Massima
Simulare ha il significato comune di nascondere: un celare che potrebbe avere ad oggetto il nulla, ovvero un qualcos’altro rispetto a ciò che appare, e dunque un “vero dissimulato”. Chi pone in essere un “falso apparente” si trova nondimeno, massime sul crinale processuale, in una posizione tutt’affatto diversa da chi tale falso apparente semplicemente “subisce” (sconoscendo l’eventuale “vero nascosto”), tanto in veste di generico terzo estraneo alla simulazione, quanto nei panni di specifico terzo “creditore” di chi ha coscientemente e volontariamente simulato, magari proprio per sottrarre beni alla pertinente garanzia patrimoniale; una divaricazione capace di tradursi in un del pari differente armamentario probatorio che l’ordinamento pone a disposizione, rispettivamente, di chi simula conoscendo “il vero nascosto” e di chi alla ridetta simulazione resta estraneo, potendo solo scorgere “l’apparente falso”.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1804
Il 21 marzo viene varato il Code Napoléon, secondo il cui art.1321 le controdichiarazioni rispetto a quanto esplicitamente dichiarato in un contratto possono avere effetto tra le parti contraenti, ma non possono spiegare effetti contro i terzi.
E’ attraverso gli effetti limitati delle “controdichiarazioni” rispetto alla epifania contrattuale che fa dunque la propria comparsa sulla scena giuridica civilistica la simulazione.
1865
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, che non disciplina la simulazione, ma ne evoca ancora una volta (sulla scia dell’esperienza francese) il pertinente fenomeno giuridico all’art.1319, onde le controdichiarazioni fatte per privata scrittura non possono avere effetto che fra le parti contraenti ed i loro successori a titolo universale (comma 1), le enunciazioni estranee alla disposizione non potendo servire che per un principio di prova (comma 2).
Di rilievo, ratione materiae, anche l’art.1383, comma 2, alla cui stregua – in tema di “contratto di matrimonio” e dunque di “società coniugale relativamente ai beni” ex art.1378 – nessuna mutazione o controdichiarazione è valida quando sia fatta senza la presenza ed il simultaneo consenso di tutte le persone che sono state parti nel ridetto contratto matrimoniale.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), secondo il cui art.123, significativamente rubricato “simulazione”, in primis, il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti (comma 1), con azione che non può tuttavia essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero – nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi – successivamente alla celebrazione medesima (comma 2).
Stando poi al successivo art.1414, il contratto simulato non produce effetto tra le parti (comma 1); se poi le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il ridetto contratto, detto contratto “dissimulato”, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma (comma 2); disposizioni che si applicano anche agli atti unilaterali destinati a una persona determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario (comma 3).
L’art.1415 disciplina gli effetti “esterni generali” della simulazione, stabilendo che essa non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione (comma 1). I terzi possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti (comma 2).
Quanto ai rapporti “esterni particolari” con i creditori delle parti, alla stregua dell’art.1416 la simulazione non può essere opposta dai contraenti ai creditori del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che furono oggetto del contratto simulato (comma 1); i creditori del simulato alienante possono, per parte loro, far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti e, nel conflitto con i creditori chirografari (e non anche, dunque, privilegiati) del simulato acquirente, sono preferiti a questi, se il loro credito è anteriore all’atto simulato (comma 2).
Infine, in guisa assai rilevante ratione materiae perché concernente il crinale processuale, ai sensi dell’art.1417 la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti.
Da rammentare, sempre perché pertinente ratione materiae, il disposto dell’art.1422 c.c., onde l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione , salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione; nonché quello dell’art.2722 c.c., onde la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea (alla redazione del documento stesso).
Il ridetto divieto di prova testimoniale tra le parti soffre peraltro le eccezioni di cui al successivo art.2724, onde la prova per testimoni e’ ammessa in ogni caso:
1) quando vi e’ un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal relativo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato;
2) quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;
3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
In tema di trascrizione, ai sensi dell’art.2652, n.4, si devono trascrivere tra le altre, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell’articolo 2643 (per lo più, diritti c.d. “reali”), le domande giudiziali dirette all’accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione; la sentenza che accoglie la domanda, nondimeno, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.
Importante rammentare infine il disposto dell’art.2905 c.c. onde il creditore può chiedere il sequestro conservativo dei beni del debitore secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile (comma 1), potendo richiedere il detto sequestro anche nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore, qualora sia stata proposta l’azione per far dichiarare l’inefficacia dell’alienazione (comma 2): si tratta di una norma che – proprio laddove si riferisce all’inefficacia dell’alienazione – se certamente si riferisce alle fattispecie di “revocatoria” collocate nel codice agli articoli immediatamente precedenti (art.2901 e seguenti c.c.), non può non lambire anche le fattispecie simulatorie, laddove campeggia del pari l’inefficacia negoziale e che spesso sospingono il creditore verso un classico, tuzioristico “concorso di azioni” (revocatoria e, appunto, simulatoria).
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, alla stregua del cui art.41 l’iniziativa economica privata è libera (comma 1), e tuttavia non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (comma 2), la legge determinando i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (comma 3).
Il dogma della volontà, onde le parti vanno – sul piano astratto – assunte libere di configurare negozi ai quali non intendono ricondurre dei concreti effetti, va dunque bilanciato con la tutela dei terzi e dell’affidamento che essi ripongono nella realtà del traffico giuridico siccome appare loro, per l’appunto con gli “effetti” a ciascun negozio (presunto “vero”) ordinariamente e generalmente ricondotti.
1969
Il 17 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3999 onde la prova della simulazione non deve necessariamente preesistere al processo, ma può anche essere acquisita attraverso gli atti (e le vicende) del processo medesimo.
Per il Collegio, più in specie, attraverso le risposte date dall’interessato in sede di interrogatorio, può essere utilmente acquisita sia la prova piena della simulazione, se in riguardo ad essa si ha confessione piena e completa, sia un principio di prova, se le risposte sono soltanto tali da rendere verosimile la simulazione ridetta, con la conseguenza di rendere ammissibile la prova testimoniale (ex art.2724 c.c.) in deroga al pertinente, normale divieto.
1970
Il 3 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2543 onde la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza alcun limite, anche tra le parti, qualora sia diretta a far valere l’illiceità dell’intero contratto dissimulato o anche di una sola clausola dissimulata del contratto ridetto.
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Il 29 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2762 onde la prova della simulazione di un negozio in forma scritta, anche se tale forma non sia richiesta dalla legge ad substantiam, nei rapporti fra le parti non può essere fornita mediante testimoni o presunzioni.
Peraltro, chiosa il Collegio, le restrizioni all’ammissione della prova per testimoni della simulazione (e quindi anche dell’ammissione delle presunzioni) tra le parti contraenti non operano qualora si delinei un interesse pubblico prevalente su quello che può avere determinato tali restrizioni, qual è l’interesse alla scoperta e alla repressione dell’illecito contenuto nella convenzione dissimulata.
Poiché tuttavia la ragione essenziale della disposizione meno rigorosa in tema di prova della simulazione tra contraenti è l’eliminazione, nell’interesse generale, degli atti fittiziamente posti in essere in frode alla legge, il contraente interessato può essere ammesso alla prova per testimoni o per presunzioni soltanto quando abbia dimostrato che l’atto impugnato costituì il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa; non basta invece, conclude il Collegio, la semplice allegazione dell’intento di frodare la legge, rimanendo, in tal caso, la prova della simulazione soggetta alle normali limitazioni.
1971
L’8 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2153 onde, in tema di simulazione, la controdichiarazione è un atto di riconoscimento diretto a far constatare l’inesistenza del contratto simulato oppure la esistenza di un contratto (dissimulato) diverso da quello apparente ed è preordinata dalle parti a garanzia delle loro rispettive posizioni giuridiche.
La pertinente funzione, chiosa il Collegio, è tipicamente probatoria, perché diretta ad attestare (con dichiarazione cosiddetta rappresentativa) la realtà del rapporto negoziale in totale o parziale contrasto con quanto risulta dall’atto palese, di cui svela la difformità da quello che è stato l’effettivo volere delle parti.
1972
Il 29 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1677 alla cui stregua, nei rapporti interni fra le parti contraenti, la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti soltanto se la domanda sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato; il che presuppone la ricorrenza della (sola) ipotesi di una simulazione relativa e non già assoluta.
1973
Il 2 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.320 onde la prova per testi può essere dedotta, senza l’osservanza del limite di valore di cui all’art. 2721 c.c., da chi è stato parte dell’atto impugnato per simulazione da un terzo, sempre che non sia diretta a dimostrare la simulazione, ma a resistere all’impugnativa del terzo medesimo.
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Il 15 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1746 alla cui stregua, ai fini dell’indagine sulla simulazione, le risultanze dell’atto pubblico non sono decisive, perché la relativa efficacia probatoria riguarda la provenienza delle dichiarazioni e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in relativa presenza, e non l’intrinseca verità e la sincerità delle dichiarazioni, né la rispondenza dei fatti alla vera intenzione delle parti.
La conformità al loro reale interno volere di tali manifestazioni di volontà può, quindi, essere contrastata con ogni mezzo di prova nei casi contemplati dall’art. 1417 c.c., ivi compresa la prova per presunzioni.
Ne consegue – prosegue la Corte – che, qualora un creditore abbia fornito la prova di un complesso di circostanze indiziarie tali da convincere (considerate coordinatamente e nel loro insieme) che le parti in realtà non hanno voluto concludere alcun contratto, ma ne hanno voluto soltanto creare l’apparenza, tanto basta perché la simulazione assoluta debba ritenersi provata, e perciò non occorre dimostrare ulteriormente che sono simulati anche quegli atti che, come il pagamento del prezzo, costituiscono esecuzione del contratto: la prova della loro simulazione è infatti implicita in quella della simulazione del contratto stesso, provata la quale deve ritenersi che gli atti in parola altro non siano se non elementi della messa in scena con cui le parti hanno tentato di rendere credibile il loro infingimento.
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Il 7 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2260, onde la limitazione in ordine al regime della prova della simulazione tra i contraenti, prevista dall’art. 1417 c.c., è operante solo allorquando, vigendo tra le parti un unico contratto, uno dei contraenti pretenda, mediante semplici presunzioni, postulare la sussistenza di un contratto dissimulato sotto la veste del contratto apparentemente concluso.
Non ricorre tale limitazione — e si è fuori del campo della simulazione — allorché, precisa il Collegio, in presenza di due contratti riflettenti il medesimo oggetto, occorra stabilire quale dei due sia quello vero e reale.
1974
Il 17 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2133, alla cui stregua – in tema di prova della simulazione inter partes – la legge, mentre vieta la prova per testi, tranne per determinati casi — quelli previsti dall’art. 2724 c.c. e quelli in cui, ai sensi dell’art. 1417 c.c., la prova sia diretta a far valere l’illiceità del contratto — nonché la prova per presunzioni (art. 2729, secondo comma, c.c.), non contiene invece alcuna disposizione che vieti l’interrogatorio formale.
Quest’ultimo, in quanto diretto a provocare la confessione della parte cui è deferito, è per la Corte sempre ammissibile, purché verta su circostanze concludenti ed influenti, non abbia per oggetto (la prova di) negozi per i quali sia richiesto l’atto scritto ad substantiam, e non sia in contrasto con gli atti di causa, sì da apparire dilatorio o defatigatorio.
Anche con riguardo ai contratti relativi a trasferimenti immobiliari richiedenti quindi la forma scritta ad substantiam, deve pur sempre considerarsi ammissibile – chiosa la Corte – l’interrogatorio formale inteso a provocare la confessione circa la simulazione del contratto e non la sussistenza di esso.
1975
L’11 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1362 alla cui stregua l’accordo simulatorio deve esistere al momento della stipula del negozio simulato, nel quale soltanto la simulazione si realizza, sicché il documento che rivela l’accordo:
– se è anteriore, non giova se non sotto il profilo della rilevazione anticipata del proposito da attuare in futuro;
– se è posteriore, non può che assumere un valore meramente narrativo e confessorio dell’accaduto, perché proviene dalle stesse parti che hanno fittiziamente negoziato.
1977
Il 3 agosto esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.3441 alla cui stregua l’azione di simulazione relativa va assunta imprescrittibile quando è diretta soltanto a dimostrare la nullità, per carenza di causa o di accordo, nel negozio simulato, o quando anche il negozio dissimulato è nullo.
L’azione è invece per il Collegio soggetta alla prescrizione ordinaria quando l’attore non si limita a chiedere una semplice declaratoria iuris ma agisce allo scopo di realizzare gli effetti derivanti dal contratto dissimulato.
La domanda giudiziale ha effetto interruttivo della prescrizione soltanto quando ha ad oggetto proprio il diritto che è colpito dal pericolo di estinzione per decorso del tempo. Perciò, in tema di simulazione relativa, la prescrizione dei diritti nati dal contratto dissimulato è impedita esclusivamente dalla domanda diretta a far valere i diritti medesimi. Tale domanda, chiosa ancora il Collegio, ha un proprio petitum ed una propria causa petendi specifici, per cui è escluso che possa ritenersi implicitamente compresa in una qualsiasi domanda avente ad oggetto il bene che sia stato coinvolto in un accordo simulatorio, occorrendo, piuttosto, che l’istanza di accertamento della simulazione sia specificamente formulata.
1978
Il 29 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2040 onde il principio in base al quale la prova della simulazione può essere data anche con testimoni, e senza limitazione alcuna, qualora la domanda sia proposta dal terzo (art. 1417 c.c.), non soffre deroga per il caso di azione di simulazione di vendita immobiliare per interposizione fittizia di persona, perché con tale azione il terzo (apparente compratore) tende a fare emergere la vera identità dell’acquirente, rendendo inefficace nei relativi confronti il contratto simulato, e non, quindi, a conseguire a proprio favore un trasferimento del bene, diverso da quello effettivamente voluto dalle parti.
1981
Il 3 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5792 onde, a norma dell’art. 1417 c.c. fra le parti del negozio che si assume simulato, la prova delle controdichiarazioni — fra le quali rientrano i patti di cui all’art. 2722 c.c. — può essere ammessa in tutti i casi (eccezionali) elencati dall’art. 2724 dello stesso codice.
1984
Il 21 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4275 onde, in tema di simulazione di atto redatto per iscritto (che una parte fa valere nei confronti dell’altra) opera riguardo alla prova testimoniale (e perciò, in forza dell’art. 2729, comma secondo, c.c., anche rispetto a quella presuntiva), ove non sia dedotta l’illiceità del contratto dissimulato, il divieto generale posto dall’art. 2722 c.c.(salve le tassative eccezioni previste dal successivo art.2724 c.c.) in ordine ai patti aggiuntivi o contrari al contenuto di un documento ed anteriori o contemporanei ad esso,
Ciò poiché – precisa la Corte – si tratta in tal caso di dimostrare l’esistenza tra le parti di un patto, l’accordo simulatorio, contrario al contenuto dell’atto scritto e necessariamente anteriore o contemporaneo all’atto medesimo.
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Il 24 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5405 alla cui stregua, con riguardo ad un contratto, preliminare o definitivo, di compravendita, avente ad oggetto cioè il trasferimento di un bene dietro corrispettivo di un prezzo, la circostanza che il prezzo medesimo sia stato regolato, anziché con versamento della relativa somma, mediante estinzione di un debito del venditore, configura un fatto storico esterno al contratto stesso e non incidente sui relativi elementi costitutivi.
La prova per testi o presunzioni di detta circostanza, pertanto, non traducendosi nella prova della simulazione della compravendita, non è soggetta alle disposizioni in tema di simulazione dell’art. 1417 cod. civ.
1985
Il 4 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.768 onde la simulazione totale o parziale del contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam può essere provata dai contraenti contro i terzi soltanto per mezzo di controdichiarazione, che deve essere anteriore o coeva all’atto e la cui data, quindi, deve essere certa ai sensi dell’art. 2704 c.c.
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Il 4 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2790 onde, nel giudizio di simulazione, il giudice può legittimamente far ricorso a presunzioni che possono essere tratte da qualsiasi fonte probatoria — non sussistendo alcun limite al potere d’indagine del giudice, il quale può trarre elementi di convincimento da qualsiasi atto del processo, compreso lo stesso atto impugnato di simulazione — dalla quale siano ricavabili elementi gravi, precisi e concordanti.
Non è sufficiente poi – precisa la Corte – a dimostrare l’inesistenza della simulazione l’esecuzione del contratto simulato, esecuzione che invece può ben costituire uno dei mezzi per nascondere all’esterno l’accordo simulatorio.
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Il 5 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4387 alla cui stregua in tema di simulazione, il divieto generale, in presenza di contratto redatto per iscritto, del ricorso alla prova per testimoni (e quindi anche a quella per presunzioni in virtù del richiamo di cui all’art. 2729, secondo comma, c.c.), opera solo nei rapporti tra le parti contraenti (e sempreché non sia dedotta l’illiceità del contratto dissimulato) e non già nei confronti dei terzi (art. 1417 c.c.).
Per conseguenza, chiosa il Collegio, ove sia fatta valere da chi non è parte la nullità del contratto dissimulato (in quanto integrante, nella specie, un mutuo con patto commissorio), non è necessaria una controdichiarazione scritta per dimostrare l’accordo simulatorio pertinente, essendo consentito al giudice del merito di utilizzare lo strumento probatorio costituito dalla prova indiziaria e presuntiva, che è d’altronde il mezzo di prova costituente la regola in materia di simulazione, data la natura della controversia.
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Il 21 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4453 onde, in caso d’interposizione fittizia del compratore nel contratto di acquisto di un immobile e di conflitto fra compratore apparente e compratore effettivo, è sufficiente, al fine di riconoscere efficacia fra le parti al contratto dissimulato, un documento ricognitivo sottoscritto dalle indicate parti in conflitto (nella specie, convenzione tra coniugi in ordine alle conseguenze del loro divorzio, dalla quale risulti appunto chi sarà il compratore apparente e chi quello effettivo), restando l’accertamento del concorso del terzo partecipante alla simulazione (venditore) affidato ad altri mezzi di prova, compresa la confessione — anche stragiudiziale — del terzo stesso.
1986
Il 12 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.850 alla cui stregua, in tema di prova della simulazione di un negozio soggetto alla forma scritta ad substantiam, quando l’azione sia proposta da una delle parti o dai rispettivi eredi, occorre distinguere tra simulazione assoluta e simulazione relativa.
Ciò in quanto, precisa il Collegio, mentre nel caso di simulazione assoluta, la relativa prova soggiace alle normali limitazioni legali, e, in particolare, al divieto di prova testimoniale e a quella per presunzioni, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 2724 c.c., formando oggetto della prova non il negozio formale, ma l’inesistenza dello stesso; nel caso invece di simulazione relativa, venendo in considerazione l’esistenza e validità del negozio dissimulato, la dimostrazione della simulazione incontra i più rigorosi limiti stabiliti all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni dall’art. 2725 c.c., secondo cui la prova testimoniale di un negozio per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem è consentita soltanto nell’ipotesi di smarrimento incolpevole del documento contemplata nell’art. 2724, n. 3 c.c.
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Il 15 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3210 alla cui stregua la prova della simulazione si atteggia in modo differente a seconda che si tratti di rapporti verso i terzi o i creditori, ovvero del rapporto tra le parti.
Infatti, precisa il Collegio, se la domanda di simulazione è proposta da creditori o da terzi che, estranei al contratto, non sono in grado di procurarsi la prova scritta, la prova per testi e per presunzioni della simulazione non trova alcun limite; se invece la domanda è proposta da una delle parti o dagli eredi delle medesime, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale, per cui, se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testi e per presunzioni non può essere ammessa contro il contenuto del documento, perché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni scritte, salvo che la prova sia diretta a fare valere l’illiceità del contratto dissimulato, nel qual caso la prova per testi e per presunzioni non incontra limite neanche tra le parti.
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Il 18 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4071 onde, al fine della prova della simulazione assoluta, l’atto scritto è richiesto solo ad probationem per superare il divieto della prova orale contraria al contenuto del documento.
Pertanto, tale atto scritto ad probationem può essere costituito anche da una dichiarazione unilaterale di natura confessoria sottoscritta dalla parte che abbia interesse contrario all’accertamento della simulazione, dovendosi dimostrare soltanto che le parti non hanno voluto concludere il contratto apparente, e non anche, come nel caso di simulazione relativa, che abbiano inteso concludere un contratto diverso per il quale potrebbe essere richiesta la forma scritta ad substantiam.
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Il 7 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4428 alla cui stregua, in tema di simulazione, i limiti stabiliti dall’art. 1417 c.c. all’ammissibilità della prova per testimoni e a quella per presunzioni nei rapporti tra le parti, sono diretti ad esclusiva tutela degli interessi privati, e, pertanto, possono formare oggetto di rinuncia, anche tacita, della parte interessata.
Tuttavia, precisa il Collegio, al fine della sussistenza di tale rinuncia, occorre che dalla condotta dell’interessato possa desumersi con assoluta certezza l’intenzione del medesimo a non opporsi all’assunzione dei mezzi istruttori vietati.
1988
Il 01 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2130 onde, con riguardo ad immobile acquistato da un coniuge, la domanda proposta dall’altro coniuge, per far valere la simulazione relativa, in relazione ad un dedotto patto di intestazione del bene ad entrambi, non può essere basata su preliminare di vendita, nel quale i due coniugi abbiano assunto congiuntamente la qualità di promissari, dato che il relativo contratto, essendo anteriore alla vendita definitiva, non è in grado di fornire la dimostrazione documentale della controdichiarazione, la quale presuppone l’accordo simulato e quindi non può precederlo.
1989
Il 22 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2976 alla cui stregua, in tema di simulazione, il giudice può negare l’ammissione di una prova testimoniale diretta ad accertare un fatto al quale la parte richiedente attribuisce valore presuntivo solo se ritenga che tale valore difetti, nel senso che dal fatto oggetto della prova testimoniale non può scaturire, secondo l’id quod plerumque accidit, la conseguenza presupposta.
Diversamente, precisa la Corte, il giudice è tenuto ad ammettere la prova, onde porre successivamente i risultati di essa in raffronto con le altre presunzioni acquisite al processo, al fine di effettuare una valutazione globale ed unitaria di tutti gli elementi probatori, non eseguibile in base ad apprezzamenti aprioristici di elementi indizianti non ancora acquisiti e quindi ignoti nella loro reale entità.
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Il 12 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5550 alla cui stregua, in tema di compravendita di immobile, la prova della interposizione fittizia — che si ha quando la proprietà del bene viene simultaneamente intestata a persona diversa dall’effettivo acquirente, con la partecipazione del venditore, il quale è consapevole che il vero compratore è un terzo, nei cui confronti assume diritti ed obblighi — è soggetta (rientrando pur sempre fra i casi di simulazione relativa) ai limiti di cui all’art. 1417 c.c., nel senso che l’accordo simulatorio deve necessariamente risultare da atto scritto, se fatto valere nei rapporti tra le parti, mentre può essere provato mediante testimoni o presunzioni solo se fatto valere da terzi o da creditori, oppure se viene dedotta l’illiceità del negozio dissimulato.
1990
Il 7 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1811 alla cui stregua, con riguardo ad immobili il cui acquisto si pretenda effettuato per interposta persona (interposizione reale), l’accertamento del diritto di proprietà sugli immobili stessi, in favore del soggetto che assuma di essere il beneficiario effettivo del rapporto, non può prescindere dall’esistenza di una manifestazione scritta della volontà di assunzione dell’obbligo di ritrasferimento da parte dell’acquirente interposto.
E tale scrittura, precisa la Corte, non può essere sostituita né — ove esistente — può esserne provato il contenuto attraverso la prova per testi o per presunzioni, neppure sostenendosi l’illiceità dell’acquisto della persona interposta, sotto il profilo della frode fiscale ed invocando, perciò, la libertà di prove di cui all’art. 1417 c.c., poiché questa ultima disposizione concerne soltanto la simulazione.
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Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2401 onde, in materia di simulazione, il principio di prova scritta, che ai sensi dell’art. 2724 n. 1 c.c. consente eccezionalmente (tra le parti) la prova per testi, deve consistere in uno scritto proveniente dalla persona contro la quale è diretta, diverso dalla scrittura le cui risultanze si intendono sovvertire con la prova testimoniale e contenente un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto con il documento, tale da lasciare argomentare che l’asserzione della parte circa la circostanza da provare abbia un qualche fondamento di veridicità.
Non può pertanto – precisa la Corte – desumersi un principio di prova scritta dallo stesso atto impugnato per simulazione, nessun riferimento o collegamento logico ricorrendo, in contrasto con il documento, tra il negozio asseritamente simulato e quello sottostante.
Poiché peraltro il principio di prova scritta idoneo a rendere ammissibile la prova testimoniale può essere fornito anche dalle risposte date dalla parte in sede di interrogatorio formale, attesa la relativa verbalizzazione e sottoscrizione, è ammissibile la prova testimoniale della simulazione tra le parti quando le dichiarazioni rese dall’interessato nell’interrogatorio siano state tali da far apparire verosimile la simulazione, e quindi tali da fornire un principio di prova, purché esse siano state prestate dal medesimo soggetto nei cui confronti la domanda è diretta ed al quale si oppongono, o da un relativo rappresentante, restando quelle rese da un qualsiasi altro soggetto del rapporto processuale, terzo rispetto alla specifica pretesa fatta valere, prive di ogni valore probatorio.
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Il 4 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7861 onde, con riguardo alla domanda diretta a far valere la simulazione relativa di una vendita immobiliare, dissimulante una donazione, asseritamente nulla per difetto di forma ovvero revocabile per ingratitudine, mentre la prova testimoniale inter partes è ammissibile per il combinato disposto degli artt. 1417 e 2725 c.c. soltanto se è intesa a dimostrare la perdita incolpevole della eventuale controdichiarazione attestante l’esistenza dell’asserito contratto di donazione dissimulato, è inammissibile il deferimento sul punto del giuramento decisorio, dato che questo, essendo diretto a far dipendere la decisione della lite dalla coscienza della parte, non è un mezzo di prova documentale e non può quindi sostituire l’atto scritto richiesto ad substantiam dall’art. 1350 c.c. per ogni convenzione riguardante diritti reali immobiliari.
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Il 6 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7909, onde l’erede che agisca non già quale legittimario ai fini del recupero o della reintegrazione della quota di riserva, assumendo veste di terzo rispetto al negozio di cessione di beni ereditari compiuto dal de cuius, del quale deduca la simulazione, bensì con azione di simulazione relativa al fine di acquisire alla massa ereditaria i beni ceduti (per la successiva divisione con gli altri eredi), resta vincolato alla posizione del de cuius, nei cui rapporti subentra, non solo sul terreno dell’accertamento probatorio, ma anche ad ogni altro effetto, compreso quello della prescrizione che decorre non dall’apertura della successione ma dal compimento dell’atto simulato.
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Il 16 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8325 alla cui stregua, nel caso in cui venga dedotta la nullità di un contratto preliminare di compravendita siccome dissimulante un patto commissorio vietato a norma dell’art. 2744 c.c., la simulazione costituisce soltanto la causa petendi, cioè il fatto rivelatore del vietato patto commissorio, posto a base dell’azione di nullità del contratto, sicché il relativo accertamento non è soggetto alle limitazioni ex art. 1417 c.c. quanto alla prova testimoniale, essendo volta a far valere l’illiceità ex lege del negozio dissimulato.
1991
Il 17 dicembre esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.13584, che ammette la prova della simulazione poter essere fornita – tra le parti – anche giusta interrogatorio formale, diretto come esso è a provocare la confessione giudiziale del soggetto cui è deferito.
Ciò esclusi i casi in cui si tratti di dimostrare l’esistenza di un contratto (dissimulato) per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam.
Si tratta di una eccezione alla regola delle preclusioni probatorie tra le parti che – precisa il Collegio – può peraltro assumersi operativa soltanto nelle ipotesi di simulazione relativa e non anche in quelle di simulazione assoluta, dacché in tale ultimo caso la prova concerne esclusivamente l’inesistenza del contratto apparentemente stipulato e non anche la sussistenza di un diverso regolamento negoziale dissimulato.
1994
Il 20 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.464 alla cui stregua la legittimazione del terzo a far valere la simulazione di un negozio presuppone che esista uno stato di conflitto, sia pure potenziale, tra gli effetti giuridici del negozio medesimo, all’uopo impugnato, ed il diritto del terzo su cui si rifletterebbero quegli effetti, capaci di eliderlo a menomarlo.
Per conseguenza, precisa la Corte, se il diritto del terzo non esiste, ovvero se gli effetti del negozio che si assume come simulato non sono pregiudizievoli, il terzo non è legittimato ad impugnare l’atto.
Affiora dunque una stretta connessione tra le figure della legittimazione e dell’interesse ad agire in simulazione in capo al terzo attore, la cui legittimazione a far valere la simulazione si presenta indissolubilmente avvinta al pregiudizio che, in difetto di iniziativa giurisdizionale, discenderebbe alla relativa situazione giuridica soggettiva.
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Il 27 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7021 alla cui stregua, nell’ipotesi di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona riguardante un contratto per il quale sia necessaria la forma scritta ad substantiam, quale una compravendita immobiliare, nel conflitto tra preteso compratore apparente ed acquirente effettivo, partecipe dell’accordo simulatorio e perciò soggetto da considerarsi parte del contratto, la prova della simulazione, traducendosi nella dimostrazione del presunto negozio dissimulato, a mente dell’art. 2725 c.c. può essere data solo a mezzo di atto scritto, e cioè con un documento contenente la controdichiarazione sottoscritta dalla parte contro cui sia prodotto in giudizio.
Ciò, precisa il Collegio, salva la prova testimoniale, per la sola ipotesi di perdita incolpevole del documento, ai sensi dell’art. 2724, n. 3, c.c., che però non ricorre nel caso in cui si alleghi che il preteso documento dell’accordo simulatorio, redatto in unico esemplare, sia stato consensualmente rilasciato, al momento della relativa formazione, nelle mani di una delle parti, essendosi in tal caso in presenza della mera impossibilità di procurarsi la prova scritta del contratto (art. 2724, n. 2, c.c.) non rilevante ai fini della deroga al divieto della prova testimoniale.
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Il 27 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7878 onde la vendita con patto di riscatto o di retrovendita stipulata fra il debitore ed il creditore nell’intento di costituire una garanzia con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore in caso di inadempienza del debitore, pur non integrando direttamente un patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., configura un mezzo per eludere tale norma imperativa e, quindi, esprime una causa illecita che comporta l’ammissibilità della prova testimoniale anche inter partes ai sensi dell’art. 1417 c.c. (laddove il pertinente accordo sia dissimulato da altro).
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Il 21 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8638 alla cui stregua, in ipotesi di simulazione relativa, per interposizione fittizia di persona, di contratto per il quale sia necessaria la forma scritta ad substantiam, non sono applicabili né l’art. 1417 c.c. — che prevede, tra l’altro, che le parti possono far valere, senza limiti di mezzi probatori, l’illiceità del contratto dissimulato — né l’art. 1414, comma 2, stesso codice, laddove contempla l’efficacia del contratto dissimulato avente i requisiti di sostanza e di forma ad esso propri.
Ciò in quanto, precisa la Corte, nell’indicata ipotesi, nella quale, pur mostrando di contrattare con un soggetto, si vuole che gli effetti dell’atto si producano a favore di altri, non si hanno negozi «dissimulati», bensì contratti differenti (quello apparente e quello nascosto), sottoscritti da soggetti in tutto o in parte diversi.
Nella specie, per il Collegio va dunque confermata la decisione di merito secondo cui il preteso interponente non può provare, né per testimoni, né attraverso la produzione di una scrittura privata non trascritta, l’acquisto di un immobile, risultante, invece, in forza di atto pubblico trascritto, di proprietà del coniuge separato dell’interponente medesimo.
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Il 29 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8942 alla cui stregua, al fine della prova della simulazione di una vendita fatta dal de cuius, il legittimario può essere considerato terzo – e come tale beneficiante delle agevolazioni probatorie previste dall’art. 1417 c.c. – solo quando contestualmente all’azione di dichiarazione della simulazione proponga, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della propria quota di riserva, una domanda di riduzione della donazione dissimulata diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso e non anche quando siasi limitato a chiedere l’accertamento della simulazione senza alcuna connessa domanda di reintegrazione della legittima.
L’illiceità del negozio dissimulato agli effetti dell’art. 1417 c.c. (con riguardo ai rapporti tra le parti), precisa peraltro la Corte, non è configurabile nel caso di attività negoziale preordinata alla violazione delle norme relative all’intangibilità della legittima, in quanto non rientranti tra le norme imperative inderogabili la contrarietà alle quali rende illecito il contratto.
1995
Il 16 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5371 onde la nullità delle cause del contratto locativo per uso abitativo in contrasto con le disposizioni della legge sull’equo canone, relative alla durata ed al canone, essendo espressamente sancita dall’art. 79 della legge in considerazione dello scopo di tutela delle primarie esigenze abitative perseguite dalla predetta legge, configura una ipotesi di illiceità dal contratto.
Ne consegue che il contratto di locazione stipulato per eludere tale nullità, con la previsione di durata e misura del canone diverse da quelle legali, realizza una fattispecie negoziale simulata relativamente che, ai sensi dell’art. 1417 c.c., è dato alle parti contraenti di provare con testimoni per far valere il contratto dissimulato, in cui le clausole nulle sono sostituite di diritto da quelle previste dalla legge n. 392 del 1978.
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Il 13 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7666 onde il divieto della prova testimoniale della simulazione sancito dagli artt. 1417 e 2722 c.c. nei confronti delle parti opera anche nei confronti dell’erede che agisca per l’acquisizione al patrimonio ereditario di beni che hanno formato oggetto del negozio simulato cui ha partecipato il de cuius, in quanto l’erede si avvale di un titolo che lo pone nell’identica posizione giuridica del suo dante causa, per cui egli non è terzo rispetto al negozio simulato, ma parte a tutti gli effetti.
Pertanto, soggiunge la Corte, l’erede non può avvalersi della prova per testi e per presunzioni, sempre tuttavia che la controparte si opponga all’assunzione del mezzo istruttorio vietato, essendo stabilito il divieto ad esclusiva tutela degli interessi privati; con la conseguenza onde la prova per testi e per presunzioni ridetta diverrà ammissibile in caso di mancata, tempestiva opposizione della controparte.
1997
Il 23 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.697 che ribadisce come, quando la simulazione assoluta venga dedotta dalle parti, poiché queste sono in grado di procurarsi la prova scritta, non è consentito il ricorso alla prova per testi, salvo non ricorra una delle ipotesi di cui all’art. 2724 c.c., né a quella per presunzioni.
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Il 01 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2386 alla cui stregua il legittimario che – per far valere il relativo diritto alla quota di riserva – chiede l’accertamento della simulazione relativa e la contestuale nullità, per difetto dei requisiti di forma, di un atto dissimulato, stipulato dal de cuius — nella specie donazione, per la quale occorre l’atto pubblico, dissimulata da una vendita per scrittura privata — egli non ha bisogno di esperire contestualmente la domanda di riduzione — necessaria invece, ed all’opposto, nel caso in cui l’atto dissimulato sia valido — per non soggiacere ai limiti di prova previsti dall’art. 1417 c.c..
Ciò perché, precisa la Corte, l’accoglimento di detta domanda di nullità dell’atto dissimulato (e dunque, nella specie, della donazione) comporta la declaratoria di appartenenza del relativo bene all’asse ereditario, con conseguente calcolo di esso nella determinazione della quota spettante al suddetto legittimario.
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Il 24 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6933 alla cui stregua il contratto di locazione per uso abitativo, stipulato per eludere la nullità delle clausole che si pongano in contrasto con le disposizioni della legge sull’equo canone relative alla durata ed al canone (nullità espressamente sancita dall’art. 79 della legge n. 392 del 1978 in considerazione dello scopo di tutela delle primarie esigenze abitative perseguite dalla legge in questione) realizza una fattispecie negoziale di simulazione relativa che le parti possono, ai sensi dell’art. 1417 c.c., provare, senza limiti con testimoni, allo scopo di far valere il contratto dissimulato, in cui le clausole nulle sono sostituite di diritto da quelle previste dalla legge n. 392 del 1978.
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Il 4 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7187 onde, nella interposizione fittizia di persona, la simulazione ha come indispensabile presupposto la partecipazione all’accordo simulatorio non solo dell’interposto e dell’interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione all’intesa raggiunta tra i primi due soggetti assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti dell’interponente.
La prova dell’accordo simulatorio deve pertanto avere ad oggetto la partecipazione del terzo all’accordo stesso con la conseguenza che, in caso di compravendita immobiliare, la domanda diretta all’accertamento della simulazione, ai fini della invalidazione del negozio simulato inter partes, non può essere accolta se l’accordo simulatorio non risulti da atto scritto proveniente anche dal terzo contraente, mentre restano del tutto inidonee ai fini suddetti la controdichiarazione scritta proveniente dal solo interposto o la confessione da questi resa a seguito di formale interrogatorio.
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Il 13 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11232 alla cui stregua lo stesso contratto simulato può legittimamente configurarsi, quoad probationis, in termini di principio di prova scritta, sufficiente, come tale, a rendere ammissibile la prova testimoniale inter partes a norma degli artt. 1417 e 2724, n. 1, c.c., e può, altrettanto legittimamente, venir posto, in concorso con altri elementi di prova, a fondamento del giudizio circa la sussistenza di una vicenda negoziale di carattere simulatorio.
1998
Il 23 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.672, che si inserisce nel solco pretorio onde, in tema di simulazione del prezzo di vendita (siccome fatto apparire inferiore a quello reale, normalmente a fini di risparmio fiscale), il contratto di vendita non perde i propri tratti peculiari, conservando piuttosto inalterati – dal punto di vista qualitativo – i propri elementi costitutivi.
Il prezzo, soggiunge il Collegio, quale elemento negoziale quantitativamente interessato dalla simulazione, può essere sostituito o comunque integrato con quello effettivamente voluto dai contraenti (più elevato rispetto a quello fatto apparire); per questo motivo, tra le parti (alienante e acquirente) non scattano le preclusioni probatorie (prova testimoniale; presunzioni) al fine di dimostrare il reale prezzo della ridetta vendita, se del caso, ancora da corrispondere dall’acquirente all’alienante.
La non applicabilità del combinato disposto degli articoli 1417 e 2722 c.c. discende, precisa la Corte, dalla circostanza onde la clausola intesa a sottacere una parte del prezzo effettivamente dovuto dall’acquirente non può tecnicamente ricondursi ad una dissimulazione contrattuale per difetto di propria autonomia strutturale e funzionale.
Si è allora al cospetto di una prova (normalmente richiesta al venditore, allorché il compratore non paghi la differenza tra il prezzo apparente e quello realmente convenuto) con funzione semplicemente “integrativa”, potendosi compendiare anche in una mera dichiarazione unilaterale siccome rilasciata dal compratore (apparentemente avvantaggiato da un prezzo “simulato” più basso).
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Il 28 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2252 onde, agli effetti della prova della simulazione, deve essere considerata «parte» e non «terzo» chi, pur essendo in apparenza estraneo al contratto, assuma di essere uno dei soggetti del rapporto giuridico che si volle in realtà costituire e di avere, quindi, interesse all’accertamento ed all’attuazione di esso per avere partecipato per interposta persona alla conclusione del contratto stesso.
In questa ipotesi pertanto, precisa la Corte, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale e per presunzioni, con la conseguenza che se il negozio simulato va redatto per iscritto, la prova per testi e per presunzioni non può essere ammessa contro il contenuto di un documento.
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Il 3 aprile esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.3425 alla cui stregua, sul crinale passivo, la legittimazione a resistere all’azione di simulazione appartiene a tutti coloro che hanno partecipato all’accordo simulatorio.
Quando si agisca in via principale per far valere la simulazione, si configura pertanto, chiosa il Collegio, una fattispecie di litisconsorzio necessario di cui all’art.102 c.p.c.; in sostanza, si chiede al giudice una pronuncia che è destinata a spiegare effetti nei confronti di tutti i soggetti del rapporto che è scaturigine dell’”impugnato” negozio simulato, onde l’eventuale sentenza in difetto di contraddittorio integro sarebbe “inutiliter data”.
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Il 4 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4410 alla cui stregua, in tema di contratto simulato, la cosiddetta «controdichiarazione» costituisce atto di riconoscimento o di accertamento della simulazione, e non atto richiesto ad substantiam per l’esistenza dell’accordo simulatorio.
Per la Corte dunque mentre è necessario, per l’esistenza della simulazione, che l’accordo simulatorio sia coevo all’atto simulato e vi partecipino tutte le parti contraenti, nulla impedisce, viceversa, che la controdichiarazione sia posteriore a tale atto e provenga da una sola delle parti, e — cioè — quella contro il cui interesse è redatta, purché sia consegnata alle altre parti che hanno redatto l’atto simulato.
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Il 5 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5519 onde la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi succeduti a titolo universale (che, versando nella stessa condizione del de cuius, non possono legittimamente dirsi «terzi» rispetto al negozio), soggiace a tutte le limitazioni stabilite dalla legge (art. 1417 c.c.) per la prova della simulazione tra le parti, con conseguente esclusione di quella per testi, per presunzioni, ovvero a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte.
Nessuna limitazione probatoria incontra per converso, precisa la Corte, l’erede che agisca, in qualità di legittimario, per la tutela della propria quota di riserva (per la tutela, cioè, di un diritto suo proprio), a condizione che egli abbia contestualmente a proporre domanda di integrazione della ridetta quota.
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Il 30 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7500 onde è ammissibile la prova per testi, dedotta dal terzo, per dimostrare la simulazione di un contratto stipulato per atto pubblico, perché l’efficacia probatoria privilegiata di esso è limitata ai fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in relativa presenza e alla provenienza delle dichiarazioni, senza implicare l’intrinseca veridicità di esse o la loro rispondenza all’effettiva intenzione delle parti, come nel caso di dichiarazione di prezzo ricevuto in cambio del bene, difforme dal vero.
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Il 26 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.8466 onde le limitazioni della prova testimoniale della simulazione quando la domanda sia proposta da una delle parti (artt. 1417 e 2722 c.c.) riguardano i contratti e gli atti unilaterali recettizi (art. 1414 commi primo e terzo) e non le fatture commerciali le quali costituiscono atti giuridici a contenuto partecipativo, prive, come tali, di contenuto negoziale.
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Il 2 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8690 alla cui stregua la simulazione di un contratto può risultare anche da un atto scritto anteriormente formato, purché sia in concreto accertato che l’intento simulatorio si sia soggettivamente mantenuto e che esso sussisteva nel momento della stipulazione del contratto simulato.
1999
Il 14 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.351 onde, in tema di prova della simulazione, la controdichiarazione sottoscritta dai soli venditori (e destinata a documentare la simulazione del prezzo dichiarato rispetto a quello realmente versato) non può legittimamente considerarsi «dichiarazione unilaterale non destinata a persona determinata» – per la quale il secondo comma dell’art. 2704 c.c. prevede l’esonero dalle rigorose forme di accertamento di cui al primo comma – essendo, per converso, funzionalmente diretta alla controparte del negozio, con la conseguenza che la richiesta di prova testimoniale circa la data delle suddette controdichiarazioni deve ritenersi inammissibile.
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Il 2 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.848 onde il legittimario che impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius ha veste di terzo, e può, quindi, avvalersi della prova testimoniale senza limiti solo quando agisca per la reintegrazione della quota a lui riservata, mentre soggiace alle limitazioni probatorie imposte alle parti quando l’impugnazione sia proposta dallo stesso anche come erede e tenda anche al conseguimento della disponibile.
Tuttavia, precisa la Corte, detto esonero dalle limitazioni probatorie a favore del legittimario che agisca per il recupero o la reintegrazione della legittima non può ritenersi contemporaneamente concesso e non concesso in parte, nel caso in cui l’impugnazione dell’atto sia destinata a riflettersi comunque, oltre che sulla determinazione della quota di riserva, anche sulla riacquisizione del bene oggetto del negozio simulato al patrimonio ereditario, sicché il legittimario venga ad avvantaggiarsene sia in tale sua qualità, sia in quella di successore a titolo universale.
In tal caso, chiosa il Collegio, il legittimario è esonerato in modo completo dalle limitazioni probatorie in tema di simulazione, non potendosi applicare – rispetto ad un unico atto simulato – per una parte una regola probatoria, e per un’altra parte una regola diversa. Il principio esposto vale, ovviamente, sia in caso di simulazione assoluta, sia nella ipotesi di atto relativamente simulato, che dissimuli un negozio nullo, poiché il bene oggetto del negozio dissimulato viene comunque interamente recuperato all’asse ereditario.
2000
Il 19 gennaio esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.551 alla cui stregua le restrizioni relative alla ammissibilità della prova testimoniale e di quella per presunzioni – limitatamente alle parti del negozio simulato – siccome previste all’art.1417 c.c. (e, più in generale, agli articoli 2721 e 2722 c.c.), sono dirette alla tutela esclusiva di interessi privati, derivando dal concreto atteggiarsi del rapporto tra le parti e, segnatamente, dalla possibilità, per i contraenti, di procurarsi la prova della simulazione mediante la controdichiarazione.
Da ciò discende – chiosa il Collegio – che, in difetto di una eccezione di parte, al giudice è preclusa la possibilità di rilevare d’ufficio tali restrizioni.
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L’11 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1535 onde, agli effetti dell’art. 1417 c.c., l’illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente se il negozio medesimo persegua interessi che l’ordinamento reprime.
Consegue, precisa la Corte, che è soggetto alle limitazioni della prova per testi e per presunzioni il negozio dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l’interesse perseguito dalle parti, cioè l’arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità di un altro, non è contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento.
2001
Il 21 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6892 alla cui stregua l’art. 1417 del c.c. consente la prova della simulazione per testimoni, ancorché la domanda sia stata proposta dalle parti, quando sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato.
Nella suddetta ipotesi è ammissibile pertanto, chiosa la Corte, anche la prova per presunzioni.
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Il 25 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7134 alla cui stregua dall’esercizio dell’azione di simulazione da parte dell’erede per l’accertamento di dedotte dissimulate donazioni non deriva necessariamente che egli è terzo, al fine dei limiti alla prova testimoniale stabiliti dall’art. 1417 c.c..
Ciò perché, precisa la Corte, se egli agisce per lo scioglimento della comunione ereditaria, previa collazione delle donazioni — anche dissimulate — al fine di ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l’uguaglianza tra coeredi, subentra nella posizione del de cuius.
E’ invece terzo se agisce in riduzione, per pretesa lesione della quota di legittima, perché la riserva è un proprio diritto personale, riconosciutogli dalla legge, e perciò può provare la simulazione con ogni mezzo.
2002
Il 13 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.6877 onde non può assumersi ammissibile la prova testimoniale diretta a dimostrare la simulazione assoluta della quietanza, che dell’avvenuto pagamento costituisce documentazione scritta.
A ciò, precisa la Corte, osta infatti l’art. 2726 c.c. laddove – estendendo al pagamento il divieto, sancito dall’art.. 2722 dello stesso codice, di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale – esclude che con tale mezzo istruttorio (la prova testimoniale) possa dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale tale accordo simulatorio si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, che, appunto, il combinato disposto dei citati artt. 2722 e 2726 vieta di provare con testimoni in contrasto con la documentazione scritta di pagamento.
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Il 6 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.12980 onde la prova della simulazione è normalmente desumibile da presunzioni e la scelta di esse, la pertinente valutazione ed il giudizio di idoneità dei fatti posti a fondamento dell’argomentazione induttiva, traducendosi in un accertamento relativo a una mera quaestio voluntatis, è rimesso al giudice di merito, onde la motivazione da questi adottata, ove sufficiente e priva di errori logici e giuridici, non è censurabile in sede di legittimità, essendo il relativo sindacato limitato al solo procedimento logico seguito dal giudice per giungere alla soluzione adottata.
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Il 28 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.15160 alla cui stregua la prova della simulazione di un contratto può essere fondata anche su elementi presuntivi, purché tutti gravi, precisi e concordanti, di talché nessun dubbio deve permanere sul carattere fittizio dell’atto impugnato.
Il convincimento del giudice del merito sulla sussistenza o meno della simulazione costituisce – ribadisce la Corte – un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, ove esso sia fondato sulle risultanze processuali e si presenti come il risultato di una coerente attività logica.
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Il 14 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.16021 onde la domanda di simulazione, qualora sia proposta da una delle parti e tenda all’accertamento di un negozio dissimulato non illecito, incontra dei limiti in relazione alla prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testi non è ammessa contro il contenuto del documento.
2003
Il 15 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.471 onde, in tema di contratto simulato, se il negozio è stato redatto per iscritto, tra le parti trova applicazione la regola generale della limitazione dell’ammissibilità della prova testimoniale; ne consegue che la prova della simulazione, sia essa assoluta o relativa, può essere data soltanto mediante controdichiarazione.
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Il 6 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6882 onde – qualora la domanda di simulazione sia proposta da una delle parti e tenda all’accertamento del negozio dissimulato del quale non si assuma l’illiceità – non è ammessa la prova testimoniale dell’accordo simulatorio, in quanto essa sarebbe volta a provare un patto contrario, contestuale alla conclusione del contratto asseritamente simulato.
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*Il 24 giugno esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.10009, che si inserisce nel solco pretorio onde, in tema di simulazione del prezzo di vendita (siccome fatto apparire inferiore a quello reale, normalmente a fini di risparmio fiscale), il contratto di vendita non perde i propri tratti peculiari, conservando piuttosto inalterati – dal punto di vista qualitativo – i propri elementi costitutivi.
Il prezzo, soggiunge il Collegio, quale elemento negoziale quantitativamente interessato dalla simulazione, può essere sostituito o comunque integrato con quello effettivamente voluto dai contraenti (più elevato rispetto a quello fatto apparire); per questo motivo, tra le parti (alienante e acquirente) non scattano le preclusioni probatorie (prova testimoniale; presunzioni) al fine di dimostrare il reale prezzo della vendita, se del caso, ancora da corrispondere dall’acquirente all’alienante, la non applicabilità del combinato disposto degli articoli 1417 e 2722 c.c. discendendo dalla circostanza onde la clausola intesa a sottacere una parte del prezzo effettivamente dovuto dall’acquirente non può tecnicamente ricondursi ad una dissimulazione contrattuale per difetto di propria autonomia strutturale e funzionale.
Si è allora al cospetto di una prova (normalmente richiesta al venditore, allorché il compratore non paghi la differenza tra il prezzo apparente e quello realmente convenuto) con funzione semplicemente “integrativa”, potendosi compendiare anche in una mera dichiarazione unilaterale siccome rilasciata dal compratore (apparentemente avvantaggiato da un prezzo “simulato” più basso).
2004
Il 19 marzo esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.5539, onde, in contrasto con altro orientamento in tema di vendita e simulazione del prezzo, anche nel caso appunto di simulazione relativa parziale, si è pur sempre al cospetto di una simulazione.
La pertinente prova si palesa dunque funzionale a far affiorare l’esistenza di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, destinato come tale – seppure in guisa parziale – ad incidere in senso modificativo sull’assetto di interessi che le parti hanno formalizzato con l’accordo (apparente) da esse sottoscritto.
Ciò, precisa il Collegio, atteso anche come il prezzo – nella struttura della vendita – con compendi un elemento marginale ed accidentale, ma piuttosto un elemento di importanza cruciale nell’economia del rapporto di vendita-acquisto.
Da questo punto di vista, anche se non appare del tutto scorretto parlare di “integrazione” del contratto originario, resta il fatto che le parti fanno luogo ad un patto aggiunto e contrario rispetto all’accordo “apparente”, con conseguente impossibilità per esse (e, in particolare, per il venditore) di ricorrere alla prova per testimoni o per presunzioni.
* * *
Il 26 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3869 onde, il documento che può costituire principio di prova per iscritto (art. 2724, n. 1 c.c.), sì da consentire l’ammissione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione assoluta (art. 1417 c.c.) di un contratto con forma scritta ad substantiam (art. 1350 c.c.), deve provenire dalla controparte e non dalla parte che chiede la prova, né da un terzo.
Non è necessario nel ridetto documento (quale principio di prova scritta) – precisa la Corte – un preciso riferimento al fatto controverso, ma l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso (la simulazione), da cui scaturisca la verosimiglianza del secondo.
L’accertamento circa la sussistenza e l’idoneità di un principio di prova scritta a rendere verosimile il fatto (simulatorio) allegato costituisce peraltro, per il Collegio, un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato.
In tema di prova della simulazione di contratti di compravendita di immobili, che esigono la forma scritta ad substantiam, la limitazione della prova testimoniale e per presunzioni derivante dall’art. 1417 c.c., chiosa ancora la Corte, non osta all’ammissibilità dell’interrogatorio formale tra le parti, in quanto diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito, se sia rivolto a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, essendo in tal caso oggetto del mezzo di prova l’inesistenza della compravendita immobiliare; l’indagine volta a verificare se l’interrogatorio abbia provocato la confessione giudiziale della simulazione assoluta attiene al merito e, se adeguatamente e congruamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità.
2005
Il 17 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5765 onde le limitazioni alla facoltà di prova della simulazione, previste per i contraenti dall’art. 2722 c.c. — limitazioni che trovano fondamento nella riprovazione sociale della menzogna — non operano nei confronti dei terzi e dei creditori, i quali, non avendo accesso alla controdichiarazione, possono provare l’esistenza di un accordo simulatorio con qualsiasi mezzo, comprese le presunzioni, che possono fondarsi anche sul contratto impugnato di simulazione.
Il relativo accertamento, precisa la Corte, è rimesso al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità per insufficienza o erroneità logico — giuridica della motivazione.
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Il 9 luglio esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.14481 alla cui stregua la posizione di terzo rispetto al contratto simulato va riconosciuta al curatore fallimentare, che potrà pertanto fornire la prova della simulazione sia a mezzo testimoni, sia mediante presunzioni semplici.
2006
Il 24 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6632 alla cui stregua la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l’immobile tra i beni facenti parte dell’asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge (articolo 1417 c.c. ) per la prova della simulazione tra le parti.
Ciò, precisa la Corte, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del de cuius, non possono legittimamente dirsi «terzi» rispetto al negozio; deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte.
Nessuna limitazione probatoria incontra per converso, chiosa ancora la Corte, l’erede che agisca in qualità di legittimario, per la tutela, cioè, di un diritto suo proprio, a condizione che egli abbia contestualmente a proporre domanda di integrazione della ridetta quota.
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Il 25 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1413 onde, qualora da parte di colui che invoca la simulazione siano stati offerti, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 2697 c.c., elementi presuntivi del carattere fittizio della compravendita, l’acquirente ha l’onere di provare il pagamento del prezzo; in tal caso, pertanto, possono trarsi elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto dalla mancata dimostrazione da parte del compratore del relativo pagamento.
2007
Il 24 gennaio esce la sentenza della sezione V della Cassazione n.1549 in tema di rapporti tra simulazione e obbligazione tributaria.
Scandagliando una fattispecie di accertamento dell’IVA, va ribadito per il Collegio che l’Ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione relativa (nel caso di specie, ricadente sul prezzo di vendita di un bene) senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare incidenter tantum, attraverso l’interpretazione del negozio ritenuto simulato, l’esattezza di tale accertamento, onde verificare la legittimità della pertinente pretesa tributaria.
In sostanza dunque, il Fisco non è tenuto a chiedere al GO l’accertamento in via preventiva della simulazione di un negozio con effetti fiscali, potendo accertarla autonomamente con possibilità poi per il contribuente di contestare tale accertamento innanzi al Giudice tributario, che può procedere ad interpretare il negozio coinvolto al fine di controllare, in guisa incidentale, la correttezza dell’accertamento operato in sede procedimentale dall’Amministrazione finanziaria.
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Il 2 febbraio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.2307 alla cui stregua qualora, costituendosi in sede di opposizione di terzo all’esecuzione, il creditore chieda il rigetto dell’opposizione ridetta previa declaratoria, in via principale o in via riconvenzionale, della simulazione assoluta dell’atto di compravendita del bene pignorato, non si configura un’eccezione che comporti un accertamento valevole soltanto incidenter tantum.
Ne consegue per il Collegio che in simili casi è richiesto necessariamente il contraddittorio di tutti i soggetti partecipi al pertinente accordo simulatorio, con conseguente litisconsorzio necessario.
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Il 2 marzo esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.4901, che si inserisce nel solco pretorio onde, in tema di simulazione del canone di locazione (siccome fatto apparire inferiore a quello reale, normalmente a fini di risparmio fiscale), il pertinente contratto, come nel caso analogo della vendita, non perde i propri tratti peculiari, conservando piuttosto inalterati – dal punto di vista qualitativo – i propri elementi costitutivi.
Il canone, quale elemento negoziale quantitativamente interessato dalla simulazione, può essere sostituito o comunque integrato con quello effettivamente voluto dai contraenti (più elevato rispetto a quello fatto apparire); per questo motivo, tra le parti (locatario e conduttore) non scattano le preclusioni probatorie (prova testimoniale; presunzioni) al fine di dimostrare il reale canone di locazione, se del caso, ancora da corrispondere dal conduttore al locatario, la non applicabilità del combinato disposto degli articoli 1417 e 2722 c.c. discendendo dalla circostanza onde la clausola intesa a sottacere una parte del canone effettivamente dovuto dal conduttore non può tecnicamente ricondursi ad una dissimulazione contrattuale per difetto di propria autonomia strutturale e funzionale.
Si è allora al cospetto di una prova (normalmente richiesta al locatario, allorché il conduttore non paghi la differenza tra il canone apparente e quello realmente convenuto) con funzione semplicemente “integrativa”, potendosi compendiare anche in una mera dichiarazione unilaterale siccome rilasciata dal conduttore (apparentemente avvantaggiato da un canone “simulato” più basso).
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Il 26 marzo esce l’importante sentenza delle SSUU della Cassazione n.7246, in tema di simulazione del prezzo di una compravendita immobiliare e di pertinente prova tra le parti.
Con il primo motivo – principia la Cortre – la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto dell’articolo 2722 c.c., rifacendosi nondimeno alla giurisprudenza meno recente della Corte stessa.
Si è in proposito affermato – precisa il Collegio – che, allorquando l’accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la propria connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi – ad eccezione di quello interessato dalla simulazione – con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti.
Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall’articolo 1417 c.c. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall’articolo 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, cosi che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sentenza 3857/96; 526/88).
In altra occasione si è più genericamente affermato che il requisito di forma è adempiuto ove sussista nel contratto simulato o in quello dissimulato, in considerazione della sostanziale validità del contratto (sentenza 5975/87).
Da tale orientamento, che non incontra il favore di una parte rilevante della dottrina, si è di recente distaccata – rammenta a questo punto il Collegio – la sentenza della Corte n.5539/04, la quale ha come di seguito peculiarmente motivato.
Per una corretta impostazione del problema, è opportuno prendere le mosse dal disposto dell’articolo 2722 c.c. Tale norma esclude che tra le parti si possa dare per testimoni la prova di un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ove si alleghi che la stipulazione del patto sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento medesimo.
Al pari che in tutte le altre disposizioni sui limiti della prova testimoniale, traspare qui un certo grado di ragionevole diffidenza del legislatore nel riguardi di un tale genere di prova, soprattutto quando essa sia volta a sormontare risultanze assai meno controvertibili quali quelle documentali; è chiaro, cioè, l’intento di impedire che rapporti giuridici tra le parti, quando documentalmente provati, possano essere alterati da prove per testi, appunto perché queste non offrono la stessa garanzia di veridicità di quella documentale e perché non è logico presumere che, una volta scelta la via della documentazione dagli accordi contrattuali tra esse intercorsi, le parti ne abbiano affidato la modifica ad intese meramente verbali.
Sicché – prosegue la Corte – ben si comprende anche la ragione del superamento del suindicato limite alla prova testimoniale quando, nel casi specificamente contemplati dal successivo articolo 2724, quella negativa presunzione possa invece essere superata.
Il limite alla prova testimoniale di cui si sta discutendo, per le ragioni che vi sono sottese, è quindi destinato ad operare in qualsiasi caso si sostenga esservi una divaricazione tra il contenuto di un contratto, formalmente consacrato in un documento, ed una diversa pattuizione, ugualmente pregna di contenuto negoziale, che nel documento medesimo non sia riportata e di cui, tuttavia, si assuma esservi stata una stipulazione anteriore o contemporanea.
Il fenomeno della simulazione contrattuale, riprende a questo punto il Collegio, sia essa assoluta o relativa, non esaurisce l’area di possibile applicazione di detto articolo 2722, ma sicuramente ne occupa una larga parte. Ed, infatti, nel disciplinare ex professo i limiti della prova testimoniale della simulazione, il legislatore non ha dettato una disposizione in sé compiuta ed autosufficiente, ma si è unicamente preoccupato di chiarire, nell’articolo 1417 c.c., che quella prova è ammessa senza limiti tanto nel caso di domanda proposta da creditori o da terzi quanto nell’ipotesi in cui, essendo proposta dalle parti, la domanda sia volta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato.
I limiti cui il citato articolo 1417 allude – e che consente di superare solo nelle suddette particolari situazioni – sono, ovviamente, quelli dettati dagli articoli 2721 e segg., ed in particolare quelli già sopra richiamati a proposito dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Stando cosi le cose, quando la prova tra le parti della simulazione di un contratto documentale non riguardi l’illiceità del contratto dissimulato, è evidente che essa incontra i suaccennati limiti probatori (la Corte richiama anche, in tal senso, Cassazione 16021/02 e 4073/92). Ma appare difficile negare che tali limiti operino anche in presenza di una simulazione soltanto parziale, ogni qual volta questa si traduca nell’allegazione di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, comunque destinato a modificare l’assetto degli interessi negoziali riportato nel documento sottoscritto dalle parti.
Né certo sarebbe ragionevole sostenere che la clausola di determinazione del prezzo non abbia rilevanza centrale nell’economia degli interessi regolati mediante un contratto di compravendita.
D’altronde, affermare che la pattuizione con cui le parti convengano un prezzo diverso da quello indicato nel documento contrattuale da esse sottoscritto non integrerebbe gli estremi di una vera e propria simulazione, avendo scopo meramente integrativo, non risolve in alcun modo il problema. Se anche cosi fosse, infatti, resterebbe comunque difficilmente eludibile il rilievo per cui una tale pattuizione si pone in contrasto con il contenuto di un documento contrattuale contestualmente stipulato e, come tale, ricadente nella previsione dell’articolo 2722 c.c..
La differenza che l’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso introduce – tra la prova della simulazione, soggetta agli anzidetti limiti legali, e la prova di patti meramente integrativi del contratto, che detti limiti non incontrerebbe perché quel patti difetterebbero di una propria autonomia strutturale o funzionale – non sembra perciò al Collegio trovare un sufficiente appiglio: né nella lettera del citato articolo 2722, che si riferisce ai “patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento“, e quindi anche a quelli di carattere integrativo se essi contengano elementi nuovi o contrastanti con quelli documentati; né nella già richiamata ratio legis, che evidentemente abbraccia ogni ipotesi nella quale si pretenda di dare, per mezzo di testimoni, la prova di obblighi o diritti di portata diversa da quanto risulta da accordi consacrati in un documento e perciò dotati di un grado di certezza non superabile con quel genere di prova.
Ritiene il Collegio, a questo punto, di condividere tale più recente orientamento.
Va in proposito per la Corte osservato che il fatto che il contratto simulato non sia nullo o annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti non giustifica la conclusione che il contratto dissimulato, il quale è destinato ad avere effetto tra le parti, non debba avere i requisiti di forma necessari per la validità dello stesso, secondo quanto espressamente stabilito dall’articolo 1414, secondo comma, c.c..
Né si potrebbe sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato (come sembra sostenere la sentenza 5975/87).
Una tesi analoga era stata sostenuta – rammenta la Corte – anche in tema di interposizione fittizia, ma è stata successivamente abbandonata (cfr. sentenza 2816/86; 6074/79), in base alla considerazione che l’interposizione deve risultare anch’essa da un patto rivestito della forma solenne.
Né, con riferimento specifico al problema della prova del prezzo, si potrebbe sostenere che la prova per testimoni sarebbe destinata soltanto ad integrare un elemento negoziale per il quale il requisito di forma è soddisfatto dal contratto simulato.
E’ facile osservare che il prezzo è un elemento essenziale della vendita, per cui anch’esso deve risultare per iscritto e per intero quando per tale contratto è prevista la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente che quest’ultima sussista in relazione alla manifestazione di volontà di vendere e di acquistare.
In altri termini, la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all’articolo 2722 c.c., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione.
Alla luce delle considerazioni svolte, per la Corte il primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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Il 4 maggio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.10240 che, in tema di prova, distingue tra simulazione assoluta e relativa.
Nel primo caso, e dunque nelle fattispecie di simulazione assoluta, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art.2722 c.c., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, menzionati dall’art. 2725 c.c., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale va assunta ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 c.c..
Nel secondo caso (simulazione relativa) occorre invece per la Corte distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dai rispettivi eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il pertinente documento, ovvero quando la prova è diretta fare valere l’illiceità del negozio.
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*Il 21 maggio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.11771 alla cui stregua le restrizioni relative alla ammissibilità della prova testimoniale e di quella per presunzioni – limitatamente alle parti del negozio simulato – sono dirette alla tutela esclusiva di interessi privati, derivando dal concreto atteggiarsi del rapporto tra le parti e, segnatamente, dalla possibilità, per i contraenti, di procurarsi la prova della simulazione mediante la controdichiarazione.
Da ciò discende – chiosa il Collegio – che, in difetto di una eccezione di parte, al giudice è preclusa la possibilità di rilevare d’ufficio tali restrizioni.
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Il 28 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.12487 onde in tema di simulazione, qualora il contratto simulato sia stato concluso per iscritto e tale forma sia richiesta a pena di invalidità (nullità ai sensi dell’articolo 1350 c.c.), la prova dell’accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve essere fornita con la produzione in giudizio dell’atto contenente la controdichiarazione, sottoscritta dalle parti o comunque dalla parte contro la quale è esibita.
Nella fattispecie – relativa alla simulazione dedotta dal venditore della vendita della nuda proprietà di un villino, siccome dissimulante una donazione con interposizione fittizia della acquirente in favore del donatario – la Corte, facendo applicazione del ridetto principio, rigetta la domanda con la quale il ricorrente lamenta corte di merito aver denegato l’interrogatorio formale di compratrice (apparente) e beneficiario, stante la relativa qualità di parte, per essere subentrato a titolo universale all’originario attore, deceduto in corso di causa.
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Il 29 maggio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.12496 onde l’erede assume la qualità di terzo nel caso in cui, agendo in qualità di legittimario pretermesso, impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima.
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Il 12 giugno esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.13706 alla cui stregua l’erede assume la qualità di parte e soggiace pertanto ai limiti di prova della simulazione stabiliti nei confronti dei contraenti, qualora agisca per far dichiarare la nullità dell’atto dispositivo compiuto dal de cuius al fine di ottenere la ricostruzione del patrimonio ereditario e la conseguente divisione dello stesso, senza far valere la lesione del relativo diritto di legittimario.
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Il 22 novembre esce la sentenza della III sezione del Tribunale di Bari n.2630 onde la prova della simulazione di un contratto da parte del terzo può essere fornita e fondata anche su elementi presuntivi, purché detti elementi siano tutti gravi, precisi e concordanti, di talché nessun dubbio deve permanere sul carattere fittizio dell’atto impugnato.
I requisiti della gravità, precisione e concordanza, siccome richiesti dalla legge, devono per il Tribunale essere ricavati in relazione al complesso degli indizi raccolti, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di essi.
2008
Il 01 febbraio esce la sentenza della del Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, onde, recependo il nuovo orientamento abbracciato dalle SSUU del 2007 in tema di vendita e simulazione del pertinente prezzo, anche nel caso appunto di simulazione relativa parziale, si è pur sempre al cospetto di una simulazione.
La pertinente prova si palesa dunque funzionale a far affiorare l’esistenza di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, destinato come tale – seppure in guisa parziale – ad incidere in senso modificativo sull’assetto di interessi che le parti hanno formalizzato con l’accordo (apparente) da esse sottoscritto.
Ciò, precisa il Collegio, atteso anche come il prezzo – nella struttura della vendita – non compendi un elemento marginale ed accidentale, ma piuttosto un elemento di importanza cruciale nell’economia del rapporto di vendita-acquisto.
Da questo punto di vista, anche se non appare del tutto scorretto parlare di “integrazione” del contratto originario, resta il fatto che le parti fanno luogo ad un patto aggiunto e contrario rispetto all’accordo “apparente”, con conseguente impossibilità per esse (e, in particolare, per il venditore) di ricorrere alla prova per testimoni o per presunzioni; il prezzo, nella sostanza, è un elemento essenziale della compravendita che, laddove immobiliare, esige la forma scritta ad substantiam, con conseguente piena operatività dell’art.2722 c.c. ed annessa impossibilità per le parti di provare un prezzo “diverso” a mezzo testimoni o presunzioni.
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Il 13 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.3474, onde il contraddittorio nel giudizio tra tutti i partecipanti, od i loro eredi, all’atto impugnato per simulazione è necessario solo quando la nullità che ne deriva all’atto venga posta a fondamento dell’azione pertinente, e non già quando il relativo accertamento formi oggetto di una mera eccezione e debba essere effettuato in via incidentale e senza efficacia di giudicato.
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Il 19 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.4071, onde in caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali imitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto degli articoli 1414, comma 2, e 2725 c.c., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e la sussistenza, quindi, di una controdichiarazione dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente.
Di conseguenza, prosegue il Collegio, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724, n, 3, c.c.), con la prova per testimoni o per presunzioni di un accordo simulatorio cui abbia aderito il venditore.
Né, in assenza della controdichiarazione, tale prova può per la Corte essere data con il deferimento o il riferimento del giuramento (art. 2739, comma primo, c.c.), né tampoco mediante interrogatorio formale, non potendo supplire la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, alla mancanza dell’atto scritto.
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Il 15 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.19435 onde, in tema di prova della simulazione tra le parti, la legge, mentre vieta (tranne determinati casi) la prova per testimoni e per presunzioni, non vieta, invece, l’interrogatorio formale che abbia per oggetto negozi per i quali non sia richiesto l’atto scritto “ad substantiam“.
Per la Corte, le limitazioni poste – nei rapporti anzidetti – dal secondo comma dell’art 1417 cod. civ riguardano soltanto la prova testimoniale e, correlativamente (ai sensi dell’art. 2729, comma secondo, cod.civ.), quella per presunzioni e non anche il suddetto mezzo istruttorio volto a provocare la confessione giudiziale della controparte, attesi il carattere di piena prova legale della confessione e l’inesistenza, per questa, di una disposizione corrispondente a quella della simulazione diretta non ad accertare un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, bensì a ricercare la verità reale contro quella formale risultante dall’atto scritto.
Peraltro, chiosa ancora il Collegio, attraverso le risposte date dall’interessato in sede di interrogatorio formale, può essere utilmente acquisita sia la prova piena che un principio di prova, nel caso in cui le risposte siano tali da rendere verosimile la simulazione, con la conseguenza di rendere ammissibile la prova testimoniale in deroga al normale divieto.
2009
Il 16 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9012 onde, in tema simulazione di contratto di affitto di azienda, incidendo l’accordo simulatorio sulla volontà dei contraenti, colui che deduce che la simulazione è stata posta in essere in violazione di norme imperative può avvalersi di testimoni e presunzioni per provare il contratto dissimulato (nella specie, locazione di immobile ad uso commerciale), ma la prova deve attenere sia agli elementi caratterizzanti dell’uno o dell’altro tipo di contratto, sia all’accordo simulatorio, di cui deve di svelare l’intento.
Ne consegue per la Corte che il relativo onere probatorio non può ritenersi validamente assolto unicamente in base al mero positivo riscontro di una sommatoria di dati astrattamente riconducibili ad una diversa fattispecie negoziale.
* * *
Il 13 novembre esce la sentenza II sezione della Cassazione n.24134 che ribadisce l’assunto onde l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita compiuta dal “de cuius” siccome celante una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti – con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando agisca a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva, proponendo in concreto una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata.
In tale situazione, infatti, la lesione della quota di riserva assurge a “causa petendi” accanto al fatto della simulazione ed il legittimario – benché successore del defunto – non può essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 c.c.; né assume rilievo il fatto che egli – oltre all’effetto di reintegrazione – riceva, in quanto sia anche erede legittimo, un beneficio dal recupero di un bene al patrimonio ereditario, non potendo applicarsi, rispetto ad un unico atto simulato, per una parte una regola probatoria e per un’altra una regola diversa.
2010
Il 27 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12988 onde il conduttore che deduca la simulazione relativa del contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo transitorio, stipulato nella vigenza della legge n. 392 del 1978, al fine di ottenere l’accertamento della destinazione abitativa ordinaria e della conseguente nullità, ai sensi dell’art. 79 della legge n. 392 cit., delle clausole relative al canone e alla durata, ha l’onere di dimostrare come il locatore fosse a conoscenza della effettiva destinazione dell’immobile locato.
Tale prova – precisa la Corte – può essere fornita anche per testi o per mezzo di presunzioni ai sensi dell’art. 1417 c.c., trattandosi di fornire la prova dell’illiceità dell’accordo simulatorio.
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Il 25 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.15346 onde il legittimario pretermesso dall’eredità, che impugna, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, la compravendita immobiliare compiuta dal “de cuius” in quanto dissimulante una donazione, agisce in qualità di terzo, sicché, nei relativi confronti, non può attribuirsi valore vincolante alla dichiarazione del compratore relativa al versamento del prezzo, pur contenuta nel rogito notarile, potendo, invece, trarsi elementi di valutazione circa il carattere fittizio del contratto dalla circostanza che il compratore medesimio, su cui grava l’onere di provare il pagamento del prezzo, non abbia fornito la relativa dimostrazione.
La Corte conferma dunque nel caso di specie la sentenza di merito che, in applicazione dell’anzidetto principio, ha escluso che possa assumere valore dirimente, al fine di escludere la dissimulazione della donazione, l’attestazione, contenuta nell’atto pubblico di compravendita immobiliare, del pagamento del prezzo tramite assegno, consegnato “salvo buon fine“.
2011
Il 18 agosto esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.17389 onde per la configurabilità di una simulazione relativa sotto il profilo soggettivo, è indispensabile un accordo non solo tra l’interponente e l’interposto, ma anche con il terzo, il quale deve consentirvi, esprimendo la propria adesione nella debita forma, che, per i trasferimenti immobiliari, è quella scritta.
2013
Il 24 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1737 onde il coniuge in regime di comunione legale, estraneo all’accordo simulatorio, è terzo, legittimato a far valere la simulazione con libertà di prova, ai sensi degli artt. 1415, secondo comma, e 1417 c.c., rispetto all’acquisto di un bene non personale, effettuato dall’altro coniuge durante il matrimonio con apparente intestazione a persona diversa, atteso che tale simulazione impoverisce il patrimonio della comunione legale, sottraendogli il diritto previsto dall’art. 177, lett. a), c.c.
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Il 15 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.11523 onde, nella simulazione relativa della compravendita per interposizione fittizia dell’acquirente, l’alienante non è litisconsorte necessario, laddove nei pertinenti riguardi il negozio sia stato integralmente eseguito (dall’acquirente apparente) e difetti ogni relativo interesse ad essere parte nel giudizio.
Per il Collegio va assunta dunque legittima la sentenza che accerti la simulazione per interposizione fittizia dell’acquirente anche in caso di assenza dell’alienante nel pertinente giudizio. Chi vende – chiarisce il Collegio – non è litisconsorte necessario se nei relativi confronti il negozio è stato eseguito del tutto e se non è dimostrato un proprio interesse ad essere parte in causa.
Nella simulazione relativa per interposizione fittizia della persona dell’acquirente dunque, ove siano state adempiute le obbligazioni tipicamente connesse alla causa del negozio (trasferimento del bene e pagamento del corrispettivo), la sentenza che accerti l’interposizione e dichiari che l’interponente è l’effettivo acquirente produce integralmente i relativi effetti “utili” anche in assenza dell’alienante.
Dal punto di vista del venditore infatti, al cospetto di una modificazione soggettiva della parte acquirente – salvo eccezioni che devono tuttavia formare oggetto di specifica allegazione e dimostrazione – è irrilevante per la Corte che accertamento giudiziale si svolga in assenza dell’alienante medesimo, il quale ultimo non può trarre alcuna utilità (giuridicamente ed economicamente rilevante) dalla dichiarazione di simulazione relativa.
La pronuncia rimane dunque integralmente efficace nei confronti dell’interposto e dell’interponente, in quanto uniche parti vincolate dall’intesa simulatoria.
Pertanto, affinché l’accertamento dell’interposizione fittizia nei confronti del venditore determini l’esigenza del litisconsorzio necessario dell’alienante occorre per il Collegio che venga specificamente dedotto ed allegato il relativo interesse, ovvero la pertinente consapevolezza e volontà di aderire all’accordo simulatorio.
L’individuazione di tale interesse – chiosa ancora la Corte – deriva dalle deduzioni e allegazioni delle parti sulla natura, il contenuto e l’efficacia dell’accordo simulatorio: laddove nessun indizio sia fornito al riguardo ma sia piuttosto allegata l’integrale esecuzione del negozio traslativo dalla parte dell’alienante, la necessità del litisconsotzio deve escludersi, potendosi al più discutere dell’adempimento del relativo onere probatorio.
2014
Il 17 luglio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.16377 onde l’inammissibilità della prova per presunzioni della simulazione non può essere rilevata dal giudice in assenza di un’espressa eccezione della parte, che, ove non possa essere anteriormente sollevata, deve comunque essere fatta valere con l’atto di impugnazione, poiché i limiti stabiliti dall’art. 1417 cod. civ. (e, più in generale, dagli artt. 2721 e 2722 cod. civ.) sono diretti alla tutela esclusiva degli interessi privati.
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Il 22 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.19912 onde l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal “de cuius“, diretta a dissimulare, in realtà, una donazione, agisce per la tutela di un proprio diritto ed è terzo rispetto alle parti contraenti, sicché la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limiti quando, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della propria quota di riserva, egli proponga contestualmente all’azione di simulazione una domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso.
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Il 28 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.22801 alla cui stregua in tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un contratto, spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico.
2015
Il 17 settembre esce la sentenza delle SSUU n. 18213 alla cui stregua, in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone (inferiore) apparente.
Il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato – precisa la Corte – dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale tributario inidoneo ad influire sulla validità civilistica.
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Quel medesimo 17 settembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.18214 onde il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta ex art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, attesa la “ratio” pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale.
Fa eccezione – precisa la Corte – l’ipotesi prevista dal successivo art. 13, comma 5, in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore.
2017
Il 31 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2368 onde la nullità prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, sanziona il patto occulto di maggiorazione del canone (rispetto a quello apparente, più basso), che, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto tributario extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità dell’atto.
Ne consegue – precisa la Corte – che resta valido il solo contratto registrato ed è quindi dovuto solamente il canone (inferiore) apparente.
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Il 2 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5326 onde, qualora l’azione di simulazione proposta dal creditore di una delle parti di un contratto di compravendita immobiliare (nel caso di specie, l’alienante) si fondi su elementi presuntivi che, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 2697 c.c., indichino il carattere fittizio dell’alienazione, l’acquirente ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo, potendosi, in mancanza, trarre elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto.
Tale onere probatorio non può tuttavia, precisa la Corte, assumersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile, in quanto il creditore che agisce per far valere la simulazione è terzo rispetto ai soggetti contraenti.
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Il 10 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6262 onde, in tema di prova della simulazione di una compravendita immobiliare, contratto che esige la forma scritta “ad substantiam“, la mancanza della controdichiarazione osta all’ammissibilità dell’interrogatorio formale, ove rivolto a dimostrare la simulazione soggettiva relativa, giacché la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, non può supplire al difetto dell’atto scritto, necessario per il contratto diverso da quello apparentemente voluto.
Viceversa, chiosa la Corte, ove sia diretto a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, l’interrogatorio formale è ammissibile, anche tra i contraenti, perché, in tal caso, oggetto del mezzo di prova è l’inesistenza della compravendita.
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Il 20 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7093 alla cui stregua, in tema di simulazione assoluta di un negozio soggetto a forma scritta a pena di nullità, il documento che può costituire principio di prova per iscritto deve provenire dalla controparte e non dalla parte che chiede la prova, né da un terzo, e non è necessario un preciso riferimento al fatto controverso, ma l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto ed il fatto stesso, dal quale scaturisca la verosimiglianza del secondo.
Per il Collegio dunque, nel caso di specie, un assegno circolare costituisce principio di prova scritta ex art. 2724 c.c., perché proveniente dalla controparte in quanto sottoscritto dalla stessa “a girata“; in ordine poi al nesso logico con il fatto, esso è integrato dal riferimento al percorso del denaro che avrebbe dovuto servire al pagamento del prezzo.
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L’8 giugno esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.14274 onde l’inammissibilità della prova per testimoni della simulazione non può essere rilevata dal giudice in assenza di un’espressa eccezione di parte, la quale, tuttavia, non soggiace al regime di preclusioni previsto dall’art. 416 c.p.c. per la proponibilità delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, ma al diverso limite della prima istanza o difesa successiva all’eventuale assunzione della prova.
Ciò atteso che, per la Corte, la violazione dell’art. 1417 c.c., al pari di quella delle disposizioni di cui agli artt. 2721 e 2722 c.c., dà luogo ad una nullità (meramente) relativa, soggetta al regime di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c.
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Il 9 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.23601 alla cui stregua, in tema di locazioni ad uso abitativo, nessun rilievo può assumere la successiva registrazione di un patto contro-dichiarativo recante la pattuizione di un canone maggiore, posto che l’adempimento formale dell’onere di registrazione di tale patto non vale a farne mutare sostanza e forma rispetto alla simulazione, risultando inidoneo a spiegare influenza sull’aspetto civilistico della pertinente validità/efficacia.
Infatti, l’atto negoziale contro-dichiarativo risulta insanabilmente e testualmente nullo per contrarietà a norma di legge, da ravvisare nell’ art. 13, comma 1 della L. 9 dicembre 1998 n. 431, espressamente volto ad impedire la sostituzione del canone apparente con quello reale convenuto con il patto occulto, restando tale anche a seguito della sopravvenienza di un requisito extraformale ed extranegoziale quale la registrazione.
Il procedimento viene dunque rinviato dalle SSUU alla Corte di appello di Catanzaro, in altra composizione, con invito, in sede di rinvio, ad applicare i seguenti principi di diritto:
(A) La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso;
(B) Il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i propri effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente;
(C) E’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.
2018
L’11 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.536 onde, in tema di limiti alla prova testimoniale del negozio simulato posti alla parte (ovvero ai relativi successori universali) dall’art. 1417 c.c., l’erede che agisca per l’accertamento di dedotte dissimulate donazioni non è necessariamente terzo, assumendo tale qualità solo qualora, dopo aver esperito l’azione di riduzione per pretesa lesione di legittima, spenda la qualità di legittimario e non anche allorché agisca per lo scioglimento della comunione, previa collazione delle donazioni effettuate in vita dal “de cuius“.
Né – precisa la Corte – consente il superamento, da parte dell’erede, dei suddetti limiti probatori il riferimento alla dispensa dalla collazione, trattandosi di istituto che opera solo dopo che sia stata accertata, in base alle previsioni di cui al cit. art. 1417 c.c., la natura di donazione dell’atto, ove la parte abbia inteso far valere in giudizio anche la qualità di legittimaria e l’azione di simulazione sia strumentale al coevo esperimento di quella di riduzione.
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Il 24 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1752 che muove il proprio percorso argomentativo dall’art. 2652, n. 4, c.c. laddove stabilisce che si devono trascrivere, «qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell’art. 2643 cod. civ.» (tra cui rientrano i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili), «le domande dirette all’accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione».
La legge – chiosa il Collegio – non distingue tra simulazione “assoluta” e “relativa“; e la giurisprudenza della stessa Corte ha ritenuto trascrivibili anche le domande giudiziali volte all’accertamento della simulazione relativa (in questo senso, in materia fallimentare, Cass., Sez. 1, n. 7865 del 22/08/1997; Sez. 3, n. 7530 del 21/12/1983).
Tenuto conto della chiara lettera della legge e alla luce dell’antico brocardo “ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus“, deve ritenersi trascrivibile ogni domanda di accertamento della simulazione dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di beni immobili, senza che possa distinguersi non solo tra simulazione assoluta e simulazione relativa, ma neppure tra simulazione relativa attinente ai soggetti del contratto (c.d. interposizione fittizia di persona) e simulazione relativa attinente ad altri elementi negoziali (oggetto del negozio o prezzo della vendita).
Dal momento che la trascrizione della domanda di simulazione relativa va ritenuta conforme a legge, la trascrizione eseguita nel caso di specie non può ritenersi illegittima, come ritenuto dalla Corte di Appello, e non può pertanto determinare responsabilità per danni ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (sul collegamento tra illegittimità della trascrizione e responsabilità ex art. 2043 cod. civ., v. Cass., Sez. U, n. 6597 del 23/03/2011).
Diversamente potrebbe essere, in astratto, se – precisa la Corte – la trascrizione della domanda, pur legittima, fosse stata compiuta al solo scopo di nuocere o di arrecare danno ad una parte, dando luogo così ad un “abuso del diritto“, circostanza che tuttavia non è stata dedotta nel caso di specie.
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Il 27 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7512 onde la prova della simulazione è normalmente desumibile da presunzioni; la scelta di esse, la valutazione ed il giudizio di idoneità dei fatti posti a fondamento dell’argomentazione induttiva, traducendosi in un accertamento relativo a una mera “quaestio voluntatis“, è appannaggio del giudice di merito, onde la motivazione da questi adottata, ove non viziata, non è censurabile in sede di legittimità.
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Il 13 giugno esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.15510 alla cui stregua l’erede legittimario che agisca per l’accertamento della simulazione di una vendita compiuta dal “de cuius“, siccome dissimulante una donazione affetta da nullità per difetto di forma, assume, rispetto ai contraenti, la qualità di terzo – con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando abbia proposto la domanda sulla premessa dell’avvenuta lesione della propria quota di legittima.
In tale situazione infatti, precisa ancora una volta la Corte, detta lesione assurge a “causa petendi” accanto al fatto della simulazione ed il legittimario, benché successore del defunto, non può, pertanto, essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 c.c., non rilevando la circostanza che egli, quale erede legittimo, benefici non solo dell’effetto di reintegrazione della summenzionata quota, ma pure del recupero del bene al patrimonio ereditario per intero, poiché il regime probatorio non può subire differenziazioni a seconda del risultato finale cui conduca l’accoglimento della domanda.
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Il 12 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.25578 alla cui stregua, in tema di interposizione fittizia di persona, la simulazione ha come indispensabile presupposto la partecipazione all’accordo simulatorio non solo dell’interposto e dell’interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione all’intesa raggiunta tra i primi due soggetti assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti dell’interponente (piuttosto che quelli, apparenti, verso l’interposto).
Ragion per cui – prosegue la Corte – la prova dell’accordo simulatorio deve avere ad oggetto la partecipazione del terzo all’accordo stesso con la conseguenza che, in caso di compravendita immobiliare, la domanda diretta all’accertamento della simulazione, ai fini della invalidazione del negozio simulato “inter partes“, non può essere accolta se l’accordo simulatorio non risulti da atto scritto, proveniente anche dal terzo contraente, mentre resta del tutto inidonea ai fini suddetti – ove sia stata già raggiunta la prova della controdichiarazione conclusa tra il solo interponente e l’interposto – l’acquisizione dell’ulteriore controdichiarazione integrativa scritta intercorsa, però, tra il solo interposto ed il terzo, al quale non abbia quindi partecipato anche l’interponente, da considerarsi terzo rispetto a tale scrittura, al quale non è, perciò, opponibile ai sensi dell’art. 2704 c.c., in difetto di idonea prova contraria.
2019
Il 7 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.123 onde – tra le parti – la prova della simulazione, sia essa assoluta o relativa, può essere data soltanto mediante controdichiarazione, costituente atto di riconoscimento o di accertamento della simulazione avente carattere negoziale, che può essere anche posteriore all’accordo simulatorio e può provenire da una sola parte (ovvero quella contro il cui interesse è stata redatta), purché sia consegnata alle altre parti che hanno redatto l’atto simulato, non potendo avere valenza probatoria – al fine dell’accertamento della pattuita simulazione – nemmeno la confessione stragiudiziale.
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Il 2 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.20875 alla cui stregua l’azione di simulazione e quella revocatoria sono del tutto diverse, per contenuto e finalità (sebbene talvolta coincida in entrambe lo scopo ultimo dell’alienante, compendiantesi nella sottrazione di beni alla garanzia patrimoniale dei propri creditori).
La prima infatti, ovvero l’azione di simulazione, mira ad accertare la esistenza di un negozio apparente, mentre la seconda tende a ottenere la declaratoria di inefficacia di un contratto esistente e realmente voluto, previo accertamento dell’eventus damni e, nei negozi a titolo oneroso, anche della esistenza del consilium fraudis, elementi da cui si prescinde invece nella simulazione.
Inoltre il contratto simulato si differenzia anche dal contratto in frode alla legge che è una specie del contratto indiretto, caratterizzato dal fatto che lo scopo ulteriore perseguito dalle parti (il contratto fine) è illecito, sebbene sia possibile raggiungere il medesimo scopo illecito attraverso le due diverse vie della simulazione e del negozio indiretto.
Sulla scorta delle differenze concettuali richiamate, per il Collegio deve essere confermata la sentenza di merito che, nel caso di specie, nel dichiarare la simulazione assoluta, considera l’intento fraudolento di sottrarre i beni alla garanzia del credito come elemento concorrente – e non unico – della prova della simulazione.
2020
Il 3 giugno esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.10441 alla cui stregua, nel caso di specie, la giurisdizione sulla controversia – vertente in tema di simulazione – appartiene alla Corte dei conti.
Il comma 174 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 – legge finanziaria per il 2006, stabilisce – rammenta la Corte – che “al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi davanti alla Corte dei conti di cui al r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile“.
Dal 7 ottobre 2016 la materia è disciplinata dall’art. 73 (intitolato “Mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e altre azioni“) del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (codice della giustizia contabile), di analogo tenore testuale, secondo cui “il pubblico ministero, al fine di realizzare la tutela dei crediti erariali, può esercitare tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, Titolo III, Capo V, del codice civile“.
Osserva a questo punto il Collegio che essendo regolato il rapporto fra “tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile” e “i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V del codice civile” dall’inciso “ivi compresi“, va anzitutto escluso che gli strumenti di tutela delle ragioni del creditore contemplate dalla normativa si risolvano in quelli compresi nel secondo gruppo, i quali (l’azione surrogatoria, l’azione revocatoria ed il sequestro conservativo) devono perciò intendersi menzionati a mero titolo esemplificativo.
Del resto, l’art. 73 del codice della giustizia contabile è, come si è visto, significativamente intitolato Mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e altre azioni.
E tra le altre azioni, precisa il Collegio, tutte quelle a tutela delle ragioni del creditore, per quanto nella presente sede rileva, è sicuramente compresa l’azione di simulazione, potendo essere diretta, come nella specie, a tutelare le ragioni creditorie pregiudicate dagli atti simulati, in quanto idonei a menomare la garanzia generica del credito di cui all’art. 2740 cod. civ.
La conclusione della devoluzione alla giurisdizione del giudice contabile delle controversie in argomento – ha affermato Cass., sez. un., 22 ottobre 2007, n. 22059 -, oltre che imposta dall’art. 1, comma 174, della legge n. 266 del 2005, è anche coerente con lo scopo, esplicitato nel “fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali“: tutela che indubitabilmente compete alla Corte dei conti apprestare, per le azioni di accertamento e di condanna, e che ugualmente deve ritenersi esserle stata affidata per quelle “a tutela delle ragioni del creditore” e per “i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale“, in quanto rispetto alle prime (intendi: le azioni di accertamento e di condanna) esse hanno carattere accessorio e strumentale.
Tale natura accessoria e strumentale, rispetto al fine di realizzare la tutela dei crediti erariali, che è dato ravvisare nell’azione di simulazione – o nell’azione revocatoria, ipotesi considerata dal giudice della nomofilachia nella decisione appena richiamata -, consente inoltre di ritenere che esse non sono estranee alle “materie della contabilità pubblica“, che l’art. 103 Cost. riserva alla cognizione della Corte dei conti, insieme, comunque con le “altre specificate dalla legge“.
Si tratta di mezzi predisposti anch’essi, sia pure in via indiretta, a quella riparazione del danno erariale sulla quale la giurisdizione compete alla Corte dei conti.
La responsabilità amministrativo contabile ha delle proprie particolarità, che si riflettono anche sulla conservazione della garanzia rappresentata dal patrimonio del debitore (Cass. sez. un. n. 2659 del 2007).
L’indirizzo ha trovato conferma in Cass. sez. un., 3 luglio 2012, n. 11073, “stante la sua coerenza con la lettera e con lo scopo della norma da cui è stato tratto: essa è stata inserita nel corpo della disciplina dei giudizi di pertinenza della Corte dei conti; conferisce la legittimazione attiva al procuratore regionale contabile, il quale è abilitato a svolgere le proprie funzioni unicamente davanti al giudice presso il quale è istituito; è destinata a “realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali“, di carattere accessorio e strumentale rispetto a quella apprestata mediante le azioni di responsabilità erariale; trova quindi la sua “copertura” nell’art. 103 Cost., nonostante il coinvolgimento di diritti di terzi, poiché attiene comunque alle “materie della contabilità pubblica” riservate alla giurisdizione della Corte dei conti“.
Va pertanto dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti sulla controversia.
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Il 30 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24040 alla cui stregua la prova della simulazione di un contratto di compravendita immobiliare nei confronti dei terzi deve essere fornita per mezzo di controdichiarazione avente data certa che ne dimostri la formazione e il perfezionamento in epoca anteriore o coeva alla stipulazione dell’atto simulato.
Ciò in quanto, precisa la Corte, se sottoscritta successivamente a quest’ultimo, tale controdichiarazione integra una modifica del contratto originariamente concluso ed è, quindi, inidonea a dimostrare la ridetta simulazione.
2021
Il 12 aprile esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.9544 che ricorda come nella propria memoria la Procura Contabile abbia richiamato la recente ordinanza delle S.U. n. 10441 del 2020, con la quale è stata affermata la giurisdizione della Corte dei Conti in merito ad un’azione di simulazione contrattuale esercitata dal Pubblico Ministero contabile in funzione strumentale dell’esercizio dell’azione per danno erariale.
E’ necessaria per il Collegio una sintetica illustrazione del quadro normativo all’interno del quale si colloca la fattispecie dedotta nel presente giudizio.
L’art. 1 c. 174 del d.lgs n. 266 del 2005 stabilisce che: “Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi davanti alla Corte dei conti di cui al r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile“.
Dal 7 ottobre 2016 la materia è disciplinata dall’art. 73 che reca il titolo “Mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e altre azioni” del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (cd. Codice della giustizia contabile), di analogo tenore testuale, secondo cui “Il pubblico ministero, al fine di realizzare la tutela dei crediti erariali, può esercitare tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, Titolo III, Capo V, del codice civile“.
Le due norme, chiosa ancora il Collegio, si sovrappongono anche in relazione alla parte che dispone il rinvio al codice civile al fine di definire il perimetro della titolarità delle azioni del p.m. contabile ed hanno dato luogo ad interpretazioni divergenti.
Un’impostazione, più restrittiva, ha inteso limitare esclusivamente agli specifici strumenti di conservazione delle garanzie patrimoniali l’estensione della giurisdizione contabile; quella intermedia ha configurato il potere processuale del p.m. contabile di proporre le azioni strumentali alla tutela dei crediti erariali anche davanti al giudice ordinario reputandole non limitate ai mezzi di conservazione delle garanzie patrimoniali; la più estensiva ha infine ritenuto che la locuzione “ivi compresi” contenuta in entrambe le norme, abbia funzione esemplificativa ma non possa limitare il potere di agire del p.m. contabile e la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti, ove l’azione proposta si ponga in relazione di strumentalità con quella erariale.
L’ordinanza n. 11440 del 2020, rammenta a questo punto il Collegio, seguita ad una relazione svolta dal Massimario, sul tema dei poteri di azione del p.m. nell’ambito della giurisdizione contabile e sul perimetro di essa, si colloca all’interno dell’opzione ermeneutica da ultimo illustrata, e l’esame del ricorso si concentra, di conseguenza, sul riscontro del nesso di strumentalità.
In diritto, il Collegio premette che le forme di tutela delle ragioni del creditore non possano essere limitate ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, codice civile perché l’inciso “ivi compresi” evidenzia la funzione esemplificativa del rinvio.
A sostegno dell’assunto viene evidenziato che l’art. 73 del codice della giustizia contabile è significativamente intitolato mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e “altre azioni“, così da escludere la natura circoscritta del rinvio.
Tra queste ultime, affermano le S.U., è da ricomprendersi l’azione di simulazione quando sia diretta a tutelare le ragioni creditorie pregiudicate dagli atti di cui si vuole accertare la natura simulata, in quanto idonei a menomare la garanzia generica del credito ex art. 2740 c.c. Conclude l’ordinanza che ciò ne determina l’inclusione tra le materie di “contabilità pubblica” insieme con le altre “specificate dalla legge” (art. 103 Cost.) coerentemente con la determinazione dell’ambito della giurisdizione della Corte dei Conti previsto dalla Costituzione.
Viene, infine, precisato che anche l’azione di simulazione costituisce un mezzo predisposto ancorché in via indiretta alla riparazione del danno.
Alla luce dei principi sopraillustrati, osserva a questo punto il Collegio, il discrimine per l’attribuzione della giurisdizione della Corte dei Conti, inscindibilmente collegata con il potere d’iniziativa del p.m. contabile, viene individuato nell’accertamento del nesso di strumentalità tra l’azione proposta, ancorché non rientrante tra i mezzi tipicamente destinati alla conservazione delle garanzie patrimoniali, e l’effettiva risarcibilità del danno erariale.
L’orientamento si pone in continuità con l’inclusione all’interno della giurisdizione contabile dell’azione revocatoria ordinaria, in quanto strumento essenzialmente diretto ad espandere le garanzie patrimoniali dell’obbligato, costantemente affermata dalle Sezioni Unite della stessa Corte (S.U. 22059 del 2007; 30786 del 2011 e 11073 del 2012).
Le Sezioni Unite rammentano in proposito di avere riconosciuto la strumentalità dell’azione revocatoria così da inglobarla tra gli strumenti di conservazione della garanzia patrimoniale e la pertinente accessorietà, così da renderla compatibile con la nozione di “contabilità pubblica” così come prescritto dall’art. 103 Cost.
La giurisdizione contabile, peraltro, può concorrere con quella ordinaria ove l’azione revocatoria venga proposta dalla P.A. per far valere, a tutela delle proprie ragioni creditorie, la pertinente iniziativa conservativa delle garanzie patrimoniali.
In conclusione, perché possano includersi, in via interpretativa (S.U.20597 del 2013) nella giurisdizione contabile mediante il potere di azione del p.m., azioni contrattuali rivolte alla rimozione dell’efficacia di atti dispositivi nei confronti dei creditori di uno dei contraenti, come accade nell’azione revocatoria, o di entrambi come accade nell’azione di simulazione, è necessario l’accertamento del nesso eziologico, anche indiretto, ma univoco, tra l’azione proposta e la necessità di non vanificare, in concreto, il risarcimento del danno erariale.
L’applicazione dei principi illustrati al caso di specie induce il Collegio a dichiarare il difetto della giurisdizione contabile in ordine all’azione di nullità proposta.
Al riguardo già con la pronuncia n.27092 del 2009, le Sezioni Unite rammentano di avere escluso la giurisdizione contabile in relazione ad un’azione di nullità di un contratto dai cui effetti sarebbe potuto derivare un danno erariale ed hanno precisato che l’azione relativa all’accertamento ed al risarcimento del danno erariale non può avere una funzione di tutela preventiva, ma piuttosto esclusivamente riparatoria.
Il nesso di strumentalità deve, di conseguenza, essere accertato in relazione a tale specifica funzione, altrimenti dovendosi accedere ad una nozione di strumentalità talmente dilatata da risultare non definibile. Deve essere stabilito un collegamento eziologico tra l’azione proposta e la tutela del credito erariale cagionato dal comportamento di soggetti pubblici od anche privati ma in rapporto di servizio con l’Amministrazione pubblica depauperata.
Nella specie, nell’azione di nullità proposta non può individuarsi con sufficiente determinabilità una funzione di garanzia patrimoniale anche di natura indiretta, eppure univocamente finalizzata all’esercizio dell’azione di risarcimento del danno erariale da intraprendere a carico dei concessionari privati o dei funzionari pubblici che eventualmente possano ritenersi coinvolti.
Tra le parti attuali del rapporto concessorio e, quanto ai concessionari, anche in relazione ai loro danti causa, sono intercorsi rapporti di lunghissima durata e di estrema complessità che, secondo la speculare prospettazione delle parti, non hanno mai raggiunto un grado di stabilità e di equilibrio tra gli interessi contrapposti delle parti, per l’incidenza di variabili la cui natura ed incidenza sugli elementi essenziali della convenzione o sulle condotte adempienti od inadempienti delle parti in sede di esecuzione, devono essere frutto di rigoroso accertamento giurisdizionale da parte del giudice ordinario.
La nullità invocata – prosegue il Collegio – riguarda una clausola condivisa dalle parti, in relazione alla quale il giudizio di validità, o come richiesto d’invalidità, non si pone in funzione di strumentalità con l’azione di danno erariale per l’assenza di una funzione di rafforzamento o stabilizzazione delle garanzie patrimoniali dei concessionari riconducibile all’azione proposta.
Ove si ritenga che l’accertamento relativo all’invalidità della concessione sia connesso al riconoscimento della responsabilità della società concessionaria di natura amministrativa, per non aver saputo adempiere alla funzione ad essa attribuita dal rapporto di servizio con la concedente o di natura endocontrattuale con effetti sul depauperamento della P.A, l’azione di danno erariale non appare connessa alla rimozione del vincolo contrattuale.
Ove, invece, si intenda far cessare gli effetti del contratto perché la pertinente vigenza è fonte di grave pregiudizio patrimoniale per la p.a. concedente, la funzione dell’azione di nullità assume caratteri non compatibili con quelli riparatori propri dell’azione di danno erariale. Gli effetti della dichiarata nullità possono astrattamente determinare un arricchimento del Comune ed interrompere il vantaggio ritenuto ingiustificato, attualmente goduto dalla X s.p.a. ma non si ravvisa alcuna strumentalità, neanche indiretta con la sfera giuridico patrimoniale dei soggetti astrattamente coinvolgibili nell’azione di danno erariale (la società concessionaria e I funzionari od organi dell’ente territoriale responsabili della convenzione).
Ritiene, pertanto, il Collegio, di dover dare continuità, nel caso di specie, all’arresto delle S.U. contenuto nella pronuncia n. 27092 del 2009, dovendosi evidenziare, a sostegno della soluzione accolta, che, rispetto alla fattispecie del 2009, relativa a contratti ritenuti troppo onerosi per un ente pubblico relativamente agli emolumenti erogati a soggetti in funzioni apicali nell’organigramma dell’Ente stesso, nella specie non è affatto determinabile neanche in via indiretta la strumentalità dell’azione rispetto a quella consequenziale di danno erariale né in relazione ai soggetti responsabili né in ordine all’oggetto del pregiudizio.
Gli effetti ripristinatori conseguenti alla nullità non sono neanche in astratto prevedibilmente diretti a rimuovere o limitare un qualche pregiudizio patrimoniale per l’ente territoriale mentre la possibilità che possa verificarsi un vantaggio economico patrimoniale nella parte pubblica a causa della nullità della convenzione è del tutto eventuale e proiettato nel futuro.
In questo quadro – chiosano le SSUU – non trova alcuno spazio la funzione di conservazione delle garanzie patrimoniali, attraverso l’azione del procuratore contabile.
* * *
Il 17 settembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.25163 in materia di trust con disponente domiciliato in Italia.
In via preliminare, va osservato per la Corte che non possiede efficacia preclusiva del regolamento di giurisdizione ad esso sottoposto la decisione del tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa, atteso che si è trattato di una declinatoria della giurisdizione nella fase cautelare ante causam.
Per consolidato principio, prosegue il Collegio, la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla decisione cautelare – sia stata essa adottata o meno in corso di causa – poiché questa non costituisce sentenza neppure qualora risolva contestualmente la questione di giurisdizione, tranne naturalmente che la questione medesima sia stata riferita al solo procedimento cautelare e il regolamento sia stato proposto per ragioni che attengono ad esso in via esclusiva (cfr. Cass. Sez. U. n. 8774-21, Cass. Sez. U. n. 14041-14).
Deve per la Corte essere affermata – precisa a questo punto – la giurisdizione del giudice italiano.
La domanda che dall’esame diretto della citazione emerge come principale – e alla cui stregua devesi notoriamente determinare la giurisdizione (v. di recente Cass. Sez. U. n. 12479-20) – è quella di simulazione assoluta dei contratti istitutivi dei trust. In termini consequenziali a tale domanda, e poi a quelle alternative e subordinate di simulazione relativa, nullità parziale, parziale inopponibilità dei conferimenti immobiliari e via seguitando, si collocano le domande di restituzione di tutti i beni e di risarcimento dei danni.
Per converso, nell’economia della prospettazione fatta dalla curatela è da intendere come posta in senso chiaramente strumentale la domanda di rendimento del conto, benché primigenia secondo l’ordine aritmetico di formulazione; cosa già evidente in base alla specificazione contenuta nel capo 12 del petitum formale della citazione, ma comunque chiarita, a scanso di ogni equivoco, dalla precisazione contenuta nella memoria attorea ex art. 183 c.p.c. (“1) in via preliminare e dunque strumentale rispetto alle ulteriori domande formulate (..) ordinare di rendere analitico conto (..)”).
E’ appena il caso di ricordare – chiosa il Collegio – che il procedimento di rendiconto, basato sul presupposto dell’esistenza dell’obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all’altra (facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali anche altrui), si ricollega all’esistenza di un rapporto di natura sostanziale.
E’ vero che il giudizio di conto si instaura a seguito di una domanda che può essere proposta in via principale, per modo da svilupparsi come un giudizio di cognizione la cui statuizione terminale, in caso di accettazione del conto, è un’ordinanza non impugnabile del giudice istruttore, mentre – in caso contrario – è una sentenza avente attitudine ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente l’obbligo di rendiconto.
Non è men vero però che ciò può avvenire non solo in via principale esclusiva, ma anche in senso strumentale rispetto ad altra situazione costituente il diritto principale cui si ricollega l’obbligo di rendiconto (v. Cass. n. 1728310, Cass. n. 12463-99). Il che – precisa la Corte – è quanto accade nell’odierna fattispecie in cui il diritto principale, al quale l’obbligo di rendiconto risulta correlato dal Fallimento, deriva dalla dedotta simulazione assoluta dei trust, cui consegue la pretesa alla riconsegna “di tutti i beni mobili, immobili, quote, denaro, titoli, obbligazioni e strumenti finanziari in genere” e comunque di “ogni bene presente nei fondi dei trust e nella disponibilità dei medesimi“.
Ciò stante, la questione sottoposta non può per la Corte trovare soluzione nel Regolamento (CE) n. 1346/2000 richiamato dalla curatela ricorrente.
Quel Regolamento è relativo alle procedure di insolvenza, ma la domanda principale, come sopra intesa, non deriva dal fallimento. Alla Corte di giustizia della UE – chiamata a pronunciarsi in sede di rinvio pregiudiziale sulla questione dei rapporti tra i Regolamenti (CE) n. 44/2001 e (CE) n. 1346/2000, nei rispettivi ambiti di applicazione – si deve la duplice affermazione che:
(a) i regolamenti devono essere interpretati in modo da evitare qualsiasi sovrapposizione tra le norme giuridiche stabilite nei testi, nonchè qualsiasi vuoto giuridico rispetto alle azioni proponibili (v. C. Giust. 9-11-2017, causa C-641/16 Teinkers France e altro);
(b) a sua volta nel Regolamento n. 44/2001 e in quello che ne è seguito n. 1215/2012, l’intenzione del legislatore comunitario è stata di accogliere una concezione ampia della nozione di “materia civile e commerciale“.
Per modo che “solo le azioni che scaturiscono direttamente da una procedura di insolvenza e che sono a questa strettamente connesse sono escluse dall’ambito di applicazione della convenzione di Bruxelles e, successivamente, del regolamento n. 44/2001” (v. esplicitamente C. Giust. 6-22019, causa C535/17, con ulteriori richiami). Pertanto unicamente le azioni così caratterizzate rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento (CE) n. 1346/2000, cosa d’altronde confermata anche dal Regolamento (UE) n. 848/2015 del Parlamento Europeo e del Consiglio.
Il quale, sebbene non applicabile ratione temporis alla procedura d’insolvenza de qua, apertasi nell’anno 2013, tuttavia emblematicamente ancora prevede (art. 6) – così rafforzando l’esegesi dell’anteriore Regolamento del 2000 – che i giudici dello Stato membro nel cui territorio è aperta una procedura di insolvenza sono competenti a conoscere delle azioni che derivano direttamente da tale procedura e che vi si inseriscono strettamente.
Non è tale l’azione principale che qui rileva onde determinare la giurisdizione (vale a dire l’azione di simulazione assoluta dei trust), cosicché non sulla base del regolamento relativo alle procedure di insolvenza, ma di quello generale relativo alla materia civile e commerciale, deve essere adottata la decisione in questa sede.
La fattispecie processuale – prosegue la Corte – è retta ratione temporis dal Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (cd. Bruxelles I bis). L’art. 4 di tale Regolamento conferma che “le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro“.
Ma a propria volta l’art. 8 del Regolamento prevede che una persona domiciliata in uno Stato membro può inoltre essere convenuta:
1) in caso di pluralità di convenuti, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui uno di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un collegamento così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica onde evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili derivanti da una trattazione separata;
2) qualora si tratti di chiamata in garanzia o altra chiamata di terzo, davanti all’autorità giurisdizionale presso la quale è stata proposta la domanda principale, a meno che quest’ultima non sia stata proposta solo per distogliere colui che è stato chiamato in causa dalla sua autorità giurisdizionale naturale;
3) qualora si tratti di una domanda riconvenzionale derivante dal contratto o dal fatto su cui si fonda la domanda principale, davanti all’autorità giurisdizionale presso la quale è stata proposta la domanda principale;
4) in materia contrattuale, qualora l’azione possa essere riunita con un’azione in materia di diritti reali immobiliari proposta contro il medesimo convenuto, davanti all’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui l’immobile è situato.
La norma, particolarmente in relazione alla fattispecie prevista al n. 1, replica lo stesso criterio di collegamento dettato dall’art. 6 dell’anteriore Regolamento (CE) n. 44/2001, del quale il Collegio, pur sottolineandone la necessità di esegesi restrittiva, rappresenta di aver già riconosciuto l’ambito concettuale, identificandolo in quello di una disciplina concorrente. Sebbene cioè nel contesto di una necessaria interpretazione restrittiva, determinata dal fatto che si tratta di una regola speciale in deroga a quella generale di cui al precedente art. 2, così da non poter essere estesa oltre le ipotesi previste (v. Cass. Sez. U. n. 11519-17), è stato osservato che l’art. 6 consente, in caso di pluralità di convenuti, di convenirli tutti davanti al giudice del luogo in cui uno qualsiasi di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica, per modo da evitare il rischio, sussistente in caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili (Cass. Sez. U. n. 14041-14).
Le parti controricorrenti hanno contestato la pertinenza di tale precedente, puntualmente richiamato dalla difesa del Fallimento, perchè – hanno obiettato – esso è stato occasionato da un’azione ereditaria di nullità di un trust costituito all’estero, proposta da uno degli eredi del disponente nei confronti di altro erede italiano; e quindi da un’azione promossa nell’ambito di un giudizio ereditario litisconsortile.
La sottolineatura non assume alcuna rilevanza, dal momento che anche quella di simulazione assoluta – qui in considerazione – è un’azione di tipo litisconsortile. In particolare l’azione di simulazione (assoluta o relativa) dà luogo al litisconsorzio necessario fra tutti i partecipanti all’accordo simulatorio, giacché l’accertamento da svolgere comporta il mutamento della situazione giuridica unica e necessariamente comune a tutti i soggetti che hanno concorso a realizzare la fattispecie apparente, nei confronti dei quali la sentenza che accerta la simulazione è destinata a spiegare i relativi effetti (cfr. secondo un orientamento oggi consolidato Cass. n. 22054-04, Cass. n. 8957-14, Cass. n. 13145-17).
Ne segue che l’odierna domanda principale di simulazione – esattamente come l’azione ereditaria sopra citata – postula proprio il litisconsorzio necessario: il litisconsorzio, invero, di tutti i soggetti che sono stati parti degli atti costitutivi dei trust. E non è dubitabile che in caso di litisconsorzio esista quel “collegamento così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica” al quale allude l’art. 8 del Regolamento citato.
Va poi aggiunto – precisa ancora la Corte – che è vano richiamare – come invece hanno fatto i controricorrenti – la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 relativa alla disciplina generale del trust. Il riferimento non è infatti conducente rispetto al regolamento di giurisdizione.
Che il trust di cui si discute sia “regolato dalla legge scelta dal disponente“, come prevede l’art. 6 della detta Convenzione, ovvero in mancanza dalla legge con la quale il trust abbia “collegamenti più stretti“, come precisa l’art. 7; o ancora che, ex art. 8, sia la detta legge come sopra determinata a disciplinare “la validità, l’interpretazione, gli effetti e l’amministrazione del trust“, sono tutti aspetti che non incidono affatto sul profilo attributivo della giurisdizione, il quale resta saldamente ancorato al criterio concorrente dettato in materia dal ripetuto art. 8 del Regolamento (UE) n. 1215/2012, in ragione:
- del carattere litisconsortile dell’azione promossa dal fallimento in via principale (l’azione di simulazione assoluta dei trust);
- (ii) dell’essere destinatari dell’azione anche e necessariamente le persone fisiche disponenti domiciliate in Italia.
Deve quindi essere affermata per la Corte la giurisdizione del giudice italiano, identificabile nel tribunale concretamente adito dal Fallimento, che provvederà anche sulle spese del regolamento di giurisdizione.
Questioni intriganti
Cosa occorre rammentare dell’azione di simulazione in generale?
- si tratta di un’azione che si pone l’obiettivo di far dichiarare dal giudice l’inefficacia originaria del negozio simulato; si tratta dunque di una delle – per vero, rare – fattispecie di inefficacia negoziale previste in ambito civile (si pensi, per un altro esempio classico, agli effetti dell’accoglimento dell’azione revocatoria), laddove all’apparenza di effetti viene giustapposta, chiedendone al giudice declaratoria all’uopo, la reale ineffettività del ridetto negozio simulato;
- si tratta dunque: b.1) nelle fattispecie di simulazione assoluta – dove dietro ciò che appare v’è il nulla effettuale – di un’azione di accertamento negativo, chiedendosi al giudice di accertare per l’appunto che il negozio simulato non produce (e non ha mai prodotto) effetti; b.2) nelle fattispecie di simulazione relativa – dove dietro ciò che appare vi sono effetti diversi – di un’azione di accertamento negativo per quanto concerne gli effetti (nulli) del negozio simulato e, ad un tempo, di accertamento positivo per quanto concerne gli effetti (“reali”) del negozio dissimulato, del quale si punta a produrre la concreta epifania;
- si tratta di un genere di azione che può essere spiegata tanto in via principale, dall’attore, quanto in via riconvenzionale, dal convenuto che all’uopo “si fa attore” in simulazione;
- per quanto concerne la (ovvia) legittimazione delle parti del negozio simulato, di norma è il convenuto per l’adempimento di obblighi scaturenti dal negozio simulato ad opporre la simulazione e, dunque, a far entrare nel processo la fittizietà del negozio ridetto, come tale da assumersi improduttivo di effetti;
- per quanto invece concerne i terzi, siano essi aventi causa “dalle” o creditori “delle” parti del negozio simulato, essi sono legittimati (ed interessati, anche dal punto di vista processuale) a far valere la simulazione allorché ne siano attualmente o potenzialmente pregiudicati, secondo la disciplina di cui agli art.1415 e 1416 c.c.; tra i terzi statisticamente più “interessati” a far valere la simulazione la prassi annovera senz’altro l’Amministrazione finanziaria, in relazione al relativo credito impositivo: il Fisco è infatti legittimato (ed interessato) a far valere la simulazione del contratto stipulato dal contribuente allorché quest’ultimo si sia avvalso della simulazione pregiudicando la regolare applicazione ed esazione delle imposte (si pensi all’imposta di registro nelle vendite o nelle locazioni), peraltro in frizione con il principio di capacità contributiva (art.53 Cost.);
- sul crinale passivo, quando si agisca in via principale per far valere la simulazione, la legittimazione appartiene a tutti coloro che hanno partecipato all’accordo simulatorio: si configura infatti – come hanno ribadito le SSUU nel 2021 – di una fattispecie di litisconsorzio necessario di cui all’art.102 c.p.c.; in sostanza, si chiede al giudice una pronuncia che è destinata a spiegare effetti nei confronti di tutti i soggetti del rapporto che è scaturigine dell’”impugnato” negozio simulato, onde l’eventuale sentenza – in difetto di contraddittorio integro -sarebbe, come si dice nella terminologia processuale, “inutiliter data”; diverso il caso allorché la simulazione venga opposta in via di eccezione (dunque con soli effetti paralizzanti il diritto vantato dall’attore) o comunque rilevi in via meramente incidentale, circostanze nelle quali (entrambe) difetta una richiesta di accertamento con efficacia di giudicato ed al cui cospetto non può dunque predicarsi la necessarietà del litisconsorzio.
Cosa occorre rammentare, più in specie, della prescrizione dell’azione di simulazione?
- in tema di prescrizione dell’azione di simulazione, occorre distinguere tra le fattispecie di simulazione assoluta, laddove nessun negozio è realmente voluto, e quelle di simulazione relativa, laddove ad essere voluto dalle parti è un negozio diverso da quello apparente;
- per quanto concerne la simulazione assoluta, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza propendono per la imprescrittibilità della pertinente azione; il negozio non produce alcun effetto, esattamente come un negozio nullo, onde se ne invoca la pertinente disciplina in tema di prescrizione di cui all’art.1422 c.c., laddove dispone appunto la imprescrittibilità del negozio nullo;
- per quanto invece concerne la simulazione relativa, se è vero che teoricamente l’attore punta ad ottenere una pronuncia di accertamento dalla natura puramente dichiarativa, come accade anche nelle fattispecie di simulazione assoluta, sul crinale pratico chi appunto agisce in simulazione relativa punta a far affiorare l’esistenza – e l’efficacia – di un negozio diverso da quello (apparente) simulato, e dunque del c.d. negozio dissimulato (vero); l’obiettivo è nella sostanza quello di accertare che il negozio efficace è quello dissimulato, e che dallo stesso discendono diritti per l’attore (che non discenderebbero dal negozio simulato); per questo motivo si tende ad assumere l’azione orientata a far valere tali diritti come soggetta: c.1) alla prescrizione propria del diritto che si intende far valere giusta affiorare del negozio dissimulato; c.2) in generale, alla prescrizione ordinaria decennale del ridetto diritto, siccome affiorante dal negozio dissimulato.
Cosa occorre rammentare, sempre nel dettaglio, della prova della simulazione?
- sul crinale probatorio, rileva l’art.1417 c.c., operando in tema di simulazione il principio dispositivo;
- il giudice non può dunque accertare d’ufficio la simulazione, occorrendo che la parte interessata ne fornisca la prova; laddove tuttavia la prova ridetta affiori dagli atti di causa, il giudice può dichiarare d’ufficio la simulazione quando il pertinente accertamento rechi seco effetti compresi nella domanda o nell’eccezione di parte;
- anche sul versante della prova, riaffiorano le finalità ultime della disciplina della simulazione, siccome scolpite agli articoli 1415 e 1416 c.c., ovvero: c.1) garantire una efficace tutela ai terzi potenzialmente pregiudicati dalla simulazione medesima; c.2) garantire una efficace reazione in caso di simulazione relativa con negozio dissimulato nullo;
- muovendo dalle parti del negozio simulato, una fattispecie peculiare, e molto frequente nella pratica, è quella del contratto simulato redatto in forma scritta: in questa evenienza, provare la simulazione significa, nella sostanza, dimostrare che esiste l’accordo simulatorio, e dunque un patto collegato, “aggiunto o contrario” al contenuto del negozio simulato, che si assume essere stato predisposto e stipulato anteriormente o contestualmente al negozio simulato medesimo; scatta allora – già su di un piano generale – l’operatività dell’art.2722 c.c., alla cui stregua le parti si trovano nella impossibilità di provare per testimoni il ridetto accordo simulatorio (quale documento “aggiunto o contrario” al documento che consacra il negozio simulato), presumendo il legislatore che – in difetto di ulteriore, annessa forma scritta – l’eventuale testimone sia complice della parte che ne invoca la prova orale con lo scopo di sottrarsi agli impegni assunti col negozio “apparente”, denunciandolo come “simulato”; in sostanza, e con riguardo alle parti del negozio simulato, l’art.1417, comma 1, c.c. fa pedissequa applicazione alla simulazione della norma generale in materia contrattuale di cui al ridetto art.2722 c.c., onde solo producendo in giudizio la controdichiarazione le parti medesime potranno provare che esiste un patto “aggiunto” e “contrario” rispetto al ridetto negozio simulato; la giurisprudenza tende peraltro a fare applicazione dell’art.2724 c.c., con le eccezioni in esso previste laddove consentono alle parti di derogare al divieto della prova per testimoni (come nel caso della presenza di un principio di prova scritta);
- si tende ad escludere, sempre limitatamente alle parti del negozio simulato, la possibilità di avvalersi della prova presuntiva; ciò sulla base dell’art.2729 c.c., alla cui stregua nelle medesime fattispecie in cui non è invocabile la prova testimoniale, del pari non è invocabile appunto la prova per presunzioni;
- le preclusioni probatorie in questione sono tuttavia avvinte ad interessi privati e, come tali, non possono essere rilevate d’ufficio dal giudice, dovendo essere ritualmente eccepite dalla parte che vi ha interesse;
- ancora, e sempre rispetto alle parti, una fattispecie peculiare si configura allorché la simulazione sia relativa ed il contratto dissimulato sia illecito: in questo caso, la prova della simulazione ha proprio lo scopo di far affiorare la illiceità del contratto (“vero”) dissimulato dietro la apparente liceità di quello simulato, con prevalenza stavolta dell’interesse pubblico pertinente e con conseguente ritrarsi delle preclusioni probatorie tipiche delle parti, le quali ultime possono qui avvalersi tanto della prova testimoniale che delle presunzioni;
- nelle fattispecie in cui non si tratti di dimostrare l’esistenza di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, una eccezione alla regola delle preclusioni probatorie tra le parti è quella che consente ad una parte di provocare l’interrogatorio formale dell’altra, con l’obiettivo di ottenerne una confessione giudiziale avente ad oggetto il negozio dissimulato (fattispecie, nondimeno, limitabile alle sole ipotesi di simulazione relativa, non potendo essere estesa a quelle di simulazione assoluta);
- tutt’affatto peculiare è la fattispecie in cui ad essere simulato sia, nell’ambito di una compravendita immobiliare, l’elemento “prezzo”, con la finalità di farne figurare uno più basso del reale al fine di ottenere vantaggi fiscali; stando alle SSUU del 2007, poiché peraltro il prezzo è elemento essenziale del contratto di compravendita, tra le parti non possono che operare il limiti probatori di cui agli articoli 2722 e 1417 c.c., dovendo pertanto il ridetto “vero” (e più elevato) prezzo – al cospetto di un contratto soggetto alla forma scritta ad substantiam (come nel tipico caso della compravendita immobiliare) – risultare necessariamente per iscritto;
- per quanto invece concerne i terzi rispetto alla simulazione, essi possono fornire la prova sia giusta presunzioni, sia attraverso la prova testimoniale, non soggiacendo ai limiti previsti per le parti, non potendo provare in via documentale la simulazione medesima per non essere (generalmente) in possesso delle controdichiarazioni a disposizione delle parti.
Cosa occorre rammentare della simulazione con particolare riguardo al contratto di compravendita?
- una questione – come anticipato supra – si è posta in particolare con riferimento alla simulazione dell’elemento “prezzo”, quale simulazione oggettiva relativa “parziale” della vendita;
- in sostanza, si tratta dell’ipotesi in cui ad apparire sia un dato prezzo X della cosa compravenduta, in realtà simulato, mentre il vero prezzo dissimulato è un altro prezzo Y, superiore a quello fatto apparire;
- il tipo contrattuale resta il medesimo – la vendita – mentre ad essere simulato (e dissimulato) è solo un pertinente elemento, quantunque essenziale dal punto di vista, per l’appunto, del tipo negoziale prescelto dalle parti;
- l’obiettivo delle parti è quello di assicurarsi un risparmio sul versante tributario, attraverso il far affiorare un prezzo X che è inferiore rispetto al reale prezzo convenuto Y, al fine dunque di scontare minori imposte (si pensi, per tutte, all’imposta di registro);
- in questi casi il prezzo Y dissimulato, pur spiegando effetti sul crinale tributario (garantendo al Fisco un minor gettito e ai contraenti un certo risparmio fiscale, secondo lo schema dell’elusione e/o dell’evasione fiscale), potrebbe tuttavia – in una prospettiva ermeneutica più “liberale” – non affermarsi “civilmente illecito”, con conseguente inapplicabilità tra le parti – a rigore – dell’art.1417 c.c.; le parti, sempre in astratto, non potrebbero dunque provare per testimoni o per presunzioni il “vero” (e più alto) prezzo della vendita;
- in concreto, si sono giustapposti sul punto in giurisprudenza due orientamenti: f.1) tesi più remota, ormai recessiva: il contratto di vendita non perde i propri tratti peculiari, conservando piuttosto inalterati – dal punto di vista qualitativo – i propri elementi costitutivi; il prezzo, quale elemento negoziale quantitativamente interessato dalla simulazione, può essere sostituito o comunque integrato con quello effettivamente voluto dai contraenti (più elevato rispetto a quello fatto apparire); per questo motivo, tra le parti (alienante e acquirente) non scattano le preclusioni probatorie (prova testimoniale; presunzioni) al fine di dimostrare il reale prezzo della vendita, se del caso, ancora da corrispondere dall’acquirente all’alienante, la non applicabilità del combinato disposto degli articoli 1417 e 2722 c.c. discendendo dalla circostanza onde la clausola intesa a sottacere una parte del prezzo effettivamente dovuto dall’acquirente non può tecnicamente ricondursi ad una dissimulazione contrattuale per difetto di propria autonomia strutturale e funzionale, onde si è al cospetto di una prova (normalmente richiesta al venditore, allorché il compratore non paghi la differenza tra il prezzo apparente e quello realmente convenuto) con funzione semplicemente “integrativa”, potendosi compendiare anche in una mera dichiarazione unilaterale siccome rilasciata dal compratore (apparentemente avvantaggiato da un prezzo “simulato” più basso); f.2) tesi più recente, abbracciata dalle SSUU del 2007: nel caso di simulazione relativa parziale, si è pur sempre al cospetto di una simulazione, la pertinente prova palesandosi funzionale a far affiorare l’esistenza di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, destinato come tale – seppure in guisa parziale – ad incidere in senso modificativo sull’assetto di interessi che le parti hanno formalizzato con l’accordo (apparente) da esse sottoscritto; ciò atteso anche come il prezzo nella struttura della vendita con compendi un elemento marginale ed accidentale, ma piuttosto un elemento di importanza cruciale nell’economia del rapporto di vendita-acquisto; da questo punto di vista, anche se non appare del tutto scorretto parlare di “integrazione” del contratto originario, resta il fatto che le parti fanno luogo, in concreto, ad un patto aggiunto e contrario rispetto all’accordo “apparente”, con conseguente impossibilità per esse (e, in particolare, per il venditore) di ricorrere alla prova per testimoni o per presunzioni; il prezzo, nella sostanza, è un elemento essenziale della compravendita che, laddove immobiliare, esige la forma scritta ad substantiam, con conseguente piena operatività dell’art.2722 c.c. ed annessa impossibilità per le parti di provare un prezzo “diverso” a mezzo testimoni o presunzioni; si tratta tuttavia di una opzione ermeneutica che potrebbe condurre comunque le parti ad avvalersi di testimoni e presunzioni laddove il contratto dissimulato con prezzo (o canone, nel caso delle locazioni) più alto rispetto a quello fatto apparire (nel contratto simulato) venga ricondotto ad evasione di imposta e dunque a illecito “tributario” capace di ridondare anche in illecito “civile”.
Cosa occorre rammentare dei rapporti tra azione revocatoria ed azione di simulazione, con riguardo alla salvaguardia della garanzia patrimoniale del creditore?
- per quanto riguarda gli atti di disposizione patrimoniale simulati assoluti, il creditore del debitore simulato alienante può agire in simulazione ex art.1416, comma 2, c.c.;
- il regime della simulazione si presenta tuttavia particolarmente rigoroso in termini di tutela dei creditori del debitore simulato alienante e dei terzi perché l’inefficacia “simulatoria” dell’atto – a valle dell’azione di simulazione – non può comunque opporsi ai terzi di buona fede che abbiano acquistato diritti dal terzo simulato acquirente (art.1415 c.c.) né ai creditori di tale terzo simulato acquirente che abbiano compiuto atti di esecuzione sui beni oggetto del contratto simulato (art.1416 c.c.);
- onde è più prudente per il creditore spiccare – laddove ne ricorrano i presupposti – tanto l’azione di simulazione quanto quella revocatoria, quest’ultima più “garantista” per il creditore laddove (art.2901, ultimo comma, c.c.) lascia prevalere solo i terzi di buona fede acquirenti a titolo oneroso, e non anche a titolo gratuito (quantunque in buona fede), sempre che tali acquirenti di buona fede a titolo oneroso abbiano trascritto il pertinente atto di acquisto prima che il creditore-attore abbia trascritto la domanda di revocatoria;
- ciò a fortiori laddove si consideri che in entrambi i casi l’obiettivo dell’attore (tanto in simulazione quanto in revocatoria) è quello di far dichiarare inefficaci – in senso assoluto, erga omnes, nella simulazione; o in senso relativo, limitatamente a sé medesimo, nella revocatoria – gli atti posti in essere dal proprio debitore con l’obiettivo di sottrarre beni alla propria garanzia patrimoniale; si tratta di fattispecie in cui può peraltro essere chiesto, ai sensi dell’art.2905, comma 2, c.c., il sequestro conservativo anche nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore, con azione (cautelare) esperibile appunto qualora sia stata proposta azione (di merito) per far dichiarare “l’inefficacia” dell’alienazione;
- per quanto concerne i crediti erariali, ed in particolare quelli avvinti alla responsabilità amministrativa e contabile (per c.d. danno erariale), sulla base di una consolidata giurisprudenza delle SSUU, tanto l’azione revocatoria quanto quella di simulazione – per essere entrambe orientate a preservare la garanzia patrimoniale dell’Ente pubblico creditore – vanno assunte – quando sono strettamente avvinte al credito risarcitorio per danno erariale – appannaggio della Corte dei Conti, quale giudice contabile; ciò stante il disposto: d.1) dapprima, dell’’art. 1 c. 174 del d.lgs n. 266 del 2005, laddove stabiliva che: “Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi davanti alla Corte dei conti di cui al r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile“; d.2) quindi, dal 7 ottobre 2016, dell’art. 73 del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (cd. Codice della giustizia contabile), recante “Mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e altre azioni“, di analogo tenore testuale, onde “Il pubblico ministero, al fine di realizzare la tutela dei crediti erariali, può esercitare tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, Titolo III, Capo V, del codice civile“;
- da entrambe le norme, tenendo in considerazione l’inciso “ivi compresi”, affiora la facoltà per il PM contrabile di esperire non già solo le azioni surrogatoria, revocatoria e di sequestro conservativo, ma anche la stessa azione di simulazione.