sez. 1, sentenza n. 1517 del 25/1/2021, Rv. 660370-01), sostiene all’opposto che: ─ il mutuo solutorio configura un’operazione meramente contabile in dare e avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, il quale presuppone sempre l’avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario; ─ esso provoca l’effetto sostanziale di dilatare le scadenze dei debiti pregressi con conseguente applicazione dell’art. 1231 c.c. che, infatti, fa espresso riferimento alle modificazioni accessorie dell’obbligazione le quali, come tali, non producono novazione. ─ determina dunque, di regola, i soli effetti del pactum de non petendo ad tempus, restando modificato soltanto il termine per l’adempimento, senza alcuna novazione dell’originaria obbligazione del correntista; ciò in quanto manca l’animus novandi, posto che nei contratti di mutuo solutorio non si rintraccia in genere alcuna espressa e inequivoca volontà di estinguere l’obbligazione precedente; ─ il titolo esecutivo, azionabile dall’istituto di credito a fronte di un inadempimento del mutuatario, dovrà di conseguenza ritenersi costituito (esclusivamente) dal mutuo originario e non dalla successiva modificazione di quel rapporto; ─ sebbene per il perfezionamento del mutuo sia certamente sufficiente la dazione giuridica delle somme, che può avvenire anche mediante accredito in conto corrente, rimane necessario tuttavia che la traditio realizzi effettivamente il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario, comportando l’acquisizione della loro disponibilità da parte del mutuatario, acquisizione che non può ravvisarsi nel caso in cui la banca già creditrice con tali somme realizzi il ripianamento del precedente debito; ─ per quanto possa essere realizzata anche a mezzo di forme assai rarefatte, comunque la traditio deve, per essere tale, realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario: farle muovere, farle transitare dal patrimonio dell’uno al patrimonio dell’altro, cioè, così comportando, in particolare, un conseguente trasferimento della proprietà delle somme (art. 1814 c.c.), con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 c.c. da parte del mutuatario; ─ perché possa dirsi sussistente tale disponibilità giuridica, occorre che il mutuante crei un titolo autonomo di disponibilità a favore del mutuatario, perché solo in tal modo la somma esce dal patrimonio del mutuante ed entra in quello del mutuatario, il quale ne può disporre non solo senza l’intermediazione del mutuante, ma anche invito mutuante; ─ senza il compimento di un simile passaggio e, precisamente, senza l’effettivo trasferimento della proprietà delle somme e la connessa, acquisita loro disponibilità, non potrebbe neppure ipotizzarsi, in ogni caso, la sussistenza dell’obbligo di restituzione che la parte finale della disposizione dell’art. 1813 c.c. pone in capo al mutuatario; ─ lungi dal realizzare spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il «ripianamento» di un debito a mezzo di nuovo credito -che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del clienteviene propriamente a sostanziare un’operazione di natura contabile (salvo il caso in cui la posta a credito sia di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero l’operazione ben potendo allora iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo); ─ l’intesa tra banca e cliente «esclude l’eventualità di consegna e trasferimento di proprietà delle somme»; la posta in dare produce una «automatica e immediata modifica del saldo ex art. 1852 c.c.»: ed il saldo, oltre ad impedire qualsiasi utilizzabilità della somma da parte del debitore, non elimina «la sostanza» del debito. I
- La soluzione del contrasto.
14 1. Il contrasto segnalato dalla ordinanza interlocutoria deve essere risolto dando continuità al primo orientamento.
Queste le ragioni.
- La questione posta si concentra, in buona sostanza, nella domanda se il c.d. mutuo solutorio ─ vale a dire, secondo un minimale approccio definitorio che può dirsi comunemente accettato, il mutuo seguito dalla contestuale o comunque immediata destinazione delle somme a ripianare debiti pregressi ─ possa oppure no effettivamente considerarsi un vero e proprio contratto di mutuo o se vada piuttosto diversamente qualificato e, nel primo caso, se possa anche considerarsi valido.
Ai sensi dell’art. 1813 cod. civ. «il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità».
Secondo l’opinione prevalente in dottrina e pacifica in giurisprudenza il mutuo è un contratto reale, che si perfeziona, cioè, con la consegna (traditio) della cosa data a mutuo (res), la quale però, per essere tale, deve essere idonea a consentire il conseguimento della «disponibilità giuridica» della res da parte del mutuatario, per effetto della creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità, tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante.
Non è dunque necessaria la consegna materiale, ma è sufficiente che la res sia messa nella «disponibilità giuridica» del mutuatario, il che avviene quando il mutuante crea un autonomo titolo di disponibilità a favore del primo, fermo restando l’altro elemento costitutivo rappresentato dall’assunzione da parte del mutuatario dell’obbligazione ─ univoca, espressa ed incondizionata ─ di restituire il tantundem.
- Proprio sul concetto di «disponibilità giuridica» delle somme erogate a titolo di mutuo si concentra, però, il problema giuridico da risolvere nel caso del mutuo solutorio. In particolare, è dall’immediata riappropriazione da parte della banca delle somme mutuate (carattere distintivo dell’operazione) che si origina il dubbio se possa dirsi realizzata la messa a disposizione della somma mutuata, presupposto indispensabile della stessa qualificazione dell’operazione alla stregua di mutuo.
- La soluzione divaricata che ne danno gli opposti orientamenti nasce da un diverso modo di approccio alla questione. Il primo e prevalente indirizzo adotta un metodo di analisi logicogiuridica della fattispecie. Il secondo indirizzo sembra invece privilegiare un metodo empirico di analisi, legato al concreto atteggiarsi dell’operazione nella pratica e alla considerazione delle motivazioni che, di regola, ne stanno alla base.
Dei due metodi è certamente da preferire il primo in quanto maggiormente in grado di ordinare gli elementi che caratterizzano la fattispecie secondo la sequenza fatto-norma-effetto, sequenza che non richiede necessariamente anche un distanziamento temporale, ma che deve essere apprezzabile sul piano logico siccome idonea a dare spiegazione ai fatti accertati secondo il paradigma normativo più appropriato ed esaustivo.
Il secondo indirizzo appare, invece, condizionato dall’intento di negare copertura giuridica alla motivazioni spesso (ma non sempre né necessariamente) sottostanti all’operazione, in modo più efficace di quanto non consenta l’eventuale ricorso alle azioni revocatorie o di simulazione; omette in tal modo però di considerare che un conto è la qualificazione (eventualmente, anche solo astratta) dell’operazione negoziale e, quindi, il giudizio sulla validità di quest’ultima, altra cosa è l’abuso che di un istituto le parti possono mettere concretamente in pratica.
- Tornando dunque alla domanda posta al bivio tra i due orientamenti, la chiave di lettura che si è detto preferibile ne individua la risposta nella sua stessa formulazione: se, infatti, di riappropriazione si tratta per ciò stesso si postula che le somme siano prima transitate sul conto o, comunque, nella «disponibilità giuridica» del mutuatario.
Tale nozione ha riguardo all’effetto giuridico rappresentato dal mutamento delle disponibilità economiche e finanziarie del mutuatario e del complessivo assetto delle stesse e non può dubitarsi che tale effetto si realizzi già in conseguenza e al momento dell’accredito.
- È certo poi che l’accredito sul conto di per sé in altro non consiste, né potrebbe consistere, se non in una operazione contabile, ma nulla autorizza a svalutare tale nozione come sinonimo di operazione fittizia o apparente, valendo piuttosto a rappresentare semanticamente nel contesto considerato una reale vicenda economica e giuridica, in definitiva costituita dall’inserimento di una posta attiva in capo al correntista come tale idonea a comportare inevitabili mutamenti nei rapporti di dare avere con la banca mutuante.
Non può dunque costituire argomento spendibile il rilievo che l’operazione si risolva in una annotazione contabile (come anche nella specie attestato dalla sua qualificazione in estratto conto come «operazione di giro»). Come è stato efficacemente rimarcato (Cass. n. 23149 del 2022, cit.), «sostenere che il mutuo solutorio esuli dalla “natura tipologica” del contratto di mutuo, riducendosi ad una “partita contabile”, è affermazione che prova troppo: in epoca di moneta elettronica, infatti, qualsiasi solutio si riduce ad una “partita contabile”, come ad es., il pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, carta revolving o PayPal».
Tutti questi atti solutori si sostanziano in una mera annotazione contabile o, al limite, in una delegatio solvendi. È già stato, anzi, in tal senso del tutto condivisibilmente evidenziato che la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili, nonché la normativa antiriciclaggio e le altre misure tese a limitare l’uso di contante nelle transazioni commerciali, hanno accentuato l’utilizzo di strumenti alternativi al trasferimento di danaro (Cass. 03/12/2021, n. 38331).
- Con l’accredito delle somme sul conto corrente, il contratto di mutuo è, dunque, da intendersi perfettamente concluso e la disponibilità giuridica della somma effettivamente conseguita; e ciò a prescindere dal successivo (logicamente, anche se cronologicamente contestuale) impiego delle somme, la cui destinazione è manifestazione di un differente interesse che sorregge un atto ulteriore, autonomo benché ovviamente dipendente dal primo, in quanto proprio dal primo reso possibile.
- Ben si comprende allora come il sintagma «mutuo solutorio» non definisca una figura contrattuale atipica, né diversa dal contratto tipico di mutuo.
Esso ha piuttosto una valenza meramente descrittiva di un particolare utilizzo del mutuo. Non si tratta di un mutuo di scopo.
Nel mutuo di scopo una parte si obbliga a fornire le risorse economiche necessarie per il conseguimento di una finalità legislativamente prevista (Cass. n. 943 del 2012) o convenzionalmente pattuita (Cass. n. 26770 del 2019; n. 15929 del 2018; n. 24699 del 2017) ad un’altra parte, la quale si impegna non solo a restituire l’importo ricevuto ma anche a svolgere le attività necessarie per il raggiungimento dello scopo, sicché l’impegno assunto dal mutuatario si inserisce nel sinallagma contrattuale assumendo rilevanza sotto il profilo causale.
Tutto ciò non si verifica nel mutuo solutorio, nel quale l’utilizzo della somma non attiene al momento genetico del contratto di mutuo e non ne caratterizza la causa, ma, quale elemento logicamente successivo, si colloca interamente su di un piano ulteriore e distinto: ciò -come detto- non sempre né necessariamente in senso cronologico, ma certamente in senso logico e giuridico dal momento che proprio la disponibilità giuridica delle poste attive sul conto corrente consente l’imputazione giuridica ed economica dei movimenti contabili successivi.
- Non è dunque possibile qualificare il mutuo solutorio come pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché tale spostamento invece vi è ed è anzi presupposto dell’operazione: l’accredito in conto corrente delle somme erogate non solo è sufficiente ad integrare la datio rei giuridica propria del mutuo, ma anzi proprio la possibilità di un loro impiego è condizione per estinguere il debito già esistente.
Come ha evidenziato Cass. n. 23149 del 2022, componendosi il patrimonio di ogni soggetto di beni materiali, beni immateriali e crediti, chi usa il denaro ricevuto in mutuo per estinguere un debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio di una posta negativa. Ne deriva, per converso, che se la consistenza del patrimonio del mutuatario risulta essere mutata, uno «spostamento di denaro» deve essersi necessariamente verificato.
Peraltro, anche dal punto di vista pratico, l’opinione qui respinta manifesta la sua debolezza.
Nella prassi, infatti, avviene spesso che l’operazione in esame sia accompagnata non solo, o non tanto, dalla concessione di una garanzia, quale l’ipoteca, ma da ulteriori modificazioni dell’originario rapporto. In particolare, vengono spesso modificati i tassi di interesse, le modalità di restituzione della somma mutuata (non solo le scadenze finali, ma anche la periodicità), gli accessori o altre garanzie personali. In tutti questi casi, appare evidente l’eccentricità dell’operazione, complessivamente intesa, rispetto ad un mero pactum de non petendo.
Non vi sono, inoltre, ragioni che possano giustificare una aprioristica stigmatizzazione dell’operazione in termini di nullità negoziale. La destinazione, ancorché immediata, delle somme mutuate ad estinzione di esposizioni pregresse, non presenta di per sé carattere di intrinseca illegittimità ─ salvo l’accertamento di peculiari condotte delittuose ridondante, sul piano negoziale, in un vizio di nullità (cfr. Cass. n. 26248 del 2024; n. 4376 del 2024; n. 16706 del 2020) ─ essendo anzi essa stessa espressione di un principio di ordine pubblico e risultando peraltro tipizzata dal legislatore per alcune figure di finanziamento [art. 2 l. 8 agosto 1977 n. 546; art. 43 d.l. 18 novembre 1966 n. 976 (convertito dalla l. 23 dicembre 1966, n. 1142); art. 16 r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765].
- Ciò, certo, non esclude che, in concreto, il c.d. mutuo solutorio possa mascherare un atto in frode ai creditori o un mezzo anomalo di pagamento. Una tale finalizzazione dell’operazione rileva però sotto il profilo dell’inefficacia (revocatoria ordinaria o fallimentare), non dell’invalidità, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative (Cass. n. 5034 del 2022; n. 3024 del 2020; n. 4202 del 2018).
Gli atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi (per abusiva erogazione del credito o in frode ai creditori) non sono illeciti né nulli, ferma restando la tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell’ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato (cfr. Cass. Sez. U. n. 33719 del 2022; Cass. n. 20576 del 2010; n. 23158 del 2014; n. 11695 del 2018; n. 18610 e n. 24725 del 2021; n. 15844 del 2022).
Se, dunque, è certamente vero che la concessione di un mutuo c.d. solutorio può, nel singolo caso, celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento, è anche vero che ─ come già detto ─ un conto è la qualificazione (eventualmente, anche solo astratta) dell’operazione negoziale e, quindi, il giudizio sulla validità di quest’ultima, altra cosa è l’abuso che di un istituto le parti possono mettere concretamente in pratica al fine di ledere la par condicio creditorum.
Quest’ultimo profilo trova il proprio compendio rimediale non già attraverso una tutela «reale» che elimini dalla realtà giuridica, attraverso la sanzione della nullità, il contratto, ma attraverso ulteriori strumenti garantiti dall’ordinamento, quali ad es., la revocabilità del pagamento ovvero l’inefficacia delle garanzie abusivamente concesse.
In particolare, la stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d’ipoteca sui beni del mutuatario, ove non risulti destinata a procurare a quest’ultimo un’effettiva disponibilità, essendo egli già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, è revocabile, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta, per un verso, ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione e, per altro verso, a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla banca non già nella stipulazione del negozio in sé, ma nell’impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso (v. in questo senso, Cass. Sez. 1, ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570-01).
- Né, ove si tratti di mutuo fondiario, la sua finalizzazione al ripianamento di debiti pregressi può configurare causa di nullità del contratto per mancanza di causa o la sua risoluzione per inadempimento.
Anche per il mutuo fondiario (il quale si caratterizza per la concessione da parte degli istituti di credito di un finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado su un bene immobile, con un limite di finanziabilità fissato all’80% del valore degli immobili offerti in garanzia: art. 38 t.u.b.) è pacifica l’opinione ─ e va qui ribadito ─ che lo scopo del finanziamento esuli dalla causa del contratto, rappresentata, al contrario, dall’immediata disponibilità di denaro, a fronte della concessione di una garanzia immobiliare ipotecaria, e dall’obbligo di restituzione della somma erogata.
Si esclude, dunque, che il mutuo fondiario sia un mutuo di scopo «poiché nessuna delle norme da cui è regolato impone una specifica destinazione del finanziamento concesso né vincola il mutuatario al conseguimento di una determinata finalità e l’istituto mutuante al controllo dell’utilizzazione della somma erogata, ma si qualifica nella specificità in funzione della possibilità di prestazione, da parte del mutuatario che sia proprietario di immobili rustici o urbani, di garanzia ipotecaria» (Cass. n. 9838 del 2021; n. 1517 del 2021; n. 724 del 2021; n. 10117 del 2021; n. 20552 del 2020; n. 3024 del 2020; n. 4792 del 2012; n. 9511 del 2007).
Ne deriva che è pure da escludere che l’eventuale indicazione nel contratto di mutuo di una destinazione delle somme diversa da quella in concreto realizzata possa comportare l’applicazione dei rimedi della nullità (Cass. n. 26770 del 2019; n. 25793 del 2015) o della risoluzione del contratto (Cass. n. 1517 del 2021).
- Né infine può dirsi che la previsione già nel contratto di mutuo ordinario di una destinazione della somma mutuata al ripianamento di debiti determini di per sé una modifica del tipo contrattuale, costituendo essa una semplice esteriorizzazione dei motivi del negozio.
Allo stesso modo, la conoscenza da parte della banca della necessità del mutuatario di estinguere pregresse passività non rende lo scopo comune.
La disciplina del mutuo ordinario di cui agli artt. 1813 ss. c.c. non attribuisce, infatti, alcun rilievo causale alla destinazione della somma mutuata (Cass. n. 8382 del 2022).
Nella conclusione di un contratto di mutuo, gli scopi soggettivi che alimentano la volontà delle parti rimangono al di fuori della struttura del contratto, contrariamente a quanto avviene nel mutuo di scopo. L’utilizzo concreto delle somme da parte del mutuatario risulta in definitiva giuridicamente irrilevante, e, quindi, inidoneo tanto ad inficiare la validità del contratto sotto il profilo della causa, quanto ad influire sul sinallagma contrattuale.
- Il precedente di Cass. n. 12007 del 2024 evocato in memoria dai ricorrenti riguarda il distinto tema del mutuo con pattuizione accessoria di costituzione della somma mutuata in deposito irregolare, il cui svincolo risulta condizionato a quanto pattuito tra le parti; diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non prospetta soluzioni in contrasto con quelle qui accolte con riferimento al mutuo solutorio, ma anzi si muove lungo linee argomentative del tutto coerenti.
La negazione, in quel precedente, che il mutuo con quelle particolari caratteristiche possa costituire valido titolo costitutivo non discende dal mero fatto della riappropriazione delle somme, in capo alla banca, subito dopo l’accredito delle somme date a mutuo sul conto corrente del mutuatario, quanto piuttosto dal fatto che, in quel caso, quella riappropriazione non costituisce effetto (o strumento) di ripianamento di pregresse esposizioni debitorie (che se vi sono rimangono), bensì della costituzione di un deposito cauzionale in virtù di una clausola interpretata, in quella occasione, dalla Terza Sezione come volta a subordinare ad una condizione sospensiva l’effettiva erogazione delle somme date a mutuo (v. sent. cit., pagg. 8 – 12). Si osserva infatti espressamente in tale precedente come, nel caso esaminato, occorresse dare rilievo ad un complesso di pattuizioni che andavano «al di là della mera esistenza di un contratto di mutuo (reale e non meramente obbligatorio) regolarmente perfezionatosi», per stabilire se da esse «risultasse o meno una obbligazione attuale di pagamento di una somma di danaro a carico della debitrice intimata» (sent. cit., pag. 12, par. 2.5).
La questione in relazione alla quale è stato disposto dal Tribunale di Siracusa rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis cod. proc. civ. all’odierna udienza separatamente trattato da queste Sezioni Unite attiene per l’appunto a tale secondo momento del complesso regolamento contrattuale ivi considerato e non interferisce in alcun modo sulla diversa questione qui in esame, la cui soluzione semmai, per certi versi, presuppone.
- Discende dalle superiori considerazioni la risposta, positiva, da dare al secondo quesito. Posto che la destinazione delle somme mutuate al ripianamento di pregresse esposizioni, ancorché immediato e realizzato attraverso una mera operazione contabile c.d. «di giro», non toglie, ma anzi presuppone, che il mutuo si sia perfezionato (con l’accredito delle somme sul conto corrente), ne discende che il contratto medesimo, nella ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 474 c.p.c., costituisce valido titolo esecutivo.
- Il terzo quesito posto dall’ordinanza interlocutoria.
- Come s’è detto, l’ordinanza interlocutoria ─ oltre a domandare la risoluzione del contrasto di giurisprudenza di cui s’è detto ─ chiede «anche» se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, nel caso in cui tale ripianamento sia eseguito dalla banca «autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto secondo quanto lamentano i ricorrenti». I ricorrenti, oltre a richiamare in proprio favore l’orientamento minoritario di cui s’è detto circa la (in)validità del mutuo solutorio, insistono anche (con il primo e il settimo motivo e poi ancora in memoria) sul fatto che non vi fu alcuna disposizione data dalla correntista alla banca circa l’impiego delle somme mutuate per il ripianamento delle pregresse esposizioni, né alcun accordo in tal senso: su questo presupposto il quesito in sostanza chiede se le soluzioni sopra accolte sul tema del mutuo solutorio debbano valere anche nella ipotesi della mancanza di un effettivo consenso del mutuatario alla destinazione delle somme al ripianamento dei debiti pregressi.
- Va subito sottolineato che la mancanza di un tale consenso del mutuatario è prospettata nell’ordinanza interlocutoria solo in via ipotetica, dal momento che la sentenza impugnata muove dalla opposta ricognizione fattuale, vale a dire dal presupposto che un tale consenso nella specie vi sia stato, asseritamente ricavandolo dalla documentazione acquisita.
La prospettazione ipotetica non ha però valore meramente teorico, dal momento che, come detto, tale presupposto fattuale è oggetto di specifica censura nel primo e nel settimo motivo, in relazione al cui esame la risposta da dare al quesito può dunque anche assumere rilievo pratico ai fini della decisione.
- Ciò precisato, appare evidente che la risposta al quesito discende de plano dalle considerazioni sopra svolte intorno al concetto di «disponibilità giuridica» e alla valenza di elemento costitutivo del contratto di mutuo attribuibile all’accredito delle somme su conto corrente.
Come si è detto, tale accredito determina di per sé un effetto non solo contabile ma anche, indissolubilmente, economico e giuridico venendo a costituire posta attiva del patrimonio dell’intestatario del conto, da quella appostazione derivando sempre e comunque un mutamento della complessiva situazione debitoria/creditoria del mutuatario.
È in ciò che si realizza e si esaurisce quella disponibilità giuridica che è necessaria ma anche sufficiente perché possa dirsi perfezionato il contratto di mutuo.
L’atto dispositivo ─ vale a dire l’utilizzo delle somme logicamente anche se non cronologicamente successivo ─ è elemento esterno alla fattispecie legale del contratto di mutuo e non ne condiziona, dunque, il perfezionamento.
È pertanto certamente vero che la disposizione operata dal mutuatario presuppone (e quindi di per sé dimostra) l’acquisita disponibilità giuridica, ma non è vero anche il contrario, che cioè ove pure si dimostri che quella disposizione non provenga dal mutuatario, per ciò stesso si dovrebbe anche escludere che la disponibilità giuridica non fosse stata in precedenza acquisita.
La movimentazione in uscita di somme dal conto corrente bancario operata in assenza di disposizioni in tal senso dell’intestatario è condotta illecita aggredibile, se del caso, dall’interessato, in sé e per sé, con i rimedi restitutori e/o risarcitori appropriati (fermo restando che di contro occorrerebbe anche considerare il venir meno dell’effetto estintivo delle pregresse esposizioni e l’insorgere dell’obbligo di restituire comunque le somme messe a disposizione), ma resta pur sempre fatto distinto dal mutuo e dalla erogazione delle somme che lo ha perfezionato attraverso l’accredito; l’eventuale illiceità di quell’atto non può valere a elidere la realtà effettuale del fatto che lo precede, vale a dire l’accredito e la disponibilità giuridica delle somme che con esso si determina.
- È appena il caso di precisare al riguardo che da tale ipotesi va comunque tenuta distinta quella dell’accredito delle somme mutuate su conto corrente già debitore nei confronti della banca mutuante. In tal caso l’estinzione o la riduzione del saldo debitorio sono effetti algebrici della erogazione delle somme su conto corrente debitore e lo è allo stesso modo il risultato, ex art. 1852 cod. civ., della «materiale» disponibilità da parte del mutuatario solo di quella parte delle somme mutuate eventualmente eccedenti il precedente saldo passivo.
Ciò però non esclude né la effettiva traditio delle somme (dal momento che la disponibilità «giuridica» delle somme è proprio ciò che ha consentito l’estinzione o la riduzione del precedente saldo debitore), né la riferibilità di quella destinazione solutoria al mutuatario, questa essendo coessenziale alla accettazione, al momento della stipula del mutuo, del suo regolamento su conto corrente che il mutuatario, essendone anche l’intestatario, ben sapeva o doveva sapere essere in passivo.
- Principi di diritto Le considerazioni sopra svolte possono riassumersi nei seguenti principi di diritto: «Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale. Anche ove si verifichi tale destinazione, il contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), in presenza dei requisiti previsti dall’art. 474 cod. proc. civ., costituisce valido titolo esecutivo».
VII. Scrutinio dei motivi di ricorso. 1. Alla luce delle considerazioni che precedono sono suscettibili di compiuto scrutinio, già in questa sede, non solo il primo e il secondo motivo di ricorso, cui in particolare fa riferimento l’ordinanza interlocutoria, ma anche il settimo e l’ottavo che, sebbene non espressamente menzionati nell’ordinanza, sono di fatto coinvolti dal quesito così come prospettato e, comunque, dalla sua soluzione.
Il vaglio sopra illustrato delle questioni rimesse a queste Sezioni Unite conduce, invero, ad un giudizio di infondatezza di tutti tali motivi.
- Per le ragioni esposte deve, infatti, negarsi che, ad escludere la traditio, quale momento perfezionativo del mutuo, possano valere sia la natura contabile dell’operazione realizzativa dell’accredito, sia la immediata destinazione delle somme a ripianare debiti nei confronti della mutuante (donde l’infondatezza del secondo motivo di ricorso e anche del primo nella parte in cui è basato sui detti argomenti, nella restante parte il primo motivo prospettando inammissibilmente un vizio di travisamento della prova non nei termini in cui tale vizio è detto deducibile da Cass. Sez. U. 5/03/2024, n. 5792 e comunque ricadente sull’irrilevante accertamento della riferibilità degli atti dispositivi alla mutuataria). 3. L’irrilevanza, nei sensi sopra illustrati, dell’accertamento in ordine alla riferibilità ad atti dispositivi della mutuataria dei versamenti risultanti sul conto in ripianamento di precedenti esposizioni, giustifica anche il rigetto del settimo motivo di ricorso, sebbene sul punto si debba comunque correggere la motivazione della Corte di merito, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ..
Il rigetto del giuramento decisorio deferito dagli appellanti è infatti giustificato in sentenza con due argomenti, entrambi erronei.
3.1. Il primo è rappresentato dalla ritenuta inammissibilità della sua formulazione in quanto, secondo la Corte d’appello, non si può chiedere al delato di «giurare e giurando di affermare o negare essere vero che». L’affermazione è errata non ricavandosi dalle norme alcuna indicazione del genere e dovendosi anzi considerare che la formula alternativa garantisce al giurante la libertà di scelta (cfr. Cass. n. 26027 del 10/12/2014).
3.2. Il secondo argomento utilizzato in sentenza è rappresentato da una valutazione di irrilevanza del mezzo, leggibile a pag. 7, poiché vertente su circostanze «che risultano dagli atti e dai documenti di causa». Anche questa è motivazione giuridicamente erronea atteso che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che va qui ribadito, peculiare al giuramento decisorio, in virtù della sua precipua attitudine ad assicurare un’irreversibile composizione della lite (art. 2738, primo comma, c.c.), è il dovere di ammissione dello stesso pur quando inerente a fatti che, sulla base dei dati istruttori precedentemente acquisiti, risultino già e plausibilmente accertati o esclusi (Cass. 18/06/2019, n. 16216; 17/05/2010, n. 11964; 06/04/2006, n. 8096). 3.3. Il rigetto del giuramento si rivela nondimeno corretto per il suo carattere non decisorio.
Per le considerazioni sopra svolte, infatti, quand’anche dal mezzo istruttorio emergesse il riconoscimento della non riferibilità alla mutuataria degli atti dispositivi in questione, non ne potrebbe derivare comunque alcuna conseguenza invalidante sul contratto di mutuo, la cui contestazione costituiva unico fondamento delle opposizioni proposte in primo grado, non risultando fossero state proposte in riconvenzione anche domande restitutorie o risarcitorie fondate sulla asserita abusività o illegittimità degli atti medesimi.
- Va infine rigettato anche l’ottavo motivo di ricorso, risultando corretta, alla luce dei principi sopra enunciati, la valutazione di irrilevanza della querela di falso in quanto mirata solo a contestare la veridicità della quietanza contenuta nel contratto di mutuo, a fronte del valore sostanziale di effettiva traditio da attribuirsi all’accredito risultante dall’estratto conto.
- Lo scrutinio degli ulteriori motivi esula dalle questioni rimesse a queste Sezioni Unite e la decisione ha quindi carattere indipendente dalla questione per la quale vi è stata la rimessione. Il ricorso va pertanto rimesso alla sezione semplice per la decisione di tali ulteriori motivi (terzo, quarto, quinto, sesto e nono).