Massima
Nato in ambiente anglosassone con struttura bilaterale e disciplinato dal common law, segnatamente con riguardo a fondi rustici, il leasing si è via via diffuso – come operazione economica a carattere variegato, seppure poggiante su uno schema sufficientemente omogeneo – anche in ambienti giuridici di civil law, affiorando alfine come figura soggettivamente trilaterale che vede la combinazione strutturale e soprattutto funzionale di due contratti: una vendita (tra c.d. fornitore e concedente) da un lato, e una locazione del bene acquistato (tra concedente e utilizzatore) dall’altro, con conseguente necessità di verificare gli effetti delle interconnessioni tra i due negozi, massime in termini di tutela dell’utilizzatore (o “lessee”) nei confronti del fornitore infedele, entrambi peraltro legati – ma con contratti distinti (e, dunque, tra loro tecnicamente “terzi”) – alla figura “perno” del concedente (o “lessor”).
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Nella codificazione liberale la combinazione tra locazione e vendita si riscontra in particolare all’art.1597 c.c., in tema di vendita di cosa locata, onde se il proprietario locatore vende la cosa locata, il compratore è tenuto a stare alla locazione (e dunque non può sciogliersi dal contratto), quando tale locazione sia anteriore alla vendita e consti da atto pubblico o scrittura privata di data certa, sempre che il proprietario locatore non si sia riservato il diritto di sciogliere la locazione (e dunque, in sostanza, di recedere) in caso appunto di vendita della cosa locata medesima. La norma ventila dunque, seppure implicitamente, anche la possibilità che la locazione sia – piuttosto che anteriore – posteriore alla vendita e in qualche modo collegata a quest’ultima, onde un terzo acquista per locare al conduttore, o comunque il venditore loca il bene dopo averlo venduto (e dunque non essendone più proprietario), ipotesi nella quale il compratore non è tenuto a stare alla locazione ma può sempre – all’opposto – consentirvi così godendo dei canoni. Lo stesso codice non prevede esplicitamente la possibilità di vendere a rate con riserva di proprietà, ma la giurisprudenza considererà la clausola pacificamente inseribile dalle parti nel contratto di compravendita.
1942
Il codice civile (21 aprile) prevede all’art.1322 la possibilità per i privati di forgiare contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Rilevante sul piano generale l’art.1458, comma 1, laddove – nei contratti ad esecuzione continuata o periodica – in caso di risoluzione del contratto vengono fatte salve le prestazioni già eseguite; rilevante altresì l’art.1420, laddove definisce plurilaterali i contratti con più di due parti in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune. Dal punto di vista dei contratti tipici, rilevano la compravendita (articoli 1470 e seguenti) e a locazione (articoli 1571 e seguenti); significativa anche la disciplina della vendita a rate con riserva di proprietà di cui agli articoli 1523 e seguenti, con particolare riferimento all’art.1526, secondo il cui disposto se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Di rilievo anche l’art.1705, comma 2, in tema di mandato senza rappresentanza, onde i terzi non hanno alcun rapporto col mandante, e tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (e, dunque, del mandatario, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario medesimo dalle disposizioni degli articoli successivi). Infine, significativo anche l’art.2043 sul fatto illecito, nella relativa declinazione che se ne darà quale lesione aquiliana del credito perpetrata da un terzo.
1948
Viene varata la Costituzione repubblicana secondo la quale, ai sensi dell’art.41, l’iniziativa economica privata è libera, non potendosi tuttavia svolgere in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; viene demandato alla legge di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Si tratta di una norma che fonda l’autonomia negoziale dei privati – anche in termini di possibilità di forgiare contratti atipici ai sensi dell’art.1322 c.c. – e, ad un tempo, ne richiama i pertinenti limiti orientati a tutelare interessi costituzionalmente rilevanti sia dal punto di vista individuale che collettivo.
1971
Il 26 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.174, meglio nota come caso “Meroni”, in cui per la prima volta viene riconosciuta la possibilità per un terzo di andare responsabile ex art.2043 c.c. (fatto illecito) laddove vulneri non già solo un diritto assoluto, ma anche un rapporto di debito-credito intercorrente tra terzi: in sostanza, il creditore può essere leso non già solo dall’inadempimento del debitore ex art.1218 c.c., ma anche dal fatto illecito di un terzo ex art.2043 c.c.
1976
Il 2 maggio viene varata la legge n.183, recante disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-80, il cui art.17 si occupa di definire le operazioni di c.d. locazione finanziaria, assumendo tali le locazioni di beni mobili o immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta o indicazione del conduttore (senza la quale, come è ovvio, il locatore non li avrebbe acquistati né fatti costruire), conduttore che ne assume i rischi, con facoltà per il conduttore medesimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito. Viene così recepito nel nostro ordinamento un istituto affine a quello – nato (e disciplinato) in ambiente anglosassone di common law, e segnatamente negli USA – che affonda le proprie radici nell’affitto (lease) di fondo rustico dal concedente (lessor) al relativo utilizzatore (lessee).
1980
Il 19 luglio esce la sentenza del Tribunale di Firenze che assume il leasing configurare un contratto atipico misto che vede presenti elementi della locazione, della vendita con patto di riscatto, del mutuo e del mandato ad acquistare.
1981
Il 4 giugno esce la sentenza del Tribunale di Firenze che riconduce il leasing, nella sostanza, ad una locazione, essendo presente e fondamentale la causa di godimento di un bene per un dato tempo e verso un determinato corrispettivo.
Il 9 luglio esce la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che assume il leasing fare luogo ad un contratto complesso, in cui più contratti tipici si fondono facendo luogo ad una causa nuova ed unica; nel contratto complesso vengono unificati gli effetti dei contratti che in esso confluiscono dissolvendovisi.
1982
Il 31 maggio esce la sentenza del Tribunale di Milano che riconduce il leasing ad una vendita a rate con riserva di proprietà, con conseguente applicabilità dell’art.1526 c.c., onde in caso di inadempimento dell’utilizzatore il concedente è tenuto a restituire i canoni riscossi, salvo il diritto ad un equo compenso ed al risarcimento del danno.
1983
*Il 27 gennaio esce la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che riconduce il leasing, nella sostanza, ad una locazione, essendo presente e fondamentale la causa di godimento di un bene per un dato tempo e verso un determinato corrispettivo.
Il 28 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6390, assai importante, con la quale il leasing viene isolato come contratto autonomo con causa di finanziamento per l’ottenimento della disponibilità di un bene.
1984
*Il 5 marzo esce la sentenza del Tribunale di Vicenza che riconduce il leasing ad una vendita a rate con riserva di proprietà, con conseguente applicabilità dell’art.1526 c.c., onde in caso di inadempimento dell’utilizzatore il concedente è tenuto a restituire i canoni riscossi, salvo il diritto ad un equo compenso ed al risarcimento del danno.
1985
*Il 25 febbraio esce la sentenza del Tribunale di Milano che riconduce il leasing, nella sostanza, ad una locazione, essendo presente e fondamentale la causa di godimento di un bene per un dato tempo e verso un determinato corrispettivo.
*Il 28 febbraio esce la sentenza del Tribunale di Rovereto che assume il leasing fare luogo ad un contratto complesso, in cui più contratti tipici si fondono facendo luogo ad una causa nuova ed unica; nel contratto complesso vengono unificati gli effetti dei contratti che in esso confluiscono dissolvendovisi.
*Il 19 novembre esce la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che riconduce il leasing, nella sostanza, ad una locazione, essendo presente e fondamentale la causa di godimento di un bene per un dato tempo e verso un determinato corrispettivo.
1986
Il 6 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3023 che, nel confermare la causa di finanziamento del leasing – da intendersi come contratto atipico finalizzato ad ottenere la disponibilità immediata di un determinato bene – dichiara applicabile a tale contratto, in ipotesi di eventuale risoluzione, l’art.1458 c.c. (il concedente trattiene i canoni percetti) e non l’art.1526 in tema di vendita a rate con riserva di proprietà (il concedente deve restituire i canoni percetti).
1987
*Il 30 marzo esce la sentenza del Tribunale di Milano che riconduce il leasing, nella sostanza, ad una locazione, essendo presente e fondamentale la causa di godimento di un bene per un dato tempo e verso un determinato corrispettivo.
*Il 30 luglio esce la sentenza del Tribunale di Milano che riconduce il leasing ad una vendita a rate con riserva di proprietà, con conseguente applicabilità dell’art.1526 c.c., onde in caso di inadempimento dell’utilizzatore il concedente è tenuto a restituire i canoni riscossi, salvo il diritto ad un equo compenso ed al risarcimento del danno.
Il 26 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8766 che riconduce il leasing ad una vendita a rate con riserva di proprietà, con conseguente applicabilità dell’art.1526 c.c., onde in caso di inadempimento dell’utilizzatore il concedente è tenuto a restituire i canoni riscossi, salvo il diritto ad un equo compenso ed al risarcimento del danno.
1989
Il 13 dicembre escono le 6 sentenze della I sezione della Cassazione n.5569-5574 che riconoscono – nell’ambito del leasing finanziario – la distinzione, già abbozzata in dottrina, tra il leasing c.d. di godimento o “tradizionale” ed il c.d. leasing traslativo. Si tratta in entrambi i casi di un contratto atipico, che presenta tuttavia cause diverse e, con esse, ricadute diverse specie in termini di effetti della eventuale risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore: nel leasing tradizionale, o di godimento, la vicenda esita normalmente nella conservazione del bene in capo al concedente, limitandosi l’utilizzatore ad usarne e a goderne per un certo tempo (causa di godimento), onde si applica, in caso di inadempimento di quest’ultimo, la disciplina generale di cui all’art.1458 c.c., con possibilità per il concedente di trattenere i canoni medio tempore percetti, senza che si configuri un obbligo di restituirli all’utilizzatore (tenuto anche conto della perdita di valore economico pressoché totale subita dal bene concesso in leasing quale effetto del godimento che ne ha avuto appunto l’utilizzatore); all’opposto, nel leasing traslativo (o “impuro”), la vicenda esita normalmente nell’acquisto del bene (che conserva un certo valore economico) da parte dell’utilizzatore, non limitandosi dunque quest’ultimo – quando esercita la relativa opzione di acquisto finale – ad usarne per un certo tempo, ma acquistandone alfine la proprietà (causa di finanziamento dell’acquisto), onde si applica, in caso di relativo inadempimento, la disciplina di cui all’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà, cui la figura è assimilabile), con conseguente obbligo per il concedente (che trattiene un bene ancora di apprezzabile valore) di restituire all’utilizzatore i canoni medio tempore percetti, salvo il diritto all’equo compenso per l’uso della cosa e al risarcimento del danno. Si tratta di una presa di posizione cui si uniformerà la giurisprudenza successiva, e che tuttavia solleva le critiche della dottrina la quale da un lato rappresenta come i due schemi in cui la Corte ha scisso il leasing (quale contratto atipico unitariamente inteso) appaiono più che altro teorici, presentandosi nella pratica il pertinente contratto in modo abbastanza uniforme, onde si sarebbe al cospetto – nella realtà del mercato italiano – di una struttura immutabile e costante dell’operazione, precisandosi peraltro come il leasing, una volta giunta al termine la pertinente vicenda contrattuale, presenti sempre un bene che ha ancora una porzione di vita economica da sfruttare, con conseguente scarsa affidabilità di un discrimine tra i due modelli affidato al mero rapporto tra prezzo di opzione e valore residuo del bene (in sostanza, si assisterebbe sempre – a fine leasing – ad un bene con valore residuo cui corrisponde il pertinente prezzo di opzione di acquisto). Interessante tuttavia, nella sentenza 5570, l’indicazione che la Corte dà proprio in ordine al discrimen tra le due figure di leasing in parola, agganciandolo alla previsione contrattuale originaria fatta dalle parti ed indicativa della loro volontà concreta, con particolare riguardo a come viene additato – guardando alla scadenza del contratto – il rapporto tra il valore residuo del bene concesso in leasing e il relativo prezzo di opzione per l’utilizzatore: la previsione di una apprezzabile eccedenza di valore del bene è infatti rivelatrice, per la Corte, di una originaria volontà delle parti intesa essenzialmente al trasferimento finale della proprietà del bene ab ovo concesso in (solo) godimento; laddove invece il prezzo di opzione sia più elevato del valore tecnico ed economico ancora espresso dal bene alla scadenza contrattuale, la volontà negoziale deve intendersi sin dal principio orientata al mero godimento del bene da parte dell’utilizzatore, senza finale trasferimento del dominio.
1993
Il 7 gennaio esce la sentenza delle SSUU n. 65 che autorevolmente conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -. La Corte individua peraltro le caratteristiche del leasing di godimento e quelle del leasing traslativo, anche al fine di distinguere le due figure e, di volta in volta, di identificare quella pertinente. Nel leasing di godimento l’impresa concedente funge da intermediario tra utilizzatore del bene e relativo produttore; l’oggetto sono beni od impianti che sono strumentali all’esercizio dell’impresa dell’utilizzatore; il periodo di durata del contratto esaurisce di norma le potenzialità di sfruttamento del bene concesso all’utilizzatore; quest’ultimo si prefigge di soddisfare il proprio interesse ad ottenere la disponibilità di un bene senza dover sborsare subito un capitale ingente, mentre l’interesse che si propone di soddisfare il concedente è impiegare in modo remunerativo il proprio capitale; ed infatti, prendendo a parametro la vita economica del bene, il concedente in leasing predispone un piano di ammortamento del capitale da lui investito per l’acquisto (o la costruzione) del bene e, al termine dell’operazione contrattuale, si vede restituito dall’utilizzatore (che gli paga via via i canoni) l’importo del capitale investito, con in più l’utile dell’operazione ed il rimborso delle spese; il bene resta in proprietà del concedente, così fungendo da garanzia con riguardo al regolare pagamento dei canoni secondo il piano di ammortamento concordato con l’utilizzatore, onde i canoni si qualificano sempre ed in ogni caso come il corrispettivo per il godimento del bene (che identifica la causa principale dell’operazione); al termine dell’operazione di leasing, quando il contratto scade, il bene concesso presenta un valore residuale minimo, con conseguente, del pari minima consistenza del relativo prezzo di acquisto opzionale da parte dell’utilizzatore. Quando il leasing è invece traslativo, le parti indirizzano la loro volontà nel senso del trasferimento finale della proprietà del bene dal concedente all’utilizzatore; muovendo da questa premessa, che peraltro ne identifica il nomen (leasing “traslativo”), l’oggetto del contratto è tutt’affatto peculiare giacché, se l’utilizzatore è un consumatore, si tratta per lo più di beni standardizzati, mentre se l’utilizzatore è un imprenditore, si tratta di impianti o di macchinari che sono strumentali all’esercizio dell’impresa dell’utilizzatore medesimo, ma il cui valore residuo alla scadenza del leasing – dal momento che il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene supera la durata del contratto – è ancora apprezzabile ed è superiore al relativo prezzo di opzione (il che sospinge ovviamente a riscattarli); in coerenza, se si considera l’importo globale dei canoni dovuti, esso corrisponde al valore del bene, in quanto ne costituisce in qualche modo il prezzo di acquisto finale (cui si aggiunge l’utile per il concedente) da parte dell’utilizzatore, onde la funzione principale del contratto è quella di vendere il bene all’utilizzatore facendoglielo acquistare a rate (canoni), con godimento del bene meramente ancillare dal punto di vista funzionale. La volontà delle parti, per come tradottasi nel contratto con le pertinenti clausole, è quella che sospinge nel senso del leasing di godimento tradizionale o nel senso del leasing traslativo “impuro”, e le SSUU individuano tutta una serie di indici che possono indirizzare l’interprete all’uopo, quali la facoltà dell’utilizzatore di chiedere una proroga del contratto, il tipo di professione dell’utilizzatore, come vengono determinati i canoni, il rapporto tra durata del leasing e periodo di obsolescenza del bene dal punto di vista tecnico ed economico, il rapporto tra valore residuo del bene e prezzo di opzione (se il bene ha un elevato valore residuo, ed il prezzo di opzione è basso, è assai probabile che il leasing sia traslativo, e non di godimento), o altre clausole specifiche che si aggiungono o derogano alle condizioni generali di contratto normalmente praticate dal concedente in leasing.
1995
Il 2 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8464, che si sofferma sulla clausola contenuta di regola nel contratto di leasing giusta la quale, per il caso di mancata consegna del bene da parte del (terzo) fornitore all’utilizzatore, viene esclusa la responsabilità del concedente con rischio conseguentemente addossato all’utilizzatore e su di lui trasferito; per la Corte tale clausola va considerata valida.
1996
*Il 6 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10897, che si sofferma sulla clausola contenuta di regola nel contratto di leasing giusta la quale, per il caso di mancata consegna del bene da parte del (terzo) fornitore all’utilizzatore, viene esclusa la responsabilità del concedente con rischio conseguentemente addossato all’utilizzatore; per la Corte tale clausola va considerata valida.
1998
Il 24 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4219, che si sofferma sulla clausola contenuta di regola nel contratto di leasing giusta la quale, per il caso di consegna del bene viziato da parte del (terzo) fornitore all’utilizzatore, viene esclusa la responsabilità del concedente con rischio conseguentemente addossato all’utilizzatore; per la Corte tale clausola va considerata valida, purché tuttavia il contratto di leasing preveda l’attribuzione all’utilizzatore delle azioni, spettanti al concedente, di garanzia per i vizi della cosa venduta derivanti dalla compravendita intercorsa tra fornitore e concedente.
Il 2 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10926 che muove dalla causa del contratto di leasing, negando che essa si compendi nel puro e semplice acquisto del bene, immediato, da parte del concedente (per derivazione dal fornitore) e nel futuro acquisto da parte dell’utilizzatore (ove previsto), quanto piuttosto nel godimento per un determinato periodo del ridetto bene, quale oggetto del contratto. Per la Corte è obbligo del concedente quello di consegnare la cosa locata all’utilizzatore e di consentirne l’utilizzo secondo l’uso convenuto, onde, se tale obbligazione non viene adempiuta, è legittimo il rifiuto dell’utilizzatore di versare i canoni; né può essere prevista una clausola di esonero dalla responsabilità del concedente per l’inadempimento del fornitore (in termini di consegna del bene), in quanto si tratterebbe di clausola nulla da assumere in contrasto con l’art.1460 c.c.. Laddove dunque il contratto di fornitura (vendita o appalto) intercorrente tra fornitore e concedente (lessor) resti inadempiuto, o non esattamente adempiuto, massime in termini di mancata o difettosa consegna del bene, tale contratto si risolve e tale scioglimento determina, a cascata, lo scioglimento anche del contratto di leasing – che lo presuppone – per impossibilità sopravvenuta ex art.1463 c.c.
1999
Il 21 dicembre esce la sentenza della Corte d’Appello di Milano che si occupa del caso in cui nel contratto di leasing tra concedente ed utilizzatore venga prevista una clausola che addossa il rischio della mancata consegna del bene da parte del (terzo) fornitore all’utilizzatore, con conseguente necessità per quest’ultimo di continuare in ogni caso a versare al concedente l’importo dei canoni: si tratta di una clausola illegittima, in quanto capace di inammissibilmente snaturare lo scopo del collegamento negoziale voluto tra le parti, palesandosi vana la strumentalità dell’adempimento del fornitore agli scopi divisati dalle parti medesime, in sostanza idonea a legittimare un contegno non in buona fede.
2000
*Il 13 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15762, che si sofferma sulla clausola contenuta di regola nel contratto di leasing giusta la quale, per il caso di consegna del bene viziato da parte del (terzo) fornitore all’utilizzatore, viene esclusa la responsabilità del concedente con rischio conseguentemente addossato all’utilizzatore; per la Corte tale clausola va considerata valida, purché tuttavia il contratto di leasing preveda l’attribuzione all’utilizzatore delle azioni, spettanti al concedente, di garanzia per i vizi della cosa venduta derivanti dalla compravendita intercorsa tra fornitore e concedente.
2001
*Il 30 luglio esce la sentenza del Tar Umbria n.412 che assume il leasing fare luogo ad un contratto complesso, in cui più contratti tipici si fondono facendo luogo ad una causa nuova ed unica; nel contratto complesso vengono unificati gli effetti dei contratti che in esso confluiscono dissolvendovisi.
2003
*Il 20 gennaio esce la sentenza del Tribunale di Nuoro che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
Il 18 luglio vede la luce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11240 che si occupa dell’ipotesi in cui su una fattispecie di collegamento negoziale e dunque di assetto di interessi globalmente inteso, siccome divisato dalle parti dei contratti collegati, venga ad incidere una cessione del contratto, con possibilità di una alterazione del ridetto assetto di interessi. Il problema si pone alla Corte in un caso di leasing finanziario che coinvolge concedente (lessor) ed utilizzatore (lessee) e che è collegato ad un contratto c.d. di flessibilità avente ad oggetto un patto di riscatto anticipato e che consente all’utilizzatore di acquisire subito il bene riscattandolo immediatamente; nel caso di specie, a cedere il contratto è il lessor, che tuttavia non cede anche il collegato contratto di flessibilità, sicché quando l’utilizzatore (ceduto) chiede al nuovo lessor (cessionario) il riscatto anticipato, quegli si oppone. La Corte, chiamata a risolvere il caso, premette che il collegamento negoziale non fa luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, configurando piuttosto un meccanismo giusta il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso realizzato non già attraverso un contratto isolato, quanto piuttosto mediante una pluralità di contratti coordinati tra loro che conservano una propria causa autonoma; nella fattispecie, i canoni periodici a carico dell’utilizzatore hanno una consistenza tale da rappresentare dal punto di vista economico, rate di prezzo corrispondenti al valore capitale del bene concesso in leasing, onde – pur trovandosi al cospetto di contratti formalmente autonomi – il lessor originario e l’utlilizzatore hanno avvinto con un collegamento il contratto di leasing e quello c.d. di flessibilità (con possibilità di riscatto anticipato del bene da parte dell’utilizzatore). Proprio per questo motivo, per la Corte trova nel caso di specie applicazione il principio onde le vicende di un contratto si comunicano necessariamente all’altro, onde sullo specifico crinale della cessione è impossibile cedere il contratto di leasing indipendentemente da quello, collegato (c.d. contratto di flessibilità), che prevede il diritto dell’utilizzatore di chiedere il riscatto anticipato. Per la Corte, la cessione del solo contratto di leasing, operando la scissione del godimento della proprietà (dal lessor cedente a quello nuovo cessionario), altererebbe le modalità di esercizio del patto di riscatto ed inciderebbe sulla posizione dell’utilizzatore ceduto al punto che il medesimo, pur dopo aver esercitato nei confronti del lessor cedente il riscatto ed avere per conseguenza acquistato la proprietà del bene, dovrebbe comunque continuare a pagare i canoni di godimento al lessor cessionario. In sostanza, la Corte sembra dire che laddove il contratto oggetto di cessione sia collegato ad altre posizioni contrattuali, il fatto che si tratti di una realtà giuridica complessa finisce con l’incidere sull’intera operazione, sia in termini di acquisizione del consenso globale del contraente ceduto, sia in termini di cessione globale dei contratti tra loro collegati, a differenza del caso di specie in cui, pur al cospetto di un conclamato collegamento negoziale, è stata ceduta solo una delle posizioni contrattuali “frazione” dell’operazione complessa frutto del collegamento ridetto. In sostanza dunque in presenza di negozi collegati il principio di immutabilità dell’oggetto della cessione sembra coinvolgere non già ciascun singolo contratto collegato ad altri, quanto piuttosto l’intera gamma dei contratti base stipulati in connessione tra loro.
*Il 5 agosto esce la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
*Il 28 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.18229 che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
2004
*Il 26 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6044, che si sofferma sulla clausola contenuta di regola nel contratto di leasing giusta la quale, per il caso di consegna del bene viziato da parte del (terzo) fornitore all’utilizzatore, viene esclusa la responsabilità del concedente con rischio conseguentemente addossato all’utilizzatore; per la Corte tale clausola va considerata valida, purché tuttavia il contratto di leasing preveda l’attribuzione all’utilizzatore delle azioni, spettanti al concedente, di garanzia per i vizi della cosa venduta derivanti dalla compravendita intercorsa tra fornitore e concedente.
*Il 29 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6188 che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
Il 2 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14786 che riconosce nel leasing una fattispecie di vero e proprio collegamento negoziale tecnicamente inteso: l’obiettivo – di stampo economico unitario – è quello di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad avere a disposizione il bene e goderne, onde il leasing o è una fattispecie di contratti collegati o “non è” (c.d. collegamento necessario); da ciò discende che laddove la vendita (o l’appalto) sia annullata, dichiarata nulla, risolta o rescissa, la relativa caducazione travolge anche il leasing che su di essa si appoggia; inoltre, l’utilizzatore deve assumersi legittimato ad agire in via diretta (e non in via surrogatoria, “passando” per il debitore concedente, che ne è creditore) nei confronti del venditore (o dell’appaltatore), dovendo solo ottenere il consenso del concedente laddove l’azione verso il venditore (o l’appaltatore) sia non già “manutentiva”, ma demolitoria e dunque intesa a risolvere il contratto di vendita (o di appalto), che avvince in via diretta (seppure collegata) i soli venditore (appaltatore) e concedente;
2005
Il 5 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.17767 onde, nell’ipotesi in cui l’utilizzatore (lessee) prescelga, oltre al bene, anche la persona che dovrà fornirglielo (fornitore), e sia stabilito nel contratto di leasing con il concedente (lessor) che il fornitore consegni direttamente il bene all’utilizzatore medesimo, l’obbligazione del concedente diviene solo quella di concludere il contratto di vendita con il fornitore giusta impiego del pertinente capitale per l’acquisto, mentre l’obbligazione di consegna del bene sulla base del contratto di vendita (tra fornitore e concedente) va adempiuta dal fornitore nei confronti direttamente dell’utilizzatore (e non già del concedente, controparte contrattuale). In tali fattispecie, per la Corte l’eventuale clausola di esonero di responsabilità del concedente per inadempimento del (terzo) fornitore, contenuta nel contratto di leasing, non presenta tecnicamente la funzione di stabilire un vero e proprio esonero di responsabilità, gravando in questo caso sul concedente il solo obbligo (giusta la conclusione della compravendita col fornitore) di determinare a propria volta in capo al fornitore (venditore) l’obbligo di consegnare il bene direttamente all’utilizzatore. Quest’ultimo, prosegue la Corte, pur non potendo far valere nei confronti del concedente il diritto alla consegna del bene ed anche alla possibilità di farne uso secondo la relativa destinazione, non resta tuttavia privo di tutela potendo esercitare nei confronti del fornitore, in via diretta e non già surrogatoria (in quest’ultimo caso, agirebbe come creditore del concedente, a propria volta creditore del fornitore) le azioni intese ad ottenere l’adempimento o il risarcimento dei danni in caso di inadempimento. Per la Corte finisce infatti col realizzarsi, nella conclusione del contratto di fornitura (vendita tra fornitore e concedente) in rapporto a quello di leasing, quella medesima scissione di posizioni nei confronti del terzo contraente (l’utilizzatore) che si presenta nel caso di contratti conclusi dal mandatario (nella fattispecie, il concedente) in nome proprio e nell’interesse del mandante (nella fattispecie, l’utilizzatore), vale a dire nel mandato senza rappresentanza, art.1705, comma 2, c.c., con conseguente azione diretta riconosciuta al mandante (utilizzatore) nei confronti del terzo (fornitore).
*Il 12 ottobre esce la sentenza della Corte d’Appello di Bari che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
2006
Il 9 gennaio viene varato il decreto legislativo n.5 che, con l’art.58, comma 1, introduce nel r.d. 267.42, c.d. legge fallimentare, l’art.72 quater dedicato alla locazione finanziaria, alla quale si applica, in caso di fallimento dell’utilizzatore, il precedente articolo 72. Se e’ disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore (dell’utilizzatore) dichiari di volersi sciogliere dal contratto, fattispecie quest’ultima (scioglimento del contratto) in cui il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed e’ tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza – in positivo – fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica invece l’articolo 67, terzo comma, lettera a), onde è esclusa la revocatoria fallimentare per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso (in sostanza, per il leasing si tratta dei canoni già pagati dall’utilizzatore). Il concedente ha poi diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza – se negativa – fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. In caso opposto di fallimento delle società di locazione finanziaria, il contratto prosegue e l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito.
*Il 15 giugno esce la sentenza del Tribunale di Roma che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
2007
Il 12 settembre viene varato il decreto legislativo n.169 che incide sull’art.72 quater, comma 2, del r.d. 267.42 in tema di fallimento dell’utilizzatore nel contratto di leasing, onde in caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed e’ tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale, purché tuttavia – si specifica innovativamente – la vendita o la differente collocazione siano avvenute ai valori di mercato.
2008
*Il 23 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13418 che conferma la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, è applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applica, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -.
2009
Il 5 maggio esce la sentenza del Tribunale di Monza alla cui stregua, nel caso in cui concedente ed utilizzatore prevedano in seno al contratto di leasing la clausola onde il rischio del furto è a carico dell’utilizzatore, il quale dovrà comunque corrispondere i canoni residui, tale clausola non può assumersi vessatoria.
Il 17 giugno esce la sentenza del Tribunale di Milano che – andando in contrario avviso rispetto alla giurisprudenza dominante – sconfessa la distinzione tra leasing tradizionale con causa di godimento – laddove, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di conseguente risoluzione del contratto, sarebbe applicabile l’art.1458 c.c. (i canoni percetti vengono trattenuti dal concedente) – ed il leasing c.d. impuro, con causa di finanziamento dell’acquisto del bene concesso – laddove invece alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applicherebbe, quanto a relativi effetti, l’art.1526 c.c. (vendita a rate con riserva di proprietà: i canoni percetti debbono essere restituiti all’utilizzatore che li ha medio tempore versati) -. Per il Tribunale meneghino, ogni tipo di leasing presenta in realtà una sottostante causa di finanziamento lecita e meritevole di tutela, sia che l’obiettivo dell’utilizzatore sia quello di godere del bene, sia che invece sia quello di acquistarlo al termine della pertinente vicenda contrattuale.
2010
Il 13 agosto viene varato il decreto legislativo n.141 che, novellando il Testo Unico Bancario n.385.93, vi aggiunge un articolo 125 quinquies dedicato all’inadempimento del fornitore dei beni nei contratti di credito collegati: in tale eventualità (inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito stipulato con il finanziatore (ad esempio, una banca), se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile e dunque l’inadempimento si palesa di non scarsa importanza. La risoluzione del contratto di credito comporta peraltro l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato, mentre non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato da questi già versato al fornitore dei beni o dei servizi, e ciò in quanto il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso. Il comma 3 disciplina peraltro proprio la locazione finanziaria (leasing): in questa fattispecie il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto; la richiesta (risolutoria) al fornitore determina peraltro la sospensione del pagamento dei canoni. La risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria, riverberandosi dunque su di esso, con applicazione delle diposizioni che regolano – in caso appunto di risoluzione – i rapporti tra finanziatore e utilizzatore-consumatore nei contratti di credito collegati (di cui sopra). I diritti previsti da queste disposizioni nei confronti del finanziatore possono peraltro essere fatti valere anche nei confronti del terzo al quale quest’ultimo abbia eventualmente ceduto i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito.
2015
Ottobre
Il 5 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.19785, alla cui stregua tra i negozi di vendita (o appalto) da una parte e di leasing dall’altra si configura un indispensabile collegamento, e ciò in quanto la vendita (o l’appalto) vengono stipulati in funzione della successiva concessione in leasing del bene acquistato dal concedente (a mezzo vendita o a mezzo realizzazione appaltata), mentre per parte sua il leasing, o locazione finanziaria, presuppone che il concedente (lessor) si sia procurato il bene che concede poi in godimento all’utilizzatore (lessee); resta però il fatto – per la Corte – che i due negozi sono sostanzialmente autonomi: solo il concedente è parte di entrambi, mentre da un lato l’utilizzatore è terzo rispetto al contratto di fornitura (vendita o appalto) intercorrente tra fornitore e concedente, e dall’altro il concedente è terzo rispetto al contratto di leasing o locazione finanziaria, che interviene tra concedente ed utilizzatore.
La vicenda deve assumersi, per le SSUU, non additabile quale contratto plurilaterale ex art.1420 c.c., configurando piuttosto un collegamento negoziale in cui le parti dei rispettivi negozi – che restano contratti distinti – gestiscono i ridetti negozi assecondando le rispettive funzioni o cause, ed assegnando rilevanza giuridica non già a tutte le possibili interdipendenze, ma a quelle sole dalle quali in concreto dipende l’attuazione della divisata operazione economica unitaria: tale rilevanza giuridica si ottiene mediante apposite clausole previste dalle parti ed inserite in ciascuno dei due contratti giuridicamente bilaterali volontariamente avvinti tra loro dalle parti medesime proprio attraverso tali specifiche clausole. I due contratti, corredati dalle ridette, specifiche clausole che li legano, restano tuttavia strutturalmente bilaterali, connettendo da un lato il fornitore ed il concedente, e dall’altro il concedente e l’utilizzatore. Il collegamento tra i due contratti – prosegue la Corte – può tuttavia talvolta essere esaltato giusta partecipazione dell’utilizzatore al contratto (vendita o appalto) che lega il fornitore al concedente, ed al quale quegli sarebbe estraneo, così facendosi luogo ad una vendita (o ad un appalto) produttivo di taluni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza che all’uopo occorra ipotizzare – all’interno del contratto di leasing – un mandato implicito inteso ad assicurare quei diritti di azione che il codice (art.1705, comma 2, c.c.) riconosce al mandante senza rappresentanza (nella specie, l’utilizzatore appunto) nei confronti del terzo (nella specie, il fornitore) che ha contratto con il mandatario senza procura (nella specie, il concedente). Il problema si pone invece quando non solo l’utilizzatore non partecipa al contratto tra fornitore e concedente, ma lo stesso contratto di leasing che lo avvince (come utilizzatore) al concedente non prevede – nel caso dei vizi della cosa locata – il trasferimento in capo all’utilizzatore della posizione contrattuale del concedente, mancando dunque apposita clausola che gli consenta di agire direttamente verso il fornitore infedele: ciò viene escluso dal c.d. principio di relatività del contratto ex art.1372 c.c. onde, in difetto di apposita clausola all’uopo, l’utilizzatore non potrebbe agire per la risoluzione della vendita nei confronti del fornitore in via diretta, stante come egli non sia parte del contratto di vendita intervenuto tra fornitore e concedente, atteggiantesi dunque rispetto a lui a res inter alios acta. Per le SSUU tale possibilità di azione diretta sarebbe predicabile laddove si scorgesse nel leasing una ipotesi di collegamento negoziale necessario o in senso tecnico, onde la fattispecie sarebbe necessariamente da considerarsi nella relativa unitarietà (in altri termini, o è “trina” o non è): all’uopo occorrerebbe tuttavia la presenza tanto di un requisito oggettivo – un indefettibile nesso teleologico tra tutti i negozi coinvolti nell’operazione, sotto la cui egida le parti regolamentano i propri interessi con negozi distinti, e tuttavia avendo tutti di mira una finalità pratica ed un assetto economico, globalmente inteso, di tipo unitario (e non parcellizzato come sembrerebbe a prima vista affiorare dalla pluralità dei negozi utilizzati) – quanto di un requisito soggettivo, onde le parti si prefiggono un comune intento pratico volendo non già solo la produzione del singolo effetto tipicamente riconducibile a ciascuno dei negozi posti in essere dal punto di vista concreto, ma anche il coordinamento tra tali negozi per la realizzazione di un fine ulteriore, voluto da tutti, che supera gli effetti tipici di ciascun singolo negozio posto in essere per sublimarsi, anche dal punto di vista causale, in una autonomia propria, specifica ed assorbente. Tanto premesso, per le SSUU il nesso tra vendita e leasing esiste, ma non è di tipo “tecnico” o necessario, per come dianzi precisato, affiorando in ogni caso una palpabile distinzione tra i due contratti che strutturano la complessiva operazione: in sostanza, esiste il nesso obiettivo di tipo economico e teleologico tra i due negozi (vendita o appalto e concessione in leasing) ma – ai fini della configurabilità di un vero e proprio collegamento tecnico o necessario – difetta il nesso soggettivo, da assumersi quale intenzione delle parti di collegare i vari negozi coagulandoli attorno ad uno scopo comune: esemplificando, il fornitore (ma si potrebbero fare discorsi analoghi per tutte le parti dei singoli negozi, in relazione all’interesse perseguito da ciascuna di esse) si determina alla vendita al concedente non già in funzione della circostanza che quest’ultimo concederà per l’appunto il bene acquistato in leasing ad un terzo (l’utilizzatore), ma esclusivamente in funzione del prezzo che viene a ricevere come corrispettivo della vendita posta in essere, con la conseguenza onde si è al cospetto di una tipica causa di compravendita nel cui contesto il fornitore vuole vendere il bene per soddisfare il proprio interesse ad un prezzo, in disparte cosa farà poi il concedente-acquirente con il bene acquistato, e ciò quand’anche il fornitore sappia (come normalmente sa) che il bene venduto verrà concesso in leasing ad un utilizzatore. Prova della bontà del proprio ragionamento le SSUU ritraggono anche dall’art.125 quinquies del TU in materia bancaria e creditizia n.385.93, il cui comma 3, proprio nella fattispecie del leasing, prevede che l’utilizzatore – che pure può mettere in mora il fornitore inadempiente – non può tuttavia agire lui direttamente per la risoluzione di un contratto (quello con il finanziatore concedente-acquirente) al quale non ha partecipato, ma può solo chiedere al concedente-acquirente finanziatore di agire lui nei confronti del fornitore infedele per la risoluzione del contratto, con contestuale sospensione del pagamento dei canoni e risoluzione di diritto anche del contratto di leasing “a cascata” laddove, a valle dell’iniziativa del concedente-finanziatore, venga risolto il contratto stipulato da questi con il fornitore. Escluso dunque che l’utilizzatore possa agire direttamente nei confronti del fornitore per far valere la garanzia risolutoria relativa ai vizi della cosa consegnata (anche limitatamente alla eventuale riduzione del prezzo, che è rimedio sinallagmatico e che, come tale, potrebbe essere attivata dal solo concedente, andando essa a modificare l’assetto di scambio scolpito nel contratto di vendita stipulato da questi con il fornitore), le SSUU raggiungono una prima conclusione nel senso onde il collegamento negoziale, nelle operazione di leasing, pur presente, non ha natura tecnica o necessaria con la conseguenza onde, seppure tale collegamento facoltativo consente – in ottica manutentiva – all’utilizzatore di far valere direttamente la propria pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre al risarcimento del danno, lo stesso collegamento facoltativo non consente invece all’utilizzatore – in difetto di specifiche clausole previste all’uopo ed idonee a trasferire all’utilizzatore medesimo la posizione contrattuale del concedente – di agire direttamente nei confronti del fornitore in ottica demolitoria, e dunque per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo dovuto dal concedente. Nel caso specifico dei vizi della cosa data in leasing, per le SSUU – sulla scorta di quanto sin qui rilevato – laddove tali vizi siano stati immediatamente riconoscibili dall’utilizzatore, la fattispecie è analoga a quella della mancata consegna (su iniziativa del fornitore) del bene pertinente, dal momento che l’utilizzatore – riscontrati i ridetti vizi palesi – non accetta la consegna del bene perché inidoneo a soddisfare il relativo interesse al godimento e all’uso, informandone il concedente che, reso edotto, ha l’obbligo (e non la mera facoltà) di sospendere il pagamento del prezzo nei confronti del fornitore infedele e successivamente – in caso di acclarato inadempimento di non scarsa importanza – di esercitare l’azione di risoluzione del contratto di fornitura, che ricade in termini parimenti risolutori sul collegato contratto di leasing; resta fermo che se il concedente non sospende i pagamenti al fornitore, non può pretendere che i pagamenti fatti siano poi posti a carico dell’utilizzatore, stante la necessità per lui di rispettare il canone della buona fede contrattuale adottando ogni cautela idonea a preservare l’interesse della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio. Laddove invece i vizi siano occulti o siano stati occultati dal fornitore (in mala fede), il bene viene accettato dall’utilizzatore con verbale di consegna, ed i vizi affiorano solo successivamente: in questa fattispecie, sulla base di quanto dalla Corte premesso ex ante ed in via generale, occorre distinguere l’ottica manutentiva del contratto, onde l’utilizzatore può agire direttamente nei confronti del fornitore per chiedere l’adempimento e dunque l’eliminazione dei vizi e la sostituzione della cosa viziata (ma non anche la riduzione del prezzo); dall’ottica risolutiva in cui, ancora una volta, unico legittimato ad agire è invece il concedente, controparte contrattuale del fornitore, il quale peraltro una volta informato – sempre in virtù del necessario rispetto del canone di buona fede contrattuale – è obbligato (non si tratta dunque di una facoltà) sospendere il pagamento del bene al fornitore e a chiedere la risoluzione del pertinente contratto (di fornitura), dalla quale scaturisce poi la risoluzione anche del collegato contatto di leasing. Le SSUU chiariscono infine, su altro crinale, che l’utilizzatore può sempre agire direttamente ex art.2043 c.c. nei confronti del fornitore per quanto concerne la richiesta di risarcimento dei danni (comprensivi fra l’altro dei canoni pagati al concedente durante il godimento del bene viziato), e ciò sulla base della tutela aquiliana del credito: il fornitore, terzo rispetto al contratto di leasing, consegnando un bene viziato finisce infatti con il ledere il credito vantato dall’utilizzatore (lessee) nei confronti del concedente (lessor) al godimento di una cosa non viziata.
Il 28 dicembre viene varata la legge n.208, legge di stabilità per il 2016, il cui articolo 1, comma 76-81, disciplina il c.d. leasing immobiliare, laddove il leasing abbia ad oggetto immobili da adibire ad uso abitativo di abitazione principale, con particolare riguardo ai relativi aspetti civilistici. In particolare, alla stregua di quanto previsto dal comma 76, con il contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale, la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire l’immobile su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che se ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo mette a disposizione per un dato tempo dell’utilizzatore medesimo verso un determinato corrispettivo che tenga conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito. All’acquisto dell’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria – secondo il successivo comma 77 – si applica l’articolo 67, terzo comma, lettera a), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (è esclusa la revocatoria fallimentare per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso). Ancora, alla stregua del comma 78 in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed e’ tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto (all’opposto, l’eventuale differenza negativa e’ corrisposta dall’utilizzatore al concedente); nelle attività di vendita e ricollocazione del bene la banca o l’intermediario finanziario deve attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore. E’ anche previsto (comma 79) che l’utilizzatore possa invocare, previa presentazione di apposita richiesta al concedente, la sospensione del pagamento dei corrispettivi periodici per non più di una volta e per un periodo massimo complessivo non superiore a dodici mesi nel corso dell’esecuzione del contratto medesimo, eventualità nella quale la durata del contratto e’ prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione; l’ammissione al beneficio della sospensione viene peraltro subordinata esclusivamente all’accadimento di almeno uno dei seguenti eventi, intervenuti successivamente alla stipula del contratto: a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa; b) cessazione dei rapporti di lavoro di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile (collaborazione coordinata e continuativa), ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa. Al termine della sospensione, alla stregua del comma 80, il pagamento dei corrispettivi periodici riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti per la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo; in caso di mancata ripresa dei pagamenti si applicano le disposizioni del comma 78 sulla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore. La sospensione, infine, non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria e avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive. Importante anche il comma 81 alla cui stregua per il rilascio dell’immobile il concedente può agire con il procedimento per convalida di sfratto (di cui al libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura civile).
2017
Il 4 agosto viene varata la legge n.124, legge annuale per il mercato e la concorrenza, il cui articolo 1, comma 136-140 detta una disciplina tipica per leasing. Più in particolare, secondo il comma 136 per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico bancario 385.93 si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprieta’ del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo; secondo il successivo comma 137, costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria. Secondo poi il comma 138, in caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la relativa conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene e’ inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore; peraltro, ai fini di cui al comma 138, il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene (una sorta di vendita “in danno”) sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati, e quando non e’ possibile far riferimento ai predetti valori, procede alla vendita sulla base di una stima effettuata da un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione. Il perito e’ considerato indipendente quando non e’ legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio. Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore. Infine, al comma 140 viene mantenuta ferma la disciplina di cui all’art.72.quater della legge fallimentare, r.d. 267.42, per il caso di fallimento dell’utilizzatore.
2018
Il 29 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 2100 che, sulla scorta della precedente giurisprudenza, afferma che la locazione finanziaria realizza non già un unico vincolo contrattuale di natura trilaterale, bensì 2 negozi tra loro funzionalmente collegati: da un lato, infatti, vi è il contratto di compravendita fra fornitore e concedente, e dall’altro il contratto locativo vero e proprio fra quest’ultimo e l’utilizzatore finale, nei cui confronti il fornitore non assume alcun impegno diretto, configurandosi così l’acquisto del bene non soltanto come un atto giuridico strumentale alla successiva concessione in godimento, ma anche come l’evento che logicamente deve precedere l’attribuzione all’utilizzatore della detenzione del bene stesso. La consegna costituisce così, al contempo, l’adempimento dell’obbligazione del fornitore nei confronti dell’acquirente del bene venduto e l’esecuzione, da parte dello stesso fornitore, di un incarico di mandato commessogli dal concedente nei confronti dell’utilizzatore, che del primo è creditore in forza del contratto di locazione finanziaria. Date tali premesse, la Corte conclude che la consegna del bene che il fornitore effettua all’utilizzatore, in adempimento dell’obbligazione assunta direttamente con il concedente, deve intendersi eseguita ad un adiectus solutionis causa di quest’ultimo. Se peraltro è noto che per l’operatività del meccanismo descritto dall’art. 1153, comma 1, cod. civ. per l’acquisto del bene secondo la regola “possesso vale titolo” è necessaria la consegna reale del bene da parte dall’alienante, ciò non significa, tuttavia, che sia necessario anche un contatto fisico e diretto dell’acquirente con il bene, rilevando unicamente che l’acquirente, ad esclusione di altri, sia posto in grado di esercitare sul bene i poteri di controllo e vigilanza che costituiscono il contenuto proprio del possesso uti dominus trasmessogli dal dante causa a titolo particolare. È pertanto sufficiente – chiosa la Cassazione – che la traditio spieghi i propri effetti nella sfera giuridica dell’acquirente. Facendo applicazione di tale regola al rapporto di locazione finanziaria, è dunque ben possibile, ai fini dell’applicazione della regola “possesso vale titolo“, che la consegna sia effettuata all’utilizzatore, da parte del fornitore, nella ridetta veste di adiectus solutionis causa dell’acquirente – concedente, dovendosi poi valutare se quest’ultimo abbia potuto esercitare i poteri di controllo e vigilanza caratteristici della potestà dominicale; tale, del resto, è la ragione per la quale, nell’ambito del medesimo tipo contrattuale, la giurisprudenza afferma che anche lo stato di buona fede al momento della consegna dev’essere valutato con riferimento al concedente.
Il 19 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 3949 che, applicando le regole generali in tema di inadempimento contrattuale, afferma come nell’ipotesi di mancato pagamento dei canoni di leasing il creditore possa far valere in giudizio il credito vantato allegando l’inadempimento del debitore alle scadenze prefissate, e restando onere di quest’ultimo dimostrare di aver adempiuto.
Il 10 magio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 11259 sulla vessatorietà di clausole del contratto di leasing. In particolare la Corte, ritenendo applicabile il codice del consumo ai contratti di leasing stipulati tra un professionista ed un consumatore, non ritiene vessatoria la clausola che prevede il trasferimento dei rischi della perdita del veicolo in capo al conduttore e l’obbligo di questi di corrispondere i canoni dovuti e a scadere successivamente all’evento dannoso.
Il 16 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 11962 che, in caso di risoluzione di un contratto di leasing, riconosce rientrare nei poteri del giudice delegato, a norma degli art. 25, comma 1, n. 8 e 92 ss. legge fallimentare, provvedere alla determinazione dell’equo compenso per l’uso della cosa, ai sensi dell’art. 1526 c.c., ove il creditore richieda il corrispondente importo con domanda di ammissione allo stato passivo fallimentare.
Il 12 luglio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.18326 che si occupa del tema dei rapporti tra leasing traslativo e clausole penali. La Corta rammenta come nella propria giurisprudenza sia stato più volte affermato che l’applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, ma inderogabile, comportando in linea generale, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni corrisposti salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni (viene citata Cass. Sez. 3 12/09/2014, n. 19272; Cass. Sez. 3 27/09/2011, n. 19732; Cass. Sez. 3 29/03/1996, n. 2909). E’ stato altresì precisato – chiosa ancora la Corte – che la clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente, la cui previsione convenzionale è contemplata dallo stesso art. 1526 c.c., comma 2, con eventuale facoltà per il giudice di ridurre l’indennità convenuta “secondo le circostanze“, sia da qualificarsi come clausola penale in quanto volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e che l’operatività della penale medesima sia rimessa esclusivamente all’iniziativa di parte (così, v. Cass. Sez. 3 12/09/2014, n. 19272). In tale ambito, prosegue la Corte, è stato chiarito che le clausole che attribuiscono alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso del bene, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli di cui essa aveva diritto, potendo configurare un assetto convenzionale manifestamente eccessivo rispetto all’interesse del creditore di cui all’art.1384 c.c. In particolare, nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, il controllo da parte del giudice consiste nel comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto; al fine di evitare che clausole penali nel contratto di leasing traslativo attribuiscano al concedente vantaggi eccessivi, sono state indicate una serie di sintomatiche correzioni convenzionali le quali consentano all’utilizzatore inadempiente – una volta restituito l’intero importo del finanziamento – o il diritto di recuperare proprietà e disponibilità del bene oggetto di leasing in termini prestabiliti e precisi oppure il diritto di imputare il valore del bene alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere, ove così le parti abbiano convenzionalmente stabilito e sempre che le relative scelte siano concordate e non rimesse all’arbitrio dell’una o dell’altra di esse (Cass. 17/01/2014 n. 888; Cass. Sez. 3 13/01/2005, n. 574). Nel caso di specie – precisa ancora il Collegio – la Corte di appello, condividendo quanto affermato dal giudice di prime cure, ha in primo luogo – in conformità con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra ricordato- ritenuto che al contratto di leasing traslativo in oggetto fosse applicabile analogicamente l’art.1526 c.c. previsto in tema di vendita con riscatto di proprietà; ha ritenuto in secondo luogo, seppure con espressione poco felice, che detta applicazione non fosse tuttavia «automatica», in realtà intendendo e, per questo, applicando correttamente la norma di cui si lamenta qui la violazione, valutare in concreto la clausola penale concordata tra le parti, concludendo nel ritenere, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità (se non per violazione dei criteri ermeneutici ovvero per vizio di motivazione), che la volontà delle parti avesse inteso riequilibrare l’assetto dei diversi interessi contrapposti attraverso un meccanismo quale quello in esame – consentito dall’art. 1526 comma 2 c.c. e ritenuto conforme dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata – che prevede, per un verso, la irripetibilità dei canoni versati dall’utilizzatore e, per l’altro, il riconoscimento all’utilizzatore medesimo inadempiente del diritto di imputare il valore dell’immobile alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere.
Il 25 ottobre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.27162 alla cui stregua, in primo luogo, va ribadito come il diritto di prendere parte all’assemblea ed il potere di impugnare le deliberazioni condominiali competono, per il disposto dell’art. 1137 c.c. (ma si veda anche l’art. 67 disp. att. c.c.) ai soli titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, e ciò anche in caso di locazione della singola unità immobiliare, salvo che per le delibere relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, per le quali, ai sensi dell’art. 10, comma 1, legge n. 27 luglio 1978, n. 392, la decisione e, conseguentemente, la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, sono attribuite ai conduttori (Cass. Sez. 2, 23/01/2012, n. 869; Cass. Sez. 3, 22/04/1995, n. 4588; Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8755). E’ stato anche chiarito – rappresenta la Corte – come il diritto, attribuito al conduttore dall’art. 10, comma 1, citato, di partecipare in luogo del proprietario dell’appartamento alle assemblee dei condomini convocate per deliberare sulle spese di riscaldamento e condizionamento, abbia carattere eccezionale rispetto alla disciplina del condominio degli edifici e non sia, quindi, suscettibile d’interpretazione estensiva (Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8755; Cass. Sez. 2, 27/08/1986, n. 5238; Cass. Sez. 2, 14/11/1981, n. 6031). L’amministratore del condominio del resto, prosegue la Corte, ha diritto – ai sensi del combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c. – di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un’azione diretta nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare (contro il quale può invece agire in risoluzione il locatore, ove si tratti di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente), tant’è che si afferma risolutivamente che “di fronte al condominio esistono solo i condomini” (Cass. Sez. 2, 09/12, 2009, n. 25781; Cass. Sez. 3, 03/02/1994, n. 1104). I dati anagrafici dell’utilizzatore in leasing di un appartamento o di un negozio facente parti di un condominio devono essere inseriti nel registro dell’anagrafe condominiale (di cui all’art. 1130, n. 6, c.c.), in quanto identificanti il titolare di un diritto personale di godimento avente ad oggetto una singola unità abitativa del fabbricato. Peraltro, con riguardo alle eventuali riduzioni in pristino conseguenti alla realizzazione di opere dannose per le parti comuni, sono legittimati passivi necessari sia l’utilizzatore sia il concedente del bene in locazione finanziaria (cfr. Cass. Sez. 2, 30/03/2016, n. 6154). Tuttavia, non spetta all’utilizzatore di un’unità immobiliare in leasing il generale potere ex art. 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali in tema di spese necessarie per le parti comuni dell’edificio, essendo lo stesso titolare non di un diritto reale, ma di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori, che rimette il perfezionamento dell’effetto traslativo ad una futura manifestazione unilaterale di volontà del conduttore. Né, ai fini della legittimazione dell’utilizzatore in leasing alla partecipazione all’assemblea ed alla correlata impugnativa, può rilevare il principio dell’apparenza del diritto, dando valore dirimente al fatto che quegli si comportasse abitualmente “da condomino“. In giurisprudenza, a far tempo da Cass. Sez. U, 08/04/2002, n. 5035, è consolidato il principio secondo cui la titolarità dei diritti e degli obblighi relativi allo status di condomino spetta ai proprietari effettivi delle unità immobiliari e non anche coloro che possano apparire tali, non trovando motivo di applicazione, ai fini, ad esempio delle convocazioni assembleari, i principi di affidamento e di tutela dell’apparentia iuris nei rapporti fra condominio e singoli partecipanti ad esso (cfr. anche Cass. Sez. 2, 30/04/2015, n. 8824; Cass. Sez. 2, 09/02/2005, n. 2616).
Il 6 novembre esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n. 50073 onde, in forza dei principi civilistici che regolano la materia, al venir meno di un sequestro preventivo, l’auto posseduta dall’imputato tramite contratto di leasing va restituita al soggetto che ne ha conseguito medio tempore la proprietà.
L’8 novembre esce la sentenza della I sezione penale della Cassazione n. 50907 che, al fine di sottrarre alla confisca un bene detenuto dall’imputato in forza di un contratto di leasing già risolto, richiede la prova della buona fede in capo alla concedente; buona fede da intendersi quale affidamento incolpevole del terzo, da desumersi sulla base di elementi specifici dimostrati dall’interessato, posto che tale condizione costituisce la base giustificativa della tutela accordatagli a fronte del provvedimento autoritativo di confisca adottato dal giudice.
2019
Il 12 febbraio esce la sentenza della Cassazione civile, sez. III, n. 3965, che si pronuncia sulla risoluzione del contratto di leasing traslativo per inadempimento dell’utilizzatore. In tema di locazione finanziaria, la risoluzione del leasing traslativo per inadempimento dell’utilizzatore è disciplinata dall’art. 1526 c.c., non incidendo sull’applicazione di tale ultima disposizione l’art. 72 quater l.fall. introdotto dall’art. 59 delD.Lgs. n. 5 del 2006, atteso che siffatta norma non disciplina la risoluzione del contratto di leasing, bensì il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell’utilizzatore.
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Il 14 febbraio esce la sentenza n. 4298 della Corte di Cassazione, sez. III civile, che si pronuncia sulla importante distinzione, nell’ambito di un contratto di leasing, tra la garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 ss. c.c. e garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 c.c.
La garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dagli artt. 1490 e seguenti c.c. differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c. per il fatto che, mentre la seconda impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima – cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno – impone all’acquirente anche l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata.
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Il 19 marzo esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI civile, n. 7701, che sancisce che la società di leasing non risponde in linea generale della violazione al codice della strada commesse dall’utilizzatore. Laddove però il contratto di leasing sia scaduto al momento dell’infrazione stradale, la società concedente è chiamata a risponderne in via solidale, ferma restando la possibilità di dimostrare che la circolazione del veicolo era avvenuta contro la sua volontà. (Nel caso specifico, rileva il collegio che l’unico motivo dedotto con il ricorso è da ritenersi infondato per le ragioni che seguono. Infatti, il Tribunale barese ha, in primo luogo, correttamente asserito — sul piano generale (ed in conformità alla stessa impostazione difensiva della ricorrente) – che in tema di violazioni amministrative riconducibili al mancato rispetto delle norme del c.d.s. commesse dal conducente di un veicolo concesso in locazione finanziaria (leasing), obbligato in solido con il trasgressore per il pagamento della sanzione pecuniaria (e l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie) è esclusivamente l’utilizzatore del veicolo (ovvero il locatario nel contratto di leasing) e non anche il proprietario concedente, vertendosi, ai sensi dell’art. 91, comma secondo, nuovo c.d.s. e 196 dello stesso codice della strada, in ipotesi di responsabilità alternativa e non concorrente, poiché solo l’utilizzatore ha la disponibilità giuridica del godimento del bene e quindi la possibilità di vietarne la circolazione. Senonché, nel caso di specie, con adeguata e logica motivazione, il giudice di appello — confermando la sentenza di prime cure — ha riscontrato che la società ricorrente, al momento della commissione della violazione in questione (di cui all’art. 193 c.d.s.), non rivestiva più la qualità di concedente in leasing del veicolo (essendo il relativo contratto precedentemente scaduto), con la conseguenza che, quale proprietaria del veicolo a mezzo del quale era stata consumata l’infrazione amministrativa, rimaneva esposta alla configurazione della sua responsabilità in via solidale con quella del conducente, ai sensi dell’art. 196, comma 1, c.d.s.).
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Il 20 aprile esce la sentenza della V sezione penale della Cassazione n. 12455 che, con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ritiene integrato il pregiudizio delle ragioni creditorie anche in caso di sottrazione ad esse di beni in leasing. Tale pregiudizio consiste nell’insorgere di un onere economico, gravante sulla massa fallimentare, e derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione, ai sensi dell’art. 72 e 72 quater legge fallimentare. Infatti, l’art 72 quater legge fallimentare richiama la regola generale di cui all’art. 72 della stessa legge sui rapporti pendenti al momento del fallimento, disponendo che, in caso di esercizio provvisorio dell’impresa, il contratto continui ad avere esecuzione, salvo che il curatore intenda scioglierlo. In tale ipotesi il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza tra la maggior somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del medesimo bene, avvenute a valori di mercato, ed il credito residuo in linea capitale. In caso di bene pervenuto all’impresa a seguito di contratto di leasing, qualsiasi manomissione del contratto che ne impedisca l’acquisizione alla massa o che comporti per quest’ultima un onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione integra il reato. L’obbligo di restituzione, infatti, potrebbe essere fatto valere nei confronti della curatela mentre la distrazione del bene provoca, altresì, la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento, con contestuale pregiudizio per i creditori.
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Il 10 maggio esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civile, n. 12552, che si pronuncia sul caso di risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore ed effetti a seguito del fallimento. Sostiene la Corte che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, devono essere regolati sulla base di quanto previsto dall’art. 72-quater l. fall.. (nel caso di specie, è incontroversa la qualificazione del contratto come “leasing traslativo” e’ parimenti pacifico che il contratto si è risolto a seguito della dichiarazione della concedente di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., in conseguenza dell’inadempimento dell’utilizzatore, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. Sostiene la Corte che “quanto alla prima ratio decidendi, il tribunale ha ritenuto che la disciplina dell’art. 1526 c.c. non condizioni la restituzione del bene al rimborso delle rate riscosse, applicando il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui nel leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, mentre al concedente la norma riconosce, oltre al risarcimento del danno, il diritto ad un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto (Cass. 21895/2017; 18195/2007). La statuizione secondo cui la restituzione del bene non è condizionata al rimborso delle rate riscosse è senz’altro conforme a diritto, seppure deve disporsi la correzione della motivazione della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto di individuare quale paradigma normativo per la disciplina della risoluzione di un contratto di leasing finanziario verificatasi ante-fallimento, la norma dell’art. 1526 c.c. Il Tribunale ha erroneamente fatto riferimento alla disposizione dell’art. 1526 c.c. , piuttosto che alla disciplina prevista art. 72 quater legge fall, che, seppure dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing deriva da una scelta del curatore e non dall’ inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia unitaria del leasing finanziario di cui alla legge 124/2017 art. 1 commi 136-140, dovendo ritenersi definitamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art.1526 cod. civ. Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dal dall’art. 72 quater legge fall, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti. .)–.._ Nel caso di specie, peraltro, il tribunale, come già evidenziato, ha correttamente affermato che non può farsi dipendere la restituzione del bene al concedente dall’adempimento di eventuali obblighi di rimborso a suo carico, in quanto la restituzione discende in via immediata dalla risoluzione del contratto).
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Il 16 maggio esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. Tributaria, n. 1313, che sancisce che la tassa automobilistica nei contratti di leasing grava solo sull’utilizzatore. Infatti, a partire dal 15 agosto 2009, la società di leasing (concedente), che concede la vettura, non può essere chiamata a rispondere per il mancato pagamento da parte dell’utilizzatore, unico soggetto obbligato al versamento.
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Il 17 luglio esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. Tributaria, n. 19166 che, in merito all’immobile concesso in leasing, si pronuncia sulla questione del soggetto obbligato al versamento dell’IMU nell’ipotesi di risoluzione del contratto e di non ancora intervenuta riconsegna del bene al locatore. Al riguardo, secondo la Suprema Corte, ai sensi del dell’art. 9 del d.lgs. n. 23/2011, il soggetto passivo dell’imposta in parola deve essere individuato nell’utilizzatore, al quale risultano attribuiti in via esclusiva dal contratto i benefici, gli obblighi e gli oneri normalmente spettanti al proprietario del bene. Tale situazione rimane invariata, in forza del principio di ultrattività del contratto, anche a seguito di risoluzione anticipata fino alla riconsegna dell’immobile.
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Il 28 agosto esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 21762 che, in materia di risoluzione del contratto di leasing, sostiene la coerenza con la previsione dell’art. 1526, comma 2, c.c., della clausola penale pattizia che preveda l’irripetibilità dei canoni già versati dall’utilizzatore con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito.
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Il 3 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Alessandria, sez. I civile, che in tema di leasing traslativo si pronuncia sulla risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore affrontando, in particolare, il caso in cui il bene concesso in locazione finanziaria non sia stato restituito dall’utilizzatore al concedente. Sostiene il Tribunale come nel caso di specie, non essendo possibile calcolare l’eventuale equo compenso di cui all’art. 1526 c.c., l’utilizzatore abbia diritto alla restituzione delle rate versate solo dopo la restituzione della cosa, mentre il concedente abbia diritto, oltre al risarcimento del danno, a un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto.
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Il 9 ottobre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. Tributaria, n. 25249 che, contrariamente a quanto sostenuto nella precedente pronuncia del 17 luglio, sancisce che, nell’ipotesi di risoluzione del contratto, il soggetto obbligato al versamento dell’IMU debba essere individuato nel locatore, anche se lo stesso non abbia ancora riacquistato la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell’utilizzatore. Secondo la Corte, infatti, ai fini impositivi assume giuridica rilevanza non già la detenzione materiale del bene da parte dell’utilizzatore, bensì l’esistenza di un vincolo contrattuale che ne legittima la detenzione qualificata; il venir meno dell’originario vincolo giuridico, dunque, fa venir meno la soggettività passiva in capo all’utilizzatore, determinando l’automatico passaggio della stessa in capo al locatore.
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Il 28 ottobre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. I, n. 27545 che, aderendo alla ricostruzione unitaria del contratto di leasing e al superamento della distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, sancisce nel caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore in data anteriore alla dichiarazione di fallimento l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 72-quater l. fall. Tale disciplina ha carattere inderogabile e prevale su eventuali pattuizioni difformi delle parti.
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Il 31 ottobre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 27999 che, in tema di scioglimento per mutuo consenso, ai sensi dell’art. 1372 c.c., del contratto di leasing traslativo, sancisce l’inapplicabilità, neppure in via analogica, della disposizione dell’art. 1526 c.c. che prevede il ripristino delle originarie posizioni delle parti contraenti attraverso la restituzione all’utilizzatore delle rate versate ed il riconoscimento al concedente del diritto all’equo compenso dell’uso del bene. Secondo la Suprema Corte, nel caso di accordo solutorio, difetterebbe, infatti, il presupposto legale dell’inadempimento imputabile a colpa dell’utilizzatore che determina la risoluzione del contratto, atteso che i contraenti – nell’esercizio della loro autonomia negoziale – hanno valutato confacente ai propri interessi non dare ulteriore seguito alla esecuzione del rapporto obbligatorio, ritenendosi soddisfatti dalla parziale attuazione del contratto.
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Il 7 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 28624 in materia di violazione della normativa urbanistica e riflessi sulla validità del contratto di locazione finanziaria stipulato. Secondo la Suprema Corte, la nullità di un contratto tra privati non potrebbe sussistere di per sé quale effetto della mera violazione di normativa urbanistica, neppure nel caso di trasferimento di diritti reali e, tanto meno, in ipotesi di rapporti fondati sul godimento a quel trasferimento finalizzato, proprio e tipico della locazione finanziaria.
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Il 19 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. V, n. 29973 che ribadisce che, in caso di risoluzione del contratto di leasing, la soggettività passiva ai fini dell’IMU si determini in capo alla società di leasing, anche se la stessa non abbia ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell’utilizzatore. La Corte conferma, infatti, che il legislatore ha ritenuto rilevante, ai fini impositivi, non già la consegna del bene e quindi la detenzione materiale dello stesso, bensì l’esistenza di un vincolo contrattuale che legittima la detenzione qualificata dell’utilizzatore.
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Il 22 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. V penale, n. 47581 che si pronuncia sulla configurabilità del reato di bancarotta patrimoniale in caso di manomissione o distrazione del bene detenuto in leasing dall’imprenditore dichiarato fallito. Sostiene la Suprema Corte, che qualsiasi manomissione o distrazione del bene detenuto in leasing dall’imprenditore fallito impedisce un accrescimento della massa attiva fallimentare, determinando di conseguenza una lesione all’interesse della garanzia patrimoniale dei creditori (art 2740 c.c.) e dunque un fatto di bancarotta patrimoniale.
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Il 3 dicembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 27631 che affronta la questione della individuazione del soggetto passivo dell’IMU relativa ad un bene immobile concesso in locazione finanziaria nell’ipotesi di risoluzione anticipata del rapporto contrattuale per morosità dell’utilizzatore cui non faccia seguito l’immediata materiale restituzione del bene. Nella pronuncia in parola la Suprema Corte dà continuità al proprio costante orientamento secondo il quale l’art. 9 del D.lgs. n. 23 del 2011 individua nel locatario il soggetto passivo, nel caso di locazione finanziaria, a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto, derivandone, qualora il contratto di leasing sia risolto e l’immobile non sia stato restituito, che il locatore ritorna ad essere soggetto passivo. Ne discende che con la risoluzione del contratto di leasing la soggettività passiva ai fini Imu si determina in capo alla società di leasing, anche se essa non ha ancora acquisito la disponibilità materiale del bene per mancata riconsegna da parte dell’utilizzatore. Ciò in quanto il legislatore ha ritenuto rilevante, ai fini impositivi, non già la consegna del bene e quindi la detenzione materiale dello stesso,
bensì l’esistenza di un vincolo contrattuale che legittima la detenzione qualificata dell’utilizzatore. In particolare, secondo la Suprema Corte, l’IMU, imposta di natura prettamente patrimoniale, ha riguardo, nell’individuare il soggetto passivo ad una nozione di «possesso» civilistica per cui quello che conta è il titolo contrattuale che giustifica il possesso del bene (proprietà, diritto reale di godimento, contratto di leasing vigente) e non la disponibilità di fatto dello stesso. A conferma di ciò l’art 9 del D.lgs. 23 del 2011 stabilisce la titolarità passiva dell’imposta in capo al locatario anche nel caso di beni «non costruiti» o «in corso di costruzione» che, come tali non possono essere detenuti; in tali ipotesi la stipula del contratto e non la materiale consegna del bene rileva ad individuare il soggetto obbligato al pagamento dell’imposta.
2021
Il 28 gennaio esce la sentenza della Sezioni Unite della Cassazione n. 2061 in materia di risoluzione per inadempimento di contratto di leasing verificatasi prima dell’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140).
Nella pronuncia in parola viene ricordato come, sino al momento dell’entrata in vigore della legge 4 agosto 2017, n. 124, il leasing è rimasto sostanzialmente un contratto soltanto socialmente tipico, articolato in distinte forme e strutture dalla pratica commerciale, unificate dall’operazione di finanziamento volta a consentire ad un soggetto (il c.d. utilizzatore o lessee) il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all’apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente o lessor) il quale, con proprie risorse finanziarie, consente all’utilizzatore di soddisfare un interesse che, altrimenti, non avrebbe avuto la possibilità o l’utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene e, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale. In questo contesto, pertanto, è sorta e si è sviluppata la distinzione tra leasing traslativo e di godimento, che porta come conseguenza rilevante quella della diversificazione delle rispettive discipline in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore.
Nel leasing di godimento, la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, secondo quanto disposto dall’art. 1458 primo comma, secondo periodo, c.c., in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, riscontrandosi piena sinallagmaticità tra le reciproche prestazioni, sicché, l’utilizzatore è tenuto a restituire il bene, mentre il concedente ha diritto a mantenere le rate riscosse, oltre al risarcimento del danno per l’inadempimento verificatosi.
Nel leasing traslativo, la risoluzione resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni di cui all’art. 1526 c.c., con riguardo alla vendita con riserva della proprietà, per cui l’utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene e il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo, però, diritto ad un equo compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d’uso, oltre al risarcimento del danno.
La ragione di questa distinzione nella disciplina degli effetti risolutori tra le due figure di leasing è quella di far fronte, nel caso di leasing traslativo, all’esigenza di porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata là dove questa venga, sovente, a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente, il quale, seguendo lo schema da lui predisposto, si troverebbe a conseguire (la restituzione del bene e l’acquisizione delle rate riscosse, oltre, eventualmente, il risarcimento del danno, ossia) più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il caso di regolare adempimento del contratto da parte dell’utilizzatore stesso
Tale esigenza, del pari, costituisce anche la ragione giustificativa della complessiva disciplina recata dall’art. 1526 c.c. in tema di vendita con riserva di proprietà, come del resto si evince già dalla Relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile del 1942, ivi declinandosi chiaramente l’intento di ovviare, nella fase patologica del rapporto, agli abusi della prassi commerciale nei confronti della posizione del compratore e, al tempo stesso, a fornire equilibrata tutela pure al venditore, attraverso la previsione dell’equo compenso e del risarcimento del danno, anche in quest’ultimo caso, però, avendo di mira, attraverso la previsione dell’istituto della riduzione della penale eccessiva, l’equità contrattuale e il contrasto ad ogni indebita locupletazione ingenerata dall’autonomia privata.
La legge del 2017 è stata preceduta da taluni interventi legislativi, ma di portata eminentemente settoriale, volti a regolare aspetti o modelli peculiari del leasing finanziario, come gli effetti dello scioglimento del contratto a seguito del fallimento dell’utilizzatore (art. 72-quater I.f., introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006 (dal 10 settembre 2021, art. 177 del d.lgs. n. 14 del 2019, recante “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”) ovvero gli effetti dello scioglimento del medesimo contratto nell’ambito del concordato preventivo (art. 169 bis, quinto comma, I.f., come introdotto dal d.l. n. 83 del 2015, convertito, con modificazioni, nella legge n. 132 del 2015), nonché la disciplina di una specifica tipologia di leasing, quello di immobile da adibire ad abitazione principale (art. 1, commi 74-80, della legge n. 208 del 2015).
L’art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017, superando la logica della regolamentazione specifica e settoriale, ha fornito una tipizzazione legale del contratto di leasing finanziario in termini di fattispecie generale e unitaria (facendo convergere in un unico tipo il leasing di godimento e quello traslativo), mutuandone morfologia e funzione da un radicato substrato economico-sociale, così da plasmare in disciplina positiva l’esperienza lungamente maturata nel contesto regolatorio dell’autonomia privata, alimentato, costantemente, anche dall’attività ermeneutica della giurisprudenza.
La regolamentazione tipica si sofferma, anzitutto, sul profilo dell’inadempimento dell’utilizzatore, stabilendo (comma 137) che “costituisce grave inadempimento … il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria”. Le conseguenze dell’inadempimento dell’utilizzatore in termini di risoluzione del contratto sono dettate dal comma 138, che prevede che “il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente”. Il successivo comma 139 regola una specifica procedura per la vendita o la riallocazione del bene concesso in godimento, nel rispetto dei valori di mercato e in base a “criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore”. Infine, il comma 140 fa salva la disciplina settoriale, sia quella dettata dall’art. 72-quater L.f., sia quella del leasing immobiliare per abitazione principale, di cui alla legge n. 208 del 2015.
Secondo le Sezioni Unite, la disciplina recata dalla legge n. 124 del 2017 non ha carattere retroattivo, essendo essa priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato, non avendo in tal senso disposto lo stesso legislatore, né proponendosi la novella di operare una interpretazione autentica di un assetto legale precedente, in quanto essa interviene, in modo innovativo, a colmare una lacuna ordinamentale circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria, cui soltanto il formante giurisprudenziale aveva posto rimedio attraverso l’integrazione analogica di cui si è già detto. L’efficacia della legge del 2017 è, dunque, pro-futuro, senza che il legislatore si sia, però, preoccupato di dettare una disciplina intertemporale, avuto riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore. Disciplina che, pertanto, occorre individuare in forza del principio (o teoria) del c.d. “fatto compiuto”, regolatore delle interferenze dello jus superveniens sui rapporti giuridici suscettibili di esservi incisi e, tra questi, quelli di durata, tra cui il contratto di leasing. La sentenza in parola, in particolare, statuisce che l’applicazione della nuova legge è consentita, nei confronti di contratto di leasing finanziario concluso antecedentemente alla sua entrata in vigore, allorché, ancora in corso di rapporto, non si siano ancora verificati i presupposti (legali o convenzionali) della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore: ossia non si sia verificato, prima dell’entrata in vigore di detta legge, il fatto generatore degli effetti giuridici derivanti dalla applicazione del diritto previgente.
La nuova regolamentazione (e, segnatamente, quella dettata dai commi 137 e 138) incide, sul piano funzionale, sullo svolgimento del rapporto negoziale, ma non anche, sul piano genetico, sulla fattispecie che lo origina (ossia, investe il contratto non come “fatto storico”, quanto come regolamento programmatico di interessi), disciplinandone il profilo patologico dell’inadempimento dell’obbligazione fondamentale gravante sull’utilizzatore, quella del pagamento dei canoni (c.d. inadempimento finanziario), tipizzando rigidamente la misura della gravità della condotta idonea a determinare la risoluzione del contratto di leasing e sottraendo al giudice quella valutazione che l’art. 1455 c.c., quale norma generale, declina in termini elastici. Valutazione, quest’ultima, che, però, rimane necessaria (non solo per l’inadempimento che concerne il lato del concedente, ma anche) per inadempimenti dell’utilizzatore diversi da quello scolpito dal comma 137, riguardanti, ad esempio, il lato gestionale (utilizzo, manutenzione, conservazione, etc.) del bene concesso in leasing.
Il “fatto compiuto” è quello che genera la responsabilità del debitore (l’utilizzatore) ai sensi dell’art.1218 c.c. e cioè l’inadempimento – quale evento attinente al rapporto – che è idoneo a legittimare, come effetto, la risoluzione del contratto; inadempimento che la legge n. 124 del 2017 tipizza in guisa tale da determinare il discrimine tra il “prima” e il “dopo” ai fini dell’applicazione della novella.
Il comma 137 – al pari del successivo comma 138, che disciplina gli effetti della risoluzione contrattuale in modo indefettibilmente collegato (per dettato normativo) all’inadempimento declinato dal comma 137 – è norma imperativa, non avendo altrimenti ragione d’essere la tipizzazione ex lege della gravità dell’inadempimento (ancorata al mancato pagamento di un certo numero di canoni mensili o trimestrali) a fronte di possibili deroghe pattizie (del resto, quasi sempre presenti nella prassi commerciale), che attribuiscono al concedente il potere risolutivo per il mancato pagamento di un solo canone o, comunque, di inadempimenti di carattere finanziario ben meno gravi di quello contemplato dalla norma anzidetta. Da ciò deriva l’inefficacia ex nunc della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), apposta a contratto di leasing in corso che non abbia ancora maturato i presupposti della risoluzione ai sensi del citato comma 137, ove calibrata in termini diversi e meno favorevoli per l’utilizzatore di quanto previsto dalla legge con norma imperativa per l’inadempimento di tipo finanziario. La novella legislativa, dunque, viene a condizionare la stessa autonomia contrattuale delle parti nel senso di impedire alla clausola contraria alla sopravvenuta norma non derogabile (in pejus, in quanto stabilita a tutela dell’utilizzatore stesso) di operare dal momento di entrata in vigore di quest’ultima, ossia di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti.
Non può, dunque, la legge n. 124 del 2017 trovare applicazione per il passato, ossia per i contratti di leasing finanziario in cui si siano già verificati, prima della sua entrata in vigore, presupposti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (essendo, quindi, stata proposta domanda giudiziale di risoluzione ex art. 1453 c.c. o avendo il concedente dichiarato di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.), con la conseguenza che gli effetti risolutori non potranno essere, per detti contratti, quelli disciplinati dal comma 138 dell’art. 1 della medesima legge (ai quali si correla, poi, il procedimento di vendita o riallocazione del bene regolato dal successivo comma 139).
Né è predicabile una applicazione analogica della disciplina dettata dall’art. 72-quater l.f., in caso di scioglimento di contratto di leasing ad opera del curatore nell’ambito di procedura fallimentare, siccome assunta in guisa di principio generale proprio alla luce, retrospettiva, della novella legislativa del 2017 e in forza del comune denominatore, tra le due fattispecie, rappresentato dalla attribuzione al concedente del diritto alla restituzione del bene concesso in godimento e all’utilizzatore o alla curatela del ricavato della vendita o di altra allocazione del bene medesimo, detratto l’ammontare del credito residuo. E’ jus receptum, infatti, che l’art. 72-quater I.f., introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006 – sebbene quanto agli effetti da essa regolati ha superato la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, assumendo a proprio fondamento una disciplina unitaria del leasing improntata alla causa del contratto di finanziamento – è norma, di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, presupponendo lo scioglimento, per volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento, del contratto ancora pendente a quel momento. Sicché, la norma fallimentare mantiene salda la distinzione strutturale esistente tra la nozione di risoluzione contrattuale e quella di scioglimento del contratto, quale facoltà riconosciuta ad una pluralità di rapporti pendenti tra il contraente ed il fallito, tra i quali, per l’appunto, anche il leasing, che rientra nel novero dei contratti che – al momento dell’apertura del concorso – restano sospesi secondo la regola generale di cui all’art. 72, primo comma, I.f. Proprio nell’ambito di detta distinzione, si apprezza la diversità di tutela somministrata dai due istituti, quello dello scioglimento contrattuale volto a riconoscere tendenzialmente solo una tutela restitutoria e non anche risarcitoria (secondo quanto si evince anche dal quarto comma dell’art. 72 I.f.), come invece accorda il rimedio generale della risoluzione per inadempimento, la cui azione potrà essere coltivata nei confronti della procedura ove promossa prima della dichiarazione di fallimento, dovendo il contraente far valere le conseguenti pretese restitutorie e di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 92 e ss. l.f., come stabilito dal quinto comma del citato art. 72. In ragione di tali evidenze il “diritto vivente” ha escluso – in assenza di una eadem ratio e di simili elementi, strutturali e/o funzionali, rilevanti – che la disciplina dettata dall’art. 72-quater I.f. potesse trovare applicazione analogica in caso di contratto di leasing finanziario risolto, per inadempimento dell’utilizzatore, prima del fallimento di quest’ultimo, avendo invece rinvenuto la disposizione idonea a colmare la lacuna ordinamentale, in coerenza con i criteri di cui all’art. 12 delle preleggi, in quella generale codicistica dell’art. 1526 c.c., in ipotesi di leasing traslativo. Tale giuridica configurazione dell’art. 72-quater l.f., secondo le Sezioni Unite, non ha subito una trasmutazione con l’avvento della disciplina di cui all’art. 1, comma 136-140, della legge n. 124 del 2017, la quale, anzi, al citato comma 140 ha stabilito che “restano ferme le previsioni di cui all’articolo 72-quater del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (…)”, con ciò ribadendo la specialità della norma fallimentare e la sua portata circoscritta all’ambito di specifica pertinenza. L’assunto, quindi, che l’art. 72-quater l.f. possa costituire la disposizione applicabile analogicamente ad un contratto di leasing finanziario risolto prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136- 140, della legge n. 124 del 2017 (ma pur sempre nella vigenza della stessa norma fallimentare, altrimenti si avrebbe, secondo quanto innanzi detto, una illegittima attivazione del procedimento analogico, in quanto fondata su disposizione non presente nell’ordinamento) trova sostegno non già in una interpretazione storico-evolutiva delle norme implicate, bensì in una operazione disallineata rispetto ai criteri posti dall’art. 12 delle preleggi e avente carattere di dissimulata applicazione retroattiva della stessa legge n. 124 del 2017, quale esito che, stante l’efficacia pro futuro di essa, è inibito al formante giurisprudenziale.
Per i contratti di leasing traslativo, che non siano soggetti, ratione temporis, alla regolamentazione della legge anzidetta, resta, dunque, valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell’art. 1526 c.c. la disciplina della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, essendo comunque sorretta da una ratio giustificativa rispondente all’esigenza di dare equilibrato assetto alle posizioni delle parti di un contratto atipico, forgiato da una risalente prassi commerciale e al quale il formante giurisprudenziale ha fornito stabilità di assetto e certezza applicativa (fattori che quella stessa prassi richiede per un suo ordinato sviluppo), rimasto tale sino all’entrata in vigore della novella legislativa del 2017, che ha tipizzato legalmente (nei termini sopra precisati) la figura, unitaria, della locazione finanziaria.
Le Sezioni Unite, pertanto, statuiscono che la legge n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all’art. 1526 c.c. e non quella dettata dall’art. 72-quater l.f., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all’analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad una applicazione retroattiva della legge n. 124 del 2017. Nella pronuncia in parola viene, infine, affermato che, in base alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, ex art. 93 l.f., in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.
Questioni intriganti
In cosa si compendia il leasing di recente tipizzazione normativa?
- si tratta di un contratto di godimento, detto anche locazione finanziaria;
- ha la funzione (causa) di finanziare l’acquisizione della disponibilità di un bene di consumo (ad un consumatore) ovvero di un bene produttivo (ad un imprenditore), verso pagamento di un canone periodico;
- ha ad oggetto beni mobili non consumabili in un tratto, ovvero beni immobili;
- una delle parti è una banca o un intermediario finanziario;
- questi soggetti si obbligano ad acquistare il bene o a farlo costruire;
- il bene viene scelto o viene costruito secondo le indicazioni di altra parte, l’utilizzatore;
- l’utilizzatore assume tutti i rischi connessi al bene, anche di eventuale perimento;
- l’utilizzatore fa mettere a sua disposizione il bene per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo;
- il corrispettivo che l’utilizzatore versa alla banca o all’intermediario finanziario tiene conto del prezzo di acquisto del bene o del relativo prezzo di costruzione, nonché della durata del contratto;
- il bene, per tutta la durata contrattuale, resta di proprietà della banca o dell’intermediario che lo hanno acquistato o fatto costruire, ma il godimento di tale bene è in capo all’utilizzatore;
- alla scadenza del contratto, l’utilizzatore ha diritto di acquistare il bene ad un prezzo prestabilito, ed in tal caso trattiene per sé il bene ormai suo;
- in alternativa, può non esercitare tale diritto (opzione di acquisto), ed allora deve restituire il bene alla banca o all’intermediario, che ne restano proprietari.
Quali sono gli obblighi del concedente in leasing e quali quelli dell’utilizzatore?
- obblighi del concedente (o lessor): a.1) stipulare con il fornitore, in veste di acquirente, la vendita del bene da concedere poi all’utilizzatore (si discute in ordine alla configurabilità di un contratto preliminare a favore di terzo, onde l’utilizzatore potrebbe, nella eventualità positiva, vantare un autonomo diritto alla conclusione definitiva di tale vendita: la tesi maggioritaria è tuttavia negativa sul punto), con previsione dell’obbligo del fornitore (venditore o appaltatore) di consegnare il bene al concedente medesimo ovvero, più spesso, direttamente all’utilizzatore, in quest’ultimo caso secondo le modalità e la tempistica stabiliti tra fornitore ed utilizzatore, nonché con definizione delle facoltà e dei poteri da riconoscere all’utilizzatore quanto ad eventuale, diretto esercizio dei diritti e delle azioni derivanti al concedente in leasing dal contratto di vendita che lo vede acquirente; a.2) concedere il bene acquistato dal produttore in godimento all’utilizzatore; a.3) garantire l’utilizzatore da eventuali molestie di terzi che pretendano di vantare diritti sulla res;
- obblighi dell’utilizzatore (o lessee): b.1) ricevere in consegna il bene (spesso direttamente) dal fornitore; b.2) utilizzarlo secondo le norme che ne governano l’impiego; b.3) provvedere alla relativa manutenzione ordinaria e straordinaria; b.4) pagare regolarmente i canoni al concedente.
Quali sono i diversi modelli di leasing conosciuti?
- leasing operativo: la struttura è bilaterale; riguarda beni ad elevata standardizzazione; da un lato vi è il produttore o distributore del bene, e dall’altra il conduttore del bene stesso; il produttore o distributore del bene standardizzato lo concede in godimento al conduttore; il conduttore versa al produttore o distributore del bene un canone periodico; il canone viene versato per un periodo di tempo che è parametrato sulla vita economica del bene; alla scadenza il bene viene restituito dal conduttore al produttore o distributore del bene medesimo; si tratta di un leasing in senso atecnico;
- leasing finanziario: la struttura è trilaterale; l’iniziativa parte dall’utilizzatore del bene, detto conduttore, concessionario o lessee; questi chiede alla controparte contrattuale, detta concedente, locatore o lessor (in genere, una società) di acquistare da un terzo, detto fornitore, la proprietà di un bene mobile o immobile, che l’utilizzatore ha individuato previamente; il lessor acquista dal fornitore la proprietà del bene che soddisfa gli interessi dell’utilizzatore e lo concede in godimento a quest’ultimo, ritraendo come corrispettivo un canone periodico; si tratta di un vero e proprio leasing;
- leasing di godimento (o “classico”, o “puro”): ha ad oggetto beni che, alla scadenza contrattuale, non conservano un apprezzabile valore commerciale, con conseguente basso valore residuo e basso prezzo di (eventuale) opzione per l’acquisto della relativa proprietà da parte dell’utilizzatore; qui è evidente la causa di finanziamento a scopo di godimento, ed i canoni versati dall’utilizzatore al concedente servono a quest’ultimo per remunerare il capitale impiegato per l’acquisto (o la realizzazione) del bene pertinente, che resterà verosimilmente in sua proprietà conservando un valore ormai prossimo allo zero;
- leasing traslativo (o “impuro”): ha ad oggetto beni che, alla scadenza contrattuale, conservano un apprezzabile valore commerciale, con conseguente elevato valore residuo e prezzo di opzione per l’acquisto della relativa proprietà da parte dell’utilizzatore che è inferiore al ridetto, elevato valore residuo; qui è evidente la causa di finanziamento a scopo di trasferimento della proprietà del bene concesso in leasing, ed i canoni versati dall’utilizzatore al concedente servono a quest’ultimo per remunerare il capitale impiegato per l’acquisto (o la realizzazione) del bene pertinente, ma includono anche una quota del possibile prezzo di acquisto da parte dell’utilizzatore laddove questi eserciti la pertinente opzione a conclusione della vicenda contrattuale, circostanza resa probabile dal fatto che – a fronte del prezzo residuo da pagare – il bene conserva ancora il ridetto, apprezzabile valore.
Come si conclude e come si esegue un contratto di leasing?
- la conclusione non avviene uno actu, ma a valle di un procedimento;
- il contratto di leasing lega l’utilizzatore al concedente, ma il primo contatto avviene tra utilizzatore e fornitore (venditore o appaltatore) del bene, con il quale egli non avrà un legame contrattuale diretto;
- l’utilizzatore sceglie infatti il bene con le caratteristiche che ne soddisfano i precipui interessi, recandosi da chi lo produce;
- scelto il bene presso il fornitore (venditore o appaltatore), passa dal concedente, e trova una proposta di contratto già predisposta da questi, con applicazione degli articoli 1341 e 1342 c.c. e delle regole sulla sottoscrizione delle eventuali clausole vessatorie;
- con la sottoscrizione dell’utilizzatore, la proposta diviene contratto di leasing (con il concedente), che può dunque dirsi concluso;
- a questo punto il concedente acquista (con risorse proprie) il bene dal fornitore;
- acquistato il bene da parte del concedente, il fornitore (venditore o appaltatore) consegna immediatamente (o una volta realizzato) il bene al concedente in leasing o, più spesso, direttamente all’utilizzatore (pur senza essere a quest’ultimo legato da alcun contratto in via diretta);
- l’utilizzatore verifica la corrispondenza del bene rispetto a quello ab origine scelto con il fornitore, e nella eventualità positiva sottoscrive il relativo verbale di consegna;
- inizia il godimento del bene ed il corrispondente versamento periodico dei canoni dovuti al concedente (comprensivi di costo del bene, spese di gestione, interessi ed utili per il concedente, che ha anticipato l’intera somma al fornitore);
- salvo (per vero, solo teoriche) deroghe, l’utilizzatore non può né cedere il bene (non suo) a terzi, né sublocarlo;
- alla scadenza del contratto, se è stata prevista dalle parti l’opzione di acquisto, l’utilizzatore può acquistare la proprietà del bene pagando l’ultima rata di canone: trova luogo in tal caso tra concedente ed utilizzatore, dal punto di vista tecnico, una vendita a rate con riserva di proprietà; laddove l’opzione di acquisto non sia prevista o comunque non venga esercitata, il contratto tra concedente e utilizzatore in leasing configura tecnicamente una locazione.
Che natura giuridica ha il leasing?
- è una locazione, prevalendo nella sostanza la causa di godimento del bene per un determinato tempo verso il pagamento di un determinato corrispettivo; si oppone tuttavia che nel leasing, a differenza di quanto avviene nella locazione, il concedente non ha alcun rapporto – ex ante – con il bene, prima che l’utilizzatore gli chieda di acquistarlo (per poi concederglielo), né – ex post – ha interesse a riutilizzare il bene come invece accade al locatore cui viene restituito dal conduttore a fine locazione; inoltre, se fosse veramente una locazione, non si spiegherebbe per quale motivo l’utilizzatore dovrebbe pagare i canoni anche laddove il bene perisse o comunque si perdesse per causa a lui non imputabile; non sarebbe inoltre necessario inserire – come invece sovente avviene nel leasing – la specifica clausola che per il caso di risoluzione del contratto prevede il diritto del concedente di ritenere i canoni percetti dall’utilizzatore, essendo tale diritto già previsto per i contratti ad esecuzione continuata e periodica, in via generale, dall’art.1458, comma 1, c.c.; peraltro, nella locazione i vizi della cosa locata e l’eventuale evizione sono a carico del locatore, mentre nel leasing essi sono a carico dell’utilizzatore; nel leasing, a differenza della locazione, l’intera manutenzione del bene concesso (compresa quella straordinaria) è a carico del solo utilizzatore; nel leasing, a differenza che nella locazione, eventuali miglioramenti o addizioni alla cosa locata divengono di proprietà del concedente (se l’utilizzatore non riscatta) senza che sia dovuto indennizzo alcuno; nella locazione si è al cospetto di un canone classico, quale mero corrispettivo del godimento del bene di proprietà del locatore, mentre nel leasing il canone fa da contraltare al godimento ed insieme al finanziamento che lo accompagna (e lo consente), dovendosi peraltro distinguere l’ipotesi di leasing che dura meno della vita economica del bene concesso, laddove il canone comprende il prezzo del bene, dall’ipotesi di leasing che ha durata pari alla vita economica del bene, in cui il canone è commisurato al valore economico del bene medesimo;
- è un mutuo, o comunque un contratto di credito (e non di godimento) dal momento che l’utilizzatore, nel pagare i canoni, null’altro fa se non rimborsare a rate un finanziamento ricevuto per il godimento di un bene del quale intende avvalersi; si oppone tuttavia che i contratti di credito presuppongono un credito (erogato) di ammontare certo e determinato, circostanza non predicabile nel leasing; che se si trattasse di un finanziamento, in caso di cessazione del rapporto per inadempimento dell’utilizzatore e di restituzione del bene al finanziatore, questo dovrebbe restituire (almeno in parte) i canoni percepiti, mentre nel leasing questi normalmente trattiene i canoni e ottiene anche una penale (per un importo pari alla differenza tra i canoni residui che avrebbe potuto riscuotere ed il minor importo ottenuto giusta reimpiego del bene sul mercato); che nel leasing il concedente paga il fornitore per acquistare il bene nell’interesse dell’utilizzatore, ma poiché quest’ultimo non è debitore del fornitore in parola, non si verifica quello che normalmente si verifica in occasione di un vero e proprio finanziamento, in cui il soggetto finanziatore o paga direttamente il soggetto finanziato, o paga un creditore di questi;
- è una vendita a rate con riserva di proprietà, onde è da assumersi applicabile l’art.1526 c.c. secondo cui in caso di risoluzione per inadempimento del compratore il venditore deve restituirgli le rate riscosse, il che applicato al leasing impone al concedente di restituire all’utilizzatore i canoni riscossi in caso di inadempimento di quest’ultimo; si oppone tuttavia dal punto di vista soggettivo che il concedente del leasing non è un venditore, non essendo di regola un imprenditore commerciale quanto piuttosto un intermediario finanziario, mentre l’utilizzatore, per parte sua, non è un acquirente di un bene di consumo (vendita a rate) ma sovente anch’egli un imprenditore che vuole avvalersi di un bene strumentale all’esercizio della propria impresa; e, dal punto di vista oggettivo, che nel leasing il canone non è il mero corrispettivo del godimento del bene, ma tiene conto del costo del bene stesso per il concedente, dell’ammortamento, degli interessi, utili e spese dovuti al concedente in relazione al capitale da questi investito per acquistare il bene nell’interesse dell’utilizzatore, circostanze tutte che giustificano un regime opposto rispetto a quello di cui all’art.1526 c.c., facendo da sfondo alla clausola che le parti normalmente prevedono nel leasing alla cui stregua, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, il concedente trattiene (e non restituisce) i canoni riscossi;
- è una ipotesi di cessione del contratto; si oppone a tale tesi che il consenso del fornitore, seppure spesso presente (anche se nel leasing operativo è addirittura assente, non venendo coinvolto il ridetto fornitore in una vicenda che avvince solo concedente-produttore ed utilizzatore), non è essenziale per configurare un leasing (che coinvolge il concedente e l’utilizzatore del bene, dal fornitore acquistato dal primo nell’interesse di godimento del secondo);
- è un contratto misto: la struttura contrattuale è unica, ma vi confluiscono diversi contratti tipici che non perdono la loro identità propria, realizzandosi una combinazione delle rispettive cause;
- è un contratto complesso: i contratti tipici che vi confluiscono perdono la rispettiva identità fondendosi in una causa unica e nuova, con effetti degli uni e degli altri globalmente considerati (ancorché tutti presenti);
- è la risultante, economicamente unitaria, di più negozi giuridicamente collegati tra loro (dottrina dominante): si è al cospetto di un contratto fino a poco tempo fa atipico, ed ormai tipico, la cui peculiarità è il collegamento tra due negozi che restano strutturalmente autonomi sul crinale giuridico, seppure funzionalmente collegati tra loro in ottica economica. Il leasing va allora distinto come operazione giuridica dalla sottostante operazione economica: dal punto di vista giuridico, la mancanza di uno scopo comune da conseguire ex art.1420 c.c. impedisce di annoverare il leasing tra i contratti plurilaterali, facendosi piuttosto luogo al confluire, in collegamento tra loro, di due negozi bilaterali; dal punto di vista economico, il leasing configura invece una operazione trilaterale che coinvolge fornitore-venditore del bene, concedente-acquirente ed utilizzatore del bene medesimo; dal punto di vista giuridico, i due contratti che si collegano tra loro sono da un lato la compravendita o l’appalto, che avvince il fornitore del bene ed il concedente (nel caso della compravendita il concedente-acquirente si è obbligato con l’utilizzatore ad acquistare il bene dal fornitore-venditore; nel caso dell’appalto il concedente-committente si è invece obbligato con l’utilizzatore a farlo costruire dal fornitore-appaltatore) e dall’altro il leasing vero e proprio, che interviene tra concedente ed utilizzatore
Come si atteggia il collegamento negoziale tra compravendita (o appalto) e leasing?
- si tratta di un vero e proprio collegamento negoziale tecnicamente inteso: l’obiettivo – di stampo economico unitario – è quello di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad avere a disposizione il bene e goderne, onde il leasing o è una fattispecie di contratti collegati o “non è” (c.d. collegamento necessario); da ciò discende che laddove la vendita (o l’appalto) sia annullata, dichiarata nulla, risolta o rescissa, la relativa caducazione travolge anche il leasing che su di essa si appoggia; inoltre, l’utilizzatore deve assumersi legittimato ad agire in via diretta (e non in via surrogatoria, “passando” per il debitore concedente, che ne è creditore) nei confronti del venditore (o dell’appaltatore), dovendo solo ottenere il consenso del concedente laddove l’azione verso il venditore (o l’appaltatore) sia intesa a risolvere il contratto di vendita (o di appalto), che avvince in via diretta (seppure collegata) i soli venditore (appaltatore) e concedente;
- si tratta di un collegamento negoziale che non è necessario, ma è meramente facoltativo; in sostanza quando il fornitore vende (o realizza, nel caso dell’appalto) il bene su richiesta del concedente, non può assumersi di necessità che egli lo faccia con il contestuale proposito della successiva concessione del bene in leasing all’utilizzatore; peraltro, il fatto che non si tratti di un collegamento “necessario” non sottrae all’autonomia negoziale delle parti la possibilità di renderlo tale per volontà comune ad esse, circostanza che normalmente si sostanzia in una serie di clausole che avvincono i due contratti, onde nel contratto di vendita (o di appalto) viene inserito l’obbligo per il fornitore di riconoscere all’utilizzatore la legittimazione ad agire contro di lui nel caso in cui il bene gli venga consegnato in ritardo o gli venga consegnato viziato, ovvero nel contratto di leasing viene inserito l’obbligo per il concedente di inserire nel contratto di vendita (o di appalto) clausole analoghe; in questo modo, pur al cospetto di contratti distinti e collegati tra loro, il gioco delle clausole può avvincerli in modo da consentire azioni dirette anche tra soggetti non direttamente legati da contratto (segnatamente, tra utilizzatore e fornitore);
Cosa occorre ricordare della disciplina del rapporto contrattuale che scaturisce dall’operazione di leasing?
- in caso di perimento del bene, di relativo furto, ovvero di danno a terzi, normalmente per contratto di leasing il rischio grava sull’utilizzatore, che deve continuare a versare i canoni al concedente in caso di perimento o furto, e risarcire i terzi in caso di danni da questi subiti dal bene concesso; viene invece assunta illegittima la clausola che fa ricadere sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna del bene da parte del fornitore;
- se il fornitore è inadempiente con riferimento al bene acquistato dal concedente e dato in godimento all’utilizzatore, attraverso il gioco delle clausole contenute nel contratto di leasing, sull’utilizzatore grava in genere l’onere di agire a tutela dei diritti del concedente vantati nei confronti del fornitore inadempiente; in sostanza; più in specie, nell’ipotesi dell’evizione e dei vizi del bene concesso, le clausole tra concedente ed utilizzatore prevedono di regola che sia l’utilizzatore ad agire direttamente nei confronti del fornitore (pur non essendo a lui legato da un contratto) con azione di adempimento ovvero risarcitoria; più dubbia è la possibilità di prevedere la esperibilità dell’azione diretta per la risoluzione, che non potrebbe non spettare in ogni caso al concedente quale espressione del relativo diritto di sciogliersi dal contratto col fornitore (anche peraltro dove si ammettesse la possibilità per l’utilizzatore di agire nei confronti del fornitore per la risoluzione del contratto, specie con riguardo ai vizi della cosa fornita e poi concessagli, sarebbe comunque imprescindibile il litisconsorzio necessario rispetto al concedente);
- se l’utilizzatore è inadempiente, il contratto si risolve; gli effetti della risoluzione si compendiano nella restituzione del bene al concedente e nel pagamento dei canoni scaduti (laddove si tratti di leasing tradizionale di godimento, in cui il concedente può trattenerli ex art.1458 c.c., a differenza di quanto invece accade nel leasing traslativo); ulteriore effetto della risoluzione è il pagamento al concedente (previsto da una clausola standardizzata nei pertinenti contratti) di una penale nel caso in cui la somma ottenuta dal concedente giusta reimpiego del bene sul mercato sia inferiore all’importo dei canoni residui non pagati, penale pari alla differenza tra detti due valori;
- i contratti standard di leasing in circolazione sul mercato prevedono, di regola, una clausola che esclude la responsabilità del concedente nei confronti dell’utilizzatore qualora il fornitore non consegni a quest’ultimo la cosa o gliela consegni viziata, quand’anche tra fornitore ed utilizzatore non corra alcun rapporto contrattuale: si tratta di clausole che riversano il rischio dell’inadempimento del fornitore sull’utilizzatore, e sulla cui validità si discute: chi ammette tale validità la subordina alla contestuale previsione nel contratto di leasing di strumenti giuridici che consentano all’utilizzatore di tutelarsi direttamente nei confronti del fornitore.