Cassazione civile, sez. III, ordinanza 10 maggio 2024, n. 12839
PRINCIPIO DI DIRITTO
“Ove risulti che il danno non è derivato dalla cosa ma è derivato dall’attività dell’appaltatore, allora la fattispecie di riferimento non sarà più quella della responsabilità per difetto di custodia, ed il caso concreto andrà deciso secondo il principio di diritto più volte affermato da questa Corte in base al quale «Poiché l’appaltatore gode di autonomia organizzativa e gestionale, una responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera è configurabile solo in due casi: o quando l’opera sia stata affidata ad impresa manifestamente inidonea (cosiddetta “culpa in eligendo”), ovvero quando la condotta causativa del danno sia stata imposta all’appaltatore dal committente stesso, attraverso rigide ed inderogabili direttive »”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – […] I giudici di appello partono dal presupposto che il committente “resta certamente nel possesso, ed anche nella giuridica detenzione, del bene oggetto dell’appalto” con la conseguenza che egli conserva sempre “il potere di impartire direttive all’appaltatore in merito alle opere da eseguire e alle modificazioni da apportare allo stesso”.
Ciò significa che “per essere esonerato dalla responsabilità, il committente avrebbe dovuto dimostrare che l’attività dell’appaltatore sia di fatto qualificabile come caso fortuito”: prova che nel caso presente non è stata fornita.
- – […] Questa ratio è contestata con cinque motivi di ricorso.
3.1. – Con il primo motivo di ricorso si prospetta una violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile. Il ricorrente sostiene che l’attore aveva inizialmente annunciato di far valere una responsabilità del committente, dunque del convenuto, ex art. 2051 del codice civile, ma poi aveva rinunciato a tale qualificazione, o meglio a tale domanda, preferendo optare per una responsabilità del committente basata sull’art. 2043 del codice civile.
Nel corso del giudizio di appello il ricorrente aveva evidenziato questa rinuncia, aveva cioè eccepito che l’attore aveva espressamente rinunciato ad agire ex articolo 2051 cc., ed aveva dunque chiesto che su tale qualificazione non si potesse più tornare.
Sostiene il ricorrente che, invece, il giudice d’appello ha qualificato la domanda ai sensi dell’articolo 2051 c.c., e, sulla base di tale norma, l’ha accolta, e così facendo non ha tenuto in conto l’eccezione di rinuncia a quella domanda espressamente fatta nel corso del giudizio di secondo grado.
Il motivo è infondato.
La ratio della decisione impugnata è nel senso che il giudice di primo grado avrebbe ritenuto infondata la domanda ex art. 2051 c.c., così come anche quella ex 2043 c.c., e che sulla infondatezza della domanda ex art. 2043 cc non c’è stato appello. Il che significa che il giudice di secondo grado ha ritenuto di dover pronunciare ex art. 2051 c.c., riqualificando la domanda, in quanto sulla l’infondatezza di quella ex 2043 c.c., non c’era stato gravame. Fondata meno che sia questa prospettiva, essa costituisce comunque una pronuncia sulla questione posta dal ricorrente, con la conseguenza che non si può prospettare una omessa decisione come da costui lamentato.
3.2. – Con il secondo motivo si prospetta una violazione dell’articolo 2051 del codice civile. La tesi è la seguente. Il giudice di appello ha ritenuto sempre e comunque custode della cosa il committente e dunque ha, per certi versi, operato una sorta di presunzione della responsabilità di costui per i danni causati dalla cosa oggetto di appalto, tanto è vero che ha affermato conseguentemente il principio secondo cui il committente ha l’onere di provare che il danno è avvenuto per caso fortuito, o per un’attività direttamente imputabile all’appaltatore, che deve considerarsi rispetto alla sua custodia per l’appunto come un evento imprevedibile e inevitabile.
Tuttavia, nel fare ciò, ha presupposto che il danno sia derivato dalla cosa anziché dall’attività dell’appaltatore, posto che l’articolo 2051 c.c. si applica solo ove il danno derivi per l’appunto dalla cosa, anziché dall’attività dell’uomo, quando invece chiaramente era pacifico che il danno era derivato dai lavori effettuati dall’appaltatore e non già dalla situazione in cui si trovava l’immobile in sé per sé, e dunque dalla cosa in custodia.
Così facendo la sentenza impugnata avrebbe confuso la responsabilità da custodia ex articolo 2051 c.c. con la responsabilità da condotta colposa ex articolo 2043 cc.
3.3. – Con il terzo motivo, che prospetta violazione dell’articolo 2051 del codice civile, si denuncia lo stesso errore sotto un altro aspetto. Secondo il ricorrente, nel fare ricorso alla responsabilità da cose in custodia, la Corte d’appello avrebbe commesso l’ulteriore errore dovuto alla circostanza di considerare il committente come custode sempre e comunque della cosa data in appalto, e come uno di cui si presume che abbia sempre e comunque il potere di ingerenza sulla cosa al punto che quindi è lui a dover dimostrare che, invece, in quel caso, il danno è avvenuto al di fuori della sua sfera di controllo e dunque per un caso fortuito.
In questa ratio ci sarebbe l’errore di considerare per l’appunto l’appaltatore come una longa manus dell’appaltante, ossia come un mero strumento delle direttive di quest’ultimo quando invece, per contro, è pacifico che l’appaltatore agisce in piena autonomia e con mezzi propri nella esecuzione dell’appalto, e che dunque non può presumersi che il committente si ingerisca sempre e comunque nell’attività dell’appaltatore quanto all’esecuzione dell’opera.
Questi due motivi, che pongono una questione comune, possono dunque considerarsi insieme e sono fondati.
Va premesso che, proposta domanda di responsabilità ex art. 2043 c.c. non si può tale domanda modificare in quella di responsabilità ex articolo 2051 c.c., e viceversa, salvo che i fatti non siano descritti in modo tale che la fattispecie può essere qualificata diversamente (Cass. 30920/ 2017), ossia a meno che il mutamento di qualificazione giuridica lasci inalterati i fatti, non presupponga cioè un fatto diverso.
Ciò posto, la ratio decidendi qui impugnata è frutto di una confusione tra la fattispecie dell’art. 2051 del codice civile e la fattispecie dell’art. 2043 c.c., e soprattutto di come l’una e l’altra rilevino nel caso del contratto di appalto. La responsabilità da cose in custodia presuppone che il danno sia causato dalla cosa per il suo stesso dinamismo e dunque che il danno non derivi dalla circostanza che la cosa sia azionata dall’uomo. Viceversa, ove il danno derivi da una cosa in quanto in quel momento utilizzata dall’uomo non può prospettarsi una responsabilità da omessa custodia, bensì da condotta attiva od omissiva direttamente causa dell’evento.
Conseguentemente, ove il danno derivi da una condotta dell’appaltatore, vale a dire dalla sua attività di esecuzione dei lavori, non può ovviamente farsi riferimento all’art. 2051 del codice civile, che invece presuppone che il danno derivi dalla cosa in sé e non già dell’uso che ne faccia l’esecutore dei lavori (Cass. 4288 / 2024).
Conseguentemente, nel contratto d’appalto può accadere che il danno derivi dalla cosa in sé, e cioè senza che essa sia manovrata o utilizzata dall’appaltatore in quel momento, ed allora si potrà prospettare una responsabilità per omessa custodia da parte del committente o di chi la custodia abbia in quel momento; come può invece accadere che il danno sia causato dall’appaltatore, dunque da una condotta di costui che muove la cosa, oggetto di appalto, ad arrecare danno a terzi: ed allora la fattispecie di riferimento sarà per l’appaltatore l’art. 2043 c.c. e per il committente una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, come vedremo meglio in seguito (già in questi termini Cass. 23442/ 2018 in motivazione).
Pur prendendo atto di tale distinzione, la Corte di merito l’ha obliterata del tutto operando una presunzione assoluta di responsabilità da custodia nel caso dell’appalto in capo al committente, nel senso che ha ritenuto costui sempre e comunque custode della cosa e sempre e comunque come un soggetto che si inserisce nell’attività dell’appaltatore dando a costui direttive.
Questa ratio, innanzitutto, disattende la distinzione che si è tracciata in precedenza, in base alla quale il giudice di merito avrebbe dovuto verificare se il danno lamentato è derivato dalla cosa in sé oppure è derivato da una attività dell’appaltatore, posta in essere in violazione delle cautele imposte nella esecuzione dei lavori.
Soltanto ove si fosse accertato che il danno era derivato dalla cosa in sé, ossia da quello che si definisce il dinamismo della cosa, allora avrebbe potuto porsi un problema di omessa custodia e dunque avrebbe potuto porsi il problema di chi fosse in quel momento l’effettivo custode del bene: se il committente, per via della sua ingerenza nell’attività dell’appaltatore, o se piuttosto quest’ultimo in quanto esecutore autonomo dei lavori.
Invece, ove risulti che il danno non è derivato dalla cosa ma è derivato dall’attività dell’appaltatore, allora la fattispecie di riferimento non sarà più quella della responsabilità per difetto di custodia, ed il caso concreto andrà deciso secondo il principio di diritto più volte affermato da questa Corte in base al quale “Poiché l’appaltatore gode di autonomia organizzativa e gestionale, una responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera è configurabile solo in due casi: o quando l’opera sia stata affidata ad impresa manifestamente inidonea (cosiddetta “culpa in eligendo”), ovvero quando la condotta causativa del danno sia stata imposta all’appaltatore dal committente stesso, attraverso rigide ed inderogabili direttive” (Cass. 10588/ 2008; Cass. 36399/ 2023).
Nessuna di queste due condizioni appare indagata dal giudice di merito, il quale ha liquidato la questione attraverso la presunzione della ingerenza del committente in astratto, vincibile solo dalla prova contraria di costui del caso fortuito. Il che è frutto si ripete della confusione tra le due fattispecie astrattamente riferibili al caso concreto: confusione evidente nel fatto di aver applicato sia regole dell’una – ossia la prova liberatoria del fortuito che è tipica dell’articolo 2051 cc – sia regole dell’altra – ossia l’ingerenza del committente nell’attività dell’appaltatore che invece è il presupposto della fattispecie generale di responsabilità.
3.4. – Il quarto ed il quinto motivo, il primo attinente alla domanda di garanzia proposta dal ricorrente nei confronti del direttore dei lavori, ed il secondo relativo alle spese del processo, possono dirsi dunque assorbiti dall’accoglimento dei precedenti due.
Il ricorso va dunque accolto in questi termini e la decisione cassata con rinvio.