<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Mentre nel contratto preliminare campeggia massime l’obbligo (“</em>passivo<em>”) di entrambe le parti di consentire la stipula del futuro contratto definitivo, nelle altre fattispecie che “</em>preparano<em>” un altro contratto – tanto se scaturenti da fonte negoziale, quanto laddove riconducibili ad una fonte legale – in primo piano si colloca, seppure con diversificata foggia sul crinale strutturale, il potere (“</em>attivo<em>”) di una parte di (eventualmente) addivenire alla pertinente stipula. Così, tanto nella proposta irrevocabile quanto nell’opzione è l’oblato a “</em>poter concludere<em>” il contratto a valle, e parimenti nella prelazione è il prelazionario a “</em>poter essere preferito<em>”, </em>coeteris paribus<em>, ad altri potenziali contraenti allorché il promittente si sia deciso a stipulare; ancora nell’obbligo legale di contrarre il consumatore/utente ha il potere di provocare la stipula, mentre nel c.d. contratto normativo una parte od entrambe possono pretendere che eventuali futuri contratti (stipulati tra loro o con terzi) abbiano un determinato contenuto.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia, che non fa alcun riferimento a contratti “<em>preparatori</em>” come l’opzione o la prelazione (o lo stesso contratto preliminare). L'istituto del retratto successorio, pur presente nel Codice Napoleonico, non approda nel codice civile del 1865: dopo ampia disputa, prevale infatti la tesi contraria, sulla scorta del valore della "<em>libertà di proprietà</em>", onde i cittadini sono assunti avere il diritto di disporre dei propri beni - compresa la quota ereditaria - a proprio piacimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1882</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 ottobre viene varato il R.D. n.1062, codice di commercio del Regno d’Italia; il relativo art.36, che apre il Titolo VI del libro I dedicato alle obbligazioni commerciali in generale, disciplina il procedimento di perfezione del contratto bilaterale “<em>tra persone lontane</em>”; alla stregua del comma 3, sino a che il contratto non è perfetto, la proposta e l’accettazione sono revocabili da chi le ha poste in essere; sebbene la revoca impedisca la perfezione del contratto, se la parte che la riceve la conosce quando già ha iniziato l’esecuzione, questa ha diritto al risarcimento dei danni. Da questa disposizione, la dottrina evince che quand’anche il proponente si sia obbligato a tenere ferma per un certo tempo la proposta, la pertinente revoca sia comunque efficace ed impedisca la conclusione del contratto, salvo il risarcimento dei danni nelle fattispecie di intrapresa esecuzione da parte dell’oblato. La progressiva industrializzazione e l’aumento degli scambi spingono tuttavia progressivamente le parti a rendere contrattualmente irrevocabile la proposta di una di esse, come si verifica nell’opzione di vendita (il compratore può scegliere se acquistare o meno quanto irrevocabilmente proposto di vendere dal venditore), nell’opzione “<em>di compera</em>” (all’opposto, il venditore può scegliere se vendere o meno quanto irrevocabilmente proposto di acquistare dal compratore) ed infine nell'opzione a favore dei soci di una società anonima in ordine all’acquisto delle nuove azioni emesse per aumento di capitale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1926</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre esce la sentenza del Tribunale di Milano sul noto caso <em>Bocconi – La Rinascente</em>, assai importante in tema di opzione.</p> <p style="text-align: justify;">Nel 1917 il Sig. Bocconi, in condizioni economiche disagiate, nel contesto letterale di un preliminare di locazione, ha proposto in vendita alla società anonima La Rinascente, che non può acquistarlo immediatamente per mancanza di liquidità, un compendio immobiliare, giusta inserimento nel pertinente contratto di una clausola (opzione) che attribuisce a La Rinascente la facoltà di acquisto del ridetto compendio immobiliare per i successivi 14 anni al prezzo X. Intervenuta di seguito una transazione investente il contratto di locazione, viene lasciata ferma dalle parti l’opzione di acquisto a favore de La Rinascente, riducendosene tuttavia il limite temporale di esercizio (entro il 1927 e non già più entro il 1931) ed elevando il prezzo di acquisto del compendio immobiliare divisato (dagli originari 20 milioni ai “nuovi” 23 milioni). Quando nel 1927 la Rinascente – a valle di una delibera del proprio consiglio di amministrazione - si fa avanti per pretendere l’atto di acquisto convocando il Bocconi davanti al notaio per il rogito, quest’ultimo si rifiuta di intervenirvi per essere aumentato di gran lunga – <em>medio tempore</em> – il valore dell’immobile oggetto di trasferimento. Il Bocconi afferma di aver stipulato in realtà un contratto preliminare che semplicemente lo obbliga ad un <em>facere</em> (<em>contrahere</em>), con la conseguenza onde il proprio rifiuto alla stipula del definitivo, quale obbligo di <em>facere</em> inadempiuto, non può che generare in capo al medesimo al più una obbligazione risarcitoria per danni, da escludersi in ogni caso perché il pertinente contratto va assunto rescisso per lesione (stante appunto il divario di valore subito nel tempo dal compendio immobiliare oggetto di possibile trasferimento); per La Rinascente, al contrario, la vendita deve assumersi conclusa e perfetta <em>ab origine</em>, né il pertinente contratto può assumersi rescindibile per lesione sia perché il patto di opzione, di suo, non ha un oggetto patrimoniale e dunque non è potenziale oggetto di azione di rescissione per lesione, sia perché esso assume carattere aleatorio (come tale, per l’appunto non rescindibile); la vendita con patto di opzione è appunto perfetta <em>ab origine</em> e soggetta, nella tesi de La Rinascente, alla condizione “<em>si intra certum tempus emptori placuit</em>” (se è piaciuto al compratore conferirle effetti entro un certo termine), decorrendo dunque il termine biennale per far valere la lesione dalla data di stipula e “<em>perfezione</em>” del contratto di vendita (e non già dalla successiva data di esercizio dell’opzione) ed essendo, all’evidenza, tale termine scaduto <em>illo tempore</em>, 2 anni dopo il già perfetto contratto (condizionato) di vendita e quando il prezzo del compendio immobiliare non avrebbe potuto ancora assumersi far luogo ad una “<em>lesione</em>” legittimante l’azione di rescissione.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Tribunale, nel caso di specie non si è al cospetto né di una promessa unilaterale del Bocconi, né di un contratto preliminare unilaterale che, come tale, vincolerebbe il solo medesimo Bocconi; si tratta piuttosto di una proposta irrevocabile per un certo periodo di tempo, come tale non ammissibile essendo nel sistema vigente la proposta sempre revocabile, onde il contratto (di vendita) non si è mai stipulato, avendo inteso il Bocconi proponente alfine non stipularlo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1927</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio esce la sentenza della Corte d’Appello di Milano sul caso <em>Bocconi – La Rinascente</em> che, andando in contrario avviso rispetto al Tribunale meneghino, assume essersi al cospetto non già di una inammissibile proposta di vendita irrevocabile, quanto piuttosto di una vendita perfetta fin dall’inizio, ma <em>ab origine</em> inefficace perché sottoposta ad una, pienamente ammissibile, condizione mista (non già dunque meramente potestativa, e come tale rimessa al mero arbitrio dell’acquirente e dunque nulla).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1928</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione sul caso <em>Bocconi – La Rinascente</em> che, censurando la soluzione abbracciata dalla Corte d’Appello di Milano, torna sulla tesi di una vendita mai perfezionatasi, giusta inammissibilità di una proposta irrevocabile e conseguente piena operatività della revoca della proposta stessa – nella fattispecie - da parte del Bocconi. A valle di questa pronuncia, la dottrina più accorta inizia ad interrogarsi sulla natura giuridica di figure (sostanzialmente, di opzione convenzionale) quali quella scandagliata nel caso <em>Bocconi – La Rinascente</em>, giustapponendosi la tesi (minoritaria) di chi assume in simili ipotesi la vendita già perfetta, ma inefficace perché sottoposta ad una, tuttavia ammissibile, condizione mista (e non già meramente potestativa, che invece sarebbe nulla: <em>si intra certum tempus emptori placureit</em>); a quella (maggioritaria) di chi ritiene trattarsi, nella sostanza, di una fattispecie a formazione progressiva che conduce alla finale perfezione del contratto di compravendita, laddove campeggia, a seconda delle diverse declinazioni, una semplice proposta contrattuale unilateralmente vincolante ed irrevocabile per un certo tempo, ovvero un contratto preliminare unilaterale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1939</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 giugno viene varata la legge n.1089, recante tutela delle cose di interesse artistico o storico, i cui articoli 31 e seguenti disciplinano la prelazione del Ministero dell’Istruzione sulle cose stesse. In particolare, stando all’art.31, nel caso di alienazione a titolo oneroso, il Ministro per l'educazione nazionale ha, facoltà, di acquistare la <em>res</em> al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione; qualora la cosa sia alienata insieme con altre per un unico corrispettivo, il prezzo e' determinato d'ufficio dal Ministro; ove l'alienante non ritenga di accettare il prezzo determinato dal Ministro, il prezzo stesso viene stabilito insindacabilmente e in modo irrevocabile da una commissione composta di 3 membri da nominarsi uno dal Ministro, l'altro dall'alienante ed il terzo dal presidente del tribunale, con spese relative che sono anticipate dall'alienante. Nel caso in cui il Ministro eserciti il diritto di prelazione solo su parte delle cose alienate, il terzo compratore ha poi facoltà di recedere dal contratto concluso con l’alienante. Alla stregua del successivo art.32, il diritto di prelazione in parola deve essere esercitato nel termine di mesi 2 dalla data della denuncia; in pendenza di detto termine, il contratto rimane condizionato sospensivamente all'esercizio del diritto di prelazione ed all'alienante e' vietato di effettuare la tradizione della cosa. La proprietà passa allo Stato dalla data del provvedimento col quale e' esercitata la prelazione, senza che le clausole del contratto di alienazione possano vincolare lo Stato. Ancora, secondo l’art.33 il diritto di prelazione in parola - esercitato dal Ministro per l'educazione nazionale nei modi indicati negli articoli precedenti – può esserlo anche quando la cosa sia a qualunque titolo data dall’alienante in pagamento all’acquirente. Infine, alla stregua del successivo art.34 il Ministro per l'educazione nazionale, sentito il consiglio nazionale dell'educazione, delle, scienze e delle arti, può vietare l'alienazione delle collezioni e serie di oggetti di proprietà privata, notificate ai sensi dell'art. 5 della legge, quando ne derivi danno alla loro conservazione o ne sia menomato il pubblico godimento: in caso di alienazione, totale o parziale, e' riservato allo Stato il diritto di prelazione da esercitarsi nel termini e modi di cui agli articoli 31 e 32, diritto che può essere esercitato anche nel caso in cui la collezione o serie, in tutto o in parte, sia a qualunque titolo data in pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 giugno viene varato il R.D. n.1127, recante il testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali, secondo il cui art.23 quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore (comma 1); in tali casi, se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di esserne riconosciuto autore, spetta un equo premio, per la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza dell'invenzione (comma 2). Per il successivo art.24, nondimeno, qualora non ricorrano le condizioni previste all'articolo precedente e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività dell'azienda privata o dell'amministrazione pubblica a cui è addetto l'inventore, il datore di lavoro ha il diritto di prelazione per l'uso esclusivo, o non esclusivo, della invenzione, o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere, od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all'estero, verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione (comma 1), potendo il ridetto datore di lavoro esercitare il diritto di prelazione entro 3 mesi dalla ricevuta comunicazione del conseguito brevetto (comma 2); i rapporti costituiti con l'esercizio della prelazione in parola si risolvono di diritto ove non venga integralmente pagato, alla divisata scadenza, il corrispettivo dovuto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.267, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), il cui art.1329 disciplina <em>in primis</em> la c.d. proposta irrevocabile, onde se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la pertinente <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/915.html">revoca</a> è senza effetto e, dunque, inefficace (comma 1); la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie peraltro efficacia alla proposta irrevocabile, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale efficacia (comma 2). Si tratta di una disposizione che fa eccezione alla regola generale che consente al proponente di revocare la proposta: secondo il precedente art.1328, comma 1, la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1698.html">proposta</a> può infatti essere <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/915.html">revocata</a> (dal proponente) finché il contratto non sia concluso, e tuttavia se l'accettante ha intrapreso in buona fede l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1700.html">esecuzione</a> del contratto prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per tale iniziata esecuzione di un contratto che poi non si conclude.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale successorio, importante l’art.732 rubricato significativamente “diritto di prelazione”, onde il coerede, che vuol alienare a un <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1046.html">estraneo</a> la propria quota di eredità o parte di essa deve <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3369.html">notificare</a> la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1048.html">diritto di prelazione</a>, che deve essere esercitato nel termine di 2 mesi dall'ultima delle notificazioni; in mancanza della notificazione, i coeredi hanno <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1045.html">diritto di riscattare</a> la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria; se poi i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua dell’art.1331, dedicato all’opzione – che viene dunque ormai specificamente disciplinata - quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1702.html">proposta irrevocabile</a> per gli effetti previsti dall'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-ii/capo-ii/sezione-i/art1329.html">1329</a>; se per l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1699.html">accettazione</a> non è stato fissato un termine, questo può poi essere stabilito dal giudice.</p> <p style="text-align: justify;">In tema di società di capitali, di rilievo l’art.2441 onde le azioni ordinarie di nuova emissione devono essere offerte in opzione agli azionisti, in proporzione del numero delle azioni da essi possedute, salvo che per deliberazione dell'assemblea debbano essere liberate in tutto o in parte mediante conferimenti in natura; per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso agli azionisti un termine non inferiore a giorni 15 dalla pubblicazione dell'offerta di opzione nella Gazzetta Ufficiale del Regno; quando l'interesse della società lo esige, il diritto di opzione può tuttavia essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione e' presa in assemblea di seconda convocazione. La norma sarà progressivamente modificata, restando tuttavia immutata la struttura, in termini di opzione, del meccanismo che consente ai “<em>già</em>” soci di partecipare all’aumento di capitale.</p> <p style="text-align: justify;">Importante anche l’art.2469, comma 1, che in tema di società a responsabilità limitata prevede che le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo, potendo dunque quest’ultimo autorizzare la previsione di clausole di preferenza per i soci (c.d. prelazione societaria).</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, alla stregua dell’art.2597 c.c. chi esercita un'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2437.html">impresa</a> in condizione di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3074.html">monopolio</a> legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento; la norma evoca quanto più specificamente previsto in materia di contratto di trasporto dall’art.1679, onde coloro che per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2053.html">concessione amministrativa</a> esercitano <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2054.html">servizi di linea</a> per il trasporto appunto di persone o di cose sono obbligati ad accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell'impresa, secondo le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2055.html">condizioni generali</a> stabilite o autorizzate nell'atto di concessione e rese note al pubblico, i trasporti dovendo eseguirsi secondo l'ordine delle richieste, ed in caso di più richieste simultanee dovendo essere preferita quella di percorso maggiore; se poi le condizioni generali ammettono speciali concessioni, il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2052.html">vettore</a> è obbligato ad applicarle a parità di condizioni a chiunque ne faccia richiesta; infine, salve le speciali concessioni ammesse dalle condizioni generali, qualunque deroga alle medesime è nulla, e alla clausola difforme è sostituita la norma delle condizioni generali. Importanti in relazione a questa fattispecie anche le disposizioni sulle condizioni generali di contratto ex art.1341 e 1342, nonché quella sull’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre, di cui all’art.2932.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana; sul crinale dei rapporti economici, fondamentale l’art.41, comma 1 e 2, alla cui stregua se da un lato l'iniziativa economica privata è libera, dall’altro essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1951</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della Cassazione n.1635 alla cui stregua è configurabile (ed ammissibile) una prelazione a tempo indeterminato, laddove il promittente si obbliga dunque a preferire – <em>coeteris paribus</em> – il prelazionario nella stipula di un eventuale, futuro contratto senza all’uopo fissare un termine.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1954</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio esce la sentenza della della Cassazione n.2783 alla cui stregua alla <em>denuntiatio</em> nella prelazione – e dunque all’avviso fatto dal proprietario denunciante al prelazionario che egli intende alienare a determinate condizioni - va riconosciuta natura giuridica di proposta contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1965</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 maggio viene varata la legge n.590 recante disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, il cui art.8 in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi già concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l'affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno 4 anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della, superficie corrispondente alla capacità lavorativa della relativa famiglia. La prelazione non e' consentita nei casi di permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità e quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica (e dunque non agricola). Qualora il trasferimento a titolo oneroso sia “<em>proposto</em>”, per quota di fondo, da un componente la famiglia coltivatrice, sia in costanza di comunione ereditaria che in ogni altro caso di comunione familiare, gli altri componenti hanno diritto alla prelazione sempreché siano coltivatori manuali o continuino l'esercizio dell'impresa familiare in comune. Il proprietario deve notificare al coltivatore la “<em>proposta</em>” di alienazione indicandone il prezzo; il coltivatore deve esercitare il relativo diritto entro il termine di 30 giorni.</p> <p style="text-align: justify;">Qualora il proprietario non provveda a tale notificazione, ovvero il prezzo indicato sia superiore a quello poi risultante dal contratto di compravendita (inferiore), l'avente titolo al diritto di prelazione può, entro 1 anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa. Ove il diritto di prelazione sia stato esercitato, il versamento del prezzo di acquisto deve essere effettuato entro il termine di 3 mesi, decorrenti dal trentesimo giorno dall'avvenuta notifica da parte del proprietario, salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti. Se il coltivatore che esercita il diritto di prelazione dimostra, con certificato dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura competente, di aver presentato domanda ammessa all'istruttoria per la concessione di un mutuo, il termine per la prelazione e' sospeso fino a che non sia stata disposta la concessione del mutuo medesimo, ovvero fino a che l'Ispettorato non abbia espresso diniego a conclusione della istruttoria compiuta e, comunque, per non più di 1 anno. In tal caso l'ispettorato provinciale dell'agricoltura deve provvedere entro 4 mesi dalla domanda agli adempimenti di cui all'articolo 3 della legge, secondo le norme che vengono demandate al regolamento di esecuzione della legge medesima. In tutti i casi nei quali il pagamento del prezzo e' differito, il trasferimento della proprietà e' sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento stesso entro il termine stabilito.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di vendita di un fondo coltivato da una pluralità di affittuari, mezzadri o coloni, la prelazione non può essere esercitata che da tutti congiuntamente. Qualora alcuno abbia rinunciato, la prelazione può essere esercitata congiuntamente dagli altri affittuari, mezzadri o coloni purché la superficie del fondo non ecceda il triplo della complessiva capacità lavorativa delle loro famiglie. Si considera rinunciatario l'avente titolo che entro 15 giorni dalla notificazione non abbia comunicato agli altri aventi diritto la propria intenzione di avvalersi della prelazione. Se il componente di famiglia coltivatrice, il quale abbia cessato di far parte della conduzione colonica in comune, non vende la quota del fondo di relativa spettanza entro 5 anni dal giorno in cui ha lasciato l'azienda, gli altri componenti hanno diritto a riscattare la predetta quota al prezzo ritenuto congruo dall'ispettorato provinciale dell'agricoltura, con le agevolazioni previste dalla legge, sempreché l'acquisto sia fatto allo scopo di assicurare il consolidamento di impresa coltivatrice familiare di dimensioni economicamente efficienti. Il diritto di riscatto viene esercitato, se il proprietario della quota non consente alla vendita, mediante la procedura giudiziaria prevista dalle vigenti leggi per l'affrancazione dei canoni enfiteutici, l'accertamento delle condizioni o requisiti venendo demandato all'Ispettorato agrario provinciale competente per territorio. Infine, ai titolari del diritto di prelazione vengono comunque preferiti, se coltivatori diretti, i coeredi del venditore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1975</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.265 alla cui stregua alla <em>denuntiatio</em> nella prelazione – e dunque all’avviso fatto dal proprietario denunciante al prelazionario che egli intende alienare a determinate condizioni - va riconosciuta non già natura giuridica di proposta contrattuale, quanto piuttosto di mera comunicazione non negoziale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 maggio viene varata la legge n.151 in tema di diritto di famiglia, il cui art.89 innesta nel codice civile l’istituto dell’impresa familiare di cui al nuovo art.230 bis c.c.; il comma 5, in particolare prevede che in caso di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1022.html">divisione ereditaria</a> o di trasferimento dell'azienda i partecipi all’impresa familiare di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull'azienda medesima, applicandosi, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-iv/capo-i/art732.html">732</a> sul c.d. retratto successorio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio viene varata la nota legge n.392, recante disciplina delle locazioni di immobili urbani, il cui art.38 – dettato in materia di locazioni di immobili ad uso non abitativo, e dunque sostanzialmente di immobili ad uso commerciale – prevede che nel caso in cui il proprietario locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, nella comunicazione dovendo essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione spettante al conduttore. Quest’ultimo deve poi esercitare il diritto di prelazione entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli. Ove il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di 30 giorni decorrenti dal 60° giorno successivo a quello dell'avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso in cui l'immobile risulti poi locato a più persone, la comunicazione a fini di esercizio della prelazione deve essere effettuata a ciascuna di esse, il diritto di prelazione potendo allora essere esercitato congiuntamente da tutti i conduttori, ovvero, qualora taluno vi rinunci, dai rimanenti o dal rimanente conduttore. L'avente titolo che, entro 30 giorni dalla notificazione, non abbia comunicato agli altri aventi diritto la propria intenzione di avvalersi della prelazione, si considera avere rinunciato alla prelazione medesima.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, queste disposizioni non si applicano nelle ipotesi previste dall'articolo 732 del codice civile, per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado.</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi al successivo art.39, qualora il proprietario non provveda alla notificazione di cui all'articolo 38, o il corrispettivo indicato (al prelazionario) sia alfine superiore rispetto a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile al terzo, l'avente diritto alla prelazione può, entro 6 mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa. Ove sia stato esercitato il diritto di riscatto, il versamento del prezzo deve essere effettuato entro il termine di 3 mesi che decorrono, quando non vi sia opposizione al riscatto, dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto; Se invece per qualsiasi motivo l'acquirente o successivo avente causa faccia opposizione al riscatto, il termine di 3 mesi decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il pertinente giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di disposizioni poste a tutela dell’avviamento commerciale del conduttore imprenditore, favorendo l’acquisto della proprietà da parte di chi, in un determinato luogo, esercita da tempo la propria impresa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 marzo esce la sentenza della Sezione I della Cassazione n.1407 alla cui stregua alla <em>denuntiatio</em> nella prelazione e dunque all’avviso fatto dal proprietario denunciante al prelazionario che egli intende alienare a determinate condizioni - va riconosciuta natura giuridica di proposta contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1982</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 maggio esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.3009 alla cui stregua è configurabile (ed ammissibile) una prelazione a tempo indeterminato, laddove il promittente si obbliga dunque a preferire – <em>coeteris paribus</em> – il prelazionario nella stipula di un eventuale, futuro contratto senza all’uopo fissare un termine.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6256, che si occupa delle locazioni ad uso non abitativo di cui alla legge 392.78, ed in particolare del diritto di prelazione legale (assistito da diritto di riscatto a favore del conduttore imprenditore) di cui agli articoli 38 e 39 della legge ridetta, quale forma di tutela dell’avviamento. Si tratta di disposizioni che presuppongono l’identità, dal punto di vista oggettivo, tra il bene oggetto della locazione ed il bene oggetto della vendita che, come tale, è “<em>inseguibile</em>” dal prelazionario. Possono tuttavia nascere dubbi nel caso in cui la vendita avvenga in blocco ed abbia ad oggetto un immobile su una cui (sola) porzione vi sia esercizio dell’impresa da parte del conduttore prelazionario. In questa fattispecie, viene infatti venduto più di quanto a suo tempo locato; proprio per questo, per la Corte – non riscontrandosi coincidenza tra il bene oggetto della prelazione e, prima ancora, della locazione (quantitativamente minore) e bene oggetto del contratto dispositivo e dunque concretamente venduto (quantitativamente maggiore) – non scatta la prelazione e dunque il conduttore non può pretendere di essere preferito al terzo acquirente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9354, che si occupa delle locazioni ad uso non abitativo di cui alla legge 392.78, ed in particolare del diritto di prelazione legale (assistito da diritto di riscatto a favore del conduttore imprenditore) di cui agli articoli 38 e 39 della legge ridetta, quale forma di tutela dell’avviamento. Si tratta di disposizioni che presuppongono l’identità, dal punto di vista oggettivo, tra il bene oggetto della locazione ed il bene oggetto della vendita che, come tale, è “<em>inseguibile</em>” dal prelazionario. Possono tuttavia nascere dubbi nel caso in cui la vendita abbia ad oggetto una (sola) quota dell’immobile che, nella relativa globalità, è destinato all’esercizio dell’impresa da parte del conduttore prelazionario. In questa fattispecie, viene infatti venduto meno di quanto a suo tempo locato; proprio per questo, per il Collegio va riconosciuto (e dunque non può essere negato) al conduttore “<em>globale</em>” il diritto di prelazione sulla mera quota di immobile (complessivamente considerato) siccome alienata dal proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12088, che si occupa delle locazioni ad uso non abitativo di cui alla legge 392.78, ed in particolare del diritto di prelazione legale (assistito da diritto di riscatto a favore del conduttore imprenditore) di cui agli articoli 38 e 39 della legge ridetta, quale forma di tutela dell’avviamento. Si tratta di disposizioni che presuppongono l’identità, dal punto di vista oggettivo, tra il bene oggetto della locazione ed il bene oggetto della vendita che, come tale, è “<em>inseguibile</em>” dal prelazionario. Possono tuttavia nascere dubbi nel caso in cui la vendita abbia ad oggetto una (sola) quota dell’immobile che, nella relativa globalità, è destinato all’esercizio dell’impresa da parte del conduttore prelazionario. In questa fattispecie, viene infatti venduto meno di quanto a suo tempo locato; proprio per questo, per la Corte – che va in contrario avviso rispetto al proprio precedente di settembre - va negato al conduttore “<em>globale</em>” il diritto di prelazione sulla mera quota di immobile (complessivamente considerato) siccome alienata dal proprietario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varata la legge n.394, recante legge quadro sulle aree protette, il cui art.15, rubricato “<em>acquisti, espropriazioni ed indennizzi</em>” prevede che l'Ente parco, nel quadro del programma di cui al successivo comma 7, può prendere in locazione immobili compresi nel parco o acquisirli, anche mediante espropriazione o esercizio del diritto di prelazione secondo le norme generali vigenti. Stando in particolare al comma 5, l'Ente parco ha diritto di prelazione sul trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali sui terreni situati all'interno delle riserve e delle aree di cui all'articolo 12, comma 2, lettere a) e b), salva la precedenza a favore di soggetti privati di cui al primo comma dell'articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, e successive modificazioni e integrazioni (c.d. prelazione agraria), dovendo esercitare la prelazione entro 3 mesi dalla notifica della proposta di alienazione. Quest’ultima deve contenere la descrizione catastale dei beni, la data della trasmissione del possesso, l'indicazione del prezzo e delle relative modalita' di pagamento. Qualora il dante causa non provveda a tale notificazione o il prezzo notificato sia superiore a quello effettivo di cessione a terzi, l'Ente parco può poi, entro un anno dalla trascrizione dell'atto di compravendita, esercitare il diritto di riscatto nei confronti dell'acquirente e di ogni altro successivo avente causa a qualsiasi titolo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio viene varato il decreto legge n.9, recante disposizioni urgenti per l'adeguamento degli organici delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché per il potenziamento delle infrastrutture, degli impianti e delle attrezzature delle Forze di polizia, il cui art.10, comma 2, prevede che gli immobili acquistati o realizzati in attuazione dei piani di investimento di cui al precedente comma 1 sono concessi in locazione alle Amministrazioni destinatarie e, in caso di successiva vendita, il termine di 60 giorni per l'esercizio del diritto di prelazione, stabilito dall'articolo 38, comma 3, della legge 27 luglio 1978, n. 392, è da assumersi elevato a 180 giorni, a beneficio appunto delle Amministrazioni conduttrici che possono esercitare il ridetto diritto di prelazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio viene varata la legge n.217 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.9.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 febbraio viene varato il decreto legislativo n.104, recante attuazione della delega conferita dall'art. 3, comma 27, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare. Il relativo art.6, rubricato “<em>piani di alienazione e criteri per la vendita</em>”, prevede al comma 5 che agli attuali conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale sia riconosciuto il diritto di prelazione, che può essere esercitato dagli stessi, se in regola con il pagamento dei canoni e degli oneri accessori, individualmente o collettivamente e sempre che non sia stata accertata in via definitiva l'illegittimità dell'assegnazione dell'immobile a suo tempo effettuata. In alcuni casi tale diritto puo' essere esercitato solo da conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza; il diritto di prelazione spetta poi anche agli eredi del conduttore con lui conviventi ed ai portieri degli stabili oggetto della vendita in caso di eliminazione del servizio di portineria. Per gli alloggi occupati da conduttori ultrasessantacinquenni vengono consentiti l'alienazione o il conferimento della sola nuda proprietà degli immobili, fermo restando il diritto di prelazione a loro favore ove siano interessati all'acquisto. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, da emanarsi entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, devono poi essere determinate particolari disposizioni allo scopo di tutelare i conduttori di beni ad uso abitativo, ove versino in condizioni di disagio economico e sociale, ovvero in presenza - nel nucleo familiare del conduttore medesimo - di soggetto di cui all'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104; disposizioni che possono prevedere, tra l'altro, la definizione di procedure di particolare pagamento del prezzo dei relativi immobili e la ricerca di soluzioni abitative alternative. Stando al successivo comma 6, nel caso che l'immobile ad uso residenziale sia locato ad un conduttore che non eserciti l'opzione per l'acquisto dell'immobile stesso (in realtà, si è visto trattarsi di un diritto di prelazione, e non già di una opzione), l'ente proprietario dell'immobile condiziona la vendita all'obbligo per il terzo acquirente di rinnovare il contratto di locazione nel rispetto di taluni specifici criteri.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio esce la sentenza della Corte d’Appello di Milano alla cui stregua il contratto di opzione ex art.1331 c.c., laddove gratuito, pone problemi di relativa giustificazione dal punto di vista della causa, palesandosi difficile identificare l’interesse del concedente a mantenere ferma la propria proposta contrattuale in difetto di un corrispettivo da parte dell’opzionario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 maggio esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.3980, alla cui stregua l’art.2597 sull’obbligo di contrarre del monopolista legale ha natura eccezionale e si applica esclusivamente a chi goda dell’esclusiva nell’offerta di beni e servizi in base a disposizione di legge o a concessione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 21 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10431, che si occupa delle locazioni ad uso non abitativo di cui alla legge 392.78, ed in particolare del diritto di prelazione legale (assistito da diritto di riscatto a favore del conduttore imprenditore) di cui agli articoli 38 e 39 della legge ridetta, quale forma di tutela dell’avviamento. Si tratta di disposizioni che presuppongono l’identità, da punto di vista oggettivo, tra il bene oggetto della locazione ed il bene oggetto della vendita che, come tale, è “<em>inseguibile</em>” dal prelazionario. Possono tuttavia nascere dubbi nel caso in cui la vendita abbia ad oggetto una (sola) quota dell’immobile che, nella relativa globalità, è destinato all’esercizio dell’impresa da parte del conduttore prelazionario. In questa fattispecie, viene infatti venduto meno di quanto a suo tempo locato; proprio per questo, per la Corte – che va in contrario avviso rispetto ad altri precedenti - va negato al conduttore “<em>globale</em>” il diritto di prelazione sulla mera quota di immobile (complessivamente considerato) siccome alienata dal proprietario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 ottobre viene varato il decreto legislativo n.490, recante Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352, che abroga la legge 1089 del 1939 (art.166, comma 1) e ridisciplina il diritto di prelazione dello Stato agli articoli 59 e seguenti. Stando all’art.59, il Ministero ha facolta' di acquistare i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione; qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo o non sia stato previsto un corrispettivo in denaro ovvero sia ceduto in permuta, il valore economico e' determinato d'ufficio dal Ministero, ed ove l'alienante non ritenga di accettare la determinazione effettuata dal Ministero, il valore della cosa e' stabilito da una commissione di tre membri da nominarsi uno dal Ministero, l'altro dall'alienante ed il terzo dal presidente del tribunale. Le spese relative sono anticipate dall'alienante. La determinazione della commissione e' impugnabile in caso di errore o di manifesta iniquità. Il diritto di prelazione può poi essere esercitato anche quando il bene sia a qualunque titolo dato in pagamento. Secondo il successivo art.60, il diritto di prelazione in parola e' esercitato nel termine di 2 mesi dalla data di ricezione della denuncia all’uopo prevista dall'articolo 58; entro il termine indicato, il provvedimento di prelazione e' notificato all'alienante ed all'acquirente e la proprietà passa allo Stato dalla data dell'ultima notificazione. In pendenza del termine prescritto per la prelazione, l'atto di alienazione e' inefficace ed all'alienante e' vietato effettuare la consegna della cosa mentre, d’altro canto, le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato. Nel caso in cui il Ministero eserciti il diritto di prelazione su parte delle cose alienate, il terzo compratore ha facoltà di recedere dal contratto. Infine, secondo il successivo art.61 il soprintendente competente, ricevuta la denuncia di un atto soggetto a prelazione, ne da' immediata comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune nel cui territorio si trova il bene; trattandosi di bene mobile, la Regione ne da' notizia sul proprio Bollettino Ufficiale ed eventualmente mediante altri idonei mezzi di pubblicità a livello nazionale, con la descrizione dell'opera e il relativo prezzo. La Regione, la Provincia ed il Comune, nel termine di 40 giorni dalla denuncia, formulano al Ministero la proposta di prelazione, dichiarando l'eventuale irrevocabile intento di acquistare il bene e di corrisponderne il prezzo all'alienante ed Ministero, qualora rinunci all'acquisto (potendo dunque non rinunciarvi), emette, nel termine previsto dall'articolo 60, comma 1, il decreto di prelazione a favore dell'ente pubblico richiedente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6391 che si colloca nel solco dell’orientamento tradizionale alla cui stregua la prelazione ha effetti reali nei soli casi “<em>tipici</em>” espressamente previsti dalla legge, laddove quest’ultima attribuisca dunque al prelazionario il diritto di riscatto nei confronti dei terzi acquirenti, come nel caso del c.d. retratto successorio (art.732 c.c., a beneficio del coerede), e nelle fattispecie di prelazione agraria (art.8 della legge 590.65, a beneficio del coltivatore diretto) e di prelazione urbana non abitativa (art.38 e 39 della legge 392.78, a beneficio del conduttore imprenditore). Sono fattispecie in cui il prelazionario può, giusta propria dichiarazione unilaterale a natura negoziale detta “<em>retratto</em>”, esercitare un vero e proprio diritto potestativo di riscatto, entrando in via automatica nella proprietà del bene siccome <em>ab origine</em> divisato col patto di prelazione rimasto inadempiuto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9077 che, pur non affrontando <em>ex professo</em> la pertinente questione, si occupa della cedibilità dell’opzione, rammentando come essa venga in genere risolta in senso affermativo nel caso in cui l’opzione (e dunque il diritto potestativo dell’opzionario) abbia ad oggetto l’acquisto di cose, beni e servizi, ed in senso negativo nell’opposto caso in cui l’opzione (e dunque il diritto potestativo dell’opzionario) abbia ad oggetto la vendita (l’originario opzionario venditore cede il diritto di vendere all’”<em>acquirente</em>”, nuovo opzionario venditore), dacché sorgerebbero problemi di coordinamento con la disciplina della garanzia per i vizi e per l’evizione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre viene varato il decreto legge n.351, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare. Importante l’art.3 in tema di modalità per la cessione degli immobili pubblici, che vede intrecciarsi profili privatistici e profili pubblicistici, ed alla cui stregua <em>in primis</em> i beni immobili (pubblici) individuati ai sensi dell'articolo 1 della legge possono essere trasferiti a titolo oneroso ad una o più società costituite all’uopo.</p> <p style="text-align: justify;">Importanti in particolare il comma 3 e i seguenti, alla cui stregua viene riconosciuto in favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di opzione per l'acquisto, in forma individuale e a mezzo di mandato collettivo, delle unità immobiliari medesime, al prezzo determinato <em>ex parte publica</em> secondo quanto disposto dai commi 7 e 8; è poi riconosciuto il diritto dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale, con reddito familiare complessivo annuo lordo, determinato con le modalità previste dall'articolo 21 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modifiche ed integrazioni, inferiore a 18.000 euri, al rinnovo del contratto di locazione per un periodo di nove anni, a decorrere dalla prima scadenza del contratto successiva al trasferimento dell'unita' immobiliare alla societa' di cui al comma 1 dell'articolo 2, con applicazione del medesimo canone di locazione in atto alla data di scadenza del contratto; per le famiglie con componenti ultrasessantacinquenni o con componenti disabili il limite del reddito familiare complessivo lordo, determinato con le modalità indicate nel periodo precedente, è pari a 22.000 euro; per le unità immobiliari occupate da conduttori ultrasessantacinquenni viene consentita l'alienazione della sola nuda proprietà, fermo restando il diritto di prelazione di cui al successivo comma 5. Quest’ultima disposizione riconosce per l’appunto il diritto di prelazione in favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale, solo tuttavia per il caso di vendita degli immobili ad un prezzo inferiore a quello di esercizio dell'opzione. Il diritto di prelazione eventualmente spettante ai sensi di legge ai conduttori delle singole unità immobiliari ad uso diverso da quello residenziale (e, dunque, ad uso commerciale) può essere esercitato unicamente nel caso di vendita frazionata degli immobili, e non anche dunque nel caso di vendita in blocco; il diritto di prelazione sussiste tuttavia anche se la vendita frazionata si pone in successione cronologica rispetto ad un acquisto in blocco.</p> <p style="text-align: justify;">I diritti dei conduttori (opzione e prelazione) sono riconosciuti se essi sono in regola con il pagamento dei canoni e degli oneri accessori e sempre che non sia stata accertata l'irregolarità della locazione. Sono inoltre riconosciuti i diritti dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale purché essi o gli altri membri conviventi del nucleo familiare non siano proprietari di altra abitazione adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza; i diritti di opzione e di prelazione spettano peraltro anche ai familiari conviventi, nonché agli eredi del conduttore con lui conviventi ed ai portieri degli stabili oggetto della vendita, in caso di eliminazione del servizio di portineria.</p> <p style="text-align: justify;">Il prezzo di vendita degli immobili e delle unita' immobiliari viene determinato in ogni caso sulla base delle valutazioni correnti di mercato, prendendo a riferimento i prezzi effettivi di compravendite di immobili e unità immobiliari aventi caratteristiche analoghe; le unità immobiliari libere, quelle occupate ad uso diverso da quello residenziale e quelle ad uso residenziale, per le quali i conduttori non hanno esercitato il diritto di opzione per l'acquisto, sono poste in vendita al miglior offerente individuato con procedura competitiva, fermo restando il diritto di prelazione ridetto nel caso in cui il prezzo di vendita sia più basso di quello di opzione. Il prezzo di vendita delle unità immobiliari ad uso residenziale, escluse quelle di pregio, offerte in opzione ai conduttori che acquistano in forma individuale e' pari al prezzo di mercato delle stesse unità immobiliari libere diminuito del 30 per cento. La determinazione esatta del prezzo di vendita di ciascun bene immobile e unità immobiliare, nonché l'espletamento, ove necessario, delle attività inerenti l'accatastamento dei beni immobili trasferiti e la ricostruzione della documentazione ad essi relativa, possono essere affidati all'Agenzia del territorio e a societa' aventi particolare esperienza nel settore immobiliare, individuate con procedura competitiva.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre viene varata la legge n.410 che converte con modificazioni il decreto legge n.351</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 agosto esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.11714, alla cui stregua l’art.2597 sull’obbligo di contrarre del monopolista legale ha natura eccezionale e si applica esclusivamente a chi goda dell’esclusiva nell’offerta di beni e servizi in base a disposizione di legge o a concessione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.11918, alla cui stregua l’obbligo di contrarre scaturente dall’art.2597 c.c. comporta che l’imprenditore deve stipulare il contratto con chiunque faccia richiesta del pertinente servizio, usando parità di trattamento con tutti i contraenti in ciascun gruppo di contratti omogenei, secondo le condizioni generali all’uopo previste e risultanti o direttamente dalla legge, ovvero dall’atto di concessione, ovvero dalla predisposizione, da parte del monopolista, di schemi contrattuali standardizzati rispondenti al meccanismo di cui agli articoli 1341 e 1342 c.c., onde è necessario che la richiesta dell’utente si adegui alle condizioni suddette, siccome imposte da esigenze di programmazione ed economicità che caratterizzano la posizione del monopolista stesso: le condizioni generali in parola possono infatti legittimare criteri di priorità e limitazioni quantitative e qualitative dettate per l’appunto da esigenze di programmazione e di economicità, tenendo conto del fatto che il monopolista legale è un soggetto di natura imprenditoriale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.14645 che si occupa della prelazione negoziale, additandola quale autonoma figura contrattuale che si innesta nel contratto principale facendo dunque luogo ad un collegamento negoziale; per la Corte, essa si caratterizza per una propria, specifica funzione giuridicamente rilevante in termini di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti ex art.1322 c.c., dacché viene presidiato l’interesse di una parte ad essere preferita rispetto a terzi laddove il promittente intenda (in futuro) contrarre. La Corte ribadisce peraltro come, in difetto di una espressa previsione opposta, la prelazione produca soltanto effetti obbligatori, risultandone inadempiente il promittente che non abbia onorato il pertinente patto ex art.1218 c.c. In queste fattispecie l’interesse primario del prelazionario – entrare nella proprietà del bene con preferenza, <em>coeteris paribus</em>, rispetto ai terzi – resta frustrato, potendo egli solo ottenere il risarcimento del danno da parte del ridetto promittente inadempiente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 gennaio viene varato il decreto legislativo n.6 di riforma del diritto societario, il cui art.1, comma 1, introduce nel codice civile un nuovo art.2355 bis in tema di limiti alla circolazione delle azioni; in casi particolari (azioni nominative o mancata emissione di titoli azionari) lo statuto può infatti sottoporre a particolari condizioni il trasferimento anche di azioni di una s.p.a., con configurabilità di una nuova ipotesi di c.d. “<em>prelazione societaria</em>”, in riferimento al possibile acquisto da parte dei soci.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.18321 onde è ammissibile il contratto preliminare di compravendita a favore di terzo, nonché quello di opzione a favore di terzo nel caso in cui il soggetto promittente (nel caso di specie, promittente venditore), piuttosto che obbligarsi soltanto, nella forma del contratto preliminare bilaterale o unilaterale, con l’altro stipulante a prestare il consenso alla definitiva vendita di un proprio bene a favore di un terzo, resti già vincolato alla propria dichiarazione di irrevocabile proposta contrattuale, sicché al terzo beneficiario, libero di accettarla, basta la semplice accettazione perché a suo favore si producano gli effetti del contratto, per la conclusione del quale l’opzione è stata accordata</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.18648 , che si occupa delle locazioni ad uso non abitativo di cui alla legge 392.78, ed in particolare del diritto di prelazione legale (assistito da diritto di riscatto a favore del conduttore imprenditore) di cui agli articoli 38 e 39 della legge ridetta, quale forma di tutela dell’avviamento. Si tratta di disposizioni che presuppongono l’identità, da punto di vista oggettivo, tra il bene oggetto della locazione ed il bene oggetto della vendita che, come tale, è “<em>inseguibile</em>” dal prelazionario. Possono tuttavia nascere dubbi nel caso in cui la vendita abbia ad oggetto una (sola) quota dell’immobile che, nella relativa globalità, è destinato all’esercizio dell’impresa da parte del conduttore prelazionario. In questa fattispecie, viene infatti venduto meno di quanto a suo tempo locato; proprio per questo, per la Corte – che va in contrario avviso rispetto al propri precedenti <em>ratione materiae</em> - va negato al conduttore “<em>globale</em>” il diritto di prelazione sulla mera quota di immobile (complessivamente considerato) siccome alienata dal proprietario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 gennaio viene varato il decreto legislativo n.42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’art.10 della legge 137.02, i cui articoli 60 e seguenti disciplinano nuovamente l’istituto della prelazione legale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali su beni culturali. Alla stregua dell’art.60 il ridetto Ministero o, nel caso previsto dall'articolo 62, comma 3, la Regione o l'altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso, al medesimo prezzo stabilito per il terzo acquirente nell'atto di alienazione. Qualora il bene sia alienato assieme ad altri per un unico corrispettivo o sia ceduto senza previsione di un corrispettivo in denaro ovvero sia dato in permuta, il valore economico e' determinato d'ufficio dal soggetto pubblico che procede alla prelazione. Ove l'alienante non ritenga di accettare la determinazione effettuata, il valore economico della cosa e' stabilito da un terzo, designato concordemente dall'alienante e dal soggetto pubblico che procede alla prelazione; se le parti non si accordano per la nomina del terzo, ovvero per la relativa sostituzione qualora il terzo nominato non voglia o non possa accettare l'incarico, la nomina e' effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribunale del luogo in cui e' stato concluso il contratto. Le spese relative sono anticipate dall'alienante. La determinazione del terzo e' impugnabile in caso di errore o di manifesta iniquità; la prelazione può essere esercitata anche quando il bene sia a qualunque titolo dato in pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il successivo art.61 detta le condizioni della prelazione, onde essa e' esercitata nel termine di 60 giorni dalla data di ricezione della denuncia all’uopo prevista dall'articolo 59; nel caso in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, la prelazione e' esercitata nel termine di 180 giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell'articolo 59, comma 4.; entro tali termini, il provvedimento di prelazione e' notificato all'alienante ed all'acquirente e la proprietà del bene passa allo Stato dalla data dell'ultima notifica. In pendenza del termine di esercizio della prelazione, l'atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all'esercizio della prelazione medesima e all'alienante e' vietato effettuare la consegna della cosa. Le clausole del contratto di alienazione tra terzi non vincolano lo Stato; nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, il terzo acquirente ha facoltà di recedere dal contratto.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, l’art.62 detta il procedimento per la prelazione, onde il competente Soprintendente, ricevuta la denuncia di un atto soggetto a prelazione, ne da' immediata comunicazione alla Regione e agli altri enti pubblici territoriali nel cui ambito si trova il bene. Trattandosi di bene mobile, la Regione ne da' a propria volta notizia sul proprio Bollettino Ufficiale ed eventualmente mediante altri idonei mezzi di pubblicità a livello nazionale, con la descrizione dell'opera e l'indicazione del prezzo. La Regione e gli altri enti pubblici territoriali, nel termine di 30 giorni dalla denuncia, formulano al Ministero la eventuale proposta di prelazione, corredata dalla deliberazione dell'organo competente che predispone, a valere sul bilancio dell'ente, la necessaria copertura finanziaria della spesa; il Ministero, qualora non intenda esercitare la prelazione, ne da' comunicazione, entro 40 giorni dalla ricezione della denuncia, all'ente interessato, che assume il relativo impegno di spesa, adotta (esso stesso) il provvedimento di prelazione e lo notifica all'alienante ed all'acquirente entro e non oltre 60 giorni dalla denuncia medesima. La proprietà del bene passa all'ente che ha esercitato la prelazione dalla data dell'ultima notifica. Nei casi di cui all'articolo 61, comma 2 (la denuncia è stata omessa o presentata tardivamente oppure risulta incompleta), i termini indicati al comma 2 ed al comma 3, primo e secondo periodo, sono, rispettivamente, di 90, 120 e 180 giorni dalla denuncia tardiva o dalla data di acquisizione degli elementi costitutivi della denuncia medesima.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 giugno esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.11607 alla cui stregua è configurabile (ed ammissibile) una prelazione a tempo indeterminato, laddove il promittente si obbliga dunque a preferire – <em>coeteris paribus</em> – il prelazionario nella stipula di un eventuale, futuro contratto senza all’uopo fissare un termine.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15178 alla cui stregua è da assumersi, concordemente con parte della dottrina, inconfigurabile l’opzione gratuita, e dunque senza obbligazioni corrispettive a carico dell’opzionario, una simile fattispecie - non riconducibile all’art.1331 c.c. – dovendo piuttosto qualificarsi come proposta irrevocabile (unilaterale) ex art.1329 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1915, che si occupa delle locazioni ad uso non abitativo di cui alla legge 392.78, ed in particolare del diritto di prelazione legale (assistito da diritto di riscatto a favore del conduttore imprenditore) di cui agli articoli 38 e 39 della legge ridetta, quale forma di tutela dell’avviamento. Si tratta di disposizioni che presuppongono l’identità, da punto di vista oggettivo, tra il bene oggetto della locazione ed il bene oggetto della vendita che, come tale, è “<em>inseguibile</em>” dal prelazionario. Possono tuttavia nascere dubbi nel caso in cui la vendita avvenga in blocco ed abbia ad oggetto un immobile su una cui (sola) porzione vi sia esercizio dell’impresa da parte del conduttore prelazionario. In questa fattispecie, viene infatti venduto più di quanto a suo tempo locato; proprio per questo, per la Corte – non riscontrandosi coincidenza tra il bene oggetto della prelazione e, prima ancora, della locazione (quantitativamente minore) e bene oggetto del contratto dispositivo e dunque concretamente venduto (quantitativamente maggiore) – non scatta la prelazione e dunque il conduttore non può pretendere di essere preferito al terzo acquirente.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio viene varato il decreto legislativo n.30, recante Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, che abroga il R.D. 1127.39. Per il relativo art.64 - in tema di invenzione dei dipendenti quando l'invenzione industriale e' fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego in cui l'attività inventiva e' prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita - i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore (comma 1); se non e' prevista e stabilita una retribuzione in compenso dell'attività inventiva e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Qualora poi non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest'ultimo ha il diritto di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all'estero verso corresponsione del canone del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro 3 mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell'avvenuto deposito della domanda di brevetto; i rapporti costituiti con l'esercizio dell'opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto (comma 3). Ferma la competenza del GO relativa all'accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l'accordo circa l'ammontare degli stessi, anche se l'inventore e' un dipendente di PA statale, alla determinazione dell'ammontare provvede un collegio di arbitratori, composto di 3 membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale competente dove il prestatore d'opera esercita abitualmente le sue mansioni; si applicano in quanto compatibili le norme degli articoli 806, e seguenti, del codice di procedura civile (comma 4). Il collegio degli arbitratori puo' essere adito anche in pendenza del giudizio di accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, ma, in tal caso, l'esecutività della relativa decisione e' subordinata a quella della sentenza sull'accertamento del diritto. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento e se la relativa determinazione e' manifestamente iniqua od erronea, essa e' fatta dal giudice (comma 5). Agli effetti dei commi 1, 2 e 3, si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d'impiego l'invenzione industriale per la quale sia chiesto il brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o la PA nel cui campo di attività l'invenzione rientra.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.26079 alla cui stregua, come si evince dalla espressa qualificazione di cui all’art.8 della legge 590.65 in tema di prelazione agraria, alla c.d. “<em>denuntiatio</em>” va riconosciuta natura giuridica di proposta contrattuale che il promittente fa al prelazionario, e dunque di atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile, discendendone per conseguenza l’obbligo della forma scritta <em>ad substantiam</em> ex art.1350 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.25130 che si colloca nel solco dell’orientamento tradizionale alla cui stregua la prelazione ha effetti reali nei soli casi “<em>tipici</em>” espressamente previsti dalla legge, laddove quest’ultima attribuisca dunque al prelazionario il diritto di riscatto nei confronti dei terzi acquirenti, come nel caso del c.d. retratto successorio (art.732 c.c., a beneficio del coerede), e nelle fattispecie di prelazione agraria (art.8 della legge 590.65, a beneficio del coltivatore diretto) e di prelazione urbana non abitativa (art.38 e 39 della legge 392.78, a beneficio del conduttore imprenditore). Sono fattispecie in cui il prelazionario può, giusta propria dichiarazione unilaterale a natura negoziale detta “<em>retratto</em>”, esercitare un vero e proprio diritto potestativo di riscatto, entrando in via automatica nella proprietà del bene siccome <em>ab origine</em> divisato col patto di prelazione rimasto inadempiuto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9519 alla cui stregua, come si evince dalla espressa qualificazione di cui all’art.8 della legge 590.65 in tema di prelazione agraria, alla c.d. “<em>denuntiatio</em>” va riconosciuta natura giuridica di proposta contrattuale che il promittente fa al prelazionario, e dunque di atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile, discendendone per conseguenza l’obbligo della forma scritta <em>ad substantiam</em> ex art.1350 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.13886, che risolve il contrasto di giurisprudenza insorto con riguardo all’interpretazione degli articoli 38 e 39 della legge 392.78 in materia di prelazione immobiliare urbana di immobili adibiti ad uso non abitativo (commerciale), nella peculiare fattispecie in cui quanto venduto (<em>pro quota</em>) sia meno di quanto globalmente locato, aderendo alla tesi negativa alla cui stregua in tal caso non può assumersi risconoscibile in capo al conduttore imprenditore un diritto di prelazione con riguardo alla sola quota alienata dal proprietario. Per il Collegio la prelazione, laddove limita la libertà negoziale delle parti, costituisce un istituto eccezionale che va applicato nei soli casi previsti dalla legge senza che siano ammissibili estensioni analogiche. Per il Collegio appare poi poco significativo l’argomento della tesi opposta basato sulla necessità di perseguire il consolidamento in capo al conduttore imprenditore della proprietà della cosa locata (e commercialmente sfruttata), stante la mera eventualità dell’alienazione, da parte del proprietario, delle altre quote diverse da quella posta in vendita. Le SSUU non mancano di sottolineare peraltro come il conduttore “<em>globale</em>” imprenditore risulti adeguatamente tutelato dal sistema giacché - laddove venga provato l’intento fraudolento del proprietario locatore in termini di alienazioni plurime frazionate - il ridetto conduttore potrà comunque esercitare il diritto di riscatto, in caso contrario avendo comunque sempre diritto ad una indennità per l’avviamento commerciale perduto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 31 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2402 che si colloca nel solco dell’orientamento tradizionale alla cui stregua la prelazione ha effetti reali nei soli casi “<em>tipici</em>” espressamente previsti dalla legge, laddove quest’ultima attribuisca dunque al prelazionario il diritto di riscatto nei confronti dei terzi acquirenti, come nel caso del c.d. retratto successorio (art.732 c.c., a beneficio del coerede), e nelle fattispecie di prelazione agraria (art.8 della legge 590.65, a beneficio del coltivatore diretto) e di prelazione urbana non abitativa (art.38 e 39 della legge 392.78, a beneficio del conduttore imprenditore). Sono fattispecie in cui il prelazionario può, giusta propria dichiarazione unilaterale a natura negoziale detta “<em>retratto</em>”, esercitare un vero e proprio diritto potestativo di riscatto, entrando in via automatica nella proprietà del bene siccome <em>ab origine</em> divisato col patto di prelazione rimasto inadempiuto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3787 che si colloca nel solco dell’orientamento tradizionale alla cui stregua la prelazione ha effetti reali nei soli casi “<em>tipici</em>” espressamente previsti dalla legge, laddove quest’ultima attribuisca dunque al prelazionario il diritto di riscatto nei confronti dei terzi acquirenti, come nel caso del c.d. retratto successorio (art.732 c.c., a beneficio del coerede), e nelle fattispecie di prelazione agraria (art.8 della legge 590.65, a beneficio del coltivatore diretto) e di prelazione urbana non abitativa (art.38 e 39 della legge 392.78, a beneficio del conduttore imprenditore).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3990, che si occupa di un prototipo del contratto normativo ad effetti obbligatori, ovvero del contratto (atipico) di “<em>concessione di vendita</em>”; si tratta di un contratto quadro che vede il concessionario obbligarsi a promuovere la rivendita di prodotti (in genere si tratta di veicoli o di pezzi di ricambio) che gli vengono forniti dal concedente giusta stipulazione di singoli contratti a valle con i terzi , a condizioni predeterminate, ovvero più genericamente obbligarsi a concludere con terzi contratti di puro trasferimento di prodotti seguendo le condizioni scolpite nell’accordo normativo a monte. Per la Corte si tratta per l’appunto di un contratto normativo ad effetti obbligatori, e non reali, onde la previsione in esso contenuta (“<em>a monte</em>”) di un eventuale patto di riservato dominio non si inserisce automaticamente nei contratti di trasferimento a valle stipulati dal concessionario con i terzi, dovendo la pertinente clausola essere inserita dal concessionario in ciascuno di tali contratti successivamente stipulati.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.13632 che si occupa dei c.d. contratti normativi in tema di comunione; per la Corte, i diritti dei condomini sulla <em>res</em> comune possono essere disciplinati giusta appunto un contratto normativo allorché si voglia prevedere un regolamento che esorbiti dalle potestà di gestione delle cose comuni ordinariamente attribuita all’assemblea, e dunque allorché si vogliano prevedere delle disposizioni che incidono sui diritti del singolo comproprietario, ovvero pongono obblighi o limitazioni a carico dello stesso, o determinano criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione della <em>res</em> ridetta di tipo diverso rispetto a quelle previste <em>ex lege</em>; in questa evenienza, il regolamento di condominio assume la natura, per la Corte, di contratto normativo plurisoggettivo, che come tale può essere modificato solo col consenso di tutti i comunisti, a differenza di quanto accade per l’ordinario regolamento di condominio, che non ha natura contrattuale e che costituisce espressione delle attribuzioni assembleari (potendo dunque essere modificato anche dalla sola maggioranza dei comunisti, quand’anche sia stato approvato col consenso unanime dei medesimi).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.18001, alla cui stregua – in tema di proposta irrevocabile - laddove il tempo di irrevocabilità venga fatto cessare dalle parti con la sottoscrizione del contratto preliminare o, in difetto di questa, con il rogito notarile di trasferimento della proprietà - che con la creazione di un vincolo contrattuale esauriscono la funzione della proposta - deve in realtà negarsi che all'irrevocabilità sia stato previsto un termine, poiché la necessaria temporaneità della stessa presuppone che alla scadenza di esso il proponente riacquisti la possibilità di esercitare la facoltà di revoca; per la Corte dunque, ove il termine di irrevocabilità della proposta contrattuale ex art. 1329 cod. civ. – da considerarsi essenziale, stante la natura eccezionale della norma rispetto a quanto previsto dal precedente art.1328 c.c. in tema di ordinaria revocabilità della proposta medesima - sia stato fissato dalle parti in coincidenza con la sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita o, in difetto, con il rogito notarile di trasferimento della proprietà, deve in realtà negarsi l'esistenza stessa della relativa apposizione (quale termine appunto di irrevocabilità) alla proposta ridetta, che può dunque essere sempre revocata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 agosto viene varato il decreto legislativo n.131, che modifica il codice della proprietà industriale n.30.05 anche nel relativo art.64, comma 3, apportando delle limature di forma, onde “<em>acquistare brevetti all’estero</em>” diviene “<em>acquisire brevetti all’estero</em>” e “<em>verso corresponsione del canone del prezzo</em>” diviene “<em>verso corresponsione del canone o del prezzo</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.372 che assume rientrare nella giurisdizione del GA una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento con il quale un Comune ha esercitato il diritto di prelazione su un bene privato di interesse pubblico (nella specie si trattava di un immobile storico), ai sensi degli artt. 59 e ss. del <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=150">decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42</a> (codice dei beni culturali e del paesaggio). In tal caso, infatti, il Comune ha esercitato un potere (quello di prelazione) di cui, per legge, è certamente titolare, e ha manifestato quindi un’attribuzione sua propria; si tratta, dunque, di controversia in cui vengono in rilievo interessi legittimi, come quello degli interessati a conservare il bene opponendosi all’esercizio del potere ablatorio dell’Amministrazione, con la conseguenza onde l’effettiva verifica circa la legittimità del provvedimento impugnato (circa, quindi, l’esistenza dei presupposti di esercizio del pertinente potere o dei relativi requisiti di legittimità) spetta al GA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.504, alla cui stregua la censura con la quale si deduce l’insussistenza della copertura finanziaria in ordine alla proposta di prelazione per un bene vincolato, prevista dagli artt. 60 – 62 del <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=150">d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42</a> (Codice dei beni culturali e del paesaggio), non è deducibile dal privato se non qualora essa si traduca in mancato pagamento del corrispettivo dovuto in relativo favore . Per il Collegio poi la disposizione secondo cui l’ente che delibera di procedere alla prelazione di un bene vincolato deve indicare “<em>le specifiche finalità di valorizzazione culturale del bene</em>” è stata introdotta dal <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1246">d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156</a> ed è perciò applicabile solo ai provvedimenti di esercizio del diritto di prelazione adottati dopo la data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto legislativo; tuttavia, anche nel regime previgente, era necessaria una destinazione del bene, pur se non specificamente precisata, comunque coerente con lo scopo del mantenimento della relativa caratterizzazione culturale. Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione nei confronti dei beni vincolati, previsto dagli artt. 60 – 62 del <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=150">d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42</a>, è peraltro da assumere vietato l’utilizzo del bene culturale da acquisire che risulti palesemente in contrasto con il valore culturale del bene stesso, essendo possibile riscontrare tale contrasto se l’immobile sia destinato ad uso di uffici pubblici operativi; il contrasto non sussiste invece se il bene culturale sia destinato a funzioni di rappresentanza, trattandosi di un uso che, in quanto così limitato, di per sé salvaguarda le caratteristiche dell’immobile rendendole anzi fruibili a soggetti esterni e, possibilmente, al pubblico in generale. Inoltre, chiosa ancora il Collegio, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione nei confronti dei beni vincolati, previsto dagli artt. 60 – 62 del <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=150">d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42</a>, non è richiesta la comunicazione di avvio del procedimento ai proprietari interessati, essendo ciò coerente con la <em>ratio</em> dell’istituto e del procedimento stesso che non richiede all’Amministrazione una comparazione di interessi ma la valutazione sulla funzionalità del bene rispetto agli interessi pubblici tutelati, fermo restando in ogni caso che, scaturendo il procedimento da una serie di atti di iniziativa privata, il privato ben può fornire gli elementi di ponderazione che ritenga utili già all’atto della denuncia, nella consapevolezza che essa è fatta proprio allo scopo di consentire l’attivazione del procedimento che può concludersi con l’esercizio della prelazione. Nel caso poi si tratti di enti locali, la deliberazione di esercizio della prelazione legittimamente viene adottata dal Consiglio comunale, atteso che quest’ultimo è l’organo competente in materia ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l), del <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1460">d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267</a> quando si tratti di “<em>acquisti e alienazioni immobiliari</em>”, così come competente all’adozione dell’atto di conseguente esecuzione delle deliberazioni degli organi di governo del Comune è il responsabile della struttura tecnica ai sensi dell’articolo 107, comma 2, del <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1460">d.lgs. n. 267 del 2000</a>, che attribuisce ai dirigenti gli atti e provvedimenti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 aprile esce l’importante sentenza delle SSUU n.9692, alla cui stregua in tema di dismissione del patrimonio degli enti previdenziali pubblici (nel caso di specie, di un immobile dell’Inail), poiché la quantificazione del prezzo contenuto nell'offerta da effettuarsi al conduttore dell'immobile ad uso residenziale per consentirgli l'esercizio del diritto di opzione, di cui all'art. 3 d.l. 25 settembre 2001 n. 351 (conv., con modif., dalla l. 23 novembre 2001 n. 410, e successivamente ulteriormente riformato) è connotata, in ragione delle variabili che la determinano, da discrezionalità pubblicistica, ne è precluso al GO un sindacato non circoscritto alla sola legittimità, bensì di merito, di tipo sostitutivo delle valutazioni dell'amministrazione, sicché la controversia relativa alla relativa non corrispondenza al «<em>prezzo di mercato</em>» come previsto dalla legge, rimanendo nella sfera di determinazione dell'ente pubblico, non integra violazione del diritto soggettivo di opzione del conduttore, ma solo un interesse legittimo alla corretta formazione della volontà dell'amministrazione, spettando come tale alla giurisdizione del GA.</p> <p style="text-align: justify;"> La Corte rammenta come le stesse S.U. (n. 24417 del 02/12/2010) abbiano già statuito che la "<em>cartolarizzazione</em>" degli immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici disciplinata dal D.L. 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, nella L. 23 novembre 2001, n. 410, è compresa nel più vasto ambito delle "<em>procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici</em>", indicato come possibile oggetto dei "<em>giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa</em>" dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 23-bis, senza che ciò implichi che la cognizione di tutte le controversie relative sia riservata al GA, atteso che la disposizione non contiene norme sulla giurisdizione, e perciò non modifica l'ordinario criterio di riparto, fondato sulla natura della situazione soggettiva fatta valere in giudizio. Il principio – chiosa ancora la Corte - è stato ulteriormente ribadito da S.U. n. 12106/2012, che hanno anche affermato che il D.L. n. 351 del 2001, art. 3, conv. in L. n. 410 del 2001, nel riconoscere in favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di opzione per l'acquisto di detti beni al prezzo determinato dai comma 7 e 8, medesimo art., pari al prezzo di mercato diminuito del 30 per cento, ed escludendo tale riduzione per gli immobili di pregio, rappresenta il risultato di un bilanciamento di interessi che il legislatore ha compiuto fra l'aspirazione dei conduttori dei suddetti immobili ad acquistare ad un valore inferiore a quello di mercato e le esigenze degli enti previdenziali di non svendere proprietà prestigiose, acquistate precedentemente a pieno prezzo con denaro dei contribuenti (cfr. anche Cass. S.U. n. 3246/2010).</p> <p style="text-align: justify;">Affermato, in linea di principio, quanto sopra in tema di giurisdizione, va poi rilevato per la Corte che il procedimento di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici è stato inizialmente previsto e regolato dal D.L. 16 febbraio 1996, n. 104, il quale ha previsto il diritto di prelazione in favore degli attuali conduttori di unità abitative ad uso residenziale, il cui esercizio poteva avvenire individualmente oppure collettivamente (art. 6, comma 5), ad un prezzo rapportato al valore catastale; il diritto di prelazione veniva previsto anche a favore dei conduttori di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, ma in tal caso ad un prezzo superiore (valore catastale aumentato del 50 per cento). Successivamente a questo decreto legislativo sono state emanate nuove norme (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 109; L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 2), il cui intento non è stato tanto quello di modificare la disciplina recata dal decreto legislativo n. 104 del 1996, quanto quello di rendere più rapide le procedure di vendita, con la previsione della vendita in blocco, per tutto il patrimonio o per singoli blocchi di patrimonio, a favore di organismi collettivi (cooperative di abitazione di conduttori, oppure intermediari immobiliari dichiarati disposti all'acquisto di interi complessi di beni), ferma restando la possibilità di vendita isolata del singolo alloggio, e salvo in ogni caso (sia per la vendita isolata che per la vendita in blocco) il diritto di prelazione a favore dell'inquilino. Successivamente ancora è stato emanato il D.L. 25 settembre 2001, n. 351, che ha modificato in parte la disciplina delle dismissioni del patrimonio degli enti pubblici, attribuendo ai conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di opzione per l'acquisto al prezzo determinato secondo quanto disposto dai commi 7 e 8, stesso articolo. In particolare la fattispecie in questione è regolata dal D.L. 25 settembre 2001, n. 351, art. 3, convertito dalla L. 23 novembre 2001, n. 410, nel testo risultante dalle modificazioni apportate prima in sede di conversione, poi dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 26, comma 9 e dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 134, il quale ai commi 3, 5, 7, 8 e 9.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto premesso, ricorda il Collegio come in favore del conduttore di unità immobiliare residenziale da dismettere sussistano sia un diritto di opzione che un diritto di prelazione (ove non sia esercitato il primo), dovendo anzitutto essere rilevato che il prezzo di vendita, con le variabili che lo determinano - quali quella della natura di pregio o meno dell'immobile -, è un elemento esterno al diritto potestativo di accettazione, sia in relazione al diritto di opzione che di prelazione, e costituisce invece un elemento imprescindibile dell'offerta, ovvero di un atto negoziale unilaterale ricettizio, che rientra nella disponibilità del proponente (sia pure in maniera sufficientemente vincolata dalla legge, essendo il proponente pur sempre un ente pubblico ovvero una società costituita per la realizzazione di dismissione di beni immobiliari pubblici). Mentre l'opzione - parificata nel regime normativo, ex artt. 1331 e 1329 alla proposta irrevocabile - si sostanzia in un rapporto in base al quale una delle parti si obbliga a rimanere vincolata alla propria dichiarazione, e l'altra ha facoltà di accettarla o meno, nella prelazione, invece, non sorge alcun obbligo immediato a carico del promittente, il quale è libero anche di non stipulare il contratto cui si riferisce la prelazione, obbligandosi solo a preferire, ove esso venga concluso, il promissario. Sennonché - prosegue la Corte - in entrambi gli istituti l'individuazione del prezzo di vendita dell'immobile pubblico da dismettere, ancorché da individuarsi sulla base dell'indicazione legislativa del "<em>valore di mercato</em>" con le ulteriori variabili fissate dalla legge, rientra nella disponibilità dell'offerente e non costituisce un diritto dell'oblato. Solo dopo che l'offerta è stata formulata dal proponente e ricevuta dall'oblato, il prezzo ivi indicato integra una componente dell'oggetto della opzione (o prelazione) ed esce dalla discrezionalità (sia pure solo tecnica) dell'offerente.</p> <p style="text-align: justify;">Nella fattispecie, prosegue la Corte, la ricorrente ha adito il GO, ritenendo essere stato violato il relativo diritto di opzione, in quanto l'offerta conteneva un prezzo decisamente più alto di quello di mercato e cioè pari ad Euro 457.403,76, a fronte di Euro 130.725,00 che, secondo la ricorrente corrispondeva a quello di mercato. Ribadito allora che la materia della "<em>cartolarizzazione</em>" non è oggetto di una ipotesi di giurisdizione esclusiva, sicchè la spettanza al GO o al GA della cognizione delle controversie che a quel campo attengono deve essere stabilita secondo l'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, (Sez. U, Ord. n. 20902 del 11/10/2011), va osservato per la Corte che nella specie il contrasto tra le parti attiene alla determinazione del prezzo contenuto nella offerta di acquisto inoltrata alla conduttrice. L'attrice, infatti, si è rivolta al GO, non sul presupposto che le fosse stato negato il diritto di opzione, assumendo anzi che le era stato offerto in opzione il bene, ma solo perché - a relativo parere - il prezzo offertole non corrispondeva a quello di mercato, come prevedeva la legge, e perché il bene in questione non era "<em>di pregio</em>". Che poi tale contrasto sul prezzo costituiva la ragione ostativa all'esercizio positivo del diritto di opzione, ciò investe un effetto conseguenziale (e quindi un <em>posterius</em>) rispetto all'oggetto del contendere, ma non significa che l'individuazione di tale elemento (il prezzo) possa essere sottratta alla discrezionalità tecnica della P.A., sia pure secondo criteri indicati dalla legge, con rinvio al valore di mercato. Ne consegue per la Corte che, così come il decreto con cui il Ministro dell'economia individua gli immobili di pregio presenta un contenuto di discrezionalità pubblicistica (sia pure in presenza di criteri fissati dal D.L. n. 351 del 2001, art. 3, comma 13), a fronte del quale i conduttori delle unità interessate vantano un interesse legittimo tutelabile dinanzi al giudice amministrativo (S.U. n. 12106/2012), egualmente deve ritenersi per il provvedimento di determinazione del prezzo, contenuto nell'offerta effettuata al conduttore dell'immobile ai fini dell'esercizio del diritto di opzione di cui all'art. 3, comma 3, con conseguente esclusione della giurisdizione del GO. Infatti resta preclusa alla giurisdizione ordinaria la sostituzione delle valutazioni dell'amministrazione mediante un sindacato non circoscritto alla legittimità, onde anche l'errore tecnico, addebitato all'amministrazione in attività di discrezionalità pubblicistica e relativo ad atti di accertamento può essere fatto valere dall'interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), ma non domandando al G.O. - eventualmente a mezzo di consulente tecnico - un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dalla P.A. Quindi – conclude la Corte - nella fattispecie la ritenuta non corrispondenza al "<em>prezzo di mercato</em>" del prezzo di vendita indicato nell'offerta da parte dell'INAIL, rimanendo nella sfera di determinazione dell'Ente Pubblico, non integra violazione del diritto soggettivo di opzione della conduttrice, ma solo un interesse legittimo della stessa alla corretta formazione della volontà della Amministrazione, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del GA e non quella del GO.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre viene varata la legge n.147, recante “<em>Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)</em>”, secondo il cui art.1, comma 115, al fine di consentire l'esercizio del diritto di prelazione per l'acquisto dell'isola di Budelli, in deroga al comma 1-quater dell'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e' autorizzata la spesa di 3 milioni di euro nel 2014.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.20853 alla cui stregua, in tema di proposta irrevocabile ex art.1329 c.c., l’elemento che la disposizione prevede a fini di irrevocabilità della proposta è la determinazione del <em>tempus</em> durante il quale il proponente si obbliga, per l’appunto, a tenere ferma la proposta stessa; si tratta di un termine essenziale, che spiega la funzione di escludere che la limitazione della facoltà di revoca della proposta che spetterebbe al proponente secondo la regola generale di cui all’art.1328 c.c. possa tradursi nella totale negazione di tale facoltà e, con essa, nella subordinazione dell’efficacia della proposta stessa alla esclusiva volontà dell’oblato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Sardegna che si occupa di una fattispecie del tutto peculiare concernente il diritto di prelazione esercitato dallo Stato sull’Isola di Budelli, nel contesto di una procedura esecutiva che ha visto aggiudicatario dell’Isola un cittadino neozelandese.</p> <p style="text-align: justify;">Premessa la sussistenza della giurisdizione amministrativa a conoscere della controversia, il Tar rammenta che tale diritto di prelazione può essere esercitato “<em>sul trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali sui terreni situati all’interno delle riserve e delle aree di cui all'articolo 12, comma 2, lettere a) e b</em>”, relative alle parti del territorio definite dal piano del parco previsto nel comma 1 come riserve integrali, nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella relativa integrità (lettera a), ovvero come riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio (lettera b). Il Tar afferma inoltre che la zonizzazione contenuta nella cartografia del d.p.r. 17 maggio 1996, attuativa della legge 4 gennaio 1994, n. 10 istitutiva del Parco nazionale Arcipelago della Maddalena (di cui fa parte l’isola di Budelli), nella quale il territorio della suddetta isola è individuato come “<em>zona Tb</em>” cioè come zona di “<em>rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico o con maggiore grado di antropizzazione</em>” è idonea a supplire alla mancanza del piano del parco, non ancora adottato; il diritto di prelazione può peraltro essere esercitato nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare ed il termine di 3 mesi, previsto dal comma 6 dell’art. 15 della citata legge n. 394 del 1991 per l’esercizio del diritto di prelazione è stato nel caso di specie rispettato, assumendo come <em>dies a quo</em> quello della comunicazione all’Ente parco dell’ intervenuta aggiudicazione, da parte dell’ufficio giudiziario che ha curato la procedura esecutiva (7 ottobre 2013), e, come <em>dies ad quem</em> il 2 gennaio 2014, giorno nel quale è stato depositato l’atto di esercizio della prelazione nell’ufficio giudiziario stesso. Trattandosi di atto urgente, il diritto di prelazione è stato per il Collegio legittimamente esercitato dal presidente dell’Ente ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge n. 394 del 1991; in ogni caso, anche quale atto sostitutivo ai sensi del successivo comma 5, modificato con il d.p.r. 16 aprile 2013, n. 73, il provvedimento è da assumersi legittimo, in quanto il termine di 180 giorni, previsto per l’esercizio, da parte del presidente, dei poteri del Consiglio deve computarsi dalla richiesta di designazioni effettuata dal Ministero dell’ambiente che, nel caso di specie, è avvenuta solo nell’ottobre 2013. Aggiunge il Tar che la legge di stabilità 2014, n. 147 del 27 dicembre 2013, all’art. 1 comma 115 ha disposto l’autorizzazione alla spesa di 3 milioni di euro nel 2014 per l’acquisto dell’isola di Budelli in sede di esercizio del diritto di prelazione e tale norma espressamente deroga l’art. 1 quater del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 che pone divieti all’acquisto di immobili a titolo oneroso da parte delle Amministrazioni pubbliche, e non presenta profili di sospetta incostituzionalità perché, pur essendo inquadrabile nella categoria delle norme-provvedimento, configura una legittima opzione per far fronte all’interesse pubblico di potenziamento ed incremento del patrimonio ambientale. Infine, chiosa ancora il Tar, con il documento interno del 31 dicembre 2013 (oggetto di contestazione con motivo aggiunto) il Presidente dell’ente Parco ha puntualizzato le linee per la gestione e la valorizzazione dell’isola, che costituiscono presupposto per i futuri atti propriamente programmatori; come tali, le linee di indirizzo non sono lesive per gli interessi del ricorrente (ovvero per il privato aggiudicatario in sede di procedura esecutiva) e la motivazione dell’esercizio della prelazione si rinviene nell’atto di disposizione urgente presidenziale del 29 novembre 2013, che essenzialmente evidenzia la rilevante valenza ambientale dell’isola di Budelli e l’importanza della stessa per la protezione dell’arcipelago, motivazione da assumersi sufficiente per la legittimità del pertinente provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1854 che – ribaltando le conclusioni raggiunte dal Tar Sardegna - dichiara illegittimo il provvedimento di prelazione esercitato dall’ente Parco Arcipelago della Maddalena <em>ex</em> art. 15, commi 5 e 6 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), per l’acquisizione dell’isola di Budelli, oggetto di procedura esecutiva presso il Tribunale di Tempio Pausania, nella quale un privato (di nazionalità neozelandese) era risultato aggiudicatario. Per il Collegio l’appello del privato appare fondato sotto il profilo, avente carattere assorbente delle ulteriori censure, dedotto con il primo mezzo, attinente alla mancanza dei presupposti e delle condizioni posti dall’art. 15, comma 5, della legge n. 394 del 1991 per l’esercizio del diritto di prelazione in rapporto, più specificamente, all’oggetto sul quale tale diritto può essere esercitato, la norma richiamata attribuendo all’Ente parco il diritto di prelazione sul trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali sui terreni situati all'interno delle riserve e delle aree di cui all'articolo 12, comma 2, lettere a) e b). L’articolo 12, comma 2, rammenta il Collegio, attribuisce al piano del parco il compito di suddividere il territorio di pertinenza in base al diverso grado di protezione, prevedendo: a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità; b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio; c) aree di protezione; d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il piano del parco, prosegue il Collegio, costituisce, nel sistema della legge, lo strumento formale attraverso il quale l’Ente persegue la tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici, tradizionali affidatigli dall’art. 12, comma 1, mediante la disciplina dei seguenti contenuti: a) organizzazione generale del territorio e relativa articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela; b) vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano; c) sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani; d) sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agro-turistiche; e) indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere. Il procedimento di formazione del piano ne conferma per il Consiglio la spiccata individualità e il carattere fortemente provvedimentale: il comma 3 del medesimo art. 12 disciplina i termini e la partecipazione nella fase preparatoria, in quella formativa da parte del consiglio direttivo dell’Ente parco e di adozione da parte della Regione, in quella integrativa mediante il deposito presso le sedi dei Comuni, delle Comunità montane e delle Regioni interessate al fine della presentazione di eventuali osservazioni da parte di chiunque vi abbia interesse. Su tali osservazioni (comma 4) l'Ente parco esprime il proprio parere entro trenta giorni. Entro centoventi giorni dal ricevimento di tale parere la Regione si pronuncia sulle osservazioni presentate e, d'intesa con l'Ente parco per quanto concerne le aree di cui alle lettere a) , b) e c) del comma 2 e d'intesa, oltre che con l'Ente parco, anche con i Comuni interessati per quanto concerne le aree di cui alla lettera d) del medesimo comma 2, adotta il provvedimento d'approvazione. Qualora il piano non venga approvato entro 24 mesi dalla istituzione dell'Ente parco, alla Regione si sostituisce un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e da rappresentanti delle Regioni e Province autonome, il quale esperisce i tentativi necessari per il raggiungimento di dette intese; qualora le intese in questione non vengano raggiunte entro i successivi quattro mesi, il Ministro dell'ambiente rimette la questione al Consiglio dei ministri che decide in via definitiva. In caso di inosservanza dei termini di cui al comma 3, si sostituisce all'Amministrazione inadempiente il Ministro dell'ambiente, che provvede nei medesimi termini con un commissario <em>ad acta</em> . Il piano è modificato con la stessa procedura necessaria alla relativa approvazione ed è aggiornato con identica modalità almeno ogni 10 anni. Infine, il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione.</p> <p style="text-align: justify;">La portata, la definizione e gli effetti del piano così previsto e conformato dalla legge, ne attestano – per il Collegio - l’imprescindibile natura di tipico strumento pianificatorio, alla cui formazione concorrono Ente parco, Regione, Comuni, soggetti anche privati interessati, capace, oltretutto, di prevalere sugli altri strumenti territoriali, paesistici e urbanistici: è allora evidente per il Collegio l’errore del Tribunale amministrativo, che ha ritenuto la fungibilità degli effetti propri del piano, per quanto rileva, con la mera zonizzazione contenuta nel d.p.r. 17 maggio 1996, contenente, ai sensi dell’art. 1, comma 2 della legge n. 10 del 1994 istitutiva del parco, le misure di salvaguardia necessarie per garantire la conservazione dello stato dei luoghi e che inserisce l’isola di Budelli in Zona Tb: di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico o con maggiore grado di antropizzazione. E’ ben vero che lo stesso d.p.r. richiama la suddivisione di cui all’art. 12 della legge n. 394 del 1991 per quanto concerne l’applicazione delle misure di salvaguardia nelle varie zone, ma tale richiamo vale – per il Collegio - solo per le misure di conservazione dello stato dei luoghi, mentre ne rimangono estranei gli altri effetti propri dello specifico strumento pianificatorio, alla cui vigenza rimangono condizionati (il ritenere la zonizzazione ex d.p.r. del 1996 completamente sovrapponibile con quella propria del piano del parco conduce, tra l’altro, a ritenerne la prevalenza sugli strumenti urbanistici o paesaggistici relativi al medesimo ambito: il che costituisce una conseguenza inaccettabile). Non esiste, quindi, la sovrapponibilità della zonizzazione del piano con quella definita dal d.p.r. del 1996, se non al fine della specificazione delle misura di conservazione, sicché rimane estranea alla definizione dell’isola di Budelli quale zona TB la portata di attrarla in una delle aree di cui all’art. 12, comma 2, della legge n. 394 del 1991.</p> <p style="text-align: justify;">La portata del d.p.r. del 1996 è, invece, ribadisce il Collegio, quella di individuare le misure di salvaguardia necessarie per garantire la conservazione dello stato dei luoghi, in relazione alle singole zone, misure che rimangono identiche qualsiasi sia il regime proprietario del bene protetto. Trattasi di una portata del tutto diversa rispetto all’ambito e all’oggetto del diritto di prelazione previsto dall’art. 15, comma 5, della legge n. 394 del 1991, il cui esercizio presuppone la vigenza del formale piano del parco e si riferisce a terreni ivi definiti mediante un particolare e articolato procedimento. In altri termini, il diritto di prelazione ha carattere ablatorio della proprietà privata e come tale deve avere una base normativa: essa è stata individuata dalla legge nel piano previsto dalla legge n. 394 del 1991 e, più specificamente, nella inclusione dell’area su cui si intende esercitare il diritto di prelazione nelle (sole) zone di cui alla lettere a) e b) dell’articolo 12, comma 2. Questa base normativa non può tuttavia essere impropriamente surrogata, quasi in via “<em>analogica</em>”, dal ricorso ad altro strumento pianificatorio, diverso per contenuti e finalità. Per esercitare il diritto di prelazione conformemente a legge, l’Amministrazione avrebbe dovuto approvare, nel lungo tempo trascorso dalla relativa previsione, quel piano, demandato dalla legge all’Amministrazione medesima e la cui mancanza, come già ammoniva la Sezione nell’ordinanza 6 giugno 2014, n. 2392, si oppone all’esercizio del diritto ora rivendicato. Né –va da sé- tale omissione può ritenersi in qualche modo superata dallo stanziamento in legge della somma occorrente per l’esercizio della prelazione, stanziamento che vale a fornire copertura finanziaria all’esercizio di un diritto che sia peraltro legittimamente esercitato con riferimento ai presupposti generali di legge, ma che non può integrarne la mancanza. L’esercizio del diritto di prelazione, contenuto nel provvedimento oggetto del ricorso di primo grado, è per il Collegio conclusivamente viziato sotto l’aspetto considerato, che ha portata assorbente delle ulteriori censure svolte con l’appello.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio sottolinea altresì che l’isola di Budelli è di proprietà privata da epoca precedente all’istituzione del parco della Maddalena, e con il beneplacito dell’Amministrazione: è in atti il provvedimento del 12 dicembre 1984 con cui Prefetto di Sassari autorizza tale signor Tizzoni Fiorino ad alienare alla società Nuova Gallura s.r.l. “<em>l’intera isola di Budelli</em>”. L’appartenenza alla proprietà privata ha comunque sempre comportato l’applicazione delle norme che nel tempo hanno preservato i valori ambientali e paesaggistici dell’isola e che rimangono in vigore nella loro interezza indipendentemente dall’esercizio della prelazione da parte dell’Ente parco, dato che la tutela prescinde dalla titolarità della proprietà e dal relativo regime, pubblico o privato che sia. Tali norme di tutela – rammenta il Collegio - sono contenute, oltre che nel d.p.r. 17 maggio 1996, nella stessa legge quadro sulle aree protette, n. 394 del 1991 e nella legge n. 10 del 1994, nei provvedimenti che configurano il regime dei pesanti vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici (che, tra l’altro, impediscono lo sbarco se non su indicazione delle guide dell’Ente, il transito su buona parte delle spiagge e l’accesso all’arenile, come si legge nella relazione di stima allegata agli atti della procedura esecutiva, depositata in causa sub 5 nel giudizio di primo grado), la cui tutela è affidata alla vigilanza e all’intervento dell’Ente parco, come da ultimo specificati nel programma del 31 dicembre 2013. Questo programma, sebbene riferito allo stanziamento contenuto nella legge di stabilità 2014 finalizzato all’esercizio della prelazione, in quanto relativo alla perdurante competenza dell’Ente, deve essere confermato anche all’esito del giudizio <em>de quo</em>; la relativa attuazione dovrà eventualmente avvenire previa formalizzazione dello strumento del partenariato pubblico-privato, per il quale il ricorrente si è già detto disponibile. A ciò va aggiunto per il Collegio, come conferma della non conflittualità del regime privatistico della proprietà con la tutela del pubblico interesse, l’insieme degli impegni, ribaditi anche in occasione dell’udienza, assunti dal ricorrente per la protezione dell’isola, impegni il cui elenco è contenuto negli atti di causa e che prevedono anche la costituzione della fondazione onlus La Maddalena Osservatorio della Vita Marina, il cui atto costitutivo e il cui statuto, in bozza, sono depositati in causa e che vede nel comitato di indirizzo il presidente del parco marino, il sindaco della Maddalena, i rappresentanti del Fai e di Legambiente e, nel comitato scientifico, docenti universitari di biologia marina ed esperti dell’Enea (Agenzia Centro Ricerche ambiente marino della Spezia).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;"> Il 15 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2913, che assume legittimo il diritto di prelazione su un immobile soggetto a vincolo storico-artistico, ai sensi del comma 2 dell’art. 62 <a href="http://www.lexitalia.it/n/150">d.lgs. n. 42 del 2004</a>, esercitato dal Comune nel termine (perentorio) di 60 giorni previsto dall’art. 61 del ridetto, alla cui stregua appunto “<em>la prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia</em>”. Per il Collegio poi l’atto di esercizio della prelazione in ordine alle alienazioni di beni di interesse storico-artistico necessita di congrua motivazione che dia conto degli interessi pubblici attuali all’acquisizione del bene, senza tuttavia che si esiga un particolare rigore nella puntuale definizione degli scopi cui il bene stesso è destinato, atteso che la prelazione stessa - essendo prevista in un’ottica di tutela del patrimonio storico-artistico nazionale - presuppone che l’acquisizione del bene al patrimonio statale ne consenta una migliore tutela, e in particolare, una migliore valorizzazione e fruizione del pregio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5919 alla cui stregua in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta <em>ad substantiam</em>, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non ha sottoscritto tale scrittura realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti <em>ex nunc</em> e non <em>ex tunc</em>, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; ne consegue che tale meccanismo non opera se l'altra parte abbia <em>medio tempore</em> revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione in giudizio, determinando la morte, di regola, l'estinzione automatica della proposta stessa (art. 1328 e 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi. Per la Corte dunque nel caso di specie il contratto quadro di investimento mobiliare - formalmente non sottoscritto dalla banca - si è perfezionato solo dal momento della produzione nel giudizio intrapreso dall'investitore nei confronti dell'intermediario, con conseguente inefficacia del pregresso ordine di acquisto “<em>a valle</em>” impartito dal cliente (per difetto appunto di contratto quadro, da assumersi non ancora stipulato quando è stato impartito il ridetto ordine di acquisto).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.6023, che richiama il principio espresso dalle medesime SSUU con la sentenza n. 9692/13 onde - in favore del conduttore di unità immobiliare residenziale da dismettere da parte dell’INPS - sussistono sia un diritto di opzione che un diritto di prelazione (quest’ultimo ove non sia esercitato il primo). Il prezzo di vendita, con le variabili che lo determinano (quali quella della natura di pregio o meno dell'immobile), è un elemento esterno al diritto potestativo di accettazione dell’oblato, sia in relazione al diritto di opzione che di prelazione, e costituisce, invece, elemento imprescindibile dell'offerta, cioè di un atto negoziale unilaterale ricettizio che rientra nella disponibilità del proponente (sia pure in maniera sufficientemente vincolata dalla legge, essendo il proponente pur sempre un ente pubblico ovvero una società - come la SCIP - costituita per la dismissione di beni immobiliari pubblici). Mentre l'opzione - parificata nel regime normativo, ex artt. 1331 e 1329, alla proposta irrevocabile - si sostanzia per la Corte in un rapporto in base al quale una delle parti si obbliga a rimanere vincolata alla propria dichiarazione (proposta), e l'altra ha facoltà di accettarla o meno, nella prelazione non sorge invece alcun obbligo immediato a carico del promittente, il quale è libero anche di non stipulare il contratto cui si riferisce la prelazione, obbligandosi solo a preferire, ove esso venga concluso, il promissario.</p> <p style="text-align: justify;">Sennonché – chiosa ancora la Corte - in entrambi gli istituti l'individuazione del prezzo di vendita dell'immobile pubblico da dismettere, ancorché da individuarsi sulla base dell'indicazione legislativa del "<em>valore di mercato</em>" con le ulteriori variabili fissate dalla legge, rientra nella disponibilità dell'offerente e non costituisce un diritto dell'oblato. Solo dopo che l'offerta è stata formulata dal proponente e ricevuta dall'oblato, il prezzo ivi indicato integra una componente dell'oggetto della opzione (o prelazione) ed esce dalla discrezionalità (sia pure solo tecnica) dell'offerente. Accertato, dunque, l'avvenuto esercizio, da parte della conduttrice, del diritto d'opzione al prezzo individuato dall'INPS al momento dell'offerta in vendita (e, dunque, l'incontro delle due volontà), il giudice di merito ne ha dedotto nel caso di specie la formazione di un contratto preliminare di compravendita, dal quale è derivato il diritto della promissaria acquirente di perfezionare l'acquisto al prezzo fissato in quella sede. Si tratta, dunque, di un contratto perfezionatosi al momento stesso dell'accettazione, perfettamente coincidente con la proposta, con conseguente irrilevanza di qualsiasi successiva mutazione della qualifica dell'immobile.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 aprile esce la sentenza del Tribunale di Udine alla cui stregua, in tema di procedure concorsuali, nello stabilire il regolamento della gara il tribunale può prevedere il diritto (di prelazione), per l'autore di una precedente proposta irrevocabile d'acquisto di un complesso aziendale, di pareggiare l'eventuale offerta migliorativa di terzi; la concessione del diritto di prelazione non è infatti per il giudicante incompatibile con l'esperimento di procedure competitive per la vendita del medesimo complesso aziendale previste all'art. 163 bis l.fall. e non impedisce la massimizzazione del prezzo di vendita.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12883, onde il diritto di prelazione agraria si esercita secondo lo schema normativo di cui agli art. 1326 e 1329 c.c., sicché la <em>denuntiatio</em> non è revocabile durante il termine di 30 giorni previsto per l'accettazione della correlata proposta, considerato che la trasmissione (nel caso di specie) del contratto preliminare al prelazionario ha tutti i connotati della proposta contrattuale e che la possibilità di revoca della <em>denuntiatio</em> mal si concilierebbe con la pertinente natura di atto unilaterale di adempimento di obbligo legale, destinato come tale a rendere attuale l'altrui diritto soggettivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4014 alla cui stregua la cessione da parte di una PA di una quota in una società partecipata anche da altri soggetti privati deve necessariamente avvenire tramite l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica, dovendosi dunque assumere nulla la clausola di prelazione eventualmente presente nell’atto costitutivo o nello statuto della società in parola, per contrasto con i principi generali di ordine pubblico economico che postulano, per l’appunto, la messa a gara delle partecipazioni nell’ambito di società miste deputate (<em>inter alia</em>) alla prestazione di servizi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n.2234 che assume illegittimo per difetto di competenza il provvedimento con il quale un dirigente della Provincia, in forza di quanto precedentemente stabilito dalla Giunta provinciale, ha esercitato il diritto di prelazione in relazione ad un bene culturale; l’atto con il quale, ai sensi dell’art. 62 comma 3, <a href="http://www.lexitalia.it/n/150">d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42</a>, va esercitato il suddetto potere e/o diritto di prelazione, rientrando nella materia degli “<em>acquisti ed alienazioni immobiliari</em>” di cui all’art. 42 comma 2, <a href="http://www.lexitalia.it/n/1460">t. u. 28 agosto 2000 n. 267</a>, deve infatti assumersi appartenere alla competenza del Consiglio comunale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1332, alla cui stregua l'accettazione della proposta contrattuale di compravendita, anche ove quest'ultima sia irrevocabile in forza di un patto d'opzione, è idonea a segnare il perfezionamento del contratto, e quindi a spiegare effetto traslativo della proprietà della cosa venduta, non soltanto quando il prezzo sia stabilito in detta proposta o in quel patto d'opzione, ma anche quando sia determinabile alla stregua di criteri, riferimenti o parametri precostituiti, così che la successiva, concreta quantificazione del medesimo sia ricollegabile ad un'attività delle parti di tipo meramente attuativo e ricognitivo. Per la Corte va dunque, nel caso di specie, assunta perfezionata la vendita di un'azienda il cui prezzo sia stato contrattualmente determinato in ragione dei canoni che l'affittuario della stessa avrebbe dovuto versare dalla data di esercizio dell'opzione, prevista coincidente col termine del contratto di affitto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4948, onde l'espressa qualificazione nel caso si specie data dai giudici del merito al contratto scandagliato, quale contratto di "<em>distribuzione commerciale</em>", o di "<em>concessione di vendita</em>", inducono a richiamare il consolidato orientamento della Corte medesima secondo il quale la concessione di vendita è un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di contratto normativo, dal quale deriva l'obbligo per il concessionario sia di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti che gli vengono forniti giusta stipulazione a condizioni predeterminate nell'accordo iniziale. Tale contratto, chiosa ancora la Corte, differisce da quello di agenzia perché in esso la collaborazione tra concedente e concessionario, pur prevista, non assurge ad elemento determinante (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3990 del 19/02/2010; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6819 del 21/07/1994).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 aprile esce la sentenza della sezione lavoro n.8715 onde è da assumersi illegittima la clausola di opzione, accedente al patto di non concorrenza (per lui vincolante), che il lavoratore attribuisce al datore di lavoro quale corrispettivo dal lavoratore medesimo dovuto alla parte datoriale per la formazione professionale da quegli ricevuta, in quanto tale formazione costituisce già la causa del contratto di lavoro subordinato stipulato, sicché una simile clausola – nell’attribuire l’opzione a pretendere la “<em>non concorrenza</em>” del lavoratore - determina un'illecita sperequazione della posizione delle parti nell'ambito dell'assetto negoziale che ne deriva, oltre alla sostanziale violazione della natura contrattuale (e dunque non “<em>gratuita</em>” ed unilaterale) dell'opzione medesima.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.28762, alla cui stregua il patto di opzione di compravendita immobiliare impone, in forza della forma scritta richiesta <em>ad substantiam</em> dagli art. 1350 e 1351 c.c., l'accordo delle parti sugli elementi essenziali del futuro contratto; in particolare, è necessario che dal documento risulti - anche attraverso il riferimento ad elementi esterni, ma idonei a consentire l'identificazione dell'immobile in modo inequivoco - se non l'indicazione dei dati catastali o delle mappe censuarie e dei confini, quantomeno che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o comunque logicamente determinabile. Per la Corte, nella specie, va dunque confermata la sentenza impugnata che ha dichiarato la nullità per indeterminatezza dell'oggetto di un patto di opzione riferito a «<em>quote relative alle comproprietà indivise, valutate in base a perizia</em>», senza specificare la comproprietà di quali beni, appartenenti a quali soggetti e per quale titolo, il tutto nell'ambito di un vasto complesso edilizio sul quale insistono comproprietà con diversi rami della stessa famiglia. Il patto di opzione disciplinato dall'art. 1331 c.c., chiosa ancora la Corte, ha in comune con il c.d. contratto preliminare unilaterale l'assunzione dell'obbligazione da parte di un solo contraente, ma se ne distingue per l'eventuale successivo iter della vicenda negoziale, in quanto, a differenza del predetto preliminare unilaterale, che è un contratto perfetto e autonomo rispetto al definitivo, l'opzione medesima non è che uno degli elementi di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l'irrevocabilità della proposta e poi dall'accettazione del promissario che, saldandosi con la prima, perfeziona il contratto, sempre che venga espressa nella forma prescritta per il contratto stesso e, quindi, nel caso di trasferimento immobiliare, per iscritto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 gennaio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.3, in tema di rapporto di lavoro subordinato, patto di non concorrenza e clausola di opzione. La Corte rammenta come la propria precedente sentenza n. 13352/2014 abbia già esaminato il caso di una clausola di opzione accedente al patto di non concorrenza e posta a beneficio del datore (in sostanza, il patto di non concorrenza scatta quando il datore accetta la pertinente proposta del lavoratore), osservando che il lavoratore aveva nel caso di specie rassegnato le dimissioni ed accettato altra proposta lavorativa e che non era risultata, sempre nel caso di specie, alcuna limitazione del potere negoziale del lavoratore stesso; di conseguenza, è stata ritenuta sussistente la piena libertà del lavoratore di svolgere attività concorrenziale fino al momento di esercizio, da parte della società, del diritto di opzione, con conseguente legittimità della pertinente clausola.</p> <p style="text-align: justify;">La più recente pronuncia n. 8715/17 – rammenta ancora condivisibilmente la Corte - ha invece affermato che il tenore dell'anzidetta clausola di opzione accedente al patto di non concorrenza comprime illegittimamente il potere negoziale del lavoratore e determina un inaccettabile squilibrio dei contrapposti interessi delle parti; tale clausola è da ritenere nulla in quanto cela l'intento fraudolento di vincolare il lavoratore, sin dalla data di assunzione, una volta superato il periodo di prova, all'adempimento dell'obbligazione (di non concorrenza) contenuta nel patto stesso; infatti, la relativa formulazione prevede che il lavoratore attribuisca alla società datoriale il diritto di aderire al patto di non concorrenza a fronte di un corrispettivo, la formazione professionale ricevuta alle dipendenze della stessa, che rappresenta, invece, la causa stessa del contratto di formazione e lavoro stipulato fra le parti. La clausola di opzione, quindi, non garantisce alcun corrispettivo a favore del lavoratore concedente, in quanto la formazione professionale costituisce già la causa del medesimo contratto, con conseguente illecita sperequazione della posizione delle parti nell'ambito dell'assetto negoziale e violazione della natura contrattuale dell'opzione.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, l'obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro sorge, nella fattispecie scandagliata, eccentricamente sin dall'inizio del rapporto di lavoro subordinato e prosegue nei 30 giorni successivi alla cessazione del rapporto, così impedendo al lavoratore stesso di esercitare il proprio diritto di scelta di ulteriori occasioni di lavoro. Si realizza così, anche sotto tale aspetto, la violazione del modello contrattuale dell'opzione in quanto; 1) mentre la parte vincolata all'opzione (ossia alla propria dichiarazione) non è tenuta - nella struttura tipica prevista dall'ordinamento - alla prestazione contrattuale finale finché la controparte non accetta costituendo, quindi, il rapporto contrattuale finale, 2) nella fattispecie, invece, il lavoratore concedente l'opzione resta immediatamente obbligato, sin dalla stipulazione del patto (ossia sin dal momento di inizio del contestuale contratto di lavoro subordinato) non solo a mantenere ferma la dichiarazione, ma anche ad adempiere all'obbligazione finale oggetto del patto di opzione medesimo. La clausola di opzione accedente al patto di non concorrenza è dunque nulla, essendo violato sia l'art. 1331 cod. civ. in tema di opzione che l'art. 2125 c.c. in tema di patto di non concorrenza, alla cui stregua il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3071.html">prestatore di lavoro</a> per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1771.html">nullo</a> se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte è dunque da assumersi nulla la clausola di opzione ex art. 1331 c.c. quando tale clausola celi l'intento fraudolento di vincolare il lavoratore, sin dalla data di assunzione, ed una volta superato il periodo di prova, all'adempimento dell'obbligazione contenuta nel patto stesso; in tal caso, l'esercizio della facoltà impropriamente denominata di opzione costituisce un recesso unilaterale ex art. 1373 c.c. (il contratto “<em>a valle</em>” della sedicente opzione è stato infatti, in realtà, già concluso), rimesso per giunta alla mera volontà del recedente datoriale; la relativa disciplina non è applicabile al patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c., che integra una disposizione speciale con obbligo a carico del lavoratore da circoscriversi <em>ex ante</em> ad una durata determinata. L'art. 2125, in altri termini, risulta per la Corte violato dalla clausola con cui la società datoriale si è riservata, dietro l’apparente “<em>opzione</em>”, una facoltà di recesso (<em>ad nutum</em>): questa infatti - ancorché legittima secondo i principi generali che presiedono ai contratti di cui all'art.1373 cod. civ., essendo consentito ogni patto che preveda la possibilità di recesso dal contratto ad opera di una delle parti – confligge tuttavia nel caso di specie con la disciplina peculiarmente prevista per il patto di non concorrenza nel rapporto di lavoro subordinato, disciplina che se da un lato limita l'autonomia contrattuale, dall’altro sancisce che il pertinente patto venga "<em>determinato nel tempo</em>". Si tratta di una condizione diversa da quella prescritta nell'ultimo comma dell'art. 2125 cod. civ., che delimita la durata massima del patto di non concorrenza; né potrebbe dirsi <em>contra legem</em> solo una durata esorbitante da quei limiti, palesandosi invece consentita la clausola di recesso: questa viceversa è per la Corte vietata perché la durata del patto deve essere, ai sensi del primo comma dell’art.2125, "<em>delimitata ex ante</em>" e quindi non può essere soggetta ad una pattuizione che ne consenta il venir meno in ogni momento della relativa durata, come nel caso di specie, in cui il patto è sostanzialmente (solo) revocabile ad opera della società datoriale nell'ambito di un biennio. La ratio della disposizione, chiaramente ispirata all'intento di bilanciare i contrapposti interessi delle parti, riposa per la Corte sull'esigenza che il lavoratore abbia sicura contezza, fin dall'assunzione dell'impegno, della durata del vincolo, per assumere le determinazioni più opportune sulle scelte lavorative, le quali verrebbero ostacolate ove il medesimo fosse soggetto alle determinazioni della controparte, anche considerando - nella specie - la forte penalità posta a relativo carico in caso di inadempimento. Né la liberazione dal vincolo lavorativo può assumere per il lavoratore una utilità tale da compensare la situazione di precarietà sostanziale in cui verrebbe a trovarsi dopo la cessazione del rapporto, per essere costantemente soggetto alle determinazioni altrui, vale a dire della parte datoriale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Veneto n. 651 onde il diritto di prelazione riconosciuto dall’art. 3 del D.L. n. 310 del 1990 (conv. con L. n. 403 del 1990) nelle procedure di alienazione immobiliare di beni dei Comuni e delle Province non può intendersi riferito esclusivamente agli immobili di edilizia residenziale pubblica (E.R.P.) ma considera in generale il patrimonio di edilizia residenziale, nel modo dunque più ampio possibile.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce l’ordinanza della III sezione del Consiglio di Stato n.4102, che rimette alla Corte di giustizia U.E. la questione pregiudiziale se i principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione, di parità di trattamento, di tutela della concorrenza e di libera circolazione dei lavoratori, di cui agli artt. 45, da 49 a 56, e 106 del TFUE, nonché di cui agli artt. 15 e 16 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E., ed il canone di proporzionalità e ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 12, comma 2, L. 8 novembre 1991, n. 362 che, in caso di trasferimento della titolarità della farmacia comunale, assegna il diritto di prelazione ai dipendenti della farmacia stessa.</p> <p style="text-align: justify;"> * * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 luglio esce la sentenza delle SSUU n.19281, onde in tema di dismissione di immobili pubblici, quando il conduttore accetta l'offerta in opzione contenente gli elementi essenziali della vendita, si perfeziona un contratto preliminare che gli attribuisce il diritto di acquistare al prezzo fissato, essendo ormai uscita la determinazione del prezzo dalla discrezionalità tecnica dell'offerente ed essendo irrilevante il successivo mutamento della qualifica dell'immobile (nella specie, riclassificato come «<em>di pregio</em>»), quand'anche confermata, con sentenza passata in cosa giudicata, a seguito di impugnativa innanzi al g.a., non essendo il provvedimento di riclassificazione, in assenza di una riserva di modificabilità del prezzo contenuta nell'offerta di vendita, in grado di scalfire il vincolo contrattuale perfezionatosi anteriormente alla relativa adozione.</p> <p style="text-align: justify;"> * * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 agosto esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.21450 alla cui stregua deve assumersi appartenere alla giurisdizione del G.O. una azione con la quale sia stato chiesto l’annullamento parziale degli atti del procedimento ad evidenza pubblica, volto ad individuare il contraente del contratto di affitto di fondi rustici di un Ente pubblico, nella parte in cui si riconosce il diritto di prelazione ad un soggetto sia per il fondo dal medesimo detenuto, sia per i fondi confinanti condotti in affitto, tale controversia investendo posizioni di diritto soggettivo – il diritto di proprietà e la pertinente titolarità - che discendono da rapporti di natura privatistica e che non sono suscettibili di degradazione od affievolimento, non potendo dunque essere ricondotti alla giurisdizione del GA. Per il Collegio, più in specie, qualora un fondo rustico di proprietà di un Ente pubblico venga aggiudicato in esito ad asta pubblica, condizionatamente al mancato esercizio del diritto di prelazione agraria da parte dell’affittuario coltivatore diretto, e, successivamente, a seguito dell’esercizio di tale prelazione, esso venga trasferito a detto affittuario, la controversia, con la quale l'aggiudicatario chieda il riconoscimento della propria qualità di acquirente e contesti i presupposti di quella prelazione, ancorchè promossa sotto il profilo della illegittimità dei provvedimenti con cui l'ente pubblico ha disposto l'indicato successivo trasferimento, spetta alla cognizione del GO, e non a quella del GA in sede di giurisdizione di legittimità, atteso come essa investa posizioni di diritto soggettivo - cioè il diritto di proprietà e la relativa titolarità -, che discendono da rapporti di natura privatistica e che non sono suscettibili di degradazione od affievolimento per effetto dei suddetti provvedimenti.</p> <p style="text-align: justify;">La prelazione legale si configura per il Collegio come un diritto soggettivo potestativo, non suscettibile di essere degradato o affievolito da provvedimenti amministrativi, con la conseguenza che se la Pubblica amministrazione bandisce l'asta pubblica per l'alienazione di un fondo agricolo, in relazione al quale esistano titolari del diritto di prelazione, la controversia promossa dal soggetto destinatario della proposta di aggiudicazione contro l'Amministrazione ed i prelazionari, benché introdotta da soggetto titolare di un mero interesse legittimo in quanto non aggiudicatario definitivo, e prospettata sotto il profilo dell'illegittimità dei provvedimenti con cui l'ente pubblico ha disposto il successivo trasferimento del bene, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, l'azione esercitata tendendo a contestare il legittimo esercizio del diritto di prelazione del quale i convenuti sono titolari, nonché il diritto di proprietà dagli stessi acquistato sul bene (Sez. U, Ordinanza n. 6493 del 26.4.2012). Tale concetto, precisa il Collegio, è stato ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 62 del 2014, in cui si è precisato che in simili casi non viene in considerazione la legittimità degli atti della procedura ad evidenza pubblica, bensì l'esercizio del diritto di prelazione fatto valere in giudizio, dal momento che la controversia attiene sostanzialmente alla posizione soggettiva riconoscibile in capo titolare del diritto di prelazione sull'immobile oggetto di contesa.</p> <p style="text-align: justify;">Né – a detta della Corte - i termini della questione mutano per la considerazione che nella fattispecie trattasi di prelazione convenzionale e non legale, in quanto nel caso in esame il <em>petitum</em> sostanziale è, comunque, caratterizzato dal fatto che l'azione esercitata tende a contestare il legittimo esercizio del diritto di prelazione, nonché il diritto di proprietà sul bene acquistato da chi tale diritto ha esercitato. Oltretutto, viene richiamato quanto statuito dalla Cassazione (Cass. Sez. 3, n. 19928 del 18.7.2008 e n. 3466 del 19.5.1988) a proposito del fatto che la prelazione convenzionale, analogamente a quella legale, non ha natura reale ma obbligatoria e, non essendo riconducibile alla promessa di stipulare, é insuscettibile di esecuzione coattiva. Ciò avvalora quindi la considerazione che l'apprezzamento della sussistenza o meno di un diritto di natura obbligatoria e delle conseguenze che la relativa negazione determina non può che rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario.</p> <p style="text-align: justify;"> * * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.27444 alla cui stregua - in materia societaria - la vendita di una quota di partecipazione con opzione di riacquisto entro un dato termine e per un corrispettivo da quantificarsi secondo l'andamento della società al momento dell'adesione alla dichiarazione di offerta di riacquisto medesimo, diversamente dalla vendita con patto di riscatto, integra un contratto aleatorio in cui l'alea, che può colpire entrambe le parti, è insita nella variazione che il valore della partecipazione può subire entro il termine pattuito per l'esercizio del diritto di opzione. Per la Corte, nella specie, va confermata la sentenza di merito che ha ritenuto non integrante violazione dell'art. 1500, 2° comma, c.c. (trattandosi appunto di opzione, e non già di vendita con patto di riscatto) il contratto con il quale un socio di una società fallita aveva ceduto la propria quota con opzione di riacquisto della partecipazione alla società tornata <em>in bonis</em>, da esercitarsi entro un certo termine e per un prezzo, determinabile entro un minimo ed un massimo, da quantificarsi concretamente secondo l'andamento della società al momento dell'adesione alla dichiarazione di offerta di riacquisto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"> <strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.14515, in tema di retratto successorio. La Corte rammenta il proprio orientamento consolidato secondo cui sia nella materia del retratto successorio, sia in quella affine dei riscatti agrario e locatizio, la dichiarazione unilaterale recettizia di carattere negoziale che esprime la volontà di esercitare il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell'acquirente di quota ereditaria, previsto dall'art. 732 c.c. a favore dei coeredi, può essere espressa pure con l'atto introduttivo del giudizio ed è in esso validamente manifestata quando sia riconducibile al titolare del potere attraverso la sottoscrizione di tale atto od il conferimento della procura speciale al difensore, tale dovendosi ritenere anche quella apposta a margine dell'atto o in calce allo stesso, dal momento che in tal caso, per effetto di siffatta procura, l'atto introduttivo del giudizio è direttamente riferibile alla parte, anche nel punto in cui contenga la suddetta manifestazione di volontà negoziale (Cass. n. 8264 del 2014; Cass. n. 9744 del 2010; Cass. n. 20944 del 2006; Cass. n. 6465 del 1996).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della proposta irrevocabile?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è prevista dall’art.1329 c.c., e deroga alla generale revocabilità della proposta contrattuale ex art.1328 c.c.;</li> <li>il proponente si obbliga a tenere ferma la propria proposta per un dato tempo nei confronti del soggetto cui la proposta è rivolta, detto oblato;</li> <li>durante il tempo il cui la proposta viene resa irrevocabile dal proponente – termine da assumersi essenziale - l’eventuale revoca da parte di quest’ultimo non produce effetti;</li> <li>l’oblato, destinatario della proposta irrevocabile, può fare affidamento sul fatto che essa rimarrà ferma per il tempo divisato, consentendogli di accettarla fino allo scadere del termine senza che il proponente possa revocarla;</li> <li>di regola, la proposta rimane ferma anche laddove il proponente con clausola di irrevocabilità deceda o divenga incapace, ai sensi dell’art.1329, comma 2, c.c.;</li> <li>ne è discussa la natura giuridica, fronteggiandosi più tesi: f.1) si tratta di un unico negozio giuridico unilaterale autonomo (c.d. tesi unitaria); laddove difetti il termine di irrevocabilità, trattandosi di un elemento essenziale di quello che va assunto come negozio unitario ed inscindibile, quest’ultimo è nullo per mancanza appunto di un relativo elemento essenziale; f.2) si tratta di due atti distinti combinati tra loro, ovvero una proposta semplice e una rinuncia unilaterale del proponente al proprio diritto di revoca ex art.1328 c.c. (c.d. tesi duplice); muovendo da questa diversa prospettiva, mentre laddove manchi un termine di efficacia alla proposta semplice sopperisce quanto previsto dall’art.1326 c.c. (in mancanza di un termine fissato dal proponente semplice, si fa riferimento alla natura dell’affare o agli usi), diverse sono le conseguenze dell’eventuale difetto di un termine alla (collegata) rinuncia unilaterale a revocare la proposta, che rende la proposta <em>ab origine</em> irrevocabile una proposta semplice, rimanendo la irrevocabilità priva di termine senza effetto; laddove invece un termine sia stato fissato dal proponente, occorre interpretare la volontà di quest’ultimo: se si tratta di un termine fissato alla proposta, questa alla scadenza perde efficacia, mentre laddove si tratti di un termine fissato alla rinuncia unilaterale a revocare, il relativo spirare rende l’originaria proposta irrevocabile una proposta semplice (e dunque revocabile), ma ancora passibile di accettazione da parte dell’oblato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dell’opzione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è prevista dall’art.1331 c.c.</li> <li>si tratta di un vero e proprio contratto “<em>a monte</em>” che precede la conclusione di un contratto ulteriore e successivo “<em>a</em> <em>valle</em>”, preparandone il perfezionamento da parte delle parti, che resta tuttavia meramente eventuale;</li> <li>mentre infatti una delle parti, detta concedente, resta vincolata a quanto dichiara, e dunque a duna proposta contrattuale che assume la foggia di irrevocabile (situazione passiva: posizione di soggezione), l’altra parte, detta opzionario, mantiene il potere di aderire alla ridetta proposta, ovvero di non aderirvi (situazione attiva: diritto potestativo);</li> <li>dal contratto preparatorio di opzione “<em>a monte</em>” nascono dunque obblighi, poteri e diritti preordinati alla conclusione di un successivo contratto finale “<em>a valle</em>”;</li> <li>solo laddove l’opzionario decida di esercitare il proprio diritto potestativo, palesando in via unilaterale la propria pertinente volontà, viene concluso il contratto finale che l’opzione “<em>prepara</em>”;</li> <li>la dichiarazione del concedente deve già possedere tutti gli elementi propri di una proposta contrattuale, con particolare riguardo agli elementi essenziali del contratto “<em>a valle</em>”, ivi compresa la forma scritta ove richiesta per quest’ultimo;</li> <li>l’opzione può atteggiarsi a: g.1) onerosa: l’opzionario ottiene il diritto a decidere in via unilaterale la conclusione del contratto finale con elementi prefissati, acquisendone il pertinente potere, verso il pagamento al promittente di un corrispettivo detto “<em>premio</em>”; il pertinente schema è quello normalmente utilizzato, che non comporta particolari problemi; g.2) gratuita: in questo caso il concedente si obbliga contrattualmente a tenere ferma la proposta a beneficio dell’opzionario senza alcun corrispettivo, con possibili problemi in punto di giustificazione causale dell’operazione, stante la difficoltà di identificare un interesse giuridicamente apprezzabile che ne sorregga l’iniziativa; non manca in dottrina chi assume l’opzione gratuita non configurabile in senso assoluto, palesandosi sufficiente l’istituto della proposta irrevocabile ex art.1329 c.c., ovvero non configurabile dal punto di vista “<em>strutturale bilaterale</em>”, dacché – in difetto di obbligazioni a carico dell’opzionario – essa potrebbe concludersi “<em>unilateralmente</em>” ai sensi dell’art.1333 c.c., salva la facoltà di rinuncia per l’opzionario medesimo siccome ivi prevista;</li> <li>l’opzione deve prevedere un termine, che è dunque essenziale, al fine di scongiurare che il concedente resti vincolato <em>sine die</em> alla proposta contrattuale siccome formulata; in difetto di tale termine, provvede a fissarne uno il giudice ex art.1331, comma 2, c.c.;</li> <li>dal punto di vista dei rapporti con altre figure: i.1) a differenza della proposta irrevocabile, laddove il concedente assume unilateralmente l’impegno di tenere ferma la proposta rendendola appunto irrevocabile, nell’opzione la irrevocabilità della proposta discende da un contratto bilaterale tra concedente ed opzionario; si tratta di una distinzione che (in disparte la dottrina più <em>tranchant</em>) rileva anche laddove l’opzione sia <em>prima facie</em> gratuita, dacché anche se l’opzionario non “<em>paga</em>” alcun corrispettivo e non assume verun obbligo nei confronti del concedente, l’opzione sovente si atteggia a clausola accessoria di uno o più rapporti contrattuali più ampi tra le parti, onde il difetto di un obbligo di controprestazione immediata in capo all’opzionario non necessariamente depone nel senso della gratuità dell’opzione alla luce del complessivo vincolo contrattuale assunto dalle parti, con conseguente bilateralità della stessa (mentre la proposta irrevocabile ha sempre foggia e struttura unilaterale); peraltro, l’opzionario è certamente titolare di un potere nei confronti del concedente (potestà), mentre il destinatario di una proposta irrevocabile sembra più tecnicamente titolare di una più blanda facoltà (quella di accettare il proposto contratto); i.2) a differenza del contratto preliminare unilaterale (che pure ha funzione preparatoria), al cospetto del quale la conclusione del definitivo presuppone una nuova manifestazione di volontà da entrambe le parti, nell’opzione è sufficiente la mera dichiarazione di volontà dell’opzionario, quale atto di esercizio del pertinente diritto potestativo, senza che occorra una nuova manifestazione di volontà del concedente; del resto, proprio il fatto che l’opzionario sia titolare di un diritto potestativo colloca il concedente in una posizione di soggezione, laddove il contraente obbligato nel preliminare unilaterale è in una posizione di debito (obbligazione), cui corrisponde la pretesa dell’altro contraente alla prestazione del consenso utile alla stipula del definitivo;</li> <li>il patto di opzione viene tradizionalmente assunto non soggetto a trascrizione, stante la relativa natura giuridica tale da non farne scaturire effetti reali diretti ed immediati, quand’anche si atteggi a contratto preparatorio di altro contratto ad effetti reali; la intervenuta trascrivibilità del contratto preliminare ai sensi dell’art.2645 bis c.c. ha tuttavia indotto parte della dottrina ad assumere trascrivibile anche il patto di opzione;</li> <li>una questione specifica concerne la possibilità di sottoporre a cessione il patto di opzione, onde – secondo la tesi prevalente – l’opzionario può cedere il proprio diritto potestativo ad un terzo, salva la necessità, discussa, di ottenere il consenso da parte del concedente alla ridetta cessione; si fronteggiano in materia 2 tesi: k.1) il diritto potestativo dell’opzionario va assimilato ad un diritto di credito, onde la cessione dell’opzione deve assumersi disciplinata dagli articoli 1260 e seguenti c.c. in tema di cessione del credito, non occorrendo dunque di regola il consenso del concedente ceduto; fermo restando che occorre di volta in volta verificare la compatibilità con i singoli schemi contrattuali: in tema di vendita, se pochi problemi pone la cessione dell’opzione che coinvolga chi acquista, qualche problema in più pone la stessa operazione ove coinvolga chi vende, stante il difficile coordinamento con la disciplina della garanzia per i vizi e per l’evizione; k.2) il diritto potestativo dell’opzionario, proprio perché tale (diritto potestativo), non può essere assimilato ad un diritto di credito, atteggiandosi di natura strettamente personale e dunque, già solo per questo, di regola incedibile, a meno che non intervenga il consenso del concedente; si aggiunge che il patto di opzione accede normalmente ad un contratto più ampio, sicché non si può cedere l’opzione senza cedere l’intero contratto nel quale essa si inserisce, e per la cessione del contratto occorre, ai sensi dell’art.1406 c.c., da un lato il consenso per l’appunto del concedente (contraente ceduto) e, dall’altro, la mancata esecuzione delle prestazioni che ne discendono;</li> <li>si considera ammissibile l’opzione a favore di terzo (onde il potere unilaterale di accettare la proposta contrattuale del concedente viene attribuito dallo stipulante, per l’appunto, ad un terzo), l’art.1411 c.c. forgiando uno schema a valenza generale, applicabile ad una pluralità eterogenea di rapporti contrattuali dai quali possono scaturire del pari eterogenee situazioni giuridicamente rilevanti, tra le quali appunto anche la soggezione tipica del concedente e la potestà tipica dell’opzionario;</li> <li>si considera ammissibile anche l’opzione per persona da nominare, laddove il diritto potestativo viene attribuito <em>in incertam personam</em> da chi stipula il pertinente patto con il concedente; si assume infatti applicabile lo schema di cui all’art.1401 c.c., massime se si tratta di opzione a titolo oneroso, laddove alla soggezione del concedente corrisponde una controprestazione (premio) dovuta dall’opzionario “<em>incerto</em>”; in tale fattispecie, l’opzionario può atteggiarsi, in sede di stipula del patto di opzione, come effettivo o come meramente potenziale, riservandosi la possibilità di concludere egli stesso – giusta unilaterale accettazione – il contratto finale e principale, ovvero di designare all’uopo un terzo che, laddove accetti, diviene titolare del diritto potestativo di contrarre e del connesso obbligo di versare il premio al concedente;</li> <li>sul crinale patologico, si pone il problema degli effetti dell’inadempimento al patto di opzione; premessa la natura “<em>contrattuale</em>” della responsabilità del concedente inadempiente (o, secondo altra voce che fa perno sulla natura preparatoria del patto di ozpione, la relativa natura “<em>precontrattuale</em>”), si confrontano sul punto 2 tesi opposte: n.1) il patto di opzione ha efficacia meramente obbligatoria, onde ne risulta vincolato il concedente ma esso non è opponibile all’eventuale terzo acquirente, potendo dunque l’opzionario invocare solo il risarcimento dei danni dal concedente infedele (tesi maggioritaria); n.2) il patto di opzione ha efficacia reale, onde in caso di inadempimento del concedente l’opzionario può opporlo al terzo e, in caso si tratti di alienazione, “<em>rincorrere</em>” il bene presso il terzo acquirente riscattandolo (tesi minoritaria).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della prelazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta normalmente di un negozio (atipico, ma meritevole di tutela ex art.1322 c.c.) che ha come oggetto la controparte contrattuale nella eventualità in cui chi lo pone in essere decida, in futuro, di contrarre;</li> <li>chi pone in essere il negozio di prelazione (promittente) si obbliga a preferire uno specifico soggetto, beneficiario della prelazione medesima (prelazionario), a parità di condizioni (<em>coeteris paribus</em>) rispetto ad altri possibili contraenti con riguardo al contratto che andrà a stipulare, semmai deciderà di stipularlo;</li> <li>chi pone in essere il negozio vede attualizzare dunque il proprio obbligo (che resta anteriormente in una sorta di stato latente) solo nel caso in cui, nel futuro, egli decida di concludere il contratto cui la prelazione si riferisce, per quest’ultimo dovendosi intendere, con precisione, “<em>quel contratto</em>” (limiti per il promittente legati al tipo di contratto), eventualmente avente ad oggetto “<em>quel bene</em>” (limiti per il promittente legati all’oggetto del contratto);</li> <li>in questo caso, dovrà informare il beneficiario che intende concludere il contratto attraverso la c.d. <em>denuntiatio</em>, rappresentandogli anche a quali condizioni intende contrattare;</li> <li>a parità di condizioni, chi pone in essere il negozio deve preferire il beneficiario della prelazione;</li> <li>il medesimo schema può scaturire: f.1) da un negozio, parlandosi in tal caso di prelazione “<em>negoziale</em>”, sia quale clausola accessoria di un contratto principale, sia quale contratto autonomo che può essere a titolo oneroso (il beneficiario della prelazione è tenuto ad un corrispettivo) o a titolo gratuito (non è previsto corrispettivo a carico del beneficiario), in quest’ultimo caso perfezionabile secondo lo schema dell’art.1333 c.c., nascendone obbligazioni a carico del solo proponente; il beneficiario di una prelazione negoziale è creditore che l’ordinamento munisce di tutela meramente personale, potendo egli in caso di inadempimento avvalersi dei soli rimedi risarcitori, senza possibilità di “<em>inseguire</em>” la res illecitamente alienata a terzi; f.2) direttamente dalla legge, parlandosi in tal caso di prelazione “<em>legale</em>”, come nelle fattispecie codicistiche della prelazione del coerede (art.732 c.c.) o del partecipe ad impresa familiare (art.230 bis c.c.), o in quelle extracodicistiche in materia di brevetti ed invenzioni industriali, in materia agraria ed in materia di locazione non abitativa; il beneficiario di una prelazione legale è creditore che l’ordinamento munisce di tutela “<em>reale</em>”, potendo egli in caso di inadempimento avvalersi non già solo dei rimedi risarcitori e potendo piuttosto “<em>inseguire</em>” e recuperare la <em>res</em> illecitamente alienata a terzi;</li> <li>con particolare riguardo alla prelazione negoziale – ferma la sostanza contrattuale, configurando essa per l’appunto un contratto “<em>a monte</em>” dal quale nasce il vincolo di una delle parti a preferire l’altra in occasione di un futuro ed eventuale, ulteriore contratto “<em>a valle</em>” - se ne discute la natura giuridica: g.1) si tratta di un contratto preliminare bilaterale o, secondo un’altra declinazione più accreditata di questa tesi, un contratto preliminare unilaterale condizionato (una sola delle parti si obbliga a stipulare con l’altra, sotto condizione che decida di stipulare): si tratta di una tesi criticata da chi afferma come in realtà non possa parlarsi di un contratto preliminare, giacché il promittente non si obbliga a concludere alcun contratto, obbligandosi piuttosto – laddove decida di contrarre <em>de futuro</em> – a non concluderlo con soggetti diversi dal prelazionario; peraltro la condizione (per chi la ammette) si atteggerebbe a meramente potestativa ex art.1355 c.c., dipendendo l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo (entrambi nulli) dalla mera volontà del promittente, concretantesi nella decisione per l’appunto di contrarre, rinviata al futuro e che spetta solo a lui; g.2) si tratta di un contratto di opzione ex art.1331 c.c.; in realtà la prelazione è strutturalmente diversa dall’opzione, dacché da essa non discende alcun obbligo di concludere un contratto ed inoltre, laddove il promittente decida di contrarre ed il beneficiario-prelazionario decida di avvalersi dell’opzione, non si assiste ad una automatica conclusione del contratto a valle, occorrendo una rinnovata manifestazione di volontà da parte di entrambi; nell’opzione vi è invece una parte che si obbliga, tenendo ferma la proposta, a concludere il (<em>rectius</em>, a soggiacere alla conclusione del) contratto a valle per il cui perfezionamento è sufficiente la sola manifestazione di volontà dell’opzionario di aderire alla proposta tenuta ferma dal promittente;</li> <li>si definisce <em>denuntiatio</em> la comunicazione giusta la quale l’alienante, in veste di promittente, informa il prelazionario che intende contrarre, partecipando anche le coordinate oggettive alle quali intende farlo, e con ciò mettendosi nelle condizioni di adempiere al proprio obbligo di preferire – <em>coeteris paribus</em> – il prelazionario all’eventuale terzo contraente; l’informativa ricevuta attraverso la <em>denuntiatio</em> consente infatti al prelazionario di contrarre con il promittente in luogo di tale eventuale terzo ed alle medesime condizioni; secondo la dottrina più accreditata, il promittente ha l’obbligo principale di non contrarre violando la prelazione e, in via accessoria, l’obbligo di spiccare <em>denuntiatio</em> mettendo il prelazionario in condizioni di esercitarla; quanto alla natura giuridica, si giustappongono chi la considera una vera e propria proposta contrattuale (è l’orientamento maggioritario e più recente, che richiede in caso di immobili la forma <em>ad substantiam</em> ex art.1350 c.c.) e chi, piuttosto, una mera comunicazione dalla natura non negoziale;</li> <li>connotano la prelazione, diacronicamente, due termini: i.1) il termine di efficacia della <em>denuntiatio</em>: si tratta del torno temporale all’interno del quale il prelazionario che sia stato informato in modo corretto dal promittente in ordine alla volontà di contrarre ed alle pertinenti condizioni contrattuali, deve corrispondergli dichiarando se intende o meno esercitare il proprio diritto di prelazione; tale termine nelle fattispecie di prelazione legale è fissato dalla legge, mentre nelle prelazioni convenzionali è stabilito dalle parti, soccorrendo in difetto (secondo accreditata dottrina) l’art.1326 c.c., laddove si riferisce alla natura dell’affare o agli usi; i.2) il termine di efficacia del patto di prelazione è il diverso torno temporale che concerne non già il prelazionario, quanto piuttosto il promittente, vincolando quest’ultimo a preferire il prelazionario ai terzi a parità di condizioni contrattuali; tale termine: i.2.1.) per la giurisprudenza può anche mancare, configurandosi allora una prelazione a tempo indeterminato generalmente ammessa dalla giurisprudenza; i.2.2.) per la dottrina è invece essenziale ed imprescindibile, dovendo i vincoli giuridicamente rilevanti essere circoscritti entro convenienti e ben definiti limiti temporali: laddove le parti non fissino il termine di efficacia della prelazione, secondo una tesi più radicale si è al cospetto di una nullità della pertinente clausola per difetto di un elemento essenziale, mentre una tesi più “<em>morbida</em>” e maggiormente sensibile alla salvezza, per quanto possibile, degli effetti del negozio giuridico, assume applicabile in via analogica l’art.1331, comma 2, c.c., potendo dunque intervenire il giudice a fissare il termine mancante; quando tuttavia la clausola di prelazione si inserisce in un rapporto contrattuale più complesso ed articolato che presenti un proprio termine di efficacia, non manca chi ritiene doversi ancorare anche il termine di efficacia della prelazione al termine contrattuale “<em>generale</em>” siccome divisato dalla volontà delle parti;</li> <li>sul crinale patologico, gli effetti dell’inadempimento al patto di prelazione si distinguono a seconda che: j.1) si tratti di prelazione ad effetti reali: in questa fattispecie, poiché la prelazione è opponibile <em>erga omnes</em>, e dunque anche al terzo acquirente, il prelazionario può recuperare il bene presso quest’ultimo esercitando il diritto di riscatto; j.2) si tratti di prelazione ad effetti obbligatori: in questa fattispecie, poiché la prelazione non è opponibile <em>erga omnes</em>, ma solo al promittente, essa non può essere opposta neppure al terzo acquirente, onde il prelazionario non può recuperare il bene presso quest’ultimo esercitando il diritto di riscatto, potendo piuttosto solo agire per il risarcimento del danno nei confronti del promittente; in questa eventualità, la quantificazione del danno tiene conto del vantaggio che il prelazionario avrebbe potuto ritrarre dal contratto non stipulato (con preferenza), scontando tuttavia - con canone proporzionale - la probabilità che il prelazionario medesimo, pur tempestivamente avvertito, non avrebbe comunque dato seguito alla proposta contrattuale del promittente; laddove tuttavia il terzo contraente sia stato a conoscenza del patto di prelazione ed abbia dunque consapevolmente concorso nella relativa violazione da parte del promittente, il prelazionario può agire per i danni anche contro di lui, ma a titolo aquiliano;</li> <li>si discute se il prelazionario, in caso di violazione del patto di prelazione, possa agire nei confronti del promittente ai sensi dell’art.2932 c.c., invocando l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, distinguendosi in proposito: k.1) una tesi minoritaria dottrinale orientata ad ammettere questo modello di tutela; k.2) una tesi maggioritaria orientata, all’opposto, ad escluderla per inapplicabilità, in qualche modo, “<em>strutturale</em>”, sulla scorta della considerazione onde il rimedio di cui all’art.2932 c.c. consente alla sentenza di sostituirsi all’autonomia negoziale delle parti solo al fine di determinare gli effetti di un contratto che le parti si sono già obbligate a stipulare, provvedendo a cristallizzarne il contenuto essenziale, non potendo al di fuori di questi casi intervenire alcun provvedimento sostitutivo <em>ope iudicis</em>, che surrogherebbe la stessa decisione di contrarre, rimessa alle parti stesse, mentre nel caso della prelazione si sottolinea come il promittente non abbia in realtà assunto nessun obbligo di contrarre nei confronti del prelazionario (ma, semmai, un obbligo di non contrarre con terzi laddove decida di contrarre e le pertinenti condizioni contrattuali siano gradite al prelazionario medesimo).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare del contratto “<em>normativo</em>”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un contratto che viene stipulato in vista di successivi contratti, prevedendo la disciplina “<em>quadro</em>” che le parti di tali futuri contratti dovranno necessariamente osservare; in sostanza, le parti di un contratto normativo predeterminano una disciplina uniforme per i contratti che esse dovessero in futuro stipulare, dettando dunque la disciplina di futuri ed eventuali contratti, atteggiandosi “<em>a monte</em>” tale modulo contrattuale a fonte negoziale sulla produzione o di secondo grado: gli effetti giuridici dei contratti a valle (futuri ed eventuali) sono infatti da ricondursi in via immediata e diretta ai contratti a valle medesimi, mentre il contratto normativo a monte disciplina tali effetti solo indirettamente;</li> <li>proprio per questo motivo, una parte della dottrina li considera anch’essi contratti “<em>preparatori</em>”;</li> <li>se ne discute la compatibilità con l’art.1321 c.c. che sembra attribuire al contratto lo scopo di produrre un immediato mutamento dello <em>status quo</em> tra le parti giusta costituzione, regolazione od estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale che già li avvince; da questo punto di vista, la specifica funzione e, dunque, la causa del “<em>contratto</em>” normativo non si atteggia propriamente (e tecnicamente) a “<em>contrattuale</em>”, dacché il rapporto sul quale esso incide non è in atto, ma solo eventuale, futuro e meramente in potenza; ad un tempo, le parti di un contratto normativo non si obbligano neppure alla stipula di un futuro contratto, come invece tipicamente avviene quando ad essere stipulato è un contratto preliminare;</li> <li>in sostanza, pur affiorando una certa qual meritevolezza degli interessi sottesi alle parti di un contratto normativo (massime in considerazione di quanto accade nella prassi commerciale, ed alle obiettive esigenze che connotano quest’ultima), parrebbe mancare quell’attività “<em>regolatoria</em>” espressa dall’art.1321, che ha ad oggetto per l’appunto rapporti giuridici o comunque posizioni giuridiche soggettive già presenti dal punto di vista effettuale perché scaturiti dall’autonomia negoziale privata o dalla legge, e non già rapporti giuridici meramente eventuali e futuri;</li> <li>un fondamento giuridico più attendibile a fini di ammissibilità del contratto normativo è stato rintracciato da parte della dottrina: e.1) negli articoli 1341 e 1342 c.c. che – nel prevedere la possibile predisposizione unilaterale di condizioni generali di contratto – implicitamente ammetterebbero la relativa predisposizione bilaterale e, dunque, proprio la stipula di contratti “<em>normativi</em>” bilaterali; e.2) nell’art.1420 c.c. che, nel disciplinare i contratti plurilaterali con comunione di scopo, implicitamente sembra ammettere la figura del contratto normativo, le cui parti si prefiggono per l’appunto uno scopo comune compendiantesi nella uniforme disciplina di eventuali, futuri contratti che possano tra loro intercorrere;</li> <li>chi ammette la configurabilità di un contratto normativo, distingue poi la consistenza dei relativi effetti giuridici, potendo il contratto normativo atteggiarsi: f.1) ad effetti reali: laddove le parti in futuro stipulino contratti tra loro, le clausole del contratto normativo – predisposte <em>ab origine</em> ed in via generale secondo uno schema tipo - si inseriscono automaticamente in quelle dei singoli contratti a valle, il cui contenuto ne costituisce una sorta di diretto ed immediato specchio in termini di oggetto; si tratta dei contratti normativi bilaterali o “<em>interni</em>”, la relativa disciplina investendo gli eventuali contratti futuri a valle stipulati tra le medesime parti del contratto normativo, residuando peraltro per parte maggioritaria della dottrina la possibilità delle parti stesse, giusta mutuo consenso, il potere di modificare di volta in volta talune delle clausole del contratto normativo a monte, in funzione di riproduzione (emendata) del pertinente oggetto nel contratto a valle; circostanza al verificarsi della quale si ritiene che la conclusione di un contratto a valle difforme rispetto allo schema-tipo del contratto normativo a monte implichi definitiva modifica del programma regolativo siccome <em>ab origine</em> divisato; f.2) ad effetti obbligatori: dal contratto normativo nasce, in capo alle parti rispettive, uno o più obblighi comportamentali che disciplinano la fase antecedente o conseguente la conclusione dei singoli contratti a valle; si tratta di effetti che normalmente producono i contratti normativi unilaterali o “<em>esterni</em>”, laddove le parti predispongono la disciplina che esse dovranno rispettare nei rapporti (non già con la controparte del contratto normativo, quanto piuttosto) con i terzi; in queste fattispecie, l’eventuale inadempimento del contratto normativo a monte si assume non incidere sulla validità del contratto a valle con il terzo, salva la responsabilità “<em>contrattuale</em>” della parte inadempiente (se ne ritraggono esempi dalla giurisprudenza in tema di “<em>concessione di vendita</em>” e di comunione e condominio).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dell’obbligo legale di contrarre?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>se nella prelazione “<em>legale</em>” l’obbligo – non già di contrarre, ma - di preferire taluno laddove il promittente decida in futuro di stipulare discende dalla legge, dalla medesima legge può discendere direttamente l’obbligo per taluno di contrarre subito con chi ne faccia richiesta;</li> <li>è il caso del soggetto che esercita un’impresa in condizione di monopolio legale, che l’art.2597 c.c. obbliga a contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto della pertinente impresa, osservando il canone della parità di trattamento; si tratta di presidiare l’interesse dell’utente del trasporto alla certezza del soddisfacimento della pertinente domanda (come chiarito nella Relazione al codice), almeno con riguardo a beni diretti a soddisfare pertinenti bisogni essenziali; la presenza di un monopolio legale crea infatti una situazione di difetto di quei mezzi di autodifesa economica che invece caratterizzano le situazioni concorrenziali; si tratta di una norma che tuttavia ha un ambito di applicabilità sempre più ristretto, e che va assunta eccezionale, atteso lo sfavore con il quale l’ordinamento eurounitario vede situazioni di monopolio legale in capo ad imprenditori;</li> <li>la norma si applica certamente al monopolista legale; per quanto riguarda il monopolista di fatto, ad un orientamento sfavorevole si giustappone chi assume, favorevolmente, come la stessa ratio dell’art.2597 imponga di proteggere consumatori e utenti dai pericoli avvinti alla mancanza di concorrenza, che si configura anche nelle ipotesi in cui il monopolio sia appunto di mero fatto;</li> <li>la fattispecie prevede l’obbligo per il monopolista legale di concludere il contratto, ma non anche l’obbligo per lo stesso di fornire la prestazione richiesta a prescindere dalla stipulazione di tale contratto; nel caso in cui il monopolista ritardi sensibilmente e colposamente la stipula, per una tesi si configura tuttavia una responsabilità precontrattuale del monopolista medesimo ex art.1337 c.c.nei confronti dell’utente;</li> <li>l’obbligo della parità di trattamento nei confronti di tutti i contraenti potenziali riguarda questi ultimi siccome rientranti in gruppi omogenei, all’interno dei quali va appunto osservata la ridetta parità di trattamento (che non coinvolge dunque potenziali contraenti appartenenti a gruppi disomogenei); le disposizioni che caratterizzano i gruppi in parola in termini di omogeneità possono discendere direttamente dalla legge, dal provvedimento di concessione della PA, oppure possono essere scaturigine dell’autonomia del monopolista medesimo;</li> <li>una volta stipulato fisiologicamente il contratto sulla scorta del canone della parità di trattamento, la disciplina contrattuale è poi quella generale prevista per il singolo contratto di pertinenza;</li> <li>laddove il soggetto imprenditore monopolista legale obbligato, patologicamente, non presti il consenso alla stipula del contratto, l’utente creditore può attivare la tutela in forma specifica prevista dall’art.2932 c.c., ottenendo – qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo – una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto non concluso, e che dunque sopperisce all’inadempimento del monopolista legale; si tratta infatti di una tutela di natura personale attivabile anche quando l’obbligo di contrarre discenda da una fonte diversa dal contratto preliminare, sia essa legale o negoziale; è “<em>impossibile</em>” attivare questa tutela quando la cosa oggetto del contratto è perita (impossibilità di fatto) o quando è stata già venduta ad un terzo (impossibilità di diritto); la ridetta tutela può poi essere “<em>esclusa dal titolo</em>”, ma in questo caso deve trattarsi di una esclusione espressa ed inequivoca, non potendo dunque desumersi implicitamente dal titolo in parola.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>